La giornata dei missionari martiri nel ricordo di Luigi Padovese
Nella prolusione al XXIX corso dello Studium organizzato dalla Congregazione delle Cause dei Santi dal titolo I Santi cambiano il mondo e glorificano la Chiesa tenuta il 13 gennaio 2013 il Prefetto, cardinal Angelo Amato, affermò: «E tutti coloro che collaborano alle cause dei santi sono come degli orafi, che trattano materiali preziosi come oro, platino, diamanti, perle. Con pazienza e somma perizia questi artisti, spesso sconosciuti, li lavorano con estrema delicatezza, li ripuliscono dalle impurità e li restituiscono al loro vero splendore». Se tale lavoro significasse eliminare dalla vita di una determinata persona fatti, affermazioni, immagini e quant’altro potrebbe offuscare la presunta santità espressa mediante una vita ritenuta virtuosa, certamente sarebbe disdicevole perché sconfinerebbe nella menomazione della storia con le sue complessità e contraddizioni; certamente non è questo che afferma il cardinal Amato. Invece tale lavoro di ripulitura è far emergere la verità dei fatti spesso volutamente occultata; valga l’esempio della morte di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia e Presidente della Conferenza Episcopale di Turchia.
Infatti il 22 gennaio 2013 Murat Altun, l’assassino di monsignor Luigi Padovese, con sentenza del tribunale di Adana da cui dipende Iskenderun – luogo dove è stato consumato il delitto il 3 giugno 2010 – è stato conddannato a 15 anni di carcere. Catturato poche ore dopo il delitto il giovane ha sempre detto che al momento dell’omicidio non era nel pieno delle sue facoltà, ma esami tossicologici effettuati subito dopo il suo arresto lo avevano smentito e non avevano rilevato tracce né di alcol né di droga. Dopo l’inizio del processo l’avvocato della difesa aveva cercato di fare ottenere all’assassino l’infermità mentale, ma i referti dell’ospedale di Adana, che definivano Altun «malato di mente», sono stati drasticamente ribaltati dai periti della procura di Istanbul, secondo i quali l’assassino agì nel pieno delle sue facoltà mentali. Quindi l’uccisore era sano di mente e tale sentenza, per usare le parole del cardinal Angelo Amato, ripulisce dalle impurità e restituisce al suo vero splendore la testimonianza di monsignor Padovese.
Infatti il 3 giugno 2010, ossia poco dopo l’uccisione del Vescovo, qualcuno – forse preso da una comprensibile emotività – affermò in modo precipitoso che non si può avvicinare il caso dell’uccisione di don Andrea Santoro con quella di mons. Luigi Padovese ritennedoli due casi diversi, che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Sempre secondo tale opinione, essendo l’assasino un collaboratore di lunga data del vescovo, è da escludere qualsiasi movente di tipo religioso. Anche se colui che fece la suddetta affermazione riconobbe che tra il luogo in cui si trovava e il luogo dell’assasinio ci sono mille chilometri di distanza, tali parole non caddero nel vuoto e così tra le motivazioni dell’assasinio del Vicario dell’Anatolia si diffusero anche aspetti denigratori della personalità e attività del Vescovo. Grazie anche alla sentenza giudiziaria di condanna dell’uccisore, le suddette affermazioni che hanno dato adito a conclusioni disdicevoli sono state se non proprio smentite, almeno fortemente ridimensionate e così la morte – come anche la vita – di monsignor Padovese può ritornare a splendere nel suo valore di testimonianza di fede.