Da Verona un invito a rendere attuale la Dottrina Sociale della Chiesa

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 Si è conclusa domenica scorsa presso il Palazzo della Gran Guardia a Verona, la XIII edizione del Festival della Dottrina Sociale, intitolato quest’anno ‘#Soci@almenteliberi’: la povertà e l’esclusione sociale sono stati i temi del panel finale, aperto da Giovanni Mantovani, presidente della Fondazione della Comunità Veronese, durante il quale Walter Nanni, responsabile dell’Ufficio Studi di Caritas Italiana, ha spiegato come “la povertà in Italia sia un fenomeno strutturale e non più residuale come in passato. Una povertà che oggi ha sempre più i tratti dell”ereditarietà. Tra i paesi europei il nostro è quello in cui la trasmissione inter-generazionale delle condizioni di vita sfavorevoli risulta più intensa”.

L’attore e regista Paolo Valerio ha letto poesie che hanno trasmesso il grido degli ultimi e degli oppressi attraverso le parole di don Lorenzo Milani. Lamberto Frescobaldi, Presidente dell’azienda Marchesi Frescobaldi, ha raccontato la collaborazione con l’istituto penale di Gorgona, isola dell’arcipelago toscano, i cui carcerati lavorano alla produzione di vino, in uno straordinario percorso di inclusione sociale che ha consentito a ex detenuti di avere una seconda opportunità.

A fare un bilancio di chiusura, Alberto Stizzoli, Presidente della Fondazione ‘Segni Nuovi’: “Tre giorni di lavori e incontri straordinari. Il grande successo di questa edizione ci conferma il valore del Festival, che si basa sulla relazione, in un’epoca ‘social’, di impoverimento culturale e rapporti effimeri… I temi, affrontati con ospiti di altissimo livello hanno avvicinato i giovani con numeri che non ci aspettavamo”.

La mattinata si è chiusa con la messa celebrata dal card. Matteo Maria Zuppi, presidente della CEI: “La dottrina sociale non riguarda alcuni specialisti! Aiuta tutti a capire come dare da mangiare ad un affamato, a capire perché ha fame, a interrogarsi su cosa richiede farlo. La dottrina sociale è sempre dinamica, non è mai conclusa!

La Chiesa vive nel mondo. Non ne ha paura, ma ha paura di diventare come il mondo se perde l’amore di Gesù o lo fa diventare un tranquillante per il proprio benessere individuale. La Chiesa legge nel mondo (così com’è) i segni dei tempi, quelli che ci aiutano a capire il Vangelo e a comprendere cosa è chiesto oggi a noi che vogliamo metterlo in pratica”.

Quindi la Dottrina Sociale della Chiesa è fedele al Vangelo ed è a difesa della persona: “La dottrina sociale non è allora di qualcuno ma di tutti e per tutti. Non è di parte, tanto meno di un partito, ma prende posizione e sta sempre dalla parte della persona, dal suo inizio alla sua fine, chiunque essa sia, mistero di amore che ci è affidato.

Non ha altre preoccupazioni la Chiesa che essere fedele a Gesù e al suo prossimo e questa è la sua libertà. Fare qualunque cosa per il Signore libera dalla misera ricerca di ruolo, di successo, di potere per il potere, di usare le buone intenzioni per nasconderne altre, di scegliere per opportunismo o favoritismi, di ridurre il sociale ai propri ‘soci’ e non a tutte le persone. I poveri sono suoi e farlo a loro significa farlo a lui”.

Per questo le opere di misericordia sono il fulcro della Dottrina Sociale della Chiesa: “Le opere di misericordia sono la prima dottrina sociale indicata da Gesù per tutti, e dalla quale nessuno può ritenersi escluso per ruolo o condizione. E facciamolo non per dovere, ma per amore, con le mani, il cuore e la testa, uniti dall’amore per Gesù.

Un affamato ci aiuta a condividere e donarlo ci aiuta a trovare il pane che non finisce e a dare valore a quello della terra. Dare da bere un po’ di acqua ci farà sentire la sete di vita e trovare la sorgente nel nostro cuore che zampilla per la vita eterna.

Rivestire un nudo ci regala la nostra vera dignità e ci farà vestire l’abito più bello, quello splendente della carità. Visitare un malato ci fa capire la forza straordinaria dell’amore che guarisce e riflette quello di Gesù, medico buono che non lascia soli nessuno e che protegge dalla sofferenza e dall’abbandono.

Andare in carcere ci aiuterà a capire che nessuno è mai il suo peccato, anche terribile, perché la consapevolezza di questo non diventa condanna ma incontra la misericordia che apre al futuro e affranca dal passato. Accogliere uno straniero e renderlo di casa ci fa trovare il nostro prossimo e straniera diventa solo la divisione e l’indifferenza che fanno perdere l’umanità”.

Il festival veronese si era aperto con il dibattito dedicato all’intelligenza artificiale con la partecipazione del teologo p. Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana, che ha spiegato come “la tecnologia non sia di per sé sinonimo di progresso. Può esserlo solo se mediata dai portatori di interessi della società civile, condizione per diventare strumento di pace e di sviluppo per l’umanità”.

Mentre l’astronauta Paolo Nespoli ha sottolineato: “In questo momento sulla stazione spaziale internazionale ci siano tre astronauti russi, due americani, un danese e un giapponese. I tecnici impegnati nelle missioni lavorano benissimo insieme”.

In apertura il messaggio del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha esortato alle relazioni sociali: “In un tempo in cui i rapporti sociali rischiano di essere sempre più effimeri e il principio di responsabilità insito nell’esercizio della libertà rischia di essere negletto, mettere al centro le relazioni, reali e autentiche, è pratica meritevole per la coesione sociale della Repubblica”.

Mentre papa Francesco aveva posto attenzione al brano evangelico della ‘moltiplicazione dei pani e dei pesci’: “Spesso l’attenzione resta puntata sul fatto in sé: circa cinquemila uomini poterono sfamarsi di quanto Gesù aveva messo loro a disposizione. In realtà, l’evangelista è molto più interessato al modo in cui Gesù sfama la folla, che lo ha raggiunto sulle sponde del Lago di Tiberiade”.

Invece il primo gesto di Gesù è l’insegnamento: “Anzitutto Gesù insegna: il primo nutrimento risiede nella verità di cui Egli è narratore nella storia, di cui si è fatto parabola vivente. Inoltre, la gente fa di tutto per poterlo ascoltare, anche molti chilometri a piedi. Perché? Marco lascia intendere che la folla percepisce l’autorevolezza senza pari del Maestro di Nazaret.

Questa gli derivava senza dubbio da quello che dice: spesso si tratta di insegnamenti difficili da assimilare, perché molto esigenti. Ma, ancor più, la sua autorevolezza gli deriva dal suo coinvolgimento personale e dal suo essere volto e parola del Padre nei tornanti dell’esistenza umana: egli ha compassione della gente, ha gli stessi sentimenti delle persone che ha di fronte, non li guarda dall’alto in basso, fa suoi i loro problemi, si prende cura di loro”.

(Foto: Festival Dottrina Sociale)

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