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Da Trieste un invito a stare nelle città secondo la lettera ‘A  Diogneto’

In attesa della visita di papa Francesco a Trieste per la chiusura della 50^ Settimana Sociale,  oggi i delegati hanno riflettuto sul testo di ‘A Diogneto’, grazie all’intervento della prof.ssa  Arianna Rotondo, docente di Storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Catania, che ha sottolineato che è un documento che “rappresenta la novità rivoluzionaria della fede in Cristo sul piano etico, spirituale e sociale… Appare una nuova mentalità, una verità paradossale. La fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti”.

Infatti il testo, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere… Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.

E papa Francesco, ha richiamato la docente, ha rivolto molte volte l’invito ad una partecipazione civica dei cristiani: “Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo. Quindi il posto dei cristiani nel mondo è in prima linea, perché assegnato direttamente da Dio… La cittadinanza celeste non contempla la diserzione da quella terrestre, anzi richiede di essere fecondi proprio nelle vicende del mondo. L’adesione al cristianesimo impegna tutto l’essere umano, tutta la vita, in grado di trovare il terreno per la propria testimonianza secondo il Vangelo”.

Per questo è necessaria una presenza nuova dei cristiani nelle città: “Tutto questo comporta oggi nuove forme di presenza cristiana, linguaggi adeguati, una coscienza consapevole della propria fede per poter essere coscienza nel mondo”.

Ed incontrando i giornalisti per un consuntivo della settimana, il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi ha raccontato l’attesa della città per il papa in un luogo dove 32 anni fa venne accolto san Giovanni Paolo II: “C’è gioia perché, dopo 32 anni da quando era venuto Giovanni Paolo II, ritorna a Trieste un Pontefice a celebrare nello stesso luogo, piazza Unità d’Italia; una piazza che è un simbolo, macchiata della storia, ma che invece vuole diventare una piazza di fraternità, che abbraccia tutti. E che domani sarà idealmente aperta a tutti. In realtà, purtroppo, alcune persone hanno fatto la richiesta ma essendo già tutta piena non potranno entrare perché non ci sono più posti”.  

Mentre il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ringraziato i giornalisti per la narrazione di queste giornate: “Far conoscere tanta vita vera, tanta gente vera, tante esperienze concrete in cui la dottrina sociale della Chiesa è esperienza di tanti ragazzi, uomini e donne, tante donne come abbiamo visto..Vera partecipazione, il cui tema è stata la persona: sono convinto che produrrà anche tanta consapevolezza e tanta vita… In un momento di tanta disaffezione, di disillusione, non abbiamo fatto la predica: abbiamo raccolto e fatto parlare tutte le nostre comunità”.

Infatti il presidente della Cei ha ricordato che al centro dei lavori c’è stata sempre la dottrina sociale della Chiesa, ma ‘non come giustificazione o come pretesto per qualche altra operazione’, come dimostra la presenza delle 1.200 persone, di cui 368 donne, 310 giovani e altre 80 uomini; mentre sono state circa 70 le ‘buone pratiche’ che hanno animato gli omonimi villaggi in tutta la città.

Ed a proposito delle ‘buone pratiche’ è stata molto interessante la testimonianza di Carla Barbanti, responsabile della Cooperativa Sociale di Comunità ‘Trame di Quartiere’ di Catania: “Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere ‘Trame di un quartiere’.

Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità”.

Inoltre anche a Matera è sorta un’altra buona ‘pratica’, come ha raccontato Simone Ferraiuolo, responsabile della cooperativa sociale ‘Oltre l’Arte’, che trae origine da una frase di mons. Mario Operti: “La cooperativa, che oggi mi onoro di rappresentare in questo contesto, è qui a testimoniare che è possibile investire nel cuore e nell’intelligenza delle persone, facendo in modo che giovani desiderosi di creare da sé stessi un’opportunità di lavoro, possano dare vita ad una impresa sociale capace di sviluppare una progettualità di fruizione del patrimonio culturale su misura di tutti i visitatori perché il diritto alla cultura non abbia limiti”.

Dott. Pedrizzi (UCID) racconta il contributo dei cattolici alla democrazia

“Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”: così affermava san Giovanni Paolo II; e così ribadisce anche il documento preparatorio della 50^ Settimana Sociale, ‘Al cuore della democrazia’, in svolgimento a Trieste: “E la partecipazione alla vita civile assume nomi sempre nuovi: la possiamo riconoscere nella perdurante vitalità dell’associazionismo e del terzo settore; nell’emergere di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; nell’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti da città e territori; nella costruzione di percorsi di progettazione dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; nella spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente, a partire dai loro contesti di vita; nell’impegno di tante Chiese locali per la costruzione delle comunità energetiche, preziosa eredità della Settimana Sociale di Taranto”.

Per comprendere meglio il motivo per cui i cattolici si interrogano sulla democrazia abbiamo incontrato il presidente regionale dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) del Lazio, dott. Riccardo Pedrizzi: “La dottrina sociale della Chiesa intende essere un veicolo attraverso il quale portare il Vangelo di Gesù Cristo nelle diverse situazioni culturali, economiche e politiche che gli uomini e le donne di oggi devono affrontare. Il tema scelto per questa edizione della Settimana Sociale ‘Al cuore della democrazia’, rappresenta una questione molto importante per il nostro millennio. Anche se è vero che la Chiesa non offre un modello concreto di governo o di sistema economico (cfr Centesimus annus, n. 43), ‘la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno’.

La democrazia ai nostri giorni deve affrontare gravi problemi. Il primo fra tutti è la tendenza a considerare il relativismo intellettuale come il corollario necessario di forme democratiche di vita politica. Da tale punto di vista, la verità è determinata dalla maggioranza e varia secondo transitorie tendenze culturali e politiche. Quanti sono convinti che certe verità siano assolute e immutabili vengono considerati irragionevoli e inaffidabili. D’altro canto, in quanto cristiani crediamo fermamente che ‘se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia’ (Centesimus annus, n. 46).

Le altre questioni riguardano le sfide che nell’odierno mondo economico e tecnologico, finanziario e produttivo, organizzativo e creditizio, mediatico e informatico, trovano il terreno fertile per un attacco alle regole democratiche. Il tecnocrate, il bancocrate, il tecnoburocrate, il manager, costituiscono di fatto centri oligarchici che mirano a imporsi nel nome dell’efficienza, della competenza, della produttività, del profitto. Oltretutto nelle società post-industriali oggi non c’è un attacco frontale alla democrazia, agisce però una delegittimazione per vie interne del sistema democratico, che ne svuota progressivamente i presupposti. Predomina cioè l’idea che la politica sia il dominio dell’incompetenza e dell’inefficienza. Per cui occorre porsi la domanda se di fronte alle trasformazioni in atto la ‘democrazia dei moderni’, avrà la forza e la capacità di resistere”.

Quanto è importante per la Chiesa la partecipazione dei cattolici alla vita civile?

“Dinanzi alla pretesa laicista di relegare sbrigativamente nel «religioso» il cristiano e di fronte al pericolo di un pluralismo indifferente, occorre ridare al più presto slancio e contenuti ed una proposta che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società.

Da ciò discende che un impegno sociale efficace e fecondo non sarà possibile senza la ricerca e l’affermazione della verità sull’uomo e dell’uomo. Ma se questa verità non venisse ricercata ed affermata totalmente, se un’antropologia, cioè la dottrina sull’uomo, non esprimesse tutti i valori e non investisse tutti gli ambiti e gli aspetti della vita dell’uomo, si avrebbe come esito inevitabile ‘la mortificazione dell’uomo stesso, e non sarebbe possibile attuare una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio’.

E’ necessario perciò che il cristiano superi quel complesso di inferiorità creatogli dall’Illuminismo in base al quale la fede sarebbe conflittuale e concorrenziale con la ragione. Tra fede e ragione vi è differenza, ma non alternatività, ed è proprio alla luce della prima che il cristiano conosce l’uomo nella sua pienezza e costruisce un’antropologia non neutra o dimezzata o ad una dimensione. A questa visione dell’uomo il cristiano deve conformare la sua azione politica. Senza rassegnazione e senza compromessi che possano significare cedimenti o mimetizzazioni sulla propria verità dell’uomo.

Se ciò non avvenisse il cristiano si renderebbe clandestino, si mostrerebbe indifferente, si mimetizzerebbe e tornerebbe nelle catacombe, diventando complice dell’aggressione all’avvenimento cristiano. Proprio questo… ‘Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose perché possiamo goderne, perché tutti possano goderne’, ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’”.

Quale contributo possono offrire i cattolici alla vita democratica?

“In questo scenario è estremamente importante che siano presenti i cattolici fedeli al Magistero di sempre che dovrebbero sapersi muovere con intelligenza e cautela in modo da poter essere in grado di rilanciare la Dottrina Sociale Cattolica come contributo sempre originale di idee, di programmi e di sentimenti, per affermare che l’unico programma politico, sociale ed economico è quello che ‘diverge radicalmente dal programma del collettivismo, proclamato dal marxismo e realizzato in vari Paesi del mondo…’ ed ‘al tempo stesso differisce dal programma del capitalismo praticato dal liberalismo e dai sistemi politici, che ad esso si richiamano’, cosi come testualmente recita l’enciclica ‘Laborem exercens’ di san Giovanni Paolo II. In particolare bisogna comunicare, applicare, vivere i due principali principi della Dottrina sociale cattolica: quello della solidarietà e quello della sussidiarietà.

Virtù umana e cristiana, la solidarietà (meglio sarebbe dire: la carità) supera ogni individualismo e consente a uomini e famiglie, gruppi e comunità locali, ordini professionali ed associazioni di categoria, nazioni ed organizzazioni internazionali di partecipare per il bene comune alla gestione delle attività economiche, politiche e culturali, senza che ne venga lesa per il principio di sussidiarietà la legittima autonomia dei vari corpi sociali intermedi”.

Cosa può offrire l’UCID all’Italia?

“La consapevolezza innanzitutto della necessità di creare e formare una classe dirigente imprenditoriale eticamente responsabile, applicando il criterio della meritocrazia che significa consentire di essere elites in politica, nella società, nell’economia, nella cultura, nella vita solamente a chi è bravo, studia, è competente e si sacrifica al servizio della comunità. Su questa lunghezza d’onda si mosse anche  papa Benedetto XVI in un’intervista del 26 settembre 2009: ‘Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace’.  

La Chiesa stessa, in tale contesto, è una minoranza creativa che deve essere presente nel dibattito pubblico con tutta la forza del messaggio di Cristo, anche nella società, auspicando che sopratutto i laici cattolici (dall’esperienza familiare a quelle associative, professionali come l’UCID) saldi nella sana dottrina, devono tornare ad essere quei poli d’attrazione che facciano interrogare nuovamente l’uomo del nostro tempo e convincerlo, con l’esempio, che è meglio vivere scommettendo su Dio piuttosto che farne a meno o metterlo tra parentesi”.

(Foto: UCID)

Mons. Toso: la democrazia è una ‘sfida’ per la Chiesa

Mercoledì 12 giugno, alla presenza del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, il vescovo di Faenza – Modigliana, mons. Mario Toso, ha presentato a Roma il libro ‘Chiesa e democrazia’; e mons. Toso ha sottolineato il valore della democrazia e la necessità dei partiti: “I partiti sono il tronco che collega le radici della società civile con i rami delle istituzioni, ma al momento non c’è nessuna linfa… La democrazia è una sfida per i cittadini a essere migliori nella vita quotidiana” e “una sfida dell’uomo a se stesso”.

E le Settimane Sociali dei Cattolici in Italia, che si svolgeranno a Trieste nella prima settimana di luglio con la partecipazione conclusiva di papa Francesco, serviranno a comprendere quale democrazia volere e pensare a riforme che favoriscano la partecipazione: “In un contesto di terza guerra mondiale, in cui viene a prospettarsi una nuova configurazione dell’Occidente europeo rispetto alle grandi potenze mondiali emergenti, sembra essere messa in crisi la ‘promessa’ fondamentale che la modernità aveva immesso nel genoma della democrazia: l’emancipazione della soggettività e la liberazione dalle catene del dominio eteronomo per essere realmente autonomi e, per questo stesso, più liberi”.

La democrazia è in crisi a causa di un ‘indebolimento’ delle sue funzioni: “Ma se alla fine del secolo scorso la democrazia sembrava poter affermarsi in tutto il mondo, all’inizio di questo secolo appare ovunque in crisi. La sua promessa di libertà per tutti i popoli viene indebolita sia sul piano del funzionamento delle istituzioni democratiche (istituzioni di governo ai diversi livelli, da quello locale a quello internazionale, parlamenti, partiti), sia sul piano del coinvolgimento popolare nei processi decisionali ed elettorali (si pensi all’astensionismo e alla disaffezione), sia sul piano della sua anima etico-culturale. Nonostante l’accrescimento della comunicazione, prevalgono la frammentazione sociale, l’individualismo utilitarista, che lasciano poco spazio per pensarne il futuro”.

Infine ha ribadito la necessità di studiare la Dottrina Sociale della Chiesa: “Con cittadini e rappresentanti intrappolati in forme populiste e illiberali di democrazia, diventa sempre più difficile realizzare la democrazia sostanziale, partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva. Contrariamente a quanto si pensa comunemente, non giova rispetto al suddetto ideale di democrazia il concetto di un’autorità politica intesa prevalentemente come potere, che è un concetto sociologico, ossia inteso come capacità di imporre e di farsi valere sui popoli.

Appare, invece, più adeguato il concetto di autorità proposto dalla Dottrina sociale della Chiesa e inteso come capacità di comandare secondo ragione. Tale autorità mira a far crescere i cittadini secondo la loro dignità umana, in tutta la sua pienezza, nel contesto di una corresponsabilità posta al servizio del bene comune”.

Il card. Zuppi ha tratteggiato il rapporto tra Chiesa e democrazia: “La Chiesa italiana ha affrontato più volte il tema della democrazia nelle Settimane Sociali. Si pensi a quella del 1945, con l’Italia che cercava di voltare pagina dopo la Seconda guerra mondiale. I cattolici si sono ritrovati a Firenze riflettendo su ‘Costituzione e costituente’, dando forza alle idee che erano state condivise nel Codice di Camaldoli del luglio 1943. Nel 1964 a Pescara, in pieno Concilio Vaticano II, si è ragionato di ‘Persone e bene comune nello stato contemporaneo’. Nel 1993 a Torino si è discusso di ‘Identità nazionale, democrazia e bene comune’ e nel 2004 a Bologna si è trattato ancora di “Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”. Arriviamo quest’anno a Trieste, con la 50^ Settimana Sociale dei cattolici in Italia: ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’. La democrazia è il filo rosso che ha attraversato la storia del nostro Paese dopo l’esperienza del totalitarismo fascista”.

Al termine di un excursus storico il presidente della Cei ha affermato che la democrazia è in una ‘rotonda’: “Nel mondo la democrazia si presenta con molteplici volti. Ogni anno l’Economist pubblica i dati sullo stato della democrazia nel mondo. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in un sistema democratico (45,4%), ma solo il 7,8% vive in piena democrazia e più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario (39,4%)…

Le democrazie imperfette sono caratterizzate da libere elezioni ma con una partecipazione sempre più scarsa e talora si segnalano problemi circa la libertà di informazione. L’Italia si colloca tra questi ed è al 31^ posto in classifica. Ci sono poi i regimi ibridi, dove puntualmente si verificano irregolarità nelle elezioni, libere solo di facciata. Sono nazioni con un’opposizione controllata, la magistratura non indipendente e la corruzione estesa. Infine, i regimi autoritari non conoscono libertà e pluralismo. Si tratta di dittature assolute con violazioni delle libertà civili, elezioni non libere e media assoggettati al regime”.

Il pregio del libro di mons. Toso è quello di chiamare i cattolici ad avere una visione: “I cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti e in tutti i partiti politici. Il vescovo di Faenza invita ad organizzarsi e a non dimenticare che per avere una chance di cambiare le cose occorre generare consenso e coinvolgere in un’idea che sia una visione. Altrimenti ci si condanna all’insignificanza. Con ogni probabilità, c’è da aspettarsi che a Trieste il tema tornerà e si potrà discutere apertamente della collocazione politica dei cattolici. La Chiesa viene prima dei partiti. Si avverte l’urgenza di disinnescare le bombe dovute alla priorità di indossare casacche di appartenenza per mettere al primo posto il comune legame con la comunità cristiana”.

(Foto: Diocesi di Faenza-Modigliana)

Gianfranco Cattai (Reteinopera): i cattolici per costruire l’Europa

Pace, diritti umani, solidarietà e accoglienza, cultura e istruzione, lavoro, democrazia e inclusione, sostegno alla natalità, sviluppo sostenibile, promozione del Terzo settore e dell’associazionismo, costruzione del bene comune: sono i tratti essenziali dell’Europa descritta nel documento diffuso da ‘Retinopera’ per le imminenti elezioni europee di giugno, che nasce dalle 25 realtà associative cattoliche aderenti a livello nazionale con 8.000.000 di associati, intitolato ‘La nostra Europa’.

Il coordinatore nazionale di Retinopera, Gianfranco Cattai, racconta come è sorto questo manifesto sull’Europa: “Ci siamo interrogati su ciò che ognuna delle associazioni aderenti a Retinopera stesse facendo per costruire l’Europa unita. I rispettivi impegni in ambito formativo, culturale, aggregativo… Quindi, proprio a partire da queste iniziative già in atto, dalle nostre esperienze concrete, abbiamo desunto quali fossero gli elementi più importanti, direi decisivi e condivisi, per identificare l’Europa di oggi e quella che speriamo prenda forma in futuro. Il testo, che volutamente è breve e leggibile, facile da diffondere, è stato votato all’unanimità”.

Per quale motivo un manifesto sull’Europa?

“Si tratta di punti su cui gli associati si dedicano quotidianamente a costruire l’Europa dei Popoli, delle Nazioni e della solidarietà: non semplici desideri ma sfide concrete. Quindi non solo l’Europa che vogliamo ma l’Europa che quotidianamente ci impegniamo a costruire”.

Quale Europa propone Retinopera?

“Per sconfiggere la profonda crisi spirituale, prima che economica e dunque anche antropologica e sociale, che investe l’Europa come Comunità di Nazioni, occorre dare concretezza ai principi e ai contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa”.

L’Europa proposta da ‘Retinopera’ è realizzabile?

“Assolutamente sì. I padri fondatori avevano le idee chiare e noi a loro ci richiamiamo. Sono interessanti gli obiettivi e le richieste lanciate da più parti. ‘Senza pace non c’è Europa’ è l’appello della Compagnia delle Opere. ‘I popoli chiedono pace, l’Europa sia protagonista’, dice il candidato Marco Tarquinio. ‘Cara Europa, ritrova l’anima e la pace. Ti vogliamo sempre più vicina e amica’, hanno affermato il card. Matteo Maria Zuppi e mons. Mariano Crociata nei ruoli di presidente di Cei e di Comece. Riccardo Moro, presidente del ‘Civil 7’, dichiara ‘Le armi non sono l’unica soluzione’. Ecco, noi siamo convinti che se vogliamo costruire l’Europa dei popoli dobbiamo invertire certe tendenze in atto. Per il bene comune è ora di rinunciare a certi sovranismi e particolarismi”.

Quindi al primo punto c’è un’Europa ‘costruttrice della pace, che operi contro la guerra e non si abitui mai ai conflitti, che persegua con decisione il processo di integrazione europea’. In quale modo l’Europa può ritrovare la pace?

“Noi proponiamo per l’Italia la istituzione di un ‘Ministero per la Pace’ e per l’Europa la istituzione di un ‘Commissario per la Pace’. L’idea risale agli anni ’90 quando la Comunità ‘Papa Giovanni XXIII’ avviò il progetto: per la realizzazione di tale obiettivo fin dal 2017 la Comunità ha costruito una rete di oltre 20 associazioni ed enti, instaurando molte relazioni a livello nazionale ed internazionale. Un progetto importante e strutturale perché il nostro paese e l’Europa si confrontino in modo strutturale e sistematico sul tema della pace. Un progetto che è stato accolto e sostenuto dalla Fondazione Fratelli tutti recentemente”.

A questo punto una domanda è obbligatoria: l’Europa ha ancora radici cristiane?

“Le radici cristiane rimangono il fondamento d’Europa ed il chiaro riferimento al fine di superare le criticità che vanno storicizzandosi come il contrasto tra benefici ottenuti (materiali, sociali, ecologici e politici) e le forme di esclusione presenti (povertà, disuguaglianza, perdita di fiducia)”.

Quindi i cattolici possono essere considerati europeisti?

“Sì, il mondo cattolico è maggioritariamente pro-Europa, e lo dimostra in tanti modi. Ci sono peraltro voci dissonanti e frange contrarie agli stati uniti d’Europa. Posso dire con convinzione che nelle realtà afferenti a Retinopera c’è un atteggiamento favorevole alla ‘casa comune’ europea”.

‘Ogni uomo è mio fratello, ogni donna è mia sorella, sempre. Vogliamo vivere insieme, da fratelli e sorelle, nel Giardino che è la Terra. E’ il Giardino della fraternità la condizione della vita per tutti’: così inizia il documento sulla fraternità umana. Per quale motivo ‘Retinopera’ lo sostiene?

“Perché ci crediamo. Perché siamo convinti di quanto papa Francesco ci ha ripetuto in occasione dell’udienza del 11 maggio scorso: Per garantire una pace duratura occorre tornare a riconoscersi nella comune umanità e a porre al centro della vita dei popoli la fraternità. Solo così riusciremo a sviluppare un modello di convivenza in grado di dare un futuro alla famiglia umana. La pace politica ha bisogno della pace dei cuori, affinché le persone si incontrino nella fiducia che la vita vince sempre su ogni forma di morte”.

In breve perché è sorta Retinopera?

“Retinopera nasce nel 2002 dall’iniziativa di un gruppo di laici che si incontrano attorno ad un documento dal titolo: ‘Prendiamo il largo’. L’art. 2 dello Statuto, confermato recentemente dai 25 associati (associazioni, movimenti e organizzazioni a livello nazionale a cui aderiscono più di otto milioni di cattolici militanti) riporta: l’Associazione promuove la collaborazione tra le associazioni che vi aderiscono, per dare concretezza ai principi ed ai contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa. Essa si propone come diffusa ‘Opera delle reti’ fondata sui principi della Dottrina Sociale della Chiesa ed intende essere espressione dell’autonomia e del ruolo costitutivo della società civile”.

Associazioni cattoliche: la pace è dovere ‘creativo’ per la politica

“Ci siamo incontrati in questi giorni a Trieste per riflettere sul tema della prossima Settimana Sociale, dal titolo ‘Al cuore della democrazia’, e abbiamo condiviso l’urgenza di rivolgere insieme un appello accorato per la Pace ai leader dei Governi, ai rappresentanti delle istituzioni e in particolare a coloro che si candidano a guidare l’Unione Europea”.

Richiamando l’appello di papa Francesco di pregare per la pace l’associazionismo cattolico (Acli, Agesci, Azione Cattolica Italiana, Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Movimetno Cristiano dei Lavoratori), Movimento politico per l’unità e Rinnovamento nello Spirito) hanno sottoscritto a Trieste, città che nel prossimo luglio ospiterà la 50^ Settimana Sociale dei Cattolici sul tema della democrazia (‘Al cuore della democrazia’), un appello per la pace rivolto non solo ai governi e ai rappresentanti delle istituzioni, ma anche ai candidati impegnati nelle elezioni europee. Il documento è stato ufficializzato nel mese di maggio durante i lavori svolti nella città giuliana in preparazione all’evento di luglio con la partecipazione di papa Francesco e del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella.

Nel testo, che nelle prossime settimane sarà possibile sottoscrivere anche da parte da cittadini ed  altre associazioni, movimenti e comunità, è ribadito che alimentare i conflitti non è la soluzione: “La guerra non è mai stata la soluzione dei conflitti e delle tensioni tra popoli e nazioni, ma ha sempre causato morte e sofferenza per tutti e in particolare per i più deboli, che pagano e pagheranno sempre il prezzo più alto”.

Quindi chiaramente le associazioni ribadiscono che la pace è un dovere ‘creativo’ per la politica: “La guerra è una sconfitta del diritto e della comunità internazionale e dell’umanità intera. Conflitti imperversano alle nostre porte, in Ucraina, in Terra Santa e in tanti altri posti del mondo, con armi sempre più potenti e dagli effetti devastanti per le persone e per l’ambiente. In questa ora così terribile per il mondo sentiamo di essere chiamati a una conversione profonda e a dare un giudizio comune e chiaro: la pace è il dovere della politica. Un ostinato e creativo dovere”.

Emiliano Manfredonia (Acli), Francesco Scoppola (Acli), Giuseppe Notarstefano (Azione Cattolica Italiana), Cesare Pozzoli (Comunità e Liberazione), Adriano Roccucci (Comunità di Sant’Egidio), Guglielmo Borri (Movimento Cristiano dei Lavoratori), Argia Albanese (Movimento politico per l’unità), Giuseppe Contaldo (Rinnovamento nello Spirito) hanno sottolineato l’importante ‘ruolo’ del’Unione Europea e la responsabilità a cui sono chiamati gli europei: “L’Unione Europea, sognata sulle macerie della guerra, costruita sull’utopia della pace, ha un ruolo decisivo. E tutti noi ci sentiamo responsabili dell’eredità di politici europei, credenti e non, che hanno anteposto la vita e le ragioni che uniscono dinanzi a ciò che divide”.

Richiamando il monito del presidente della Repubblica Italiana (‘Il mondo ha bisogno di pace, stabilità, progresso, e l’Unione europea è chiamata a dare risposte concrete alle aspirazioni di quei popoli che guardano al più imponente progetto di cooperazione concepito sulle macerie del secondo conflitto mondiale’) l’associazionismo cattolico si appella ai candidati ricordando la responsabilità nei confronti della pace: “Per questo facciamo appello alle forze politiche e a chi si candida alle imminenti elezioni europee perché si assuma esplicitamente la responsabilità di porsi come interlocutore per la pace, proponendo senza riserve la via diplomatica e della vera politica”.

Però la pace non è un impegno solo per la politica, ma riguarda i cittadini, in quanto è un compito educativo difendere la dignità della persona: “Non possiamo rassegnarci al fatto che la retorica bellicistica e la non-cultura dello scontro invada la nostra vita dalle relazioni personali alle relazioni sociali e politiche.

Continueremo a impegnarci sul terreno educativo e formativo, nella solidarietà concreta verso i più deboli e le vittime delle ingiustizie, nel dialogo per il bene comune con le donne e gli uomini di buona volontà. Oggi più che mai, la politica è ‘la più alta forma di carità’ se persegue la pace. Emerga con decisione un impegno condiviso per una Pace fondata sul riconoscimento dell’infinita ed inalienabile dignità della persona”.

Ed il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, presentando la Settimana Sociale ha rimarcato come Trieste sia terra di frontiera con lo sguardo rivolto al futuro, che vive ed è testimone di una profezia: “Una testimonianza che è una sfida continua a procedere nel rispetto reciproco e nella costruzione del bene comune attraverso la partecipazione. Trieste, città nella quale le diverse culture e religioni convivono nel rispetto e nella stima reciproca, si appresta ad accogliere con grande interesse la 50^ Settimana sociale dei cattolici in Italia”.

Il prof. Giovanni Grandi, docente dell’Università degli Studi di Trieste e membro del Comitato scientifico delle Settimane sociali, ha ricordato come questo evento abbia radici antiche, essendo partito, su iniziativa di Giuseppe Toniolo, nel 1907 con l’intento di creare una rete di riflessione sui temi sociali che potesse coinvolgere i cattolici nella vita dell’Italia:

“La dicitura del convegno è cambiata, da ‘cattolici italiani’ a ‘cattolici in Italia’ per includere e dare spazio e voce a sensibilità diverse, quelle di tante persone del mondo cattolico che vivono e lavorano in Italia pur avendo le provenienze più disparate, evidenziando il pluralismo del mondo cattolico, che qui a Trieste si concretizza nella presenza della minoranza slovena, ma anche della comunità croata, filippina, moldava”.

Infine un accenno al titolo dell’imminente edizione delle ‘Settimane sociali’: “Le Settimane si pongono non come evento, ma come un processo che vuole mettersi al servizio del bene comune coinvolgendosi con le dinamiche culturali, sociali e politiche del Paese. L’edizione di Trieste vuole aprirsi alla città attraverso una serie di dibattiti, eventi culturali e spettacoli aperti al pubblico.

Il tema è quello della partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica, tema particolarmente sentito in questo momento storico in Italia e in tutto l’Occidente, segnato da una profonda disaffezione delle persone verso la vita democratica, evidenziata anche dalla crescente quota di astensionismo registrata nelle elezioni”.

(Foto: Acli)

Giustizia, pace, salvaguardia del creato bussole per le diocesi della Campania

Si è svolto a fine aprile al Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, in provincia di Napoli, la conferenza ‘Rieducare noi, per custodire il domani’, organizzata dalla Conferenza Episcopale Campana e incentrata sul delicato tema della tutela del Creato con la partecipazione di vescovi, sacerdoti e laici per ribadire l’impegno delle Chiese della Campania nella cura della casa comune, concludendo il percorso di educazione delle comunità ecclesiali alla giustizia, pace e salvaguardia del creato intrapreso nel settembre 2023, arricchito dalle testimonianze di Antonia di Pippo del Circolo ‘Laudato sì’ della parrocchia del ‘Buon Pastore’ di Caserta, e di Antonio Capece, responsabile dell’impresa sociale ‘Ambiente Solidale’ di Napoli.

Al centro della giornata, l’intuizione che la salvaguardia del creato debba partire da una profonda ‘educazione’ cristiana, con sottolineature ai documenti del Magistero della Chiesa, come ha fatto il circolo ‘Nuovi Stili di Vita’, che ha illustrato le attività svolte a livello locale per promuovere una tutela dell’ambiente e del territorio sociale pragmatica, sensibilizzando la comunità parrocchiale a prendersi cura del creato con iniziative che coinvolgono bambini, giovani e famiglie: “Educarsi alla sobrietà, che non significa rinuncia alla modernità bensì comprendere le reali esigenze dell’uso dei dispositivi elettronici ed informatici per esempio riciclando ciò che realmente serve alle proprie esigenze, evitando di acquistare il superfluo”.

La conferenza sulla tutela del creato ha evidenziato l’importanza della collaborazione e della condivisione delle responsabilità con l’invito alle parrocchie a diventare promotrici di buone pratiche a favore dell’ambiente e della sostenibilità non solo energetica, ma anche personale, cioè pratiche ben strutturate e consapevoli che le scelte di vita quotidiana possono fare la differenza: “Ogni cristiano, pertanto, con i suoi doni e talenti, può contribuire a questo impegno comune, diventando ‘lievito benefico’ per il mondo come ci insegna Gesù nel Vangelo”.

In conclusione la Conferenza Episcopale Campana ha dato il via a un processo di cambiamento che coinvolgerà tutti i fedeli della regione, uniti nel comune impegno di custodire il creato per le generazioni future, rivolgendo un messaggio di speranza: “Se tutti faremo la nostra parte, è possibile costruire un futuro più sostenibile e rispettoso del creato”.

(Foto: Conferenza Episcopale Campana)

Movimento Cristiano Lavoratori: ‘La priorità è un lavoro dignitoso’

La Festa del Lavoro venne istituita nel 1889 dal movimento socialista in ricordo di un comizio sindacale tenuto all’Haymarket Square di Chicago il 1 maggio 1886 funestato dallo scoppio di una bomba che costò la vita ad una decina di presenti e che portò all’impiccagione di quattro dirigenti sindacali. Papa Pio XII, istituendo nel 1955 questa festa in onore di san Giuseppe lavoratore, ha offerto al lavoratore cristiano e a tutti i lavoratori un modello e un protettore; Cristo stesso ha voluto essere lavoratore, trascorrendo gran parte della vita nella bottega di Giuseppe, il santo dalle mani callose, il carpentiere di Nazaret.

E’ stato l’assistente ecclesiastico del MCL (Movimento Cristiano Lavoratori), don Francesco Poli, a ricordare il significato di questa festa dei lavoratori: “E’ urgente ridare priorità alla dignità del lavoro umano (personale e necessario), godendo anche con gioia della santificazione del riposo festivo, se possibile, oggi così sistematicamente oltraggiato; ridare priorità alla famiglia e alla sua fecondità, così come concepita da madre natura, perché non aiutando la famiglia non si aiuta affatto il lavoro umano…

A parole, il lavoro viene difeso ma, nei fatti, viene ridotto o quasi completamente eliminato dalla robotica, dai nuovi totalitarismi, dalla concentrazione dei grandi capitali nelle mani di pochi, con l’aumento esponenziale delle povertà”.

Mentre nel discorso di insediamento il nuovo presidente generale del Movimento Cristiano dei Lavoratori, Alfonso Luzzi, componente del CNEL e membro del cda di EZA (European Centre for Workers’ Question), ha messo al centro dell’attenzione alcune parole chiave quali trasparenza, merito, lavoro ‘povero’, territorio ed attenzione ai giovani ed alle donne.

Perché la priorità è il lavoro ‘povero’?

“Quando ho affermato che ‘la priorità è il lavoro povero’ nel mio intervento al Consiglio Generale del Movimento Cristiano dei Lavoratori (MCL), non ho fatto altro che prendere atto della situazione drammatica italiana, in cui oltre 3.000.000 di lavoratori guadagnano meno di € 1.000 al mese. E’ un fenomeno che riguarda tutte le economie, anche quelle avanzate, ma colpisce in maniera particolare il nostro Paese. Assistiamo al paradosso che aumenta l’occupazione, ma aumentano anche gli ‘in-work poor’ (poveri nel lavoro).

La Dottrina Sociale della Chiesa al n^ 302 ci insegna che il semplice accordo tra lavoratore e datore di lavoro circa l’entità della remunerazione non basta per qualificare giusta la remunerazione concordata, perché essa ‘non deve essere inferiore al sostentamento’ del lavoratore: la giustizia naturale è anteriore e superiore alla libertà del contratto”.

Si può morire per lavoro?

“Per un cristiano la difesa della vita è il primo dei valori non negoziabili. Morire per lavoro è quindi inammissibile. Sono 1.467 le persone che nel 2023 hanno perso la vita sul posto di lavoro in Italia e nel 2024 sono ancora in aumento. Ai morti per infortuni occorre poi aggiungere i decessi per malattie correlate al lavoro (malattie cardiovascolari, neoplasie maligne e respiratorie). Le morti per lavoro sono oramai una vera e propria strage, strage infinita e per di più silenziosa”.

Come garantire sicurezza nel lavoro?

“La sicurezza sul posto di lavoro è un problema che investe le istituzioni, i datori di lavoro ed i lavoratori. Fondamentali sono sia la formazione che la prevenzione. Formazione a partire dal lavoratore che deve conoscere i rischi a cui va incontro e deve essere conscio dei suoi diritti una prevenzione sempre più accurata. Non dimentichiamo che, comunque, è anche un problema di risorse economiche. Le imprese debbono sapere però che, oltre un obbligo di legge, investire in sicurezza conviene è anche un investimento sulla ‘salute dell’azienda’”.

‘Il lavoro per la partecipazione e la democrazia’ è il messaggio dei vescovi per il 1^ maggio: come si può realizzare?

“Il lavoro è strettamente connesso alla partecipazione ed alla democrazia. Papa Francesco nella lettera enciclica ‘Fratelli Tutti’ ci insegna che: ‘Il lavoro è una dimensione irrinunciabile nella vita sociale…. E’ un mezzo per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo’. (162). Ed in un discorso ha affermato: ‘Non c’è democrazia con la fame’. Questa visione, come sottolineato spesso dal santo Padre è in perfetta sintonia con la Costituzione italiana, laddove, nell’articolo 1 afferma che ‘L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo…’”.

Perché la Chiesa stimola i lavoratori alla partecipazione democratica?

“La parola chiave per ‘realizzare’ il messaggio dei vescovi per il Primo maggio è la partecipazione. ‘E’ necessario che tutti, ciascuno secondo il posto che occupa e il ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune’ (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1913). Inoltre papa Francesco sempre nella lettera enciclica ‘Fratelli Tutti’: ‘Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo. Popolo e persona sono termini correlativi…La buona politica cerca vie di costruzione di comunità’. Costruire comunità avviene solo favorendo la partecipazione. (FT 182)”.

Per il MCL quali sono i punti fondamentali per tutelare un lavoro dignitoso?

“Anche qui ci soccorre il magistero della Chiesa che nel compendio della Dottrina Sociale della Chiesa al punto 301 elenca ‘i diritti dei lavoratori si basano sulla natura della persona umana e sulla sua trascende dignità’. Tra i tanti elencati mi preme però sottolinearne uno: ‘il diritto che venga salvaguardata la propria personalità sul luogo di lavoro’. Questo, forse, in una società come la nostra è il diritto più difficile da difendere”.

(Tratto da Aci Stampa)

Salvatore Martinez: la preghiera sostiene l’annuncio del Vangelo

“Il ‘Dio amore’ incarnato da Gesù di Nazareth, che ha segnato nei secoli la discontinuità storica con tutte le forme di dominio e di oppressione umane, deve essere riproposto con un linguaggio capace di ridare voce all’interiorità. Una cifra spirituale più marcata, che accentui la dimensione della fraternità. Niente più della misericordia attrae, converte e salva la vita. Se evangelizzare è voce del verbo amare, il nostro servizio all’uomo e alla sua dignità integrale e trascendente deve includere tante nuove sfide. Nelle nostre comunità ecclesiali urge dar corso a un nuovo ‘idealismo evangelico’ ispirato dalla Parola di Dio e praticare un nuovo ‘realismo pastorale’ suscitato dalla vita delle nostre famiglie. Occorre una nuova ‘crociata d’amore’, per dirla con don Luigi Sturzo”.

Da questa sua riflessione abbiamo incontrato il dott. Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito fino allo scorso anno, a Tolentino, nelle Marche, per chiedere di spiegare in quale modo si può predicare il Vangelo a tutte le creature:

“Come Gesù ci ha insegnato, dando fiducia allo Spirito Santo. Senza questa relazione personale con lo Spirito Santo l’evangelizzazione non avanza, addirittura non è possibile. San Paolo VI nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Nuntiandi’ chiaramente ha detto che evangelizzare non è questione di metodologie o di capacità umane, ma è un rimando allo Spirito di Dio, che ci rende capaci di diffondere il Vangelo. A questo punto l’evangelizzazione sarà sempre nuova, perché è resa tale dallo Spirito Santo: nuova nell’ardore, diceva san Giovanni Paolo II.

Però, prima di tutto, è necessario obbedire alla voce di Gesù; è Lui che ci chiede di evangelizzare e di portare il Vangelo ad ogni creatura. Papa Benedetto XVI affermava che in un mondo che cambia il Vangelo non cambia e non cambia, perché è immutabile lo Spirito Santo di Dio. A noi è chiesto di cambiare per prendere atto dell’urgenza di una nuova evangelizzazione in questo tempo. Che non risparmi nessuno a partire proprio dai battezzati, che hanno bisogno di essere rievangelizzati”.

‘Il movimento carismatico per sua natura dà spazio e risalto alla preghiera, in particolare alla preghiera di lode, e questo è molto importante’. Con queste parole, a gennaio, al consiglio nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo papa Francesco ha chiesto di dare risalto alla preghiera: per quale motivo?

“Tutto deve avere inizio nella preghiera, perché niente può avere destino se non inizia nella preghiera. Questo è un metodo che ci è stato insegnato da Gesù, che si ritirava per pregare, insegnando agli apostoli quanto sia fondamentale pregare; soprattutto nel cenacolo la discesa dello Spirito Santo viene ‘provocata’ dalla preghiera intensa e senza alcun limite di tempo.

Senza la forza dello Spirito Santo nulla è nell’uomo; lo Spirito Santo fa pregare e diventa fonte di preghiera. La preghiera è ispirazione e sapienza; la preghiera è visione, che ci fa comprendere cosa possiamo fare, dandoci la forza. Papa Francesco ci disse che tutto poggia sull’adorazione ed in quest’udienza ha ribadito il binomio preghiera ed evangelizzazione come due binari, lungo i quali la storia può scorrere”.

Perché è importante pregare?

“Tutto ha inizio nella preghiera, con l’invocazione dello Spirito; e perché la preghiera tutto sostiene: è la fede interiorizzata e potenziata dai doni dello Spirito, che si ricevono pregando. Siamo in ‘recessione spirituale’ perché abbiamo trascurato di alimentare la vita nuova nello Spirito.

Quante conversioni, quanti miracoli ottiene la preghiera comunitaria. Io ritengo che l’avvenire della Chiesa, a partire dai Sinodi in corso, passi in modo decisivo dalla nostra capacità di tornare ad ascoltare la voce del Signore, pregando, a fare silenzio per poi esprimere la gioia di chi sta alla presenza di Dio”.

In quale modo la preghiera diventa azione?

“La vera preghiera è azione, così come la formazione non è solo qualcosa di concettuale o di dottrinale, ma deve tradursi in vita. Una preghiera che non aggancia la vita non è la preghiera di Gesù. Non a caso nella preghiera che Gesù ha insegnato, il Padre Nostro, vediamo azioni concrete che la preghiera deve mettere in atto. La preghiera, che nel Rinnovamento nello Spirito, è la preghiera di lode, che non solo ci fa riconoscere la presenza di Dio, ma ci permette di vedere in quanti modi Dio si mette al lavoro nella storia. La preghiera di lode è uno strumento potente per mettere in azione i carismi per far avanzare il Regno di Dio”.

Undici anni fa il card. Bergoglio fu eletto papa: quali sono gli elementi significativi del suo pontificato?

“Sono già trascorsi 11 anni e non sono pochi. I tratti distintivi del suo pontificato appaiono già agli esordi del suo papato. Il pontefice guarda alla storia del mondo con uno sguardo profondo, provocando una nuova considerazione verso le grandi povertà del nostro tempo. Il papa ha una parola del Vangelo, che ispira la sua condotta e che dice che è fondamentale, riguardante le opere di misericordia corporali, che Gesù annuncia nella sinagoga di Nazaret: guardare l’uomo: ciechi, poveri, oppressi, prigionieri.

C’è da guardare in faccia l’uomo e la sua esigenza di giustizia e di carità sociale. Questo pontificato sposta l’attenzione decisamente sulle grandi emergenze che la storia pone. Papa Francesco chiede una Chiesa incarnata, capace di vivere l’autenticità del Vangelo, dando corso a misericordia come paradigma dell’impegno del cristiano. Ci sono grandi sfide che stanno a cuore a papa Francesco, ma certamente la fraternità universale ed attenzione al creato rappresentano un volto compiuto di questo pontificato”.

Quindi un pontificato chiamato a grandi sfide: “Papa Francesco non ha perduto un giorno nel mettere in atto il suo generale programma di riforme strutturali e di rinnovamento ecclesiale. La sua passione, il suo coraggio, la sua visione profetica sono di grande stimolo per tutti. Il suo impegno per la risoluzione delle grandi sfide che animano la storia, in primis il tema della pace e delle diseguaglianze sociali che attentano alla dignità umana, va sostenuto e rilanciato come spazio propizio per una nuova testimonianza del Vangelo, che rigeneri la Dottrina sociale e l’umanesimo cristiano”.

(Tratto da Aci Stampa)

La Chiesa invita alla partecipazione democratica

Quest’anno in Italia è anno di votazioni, a cui saranno chiamati localmente molti italiani, non solo alla partecipazione al voto, ma anche come possibili candidati, tantoché in alcune diocesi i vescovi si sono espressi, con diverse sensibilità, sulla possibile candidatura dei cattolici nelle elezioni amministrative.

Durante l’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Sassari il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha inserito nel discorso per la costruzione della società come terzo pilastro, dopo la comunicazione, la pace e l’Europa, anche la politica, partendo dai capitoli che papa Francesco ha scritto nell’enciclica ‘Fratelli tutti’:

“Il mondo, afferma, ‘non può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica’. Anzi, non può proprio funzionare senza di essa. Papa Francesco ritiene perciò che anche la Chiesa debba interessarsi alla politica: pur rispettandone l’autonomia”.

Ma la ‘buona politica’ è minacciata da neoliberismo e populismo: “E’ la visione delle élite economiche e finanziarie, spesso con collegamenti internazionali, i cui interessi sono distaccati dagli strati sociali più deboli o anche di quelli che semplicemente sono senza le risorse e le possibilità di tali élite. Quanto ai populisti, questi (spiega l’enciclica) deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo, ma il ‘loro’ popolo, una parte contrapposta a tutti gli altri”.

Ed ha affermato che il papa ha indicato con precisione la strada della vita democratica: “Papa Francesco mi sembra indicare la strada della democrazia, anche se questa parola, come giustizia o libertà, è stata manipolata, deformata e svuotata di un contenuto chiaro per giustificare qualsiasi azione, persino di dominio sugli altri…

La democrazia è in crisi, per una crescente separazione tra élites e classi popolari, per un progressivo allontanamento delle istituzioni e la politica dalla comunità in cui dovrebbero essere radicate, per la crisi della politica e di visioni sovranazionali e multilaterali. Ne conseguono nuove tendenze autoritarie e illiberali, derive demagogiche, crescita delle disuguaglianze economiche e sociali, rarefazione della società civile e dei corpi intermedi, impoverimento del dibattito pubblico”.

Infatti la Chiesa ha sempre indicato la democrazia come strada ‘maestra’ per la società, citando il radiomessaggio natalizio di papa Pio XII: “E’ un motivo decisivo per preferire la democrazia e per contrastarne la crisi. E per farlo bisogna avere la stessa carica ideale, la stessa capacità unitiva, quello spirito costituente che permise alle convinzioni diverse non solo di non ignorarsi e di non contrapporsi imponendosi a colpi di maggioranza, ma di arrivare a produrre quell’unico straordinario inchiostro che stese la Costituzione italiana”.

Inoltre la vita democratica sarà il centro della prossima Settimana Sociale: “La democrazia sarà l’oggetto della prossima edizione delle Settimane Sociali della Chiesa, giunta alla cinquantesima edizione. Fino ad oggi qualunque altro sistema politico attribuisce il potere ad uno solo, ad un piccolo gruppo o a una parte soltanto (magari preponderante ma sempre parte) mentre la democrazia tende all’inclusione, anche delle minoranze, e alla sintesi degli interessi ed è più facilmente in sintonia con le ragioni della pace rispetto a quelle della guerra”.

Anche il vescovo della diocesi di Faenza-Modigliana, mons. Mario Toso, in un incontro a Cesena, ha parlato di un affievolimento dei valori cattolici nella società: “Non raramente, la Dottrina sociale della Chiesa (fonte di una spiritualità incarnata dell’impegno sociale e politico), oltre che ad essere considerata troppo astratta per affrontare i problemi concreti, è rimasta negli Statuti delle organizzazioni cattoliche o di ispirazione cristiana, come affermazione di principio, senza essere tradotta nella pratica!

Di fatto, la Dottrina sociale della Chiesa è ormai pressoché ignorata da molte associazioni, aggregazioni, movimenti cattolici o di ispirazione cristiana, specie da parte delle nuove generazioni. Per non parlare, poi, della vita parrocchiale: ci sono indagini che rilevano che la catechesi è impartita da persone, che, per l’80%, ignorano che cosa sia la Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa e, quindi, non sono in grado di veicolarla nella loro opera educativa”.

Questo disconoscimento della Dottrina Sociale della Chiesa implica uno scarso ‘giudizio critico’ nei confronti della realtà: “L’assenza della Dottrina sociale dall’orizzonte valoriale dei cattolici li priva di uno strumento essenziale per il discernimento, per la progettualità, per una spiritualità incarnata. Viene meno quell’insieme di principi di riflessione, di criteri e di orientamenti pratici, che sono indispensabili per la formazione di un giudizio critico sulla realtà e per l’azione costruttrice della società, conformemente alla dignità delle persone, dal punto di vista sia umano che cristiano”.

Quindi l’impegno politico per il cattolico si fonda sulla carità: “La politica e la democrazia si irrobustiscono quando siano potentemente animate dalla virtù teologale della carità. Una tale virtù non è un vago sentimento e neppure un amore semplicemente umano. La carità è virtù cardinale, virtù cristiana, che orienta ed unifica gli atti delle varie virtù nella costruzione della vita personale e della vita comunitaria. La carità, dunque, è un amore più che umano”.

La carità è un amore relazionale: “E’ infusa da Dio nelle persone per renderle capaci di amare come si ama nella Trinità, come ama Cristo. L’amore umano, fragile, a motivo del peccato originale, necessita di essere guarito, integrato dall’amore di Dio, donato e ricevuto.

L’amore-carità, amore dall’alto, amore trascendente, amore trinitario, ossia amore strutturalmente aperto all’altro tu, al noi delle tre Persone divine, relazioni sussistenti, rafforza il dinamismo di apertura e di comunione verso gli altri tu e gli altri noi, un dinamismo che è inscritto, sia pure in forma germinale, nell’amore umano”.

Quindi il politico dovrebbe prestare attenzione agli ‘ultimi’: “Il politico, mosso dalla carità, ha sempre un amore preferenziale per gli ultimi. È la carità che gli offre uno sguardo con cui coglie la dignità dell’altro, dei poveri, rispettandoli nel loro stile proprio e nella loro cultura. A partire da essa le vie che si aprono sono diverse da quelle di un pragmatismo senz’anima.

Impedisce di affrontare lo scandalo della povertà promovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. I politici sono chiamati a prendersi cura della fragilità dei popoli e delle persone con forza e tenerezza, opponendosi alla cultura dello scarto”.

Anche per il vescovo di Ascoli Piceno, mons. Gianpiero Palmieri, per il cristiano, che si impegna in politica, la Dottrina sociale della Chiesa è fondamentale: “In un passato non troppo lontano era frequente sentir dire che le affermazioni dell’insegnamento sociale della Chiesa sarebbero ingenue, sorpassate, inefficaci.

A distanza di qualche decennio, esse invece rivelano tutta la loro straordinaria attualità. Per anni si è dato credito all’idea che un mercato senza regole avrebbe arricchito tutti, che smantellare certi valori morali ci avrebbe reso più liberi e felici, che l’individualismo e il privilegio degli interessi di parte non avrebbero scalfito quell’abitudine alla solidarietà e alla coesione sociale così radicate in Italia”

Tale disimpegno ha una pesante ricaduta sui giovani: “Pensiamo alla ricaduta di tutto questo sui ragazzi: anche se all’apparenza non manca una certa effervescenza sociale e la voglia di stare insieme e divertirsi, si è diffuso in poco tempo un clima disilluso e rassegnato, un’incertezza riguardo al futuro che mina la voglia di fare sogni e progetti, una sensazione di vuoto nel cuore perché non ci sono significati profondi che possano orientare la vita. Anche l’entusiasmo politico è di pochi fortunati: il 50% dei giovani non va a votare, sull’esempio degli adulti allontanati e sempre più nauseati dal linguaggio e dai modi di una certa politica”.

Per questo il vescovo invita i cattolici ad un impegno politico: “C’è oggi bisogno di cristiani che sappiamo servire il bene comune non solo con rigore e competenza, ma soprattutto con tanta passione con tanto amore, sapendo che spesso si va controcorrente. Solo così non si fermeranno alle prime difficoltà opposte da chi, in fondo, gode e prospera quando vede spegnersi l’entusiasmo per il bene.

Ed è importante che la Chiesa non lasci mai soli e senza il sostegno di una profonda spiritualità coloro che ‘si buttano’ in politica: hanno bisogno non tanto di alleati, ma di amici fraterni con cui alimentare e condividere sogni e speranze”.

Nella lettera anche mons. Palmieri ha fatto riferimento alla prossima Settimana Sociale ed a san Paolo VI: “Non è un caso che la 50^ Settimana sociale dei cattolici in Italia, in programma a Trieste per il prossimo luglio, abbia come tema ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’…

Ormai da tempo nella Chiesa c’è consapevolezza che dall’unica fede non discende necessariamente l’impegno nello stesso partito politico, come scriveva già san Paolo VI nel 1971 (lettera ‘Octogesima Adveniens’… un testo profetico!). In fondo, mai come adesso, nessun partito rappresenta pienamente e traduce fedelmente in scelte concrete la visione cristiana della vita.

E’ proprio in questo ‘spazio’ che si genera l’opportunità per i cristiani di interrogarsi, confrontarsi, agire di comune accordo, tra di loro e con tutti, perché in sede politica si facciano le scelte a vantaggio del bene comune e della protezione dei soggetti più fragili. Il sistema democratico è proprio quello che permette a tutti di esprimere il proprio punto di vista e partecipare da protagonista alla vita del proprio Paese”.

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