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Papa Leone XIV invita alla rivoluzione dell’amore

“Il Vangelo di oggi inizia con una bellissima domanda posta a Gesù: ‘Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?’ Queste parole esprimono un desiderio costante nella nostra vita: il desiderio di salvezza, cioè di un’esistenza libera dal fallimento, dal male e dalla morte. Ciò che il cuore dell’uomo spera viene descritto come un bene da ‘ereditare’: non si tratta di conquistarlo con la forza, né di implorarlo come servi, né di ottenerlo per contratto. La vita eterna, che Dio solo può dare, viene trasmessa in eredità all’uomo come dal padre al figlio”: prima della recita dell’Angelus papa Leone XIV ha ricordato l’importanza della vita eterna.
Però per avere la vita eterna occorre guardare a Gesù: “Fratelli e sorelle, guardiamo a Lui! Gesù è la rivelazione del vero amore verso Dio e verso l’uomo: amore che si dona e non possiede, amore che perdona e non pretende, amore che soccorre e non abbandona mai. In Cristo, Dio si è fatto prossimo di ogni uomo e di ogni donna: perciò ciascuno di noi può e deve diventare prossimo di chi incontra lungo il cammino.
Sull’esempio di Gesù, Salvatore del mondo, anche noi siamo chiamati a portare consolazione e speranza, specialmente a chi è scoraggiato e deluso. Per vivere in eterno, dunque, non occorre ingannare la morte, ma servire la vita, cioè prendersi cura dell’esistenza degli altri nel tempo che condividiamo. Questa è la legge suprema, che viene prima di ogni regola sociale e le dà senso”.
Mentre nella parrocchia di San Tommaso da Villanova papa Leone XIV ha riflettuto sulla parabola del buon Samaritano: “Questo racconto continua a sfidarci anche oggi, interpella la nostra vita, scuote la tranquillità delle nostre coscienze addormentate o distratte, e ci provoca contro il rischio di una fede accomodante, sistemata nell’osservanza esteriore della legge ma incapace di sentire e di agire con le stesse viscere compassionevoli di Dio. La compassione, infatti, è al centro della parabola. E se è vero che nel racconto evangelico essa viene descritta dalle azioni del samaritano, la prima cosa che il brano sottolinea è lo sguardo”.
Poi il papa ha invitato a porre attenzione sullo sguardo dei protagonisti: “Cari fratelli e sorelle, lo sguardo fa la differenza, perché esprime ciò che abbiamo nel cuore: si può vedere e passare oltre oppure vedere e sentire compassione. C’è un vedere esteriore, distratto e frettoloso, un guardare facendo finta di non vedere, cioè senza lasciarci toccare e senza farci interpellare dalla situazione; e c’è un vedere, invece, con gli occhi del cuore, con uno sguardo più profondo, con un’empatia che ci fa entrare nella situazione dell’altro, ci fa partecipare interiormente, ci tocca, ci scuote, interroga la nostra vita e la nostra responsabilità”.
E’ stato un invito a guardare con gli occhi della misericordia: “Il primo sguardo di cui la parabola vuole parlarci è quello che Dio ha avuto verso di noi, perché anche noi impariamo ad avere i suoi stessi occhi, colmi di amore e compassione, gli uni verso gli altri. Il buon samaritano, infatti, è anzitutto immagine di Gesù, il Figlio eterno che il Padre ha inviato nella storia proprio perché ha guardato all’umanità senza passare oltre, con occhi, con cuore, con viscere di commozione e compassione.
Come il tale del Vangelo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, l’umanità discendeva negli abissi della morte e, ancora oggi, spesso deve fare i conti con l’oscurità del male, con la sofferenza, con la povertà, con l’assurdità della morte; Dio, però, ci ha guardati con compassione, ha voluto fare Lui stesso la nostra strada, è disceso in mezzo a noi e, in Gesù, buon samaritano, è venuto a guarire le nostre ferite, versando su di noi l’olio del suo amore e della sua misericordia”.
E sono ritornate le parole di papa Francesco: “Comprendiamo, allora, perché la parabola sfida anche ciascuno di noi: poiché Cristo è manifestazione di un Dio compassionevole, credere in Lui e seguirlo come suoi discepoli significa lasciarsi trasformare perché anche noi possiamo avere i suoi stessi sentimenti: un cuore che si commuove, uno sguardo che vede e non passa oltre, due mani che soccorrono e leniscono ferite, le spalle forti che si prendono il carico di chi è nel bisogno”.
Questa è la ‘rivoluzione dell’amore’ che Gesù chiede: “Fratelli e sorelle, oggi c’è bisogno di questa rivoluzione dell’amore. Oggi, quella strada che da Gerusalemme discende verso Gerico, una città che si trova sotto il livello del mare, è la strada percorsa da tutti coloro che sprofondano nel male, nella sofferenza e nella povertà; è la strada di tante persone appesantite dalle difficoltà o ferite dalle circostanze della vita; è la strada di tutti coloro che ‘scendono in basso’ fino a perdersi e toccare il fondo; ed è la strada di tanti popoli spogliati, derubati e saccheggiati, vittime di sistemi politici oppressivi, di un’economia che li costringe alla povertà, della guerra che uccide i loro sogni e le loro vite”.
L’esempio del buon samaritano è una parabola anche per noi: “Vediamo e passiamo oltre, oppure ci lasciamo trafiggere il cuore come il samaritano? A volte ci accontentiamo soltanto di fare il nostro dovere o consideriamo nostro prossimo solo chi è della nostra cerchia, chi la pensa come noi, chi ha la stessa nazionalità o religione; ma Gesù capovolge la prospettiva presentandoci un samaritano, uno straniero ed eretico che si fa prossimo di quell’uomo ferito. E ci chiede di fare lo stesso”.
Infine con una citazione di papa Benedetto XVI, papa Leone XIV ha invitato ad imitare il buon Samaritano: “Vedere senza passare oltre, fermare le nostre corse indaffarate, lasciare che la vita dell’altro, chiunque egli sia, con i suoi bisogni e le sofferenze, mi spezzino il cuore. Questo ci rende prossimi gli uni degli altri, genera una vera fraternità, fa cadere muri e steccati. E finalmente l’amore si fa spazio, diventando più forte del male e della morte”.
(Foto: Santa Sede)
Il cardinal Bustillo sul Sacro Cuore di Gesù: ‘Il cuore, radicato in Cristo, non può frammentarsi’

‘Ecco, quel Cuore, che ha amato gli uomini così tanto da non risparmiare nulla, fino alla defezione e alla consumazione, dimostrerà il suo amore’, con questa frase tratta dall’autobiografia di santa Margherita Maria Alacoque papa Leone XIV ha inviato un messaggio al card. Francisco Xaverio Bustillo, vescovo di Ajaccio e nominato dal papa inviato speciale alle celebrazioni conclusive del 350^ anniversario delle apparizioni del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, svoltosi venerdì 27 giugno nel santuario francese di Paray-le-Monial.
Nel messaggio il papa ha sottolineato le apparizioni a santa Margherita Alacoque come aveva scritto papa Francesco nell’enciclica ‘Dilexit nos’: “In queste parole del messaggio, ci viene trasmessa la chiave delle grandi apparizioni che i Monaci del Muro inviarono a Santa Margherita Maria Alacoque tra la fine di dicembre del 1673 e il giugno del 1675, dalle quali i fedeli cristiani di tutto il mondo sono attratti, affinché crescano nella conformità a Cristo, con l’aiuto di una fiducia assoluta, fino a raggiungere la piena e consumata unione con il Signore”.
Confermando il card. Bustillo come inviato speciale, come aveva fissato papa Francesco, il papa ha chiesto che siano esauditi “i desideri di tutti, a nome del Nostro Presidente, e con i Nostri sentimenti pastorali e la Nostra vicinanza al clero, ai religiosi e al popolo, nonché alle autorità pubbliche e a tutti i fedeli cristiani, nell’adempimento di una così grande missione. Come la situazione stessa richiede, presiederai la celebrazione eucaristica, nella quale evangelizzerai le imperscrutabili ricchezze del Cuore di Cristo, da cui sgorgano fiumi di acqua viva, per guarire le ferite che soffriamo, affinché insieme possiamo camminare verso un mondo giusto, solidale e fraterno”.
Al card. Francisco Xaverio Bustillo abbiamo domandato di spiegare l’importanza del Sacro Cuore di Gesù nella vita della Chiesa: “In un mondo spesso duro ed indifferente, questo Cuore ci ricorda che l’amore è la vera forza di trasformazione. Ci invita ad una Chiesa del cuore: accogliente, misericordiosa e fraterna. Il Sacro Cuore non è una semplice devozione; è una scuola di vita evangelica. Forma cuori capaci di amare come Cristo. In esso scopriamo la nostra vocazione: essere testimoni di un amore che consola, eleva e unisce. Prima l’amore per Cristo, poi la missione. Senza rispetto per questo movimento, diventiamo funzionari e l’essere viene soffocato dal fare.
Qual è il significato della celebrazione del 350° anniversario delle apparizioni del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque?
“Tra il 1673 e il 1675 a Paray-le-Monial, in Francia, Santa Margherita Maria Alacoque visse un’esperienza mistica e spirituale eccezionale: ricevette apparizioni di Cristo in cui Gesù le rivelò il suo Cuore come simbolo del suo infinito amore per l’umanità. Un santuario, nella tradizione biblica, è un luogo che Dio ha visitato, un luogo sacro, un luogo che testimonia l’azione di Dio. Celebrare questo anniversario significa ravvivare la memoria di un amore che non si stanca mai di bussare alla porta dei nostri cuori; ricordarlo è un’opportunità per stimolare e risvegliare la vita delle persone di oggi; questo giubileo è una grazia per oggi: Dio sta agendo nella tua vita in questo momento, Dio ti sta visitando”.
Perché santa Margherita Maria Alacoque era devota al Cuore di Gesù?
“Santa Margherita Maria non ‘scelse’ inizialmente questa devozione: fu Cristo ad apparirle ed a mostrarle il Suo Cuore, infiammato d’amore per l’umanità, ma ferito dall’ingratitudine umana. Le disse, in particolare: ‘Ecco questo Cuore che ha amato così tanto l’umanità da non aver risparmiato nulla, fino al punto di esaurirsi e consumarsi per mostrarle il suo amore, e per gratitudine, ricevo dalla maggior parte solo ingratitudine’.
Questo messaggio commosse profondamente Margherita Maria; ella rispose con abbandono, riparazione e adorazione. Il suo amore per il Cuore di Gesù non era sentimentale, ma radicale: desiderava consolare Cristo e far conoscere il Suo amore. La sua devozione fu una risposta d’amore totale, un sì silenzioso ma potente alla chiamata di Cristo. Ci insegna che la vera devozione trasforma il cuore e lo rende missionario”.
Per quale motivo papa Francesco ha scritto un’enciclica, ‘Dilexit nos’, dedicata al Sacro Cuore di Gesù?
“Papa Francesco ha pubblicato l’enciclica ‘Dilexit nos’ (‘Ci ha amati’) il 24 ottobre dello scorso anno per sottolineare l’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo. Questa lettera coincide con l’anniversario delle apparizioni di Paray-le-Monial. Nell’enciclica ‘Dilexit nos’, papa Francesco sottolinea che questa devozione non è semplicemente una pratica pia, ma un invito ad una relazione personale e trasformativa con Gesù, che ama ogni persona e l’umanità incondizionatamente”.
Per quale motivo il ‘cuore non è diviso’?
“Questo titolo esprime una profonda convinzione: il cuore, radicato in Cristo, non può frammentarsi. Rimane unito, anche in mezzo all’indifferenza, alle tensioni od alle diverse missioni. Con il signor Diat e mons. Peña Parra, abbiamo voluto testimoniare che l’unità non è uniformità, ma comunione. Il cuore non è diviso quando vive di preghiera, ascolto e carità: l’unità della Chiesa inizia nel cuore di ogni singolo individuo”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Leone XIV: il Corpo di Cristo libera dalla fame

“Cari fratelli e sorelle, è bello stare con Gesù. Il Vangelo appena proclamato lo attesta, raccontando che le folle rimanevano ore e ore con Lui, che parlava del Regno di Dio e guariva i malati. La compassione di Gesù per i sofferenti manifesta l’amorevole vicinanza di Dio, che viene nel mondo per salvarci. Quando Dio regna, l’uomo è liberato da ogni male. Tuttavia, anche per quanti ricevono da Gesù la buona novella, viene l’ora della prova. In quel luogo deserto, dove le folle hanno ascoltato il Maestro, scende la sera e non c’è niente da mangiare. La fame del popolo e il tramonto del sole sono segni di un limite che incombe sul mondo, su ogni creatura: il giorno finisce, così come la vita degli uomini. E’ in quest’ora, nel tempo dell’indigenza e delle ombre, che Gesù resta in mezzo a noi”.
Nella solennità del Corpus Domini papa Leone XIV presiedendo la celebrazione eucaristica sul sagrato della basilica di San Giovanni in Laterano ha invitato a vivere la misericordia di Gesù: “Proprio quando il sole declina e la fame cresce, mentre gli apostoli stessi chiedono di congedare la gente, Cristo ci sorprende con la sua misericordia. Egli ha compassione del popolo affamato e invita i suoi discepoli a prendersene cura: la fame non è un bisogno che non c’entra con l’annuncio del Regno e la testimonianza della salvezza”.
Ed è proprio Gesù che rende possibile soddisfare la fame che ha il ‘popolo’: “Al contrario, questa fame riguarda la nostra relazione con Dio. Cinque pani e due pesci, tuttavia, non sembrano proprio sufficienti a sfamare il popolo: all’apparenza ragionevoli, i calcoli dei discepoli palesano invece la loro poca fede. Perché, in realtà, con Gesù c’è tutto quello che serve per dare forza e senso alla nostra vita”.
Gesù afferma che la fame può essere sconfitta attraverso la condivisione: “All’appello della fame, infatti, Egli risponde con il segno della condivisione: alza gli occhi, recita la benedizione, spezza il pane e dà da mangiare a tutti i presenti. I gesti del Signore non inaugurano un complesso rituale magico, ma testimoniano con semplicità la riconoscenza verso il Padre, la preghiera filiale di Cristo e la comunione fraterna che lo Spirito Santo sostiene. Per moltiplicare pani e pesci, Gesù divide quelli che ci sono: proprio così bastano per tutti, anzi, sovrabbondano. Dopo aver mangiato, e mangiato a sazietà, ne portarono via dodici ceste”.
E questa logica di Dio è valida anche oggi, perché con la condivisione si accende la speranza di sconfiggere l’ingiustizia: “Questa è la logica che salva il popolo affamato: Gesù opera secondo lo stile di Dio, insegnando a fare altrettanto. Oggi, al posto delle folle ricordate nel Vangelo stanno interi popoli, umiliati dall’ingordigia altrui più ancora che dalla propria fame. Davanti alla miseria di molti, l’accumulo di pochi è segno di una superbia indifferente, che produce dolore e ingiustizia.
Anziché condividere, l’opulenza spreca i frutti della terra e del lavoro dell’uomo. Specialmente in questo anno giubilare, l’esempio del Signore resta per noi urgente criterio di azione e di servizio: condividere il pane, per moltiplicare la speranza, proclama l’avvento del Regno di Dio”.
Quello del papa è stato un appello a salvare i popoli dalla fame e dalla morte: “Salvando le folle dalla fame, infatti, Gesù annuncia che salverà tutti dalla morte. Questo è il mistero della fede, che celebriamo nel sacramento dell’Eucaristia. Come la fame è segno della nostra radicale indigenza di vita, così spezzare il pane è segno del dono divino di salvezza”.
Questa è la risposta di Dio alla domanda dell’umanità: “Carissimi, Cristo è la risposta di Dio alla fame dell’uomo, perché il suo corpo è il pane della vita eterna: prendete e mangiatene tutti! L’invito di Gesù abbraccia la nostra esperienza quotidiana: per vivere, abbiamo bisogno di nutrirci della vita, togliendola a piante e animali. Eppure, mangiare qualcosa di morto ci ricorda che anche noi, per quanto mangiamo, moriremo. Quando invece ci nutriamo di Gesù, pane vivo e vero, viviamo per Lui. Offrendo tutto sé stesso, il Crocifisso Risorto si consegna a noi, che scopriamo così d’essere fatti per nutrirci di Dio. La nostra natura affamata porta il segno di un’indigenza che viene saziata dalla grazia dell’Eucaristia”.
L’Eucarestia trasforma il pane in vita: “Come scrive sant’Agostino, davvero Cristo è… un pane che nutre e non viene meno; un pane che si può mangiare ma non si può esaurire. L’Eucaristia, infatti, è la presenza vera, reale e sostanziale del Salvatore, che trasforma il pane in sé, per trasformare noi in Lui. Vivo e vivificante, il Corpus Domini rende noi, cioè la Chiesa stessa, corpo del Signore”.
Quindi la processione è un cammino verso la salvezza: “La processione, che tra poco inizieremo, è segno di tale cammino. Insieme, pastori e gregge, ci nutriamo del Santissimo Sacramento, lo adoriamo e lo portiamo per le strade. Così facendo, lo porgiamo allo sguardo, alla coscienza, al cuore della gente.
Al cuore di chi crede, perché creda più fermamente; al cuore di chi non crede, perché si interroghi sulla fame che abbiamo nell’animo e sul pane che la può saziare. Ristorati dal cibo che Dio ci dona, portiamo Gesù al cuore di tutti, perché Gesù tutti coinvolge nell’opera della salvezza, invitando ciascuno a partecipare alla sua mensa. Beati gli invitati, che diventano testimoni di questo amore!”
Anche prima della recita dell’Angelus papa Leone XIV aveva sottolineato la misericordia di Dio: “Noi però, leggendo tutto questo nel giorno del Corpus Domini, riflettiamo su una realtà ancora più profonda. Sappiamo infatti che, alla radice di ogni condivisione umana ce n’è una più grande, che la precede: quella di Dio nei nostri confronti. Lui, il Creatore, che ci ha dato la vita, per salvarci ha chiesto a una sua creatura di essergli madre, di dargli un corpo fragile, limitato, mortale, come il nostro, affidandosi a lei come un bambino. Ha condiviso così fino in fondo la nostra povertà, scegliendo di servirsi, per riscattarci, proprio del poco che noi potevamo offrirgli”.
Attraverso l’eucarestia Dio salva il mondo: “Ebbene, nell’Eucaristia, tra noi e Dio, avviene proprio questo: il Signore accoglie, santifica e benedice il pane e il vino che noi mettiamo sull’Altare, assieme all’offerta della nostra vita, e li trasforma nel Corpo e nel Sangue di Cristo, Sacrificio d’amore per la salvezza del mondo. Dio si unisce a noi accogliendo con gioia ciò che portiamo e ci invita ad unirci a Lui ricevendo e condividendo con altrettanta gioia il suo dono d’amore”.
Mentre al termine della recita dell’Angelus il papa ha ribadito che la guerra non risolve i problemi: “Si susseguono notizie allarmanti dal Medio Oriente, soprattutto dall’Iran. In questo scenario drammatico, che include Israele e Palestina, rischia di cadere in oblio la sofferenza quotidiana della popolazione, specialmente a Gaza e negli altri territori, dove l’urgenza di un adeguato sostegno umanitario si fa sempre più pressante.
Oggi più che mai, l’umanità grida e invoca la pace. E’ un grido che chiede responsabilità e ragione, e non dev’essere soffocato dal fragore delle armi e da parole retoriche che incitano al conflitto. Ogni membro della comunità internazionale ha una responsabilità morale: fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile. Non esistono conflitti “lontani” quando la dignità umana è in gioco.
La guerra non risolve i problemi, anzi li amplifica e produce ferite profonde nella storia dei popoli, che impiegano generazioni per rimarginarsi. Nessuna vittoria armata potrà compensare il dolore delle madri, la paura dei bambini, il futuro rubato. Che la diplomazia faccia tacere le armi! Che le Nazioni traccino il loro futuro con opere di pace, non con la violenza e conflitti sanguinosi!”
(Foto: Santa Sede)
San Giuseppe l’uomo dei fatti

“L’uomo dei fatti” così viene descritto San Giuseppe nel titolo di questo nuovo libro di Pamela Salvatori, specializzata in teologia dogmatica e autrice di svariati articoli e recensioni. Giuseppe è l’uomo dei fatti che con il suo silenzio ci ricorda una verità decisiva per un cammino di santità: «il rapporto con il Signore non è fatto tanto di parole quanto di ascolto e di scelte che dicono una risposta totale, radicale, alla sua volontà». p.12.
Il testo si presenta come una “biografia teologica” della fede di san Giuseppe: i sette capitoli che la descrivono, impreziositi da abbondanti citazioni dei padri e del magistero, conducono il lettore a gustare la bellezza del «santo più grande dopo Maria, il più potente contro i demoni, Custode della Chiesa perché Custode amorevole del Redentore e di sua Madre» p.11.
Il linguaggio utilizzato è semplice, all’autrice va il merito di essere riuscita a presentare un percorso teologico della vita di san Giuseppe senza precludere a nessuno la lettura, itinerario che suscita il desiderio di approfondire la relazione con colui che Dio ha scelto come custode della Madre e del Figlio. Questo, infatti, era l’intento dichiarato: «La speranza è che queste pagine, dedicate alla figura e missione di san Giuseppe, possano aiutarci ad accoglierne l’eredità e, di conseguenza, ad invocarlo con maggiore fiducia e consapevolezza». p.96.
La presenza di Maria santissima accompagna per mano il lettore lungo tutto il percorso: non poteva essere altrimenti, infatti, se, come diceva Paolo VI, per essere cristiani dobbiamo essere mariani, allo stesso modo, aggiunge l’autrice, «se vogliamo essere mariani dobbiamo essere giuseppini» p 12.
Senza togliere al lettore il gusto di scoprire le ricchezze spirituali che la vita di san Giuseppe apporta alla sequela di Cristo, segnaliamo un’impostazione teologica per nulla scontata, capace di riconoscere nel dato biologico della differenza sessuale un’indicazione squisitamente teologica. Paternità e maternità sono due dimensioni del maschile e del femminile, l’una viene generata e illuminata dall’altra e mai avviene senza l’altra. La paternità di Giuseppe la si comprende solo di fronte alla maternità di Maria.
Questo è vero per ogni paternità: «la sua dimensione pienamente paterna l’uomo può raggiungerla, anche sotto il profilo spirituale, ponendosi in relazione con la maternità della donna, in primis coltivando un rapporto autentico e profondo con la Vergine Maria, per imparare da lei a relazionarsi adeguatamente con ogni altra donna» p. 79. Il testo non lo approfondisce, ma è pur vero anche il reciproco: la maternità spirituale la donna la raggiunge in relazione alla paternità dell’uomo, per questo la persona di Giuseppe è per ogni donna quel rapporto autentico nel quale imparare a relazionarsi con ogni altro uomo.
Un’ultima anticipazione. L’appellativo “terrore dei demoni”, così antico da essere entrato nelle litanie dedicate al custode dei tesori più preziosi che esistano, è approfondita dall’autrice, consegnando al lettore indicazioni preziose a riguardo del combattimento contro le potenze del Male, un classico della spiritualità cristiana che «resta qualcosa di essenziale per comprendere l’importanza delle nostre scelte» p. 85. Il cristiano è il tempio dello Spirito Santo e porta in sé il sigillo della Santissima Trinità, con la presenza di Maria che è sempre là dov’è suo Figlio.
Tanto più queste intime e sante presenze saranno accolte, credute e pregate, tanto più gli attacchi di Satana saranno violenti. Ma l’infinita Misericordia del Padre ha posto san Giuseppe a custodia di Gesù e Maria e quindi di ogni anima a loro consacrata. Ecco perché «Tra i santi non vi è nessuno più potente contro il demonio» p.89.
Quattro testi di altri autori chiudono il volume in appendice, offrendo così ulteriori possibilità di approfondimento anche bibliografico. Tra questi non poteva mancare il brano tratto dal “Libro della mia vita” di Teresa d’Avila, migliore invito alla lettura di questo piccolo saggio sul più potente tra gli intercessori: «Mentre ad altri santi sembra che il Signore abbia concesso di soccorrerci in una singolare necessità, ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe ci soccorre in tutte. Pertanto il Signore vuol farci capire che allo stesso modo in cui fu a lui soggetto in terra – dove san Giuseppe, che gli faceva le veci di padre poteva dargli ordini – anche in cielo fa quanto gli chiede». p.102
Link al booktrailer: https://youtu.be/TyteRst6mHo
Link all’estratto:
https://www.academia.edu/115601560/San_Giuseppe_luomo_dei_fatti_estratto_
Link per l’acquisto: https://www.amazon.it/San-Giuseppe-luomo-dei-fatti/dp/B0CWPXMST7
Vacanze gratuite per i non abbienti: torna l’Ospitalità Misericordiosa per l’estate

Sono oltre 350 le notti messe gratuitamente a disposizione delle famiglie meno abbienti questa estate dai gestori delle strutture ricettive italiane di matrice religiosa e non-profit, suddivise tra mare, montagna e natura. Lo si deve all’iniziativa ‘Ospitalità Misericordiosa’ attivata anche quest’anno dall’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, che permetterà di offrire una vacanza (pasti compresi) a quei nuclei familiari che non possono permettersela e che già durante tutto l’anno stentano a trovare serenità nella vita quotidiana.
Saranno parroci, diocesi ed enti religiosi ad inoltrare le richieste per conto dei loro assistiti, seguendo le indicazioni del Disciplinare e scegliendo le località inserite nell’apposita pagina https://ospitalitareligiosa.it/offerte-speciali/ospitalita-misericordiosa-anno-2025. L’iniziativa (col patrocinio dell’Ufficio nazionale CEI per la Pastorale del Turismo, Sport e Tempo libero) giunge ormai alla sua decima edizione, essendo nata nel corso dell’Anno giubilare straordinario della Misericordia nel 2016, a seguito degli inviti di papa Francesco per una ‘carità creativa’.
“Non dobbiamo dimenticare che si tratta di strutture ricettive che già normalmente accolgono e agevolano persone svantaggiate e quello che abbiamo chiesto è uno sforzo in più” è il commento del presidente dell’Associazione, Fabio Rocchi: “D’altronde il clima di accoglienza familiare e amorevole è una caratteristica costante di queste ospitalità che fanno della loro missione un’esperienza completamente diversa da quello che ci potremmo aspettare in una struttura commerciale”.
La Vigna di Rachele festeggia 15 anni vicino alla sofferenza dei genitori

L’apostolato internazionale ‘La Vigna di Rachele’compie 15 anni di attività in Italia offrendo a Bologna, luogo della sua nascita, un ritiro spirituale rivolto a chi porta ancora la dolorosa esperienza dell’interruzione di gravidanza. Donne, uomini e coppie sono caldamente invitati a ritrovare la Speranza e a fare esperienza della Misericordia attraverso un percorso progettato per l’elaborazione del lutto che conduce alla guarigione interiore attraverso un incontro in questo fine settimana.
Come avviene da anni, anche quest’appuntamento verrà guidato da un’equipe che comprende la presenza continua sia di un sacerdote sia di collaboratrici che hanno fatto il proprio percorso per risanare le stesse ferite. In questa piccola comunità di fiducia si vive un intenso percorso per elaborare il lutto collegato alla perdita di uno o più figli con l’aborto volontario o terapeutico. Chi ha partecipato in passato racconta l’aver vissuto non solo un’esperienza di riconciliazione, ma della Chiesa in ascolto: “E’ stata un’esperienza unica e profonda. La Chiesa non ti volta le spalle. L’ho sempre considerata un po’ ‘bacchettona’, invece mi sbagliavo. C’è molta fratellanza e vicinanza tra tutti i partecipanti”.
“A me ha colpito molto l’attenzione alla singola persona, la delicatezza del linguaggio, la cura dell’ambiente e dei dettagli. Tutto questo mette al centro la singola persona che, sentendosi amata, si apre all’Amore”. “Ho potuto vedere la fragilità di mio marito e tutto il suo dolore. Lui mi ha chiesto scusa. Non riesco più a condannarlo”.
La fondatrice della ‘Vigna di Rachele’ in Italia, Monika Rodman Montanaro, collabora sin dal 1997 con l’opera ormai presente in più di 50 Paesi del mondo: “Il weekend di ritiro offre l’opportunità di allontanarsi per 3 giorni dalle pressioni quotidiane per rivedere un capitolo della propria vita forse mai esaminato, una vicenda spesso messa nel dimenticatoio che però torna a galla e può manifestare conseguenze di lunga durata. Spesso le persone cercano un aiuto solo anni o persino decenni dopo, avendo rimosso tutto oppure sofferto in silenzio. Nella Vigna si trova un ambiente accogliente e compassionevole, e un percorso strutturato che infonde il coraggio e dà la forza per rivedere tutto attraverso gli occhi misericordiosi del Buon Gesù”.
Il programma è molto efficace per coloro che hanno difficoltà a perdonare sé stessi ed altri. Questo non solo grazie agli esercizi proposti, ma perché mette Cristo al centro del percorso. Il ritiro include la condivisione delle storie personali, meditazioni ed esercizi con le Scritture, la celebrazione dei Sacramenti ed una Funzione Commemorativa. ‘La Vigna di Rachele’ esprime concretamente la pastorale della misericordia che accompagna la proclamazione del Vangelo della Vita. Anche il nuovo sussidio sulla pastorale della vita umana, pubblicato a Marzo 2025 dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, considera un elemento importante l’accompagnamento e la cura di chi ha vissuto l’esperienza dell’aborto.
Sono stati il card. Elio Sgreccia e il card. Carlo Caffarra ad aver compreso, nel 2010, l’importanza dell’associazione. Quest’ultimo ha offerto, ben presto, la collaborazione del suo Ufficio della pastorale familiare. Anche l’attuale vescovo di Bologna, Sua Eminenza Cardinale Matteo Maria Zuppi, ha incoraggiato la continuazione dell’opera.
La ‘Vigna di Rachele’ opera in piena comunione con la Chiesa universalee rappresenta una risposta autenticamente cristiana alla piaga dell’aborto, prendendo ispirazione da San Giovanni Paolo II, che già 30 anni fa, nella sua enciclica ‘Evangelium vitae’, ha implorato coloro che hanno abortito a non abbandonare la speranza, ad interpretare quest’esperienza nella sua verità, e ad aprirsi “con umiltà e fiducia al pentimento”.
Papa Francesco ha ribadito lo stesso incoraggiamento con la decisione di espandere a tutto il clero del mondo la facoltà di togliere ogni eventuale scomunica in cui la singola persona può essere incorsa con il peccato dell’aborto.
Papa Leone XIV invita ad ascoltare la Parola di Dio

“E’ sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella Striscia di Gaza. Rinnovo il mio appello accorato a consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone malate”: al termine della sua prima udienza generale papa Leone XIV ha lanciato un appello per la situazione che sta vivendo la popolazione di Gaza, territorio divenuto ormai da un anno e mezzo sinonimo di morte, violenza, distruzione, fame, enclave attualmente assediata e devastata dai ‘Carri di Gedeone’, la massiccia operazione militare israeliana in corso.
Mentre nella prima udienza generale in piazza san Pietro, papa Leone XIV ha proseguito il ciclo giubilare iniziato da papa Francesco su ‘Gesù Cristo Nostra Speranza’, sviluppando la catechesi sulla parabola del seminatore: “Continuiamo oggi a meditare sulle parabole di Gesù, che ci aiutano a ritrovare la speranza, perché ci mostrano come Dio opera nella storia. Oggi vorrei fermarmi su una parabola un po’ particolare, perché si tratta di una specie di introduzione a tutte le parabole. Mi riferisco a quella del seminatore. In un certo senso, in questo racconto possiamo riconoscere il modo di comunicare di Gesù, che ha tanto da insegnarci per l’annuncio del Vangelo oggi”.
Quindi ha spiegato che la parabola è una ‘piccola’ storia’ presa dalla realtà: “Ogni parabola racconta una storia che è presa dalla vita di tutti i giorni, eppure vuole dirci qualcosa in più, ci rimanda a un significato più profondo. La parabola fa nascere in noi delle domande, ci invita a non fermarci all’apparenza. Davanti alla storia che viene raccontata o all’immagine che mi viene consegnata, posso chiedermi: dove sono io in questa storia? Cosa dice questa immagine alla mia vita? Il termine parabola viene infatti dal verbo greco paraballein, che vuol dire gettare innanzi. La parabola mi getta davanti una parola che mi provoca e mi spinge a interrogarmi”.
Infatti questa parabola introduce alla dinamica dell’opera della Parola di Dio nella vita personale: “La parabola del seminatore parla proprio della dinamica della parola di Dio e degli effetti che essa produce. Infatti, ogni parola del Vangelo è come un seme che viene gettato nel terreno della nostra vita. Molte volte Gesù utilizza l’immagine del seme, con diversi significati. Nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo, la parabola del seminatore introduce una serie di altre piccole parabole, alcune delle quali parlano proprio di ciò che avviene nel terreno: il grano e la zizzania, il granellino di senape, il tesoro nascosto nel campo. Cos’è dunque questo terreno? E’ il nostro cuore, ma è anche il mondo, la comunità, la Chiesa. La parola di Dio, infatti, feconda e provoca ogni realtà”.
Papa Leone XIV ha, perciò, invitato ad ascoltare la Parola di Dio: “All’inizio, vediamo Gesù che esce di casa e intorno a Lui si raduna una grande folla. La sua parola affascina e incuriosisce. Tra la gente ci sono ovviamente tante situazioni differenti. La parola di Gesù è per tutti, ma opera in ciascuno in modo diverso. Questo contesto ci permette di capire meglio il senso della parabola. Un seminatore, alquanto originale, esce a seminare, ma non si preoccupa di dove cade il seme. Getta i semi anche là dove è improbabile che portino frutto: sulla strada, tra i sassi, in mezzo ai rovi. Questo atteggiamento stupisce chi ascolta e induce a domandarsi: come mai?”
Quindi la Parola che Dio offre a tutti senza nessun calcolo di ‘guadagno’: “Noi siamo abituati a calcolare le cose (e a volte è necessario), ma questo non vale nell’amore! Il modo in cui questo seminatore ‘sprecone’ getta il seme è un’immagine del modo in cui Dio ci ama. E’ vero infatti che il destino del seme dipende anche dal modo in cui il terreno lo accoglie e dalla situazione in cui si trova, ma anzitutto in questa parabola Gesù ci dice che Dio getta il seme della sua parola su ogni tipo di terreno, cioè in qualunque nostra situazione: a volte siamo più superficiali e distratti, a volte ci lasciamo prendere dall’entusiasmo, a volte siamo oppressi dalle preoccupazioni della vita, ma ci sono anche i momenti in cui siamo disponibili e accoglienti”.
In questo modo Dio mostra la propria misericordia: “Dio è fiducioso e spera che prima o poi il seme fiorisca. Egli ci ama così: non aspetta che diventiamo il terreno migliore, ci dona sempre generosamente la sua parola. Forse proprio vedendo che Lui si fida di noi, nascerà in noi il desiderio di essere un terreno migliore. Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio”.
Dio ha offerto Gesù come Parola, che muore per donare vita: “Raccontando il modo in cui il seme porta frutto, Gesù sta parlando anche della sua vita. Gesù è la Parola, è il Seme. E il seme, per portare frutto, deve morire. Allora, questa parabola ci dice che Dio è pronto a ‘sprecare’ per noi e che Gesù è disposto a morire per trasformare la nostra vita”.
Papa Leone XIV, quindi, ha offerto l’immagine di un dipinto del pittore fiammingo Van Gogh, che offre speranza: “Ho in mente quel bellissimo dipinto di Van Gogh: ‘Il seminatore al tramonto’. Quell’immagine del seminatore sotto il sole cocente mi parla anche della fatica del contadino. E mi colpisce che, alle spalle del seminatore, Van Gogh ha rappresentato il grano già maturo. Mi sembra proprio un’immagine di speranza: in un modo o nell’altro, il seme ha portato frutto.
Non sappiamo bene come, ma è così. Al centro della scena, però, non c’è il seminatore, che sta di lato, ma tutto il dipinto è dominato dall’immagine del sole, forse per ricordarci che è Dio a muovere la storia, anche se talvolta ci sembra assente o distante. E’ il sole che scalda le zolle della terra e fa maturare il seme”.
Ed ha concluso la prima udienza con l’invito a meditare i frutti che la Parola di Dio offre a ciascuno: “Cari fratelli e sorelle, in quale situazione della vita oggi la parola di Dio ci sta raggiungendo? Chiediamo al Signore la grazia di accogliere sempre questo seme che è la sua parola. E se ci accorgessimo di non essere un terreno fecondo, non scoraggiamoci, ma chiediamo a Lui di lavorarci ancora per farci diventare un terreno migliore”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Leone XIV invita a coltivare la carità

“Il brano biblico che abbiamo ascoltato è l’inizio di una bellissima lettera indirizzata da San Paolo ai cristiani di Roma, il cui messaggio ruota attorno a tre grandi temi: la grazia, la fede e la giustizia. Mentre affidiamo all’intercessione dell’Apostolo delle genti l’inizio di questo nuovo Pontificato, riflettiamo insieme sul suo messaggio”: nel pomeriggio papa Leone XIV si è recato nella basilica dedicata all’apostolo Paolo, fermandosi in preghiera al sepolcro.
Dopo i riti introduttivi della celebrazione e la proclamazione di un passaggio dalla lettera di san Paolo ai Romani, papa Leone XIV ha richiamato i temi fondamentali del messaggio paolino, incentrato su grazia, fede e giustizia con particolare sottolineatura alla grazia della chiamata: “San Paolo dice prima di tutto di aver avuto da Dio la grazia della chiamata. Riconosce, cioè, che il suo incontro con Cristo e il suo ministero sono legati all’amore con cui Dio lo ha preceduto, chiamandolo ad un’esistenza nuova mentre era ancora lontano dal Vangelo e perseguitava la Chiesa”.
Però san Paolo richiama sant’Agostino: “Sant’Agostino (anche lui un convertito) parla della stessa esperienza dicendo: ‘Cosa potremo noi scegliere, se prima non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati prima amati, non possiamo nemmeno amare’. Alla radice di ogni vocazione c’è Dio: la sua misericordia, la sua bontà, generosa come quella di una madre, che naturalmente, attraverso il suo stesso corpo, nutre il suo bambino quando è ancora incapace di alimentarsi da solo”.
In questo consiste ‘l’obbedienza della fede’: “Paolo, però, nello stesso brano, parla anche di ‘obbedienza della fede’, e pure qui condivide ciò che ha vissuto. Il Signore, infatti, apparendogli sulla via di Damasco, non lo ha privato della sua libertà, ma gli ha lasciato la possibilità di una scelta, di una obbedienza frutto di fatica, di lotte interiori ed esteriori, che lui ha accettato di affrontare. La salvezza non viene per incanto, ma per un mistero di grazia e di fede, di amore preveniente di Dio, e di adesione fiduciosa e libera da parte dell’uomo”.
Quindi la chiamata di san Paolo riguarda ogni credente, come aveva sottolineato lo scorso anno papa Francesco: “Mentre allora ringraziamo il Signore per la chiamata con cui ha trasformato la vita di Saulo, gli chiediamo di saper anche noi rispondere ai suoi inviti allo stesso modo, facendoci testimoni dell’amore ‘riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’. Gli chiediamo di saper coltivare e diffondere la sua carità, facendoci prossimi gli uni per gli altri, nella stessa gara di affetti che, dall’incontro con Cristo, ha spinto l’antico persecutore a farsi ‘tutto a tutti’, fino al martirio. Così, per noi come per lui, nella debolezza della carne si rivelerà la potenza della fede in Dio che giustifica”.
Infine ha ricordato san Benedetto da Norcia e papa Benedetto XVI, che hanno sempre ripetuto che Dio ci ama: “Questa Basilica da secoli è affidata alla cura di una Comunità benedettina. Come non ricordare, allora, parlando dell’amore come fonte e motore dell’annuncio del Vangelo, gli insistenti appelli di san Benedetto, nella sua Regola, alla carità fraterna nel cenobio e all’ospitalità verso tutti?
Ma vorrei concludere richiamando le parole che, più di mille anni dopo, un altro Benedetto, Papa Benedetto XVI, rivolgeva ai giovani: ‘Cari amici, diceva, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto… All’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio’… E’ qui la radice, semplice e unica, di ogni missione, anche della mia, come successore di Pietro ed erede dello zelo apostolico di Paolo. Mi dia il Signore la grazia di rispondere fedelmente alla sua chiamata”.
In mattinata il papa aveva inviato un videomessaggio alla Pontifica Università Cattolica di Rio de Janeiro per ricordare il decimo anniversario dell’enciclica ‘Laudato sì’: “Cari fratelli e sorelle, voglio inviare questo saluto, un grande saluto, alla Rete delle Università per la Cura della Casa Comune. So che siete riuniti alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro e che avete questa bella occasione del 10° anniversario del documento del Santo Padre Francesco, l’enciclica ‘Laudato sì’.
So che state per fare un lavoro sinodale di discernimento in preparazione alla COP30. Rifletterete insieme su una possibile remissione del debito pubblico e del debito ecologico, una proposta che Papa Francesco aveva suggerito nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. E in questo anno giubilare, un anno di speranza, questo messaggio è così importante”.
E’ un incoraggiamento a costruire ponti:”Vorrei incoraggiare voi, rettori universitari, in questa missione che avete assunto: essere costruttori di ponti di integrazione tra le Americhe e la Penisola Iberica, lavorando per la giustizia ecologica, sociale e ambientale. Vi ringrazio tutti per i vostri sforzi e il vostro lavoro. Vi incoraggio a continuare a costruire ponti”.
(Foto: Santa Sede)
Il convegno mariano all’Istituto di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”

«Nell’ambito dei festeggiamenti per i 175 anni dal prodigio del quadro della Madonna della Misericordia – afferma don Giuseppe Pandolfo, rettore del Santuario della Madonna della Misericordia – noi Missionari del Preziosissimo Sangue, unitamente alla Congregazione delle Sorelle dell’Immacolata, istituzione riminese che celebra i 100 anni dalla sua fondazione, e in collaborazione con l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Alberto Marvelli, proponiamo un convegno mariano dal titolo Maria e Rimini: un legame indissolubile. Questo ciclo di incontri ci permetterà di riflettere non solo su Maria, nel mese a Lei dedicato, ma anche di approfondire come la figura della Vergine si intreccia con la storia della città riminese».
Sono previsti tre incontri di approfondimento dal 20 al 22 maggio alle ore 20:45. Martedì 20 maggio, presso la Sala Manzoni della diocesi di Rimini, la prof.ssa Rosanna Virgili parlerà della maternità di Maria come luogo evolutivo dell’umano. Mercoledì 21 maggio, presso il Santuario della Madonna della Misericordia, sarà la volta di don Gabriele Gozzi, vicedirettore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Alberto Marvelli. Infine, sempre nello stesso Santuario, giovedì 22 maggio si terrà lo spettacolo musicale con i Divivaluce, band specializzata in spettacoli musicali a tema sacro.
«Il Magnificat è l’inno che dà voce all’umanità: l’intervento misericordioso di Dio riplasma il tempo rigenerando la storia – spiega don Marco Casadei, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Alberto Marvelli. Attraverso Maria siamo ricondotti dalla morte alla vita. La nostra città ha legato luoghi e tempi alla devozione mariana intrecciandola alla sua storia nello scrigno dell’arte sacra del nostro territorio. Questo convegno offre l’occasione per irrorare questa trama preziosa di fede e sapienza».
«Un ringraziamento va alla Commissione giubilare, perché questo evento è stato inserito all’interno degli appuntamenti del Giubileo vissuto nella nostra diocesi – concludono don Giuseppe Pandolfo e don Marco Casadei. Un grazie speciale va al vescovo di Rimini, mons. Nicolò Anselmi, al Vicario generale e a tutti coloro che hanno sostenuto questo progetto. Ci auguriamo che questo appuntamento possa portare frutto nella vita della diocesi e della città».
Padre Pietro Messa racconta le ‘profezie’ di san Francesco d’Assisi

Nell’attesa dell’elezione del nuovo pontefice è stato fisiologico il riapparire e circolare di una serie di predizioni e ipotetiche. Così quando papa Benedetto XVI terminò il suo pontificato venerdì 28 febbraio 2013 e vi era la sede vacante fino all’elezione di papa Francesco il 13 marzo successivo fu scontato il richiamo a Celestino V (1215-1296) che pochi mesi dopo essere stato eletto diede le dimissioni; meno immediato il rimando al beato Raimondo Lullo (1232-1316) che narra di un pontefice che si ritira a vita eremitica nel Romanzo di ‘Evast e Blaqueran’ (in traduzione italiana a cura di Simone Sari).
Meno conosciute sono alcune profezie attribuite a san Francesco d’Assisi inerenti i successori di san Pietro apostolo: vaticini diffusi soprattutto nel periodo dello scisma d’Occidente (1378-1417), ossia quando il papa fece ritorno a Roma e alcuni cardinali ad Avignone elessero un altro pontefice: “Fu un periodo molto tribolato nella storia della Chiesa tanto che l’esigenza di una riforma ecclesiale era desiderata e proclamata da tutti.
In questi anni turbolenti le profezie attribuite al Santo d’Assisi furono l’annuncio di una speranza, ossia che quel tempo di confusione e corruzione non sarebbe durato per sempre ma avrebbe avuto un termine”, ha sottolineato padre Pietro Messa, docente di Storia del francescanesimo presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, nell’introduzione al libro ‘Francesco profeta. La costruzione di un carisma’ del prof. André Vauchez.
San Francesco ha mai parlato o si è mai rivolto espressamente, in scritti che lo riguardano, ai Papi?
“Nel Testamento composto nel 1226 pochi mesi prima di morire Francesco afferma che dopo la rivelazione avuta di vivere al modo del Vangelo fece scrivere tale forma di vita ‘con poche parole e con semplicità’ e il papa gliela confermò. Nella Regola poi dice che ‘promette obbedienza e riverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti ed alla Chiesa romana’. Tra i suoi scritti vi è uno ai reggitori dei popoli ma nessuno rivolto ai papi e questo perché volle sempre avere l’atteggiamento evangelico di minorità ed ecclesiale di obbedienza non solo verso il papa o i vescovi ma anche nei confronti dei semplici sacerdoti”.
In cosa consistono ‘Le profezie papali di san Francesco d’Assisi’?
“La vita santa di Francesco d’Assisi è stata scritta da vari biografi o più precisamente agiografi i quali hanno evidenziato anche il carisma profetico dell’Assisiate. Con il passare degli anni e dei secoli gli furono attribuite varie profezie nel significato di previsioni tra cui alcune inerenti anche elezioni di pontefici. Tutto ciò che ai nostri occhi appare strano ed esoterico in realtà era un modo per affermare che nonostante le grandi problematiche ecclesiali (soprattutto durante lo Scisma d’Occidente in cui vi era un papa a Roma e uno in Francia a Avignone) la storia non era in balia del caso ma vi fosse la presenza provvidente del Signore che alla fine avrà la meglio. Era un modo per affermare la speranza”.
Cosa significava per san Francesco il termine ‘profezia’?
“In quel tempo la profezia era innanzitutto la capacità di vedere in profondità la storia ma anche la creazione e soprattutto la Bibbia. In quest’ultimo caso profeta è nientemeno l’esegeta che studia i diversi significati della Scrittura e poi li annuncia mediante la predicazione; si tratta di colui che come Balaam, figlio di Beor è un ‘uomo dall’occhio penetrante’ (Numeri 24,15)”.
Come reagì l’Ordine francescano davanti a tali presunte profezie?
“Quando tali enunciati potevano essere collocati in una teologia della storia confacente all’Ordine minoritico erano accolti e persino ostentati mentre nel caso risultassero dirompenti oppure persino pericolosi venivano banditi”.
Nel libro c’è anche un capitolo dedicato a Cristoforo Colombo: quale è stato il rapporto tra Cristoforo Colombo e il santo di Assisi?
“Francesco d’Assisi dopo aver cambiato vita facendo misericordia con i lebbrosi si incamminò assieme ai primi fratelli esortando ad abbandonare i vizi e vivere secondo le virtù del Vangelo. Tale predicazione si estese anche tra i non cristiani e così i francescani dopo alcuni decenni si trovarono nel cammino verso la terra di Cina. Quella parte del mondo frequentata da mercanti era vista anche come un luogo teologicamente importante per la predicazione del Vangelo e nel tentativo di raggiungerla navigando verso Ovest ecco Cristoforo Colombo si ritrovò in quella terra che sarà denominata America”.
Inoltre non è stato tralasciato l’esame del pensiero di Gioacchino da Fiore: quanto influì tale pensiero nell’ordine francescano?
“Soprattutto a motivo delle stimmate Francesco d’Assisi era presentato come un santo nuovo che diede inizio a un ordine nuovo. Con tale consapevolezza quando a metà del secolo XIII entrarono in contatto con gli scritti di Gioacchino da Fiore i frati Minori accentuarono una lettura escatologica della loro storia”.
Quindi i frati Minori furono gli osservanti della profezie di san Francesco?
“Certamente erano attenti a tali profezie e da esse traevano incentivo per le loro scelte essendo una carica carismatica considerevole. L’utilizzo che ne fecero non fu univoco: infatti alcuni le utilizzò per evidenziare il proprio ruolo anche ecclesiale sfociando a volte nella prepotenza. Altri invece per radicarsi ancora di più in uno stile evangelico in cui l’uso povero dei beni era considerato un aspetto importante. Questo mostra tutta l’ambivalenza delle profezie che facendo spesso uso del linguaggio simbolico si prestano non a un’interpretazione univoca ma equivoca ossia a più significati a volte persino contraddittori”.
Il Cantico delle creature può essere visto come una ‘profezia’?
“La profezia nella Bibbia è la parola detta da un uomo che parla a nome del Signore. In tal senso si può affermare che il Cantico composto ottocento anni fa da frate Francesco è veramente una visione penetrante della realtà. Infatti l’Assisiate lo compose dopo che l’Altissimo gli dette di riconoscere che l’ultima parola non erano le grandi tribolazioni e sofferenze che stava vivendo ma il paradiso il quale è nient’altro che essere con il Signore. Proprio come Gesù disse a colui che gli era accanto nelle crocifissione: Oggi sarai con me, in Paradiso”.
(Tratto da Aci Stampa)