Papa Francesco invita i cattolici ad annunciare il Vangelo

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“E vorrei ringraziare, in questo momento di gioia, questi ragazzi e ragazze del circo. Il circo esprime una dimensione dell’anima umana: quello della gioia gratuita, quella gioia semplice, fatta con la mistica del gioco. Ringrazio tanto queste ragazze, questi ragazzi che ci fanno ridere, ma anche ci danno un esempio di allenamento molto forte, perché per arrivare a quello che arrivano loro, occorre un allenamento forte, molto forte”.

Così al termine dell’udienza generale nell’aula Paolo VI ha detto papa Francesco ancora convalescente per un controllo medico avvenuto nei giorni scorsi, che non permette di recarsi a Dubai, chiedendo di pregare per la pace in Terra Santa ed in Ucraina:

“Auspico che prosegua la tregua in corso a Gaza, affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari. Ho sentito la parrocchia lì: manca l’acqua, manca il pane e la gente soffre.

E’ la gente semplice, la gente del popolo che soffre. Non soffrono coloro che fanno la guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo, parlando di pace, il caro popolo ucraino, che soffre tanto, ancora in guerra. Fratelli e sorelle, la guerra sempre è una sconfitta. Tutti perdono. Tutti, no: c’è un gruppo che guadagna tanto: i fabbricatori di armi; questi guadagnano bene sopra la morte degli altri”.

Nell’udienza generale ha continuato a soffermarsi sullo zelo apostolico, offrendo la meditazione sull’annuncio nel mondo contemporaneo, riflessione letta da mons. Filippo Ciampanelli, perché non sta ancora ‘bene’:

“Si sente quasi sempre parlare male dell’oggi. Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni, crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione. In generale, l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto, con la sua capacità di risolvere molti problemi e i suoi giganteschi progressi in tanti campi”.

Insomma sembra che la modernità possa fare a meno di Dio: “Ma al tempo stesso questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi rimane indietro.

E così consegna le grandi aspirazioni umane alle logiche spesso voraci dell’economia, con una visione della vita che scarta chi non produce e fatica a guardare al di là dell’immanente. Potremmo persino dire che ci troviamo nella prima civiltà della storia che globalmente prova a organizzare una società umana senza la presenza di Dio, concentrandosi in enormi città che restano orizzontali anche se hanno grattacieli vertiginosi”.

Ed ha ripreso la narrazione del racconto biblico della città di Babele: “In esso si narra un progetto sociale che prevede di sacrificare ogni individualità all’efficienza della collettività. L’umanità parla una lingua sola (potremmo dire che ha un ‘pensiero unico’), è come avvolta in una specie di incantesimo generale che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità. Allora Dio confonde le lingue, cioè ristabilisce le differenze, ricrea le condizioni perché possano svilupparsi delle unicità, rianima il molteplice dove l’ideologia vorrebbe imporre l’unico”.

Ma Dio confonde il linguaggio per prevenire il potere di dominio: “Il Signore distoglie l’umanità anche dal suo delirio di onnipotenza: ‘facciamoci un nome’, dicono esaltati gli abitanti di Babele (v. 4), che vogliono arrivare fino al cielo, mettersi al posto di Dio. Ma sono ambizioni pericolose, alienanti, distruttive, e il Signore, confondendo queste aspettative, protegge gli uomini, prevenendo un disastro annunciato.

Sembra davvero attuale questo racconto: anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di sapere, ma soprattutto per un di più di potere. E’ una tentazione che pervade le grandi sfide della cultura odierna”.

Per questo c’è bisogno di annunciare il Vangelo in modo ‘nuovo’: “In altre parole, si può annunciare Gesù solo abitando la cultura del proprio tempo; e sempre avendo nel cuore le parole dell’Apostolo Paolo sull’oggi: ‘Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!’

Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. Una verità non diventa più credibile perché si alza la voce nel dirla, ma perché viene testimoniata con la vita”.

Lo ‘zelo apostolico’ diventa testimonianza: “Lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono.

Esse sono nostre ed evangelizzarle non significa giudicarle da lontano, nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette, abitare i crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che ha senso per la loro vita”.

Insomma stare nei luoghi: “Occorre stare nei crocevia dell’oggi. Uscire da essi significherebbe impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta. Frequentarli, invece, aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede ‘cose nuove e cose antiche’.

Insomma, più che voler riconvertire il mondo d’oggi, ci serve convertire la pastorale perché incarni meglio il Vangelo nell’oggi. Facciamo nostro il desiderio di Gesù: aiutare i compagni di viaggio a non smarrire il desiderio di Dio, per aprire il cuore a Lui e trovare il solo che, oggi e sempre, dona pace e gioia all’uomo”.

E dopo l’udienza generale il papa ha ricevuto i giocatori del Celtic Football Club di Glasgow, affermando che è meglio vincere una partita piuttosto che perderla, ma importante è dare un buon esempio: “L’apprezzata eredità valoriale della vostra Società, allora, vi pone sulle spalle una grande responsabilità, ricordandovi di essere buoni modelli, specialmente per i giovani.

Gli alti livelli che siete chiamati a raggiungere non riguardano solo le vostre abilità sportive o i requisiti classici necessari per eccellere, ma si riferiscono anche alla vostra integrità personale. In proposito, uomini e donne non dovrebbero vedere in voi solo dei buoni calciatori, ma anche persone capaci di delicatezza, uomini dal cuore grande, in grado di essere saggi amministratori dei molti benefici di cui godete grazie alla vostra fortunata posizione sociale”.

(Foto: Santa Sede)

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