Ricostruire i cuori in Bosnia. Una testimonianza del cardinal Puljic

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“Prima di costruire una nazione, c’è bisogno di ricostruire i cuori”. Vinko Puljic parla con passione della Bosnia Erzegovina, la sua nazione. Cardinale, arcivescovo di Sarajevo, è sempre stato in prima linea durante la guerra fratricida che ha distrutto la sua nazione, e poi nei difficili anni della ricostruzione. Ora, mentre le altre nazioni balcaniche si muovono con decisione verso l’Europa, la Bosnia sembra ancora stare indietro, sembra ancora mancarle un passo per la ricostruzione. C’è il rischio di isolamento? “C’è prima bisogno di costruire una nazione egualitaria”, sottolinea il cardinale. Il quale ha fatto del dialogo con il mondo islamico uno dei capisaldi della sua opera pastorale, ma punta anche il dito con chiarezza contro “il fatto che ci sono ancora grandi problemi per i cristiani di far valere i propri diritti” e che “nemmeno a livello internazionale” c’è una risposta.

Le ferite della guerra sono ancora forti. Vinko Puljic le ricorda continuamente, grazie ad una croce pettorale costituita dalle schegge delle granate, che gli è stata regalata dai suoi sacerdoti nel 1994, fatta di “cinque pezzi, come le piaghe di Cristo”.

Se il dialogo con il mondo islamico è vivo anche grazie agli sforzi del cardinale, è vero anche che i cattolici hanno particolari difficoltà.

“Sono 14 anni che ho chiesto alle autorità il permesso di costruire una Chiesa – sottolinea – ma non ho ancora avuto risposta, mentre le moschee sorgono ovunque. La comunità internazionale dovrebbe essere più sensibile alle richieste dei cristiani, messi ancora da parte soprattutto nelle grandi città a maggioranza musulmana”.

Per Puljic c’è bisogno, sì, di Europa, di rimanere nel concerto internazionale. Ma l’Europa – ammonisce – “non deve entrare solo a livello amministrativo. Deve entrare a livello politico, a livello culturale. Non ci può essere Europa quando non c’è una cultura egualitaria, quando non tutti sono considerati uguali. C’è prima bisogno di ricostruire la Bosnia. E per farlo si deve prima di tutto ricostruire i cuori, dato che le divisioni della guerra sono ancora fortissime”.

Dal 1992 al 1995, dopo la frantumazione della Jugoslavia, la guerra ha devastato la Bosnia Erzegovina causando quasi 243.000 morti e circa due milioni di rifugiati. Tra di loro, alto è stato il numero di sacerdoti e religiosi. Molti furono rapiti e brutalmente torturati e nonostante tutto sopravvissero, altri furono assassinati. Di alcuni non si è avuta più notizia.

Durante la guerra Puljic decide di restare a Sarajevo, e vive il lungo assedio della città, che era – racconta il cardinale – “diventata un carcere, circondata e bloccata da tutte le parti, mentre dai monti era sempre bombardata con i cecchini che sparavano dall’altra parte del fiume. Siamo rimasti senza energia elettrica, senza acqua, senza riscaldamenti, mentre i rifornimenti alimentari ogni giorno diminuivano. La paura era dappertutto. Ogni giorno guardavo il sangue e i morti, udivo le grida delle persone impaurite. C’era bisogno di consolare, incoraggiare e alzare la voce contro l’ingiustizia e la morte, per difendere la gente. Per poter fare questo occorreva molta preghiera. Senza lo Spirito di Dio non c’è né forza né speranza”

Nella testimonianza resa alla convocazione Rns, Puljic fa un po’ di storia. Ricorda che “la Bosnia-Erzegovina” è stato un Paese “segnato da difficili esperienze storiche”, per quattrocento anni sotto il dominio degli Ottomani (dal 1463 in poi) che hanno disperso i cattolici del Regno di Bosnia Erzegovina. Ma – aggiunge il cardinale – “molti sono rimasti e a loro dobbiamo rendere omaggio perché hanno salvato la fede con il sostegno dei frati francescani. Sotto la forte pressione ottomana molti altri si sono convertiti all’Islam. Siamo sopravvissuti agli avvenimenti dolorosi della Prima e della Seconda guerra mondiale e poi è arrivato il comunismo”.

E poi la guerra, che ha distrutto la comunità cristiana. “Durante la guerra – racconta l’arcivescovo di Sarajevo – l’Arcidiocesi è stata distrutta. Dei 528mila fedeli ne sono rimasti circa 190mila. Nel territorio dell’arcidiocesi sono state distrutte circa 600 tra chiese e strutture ecclesiastiche. Ma non ci siamo abbattuti e con grande fiducia in Dio abbiamo aperto le scuole interetniche per l’Europa dove si forma nei giovani lo spirito di tolleranza e di convivenza pacifica. Abbiamo ricostruito il seminario, perché senza i sacerdoti la Chiesa non può sopravvivere. La Caritas ha sviluppato l’attività di aiuto ai profughi”.

E ora, in Bosnia c’è una situazione di forte divisione interna, mentre la disoccupazione galoppa al 46 per cento, e dove i cattolici sono stati marginalizzati, specialmente nell’area abitata dai serbi dove è stata fatta pulizia etnica. Lì – dice Puljic – “mancano all’appello 200mila cattolici e non è possibile per loro farvi ritorno. La comunità internazionale non fa nulla per cambiare questo stato di cose. Nell’altra zona, noi cattolici siamo insieme ai musulmani ma non godiamo dell’uguaglianza senza la quale non è possibile creare una pace stabile. Purtroppo, quando ci sono problemi per i cattolici, la comunità internazionale tentenna”.

La nazione si è tenuta insieme grazie alla “famiglia e la fede che si è mantenuta al suo interno”. E il cardinal Puljic ha difeso strenuamente la famiglia nell’omelia della Messa che ha tenuto davanti ai 15 mila di Rinnovamento il 25 aprile. “Parliamo di sviluppo, di modernità e distruggiamo l’antropologia cristiana, le tradizioni cristiane, l’educazione cristiana. Stiamo distruggendo la legge naturale e questo lo chiamiamo democrazia”, ha detto con forza. E poi ha aggiunto: “Stiamo rovinando la famiglia, il nucleo fondamentale della società, portando leggi ingiuste, strane, nel nome della libertà e dei pari diritti. Distruggiamo le leggi di Dio per imporre le leggi proprie dell’uomo senza Dio. E poi vediamo sempre più che l’uomo è minacciato da se stesso: sta tagliando il ramo sul quale siede!”.

Nel frattempo, c’è anche un nuovo Papa, e Puljic si dice “stupito dal fatto che tutti in Bosnia, anche nel mondo islamico, ne parlino bene e guardino a lui con grande speranza”. Papa Francesco, durante la Messa del Giovedì Santo, ha lavato i piedi anche a due musulmani, di cui una donna. Questo come è stato preso nel mondo islamico? “Si deve capire – glissa Puljic – che si è trattato di un segno, di un grande gesto d’amore di Papa Francesco nei confronti del mondo musulmano”.

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