Mons. Sigalini: quale Chiesa per le aree interne?

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“Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie. Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia”.

Così iniziano le prospettive conclusive del presidente del COP (Centro Orientamento Pastorale), mons. Domenico Sigalini, alla 72^ settimana nazionale di aggiornamento pastorale, svoltosi a Lucca sul tema ‘Andò in fretta verso la montagna – Esisterà ancora nei piccoli paesi la Comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?’, che ha fatto discernimento su quale pastorale per le ‘aree interne’ in via di spopolamento:

“Anche le nostre istituzioni si stanno accorgendo che un terzo del territorio italiano sta soffrendo della mancanza di quei servizi necessari che possano dare ai centri più dispersi una rilevanza sociale, per renderli così più dialoganti tra loro, valorizzando tutte le energie a disposizione, progettando e rendendo fruibili le qualità di vita e di relazioni.

Una Chiesa che abita i piccoli comuni non può che interrogarsi su come incoraggiare questo sforzo, per integrarsi in esso come Parola vissuta, a partire dai presbiteri e da quelle figure ministeriali (il lettore, il catechista, l’accolito, le famiglie cristiane) tutte da formare.

Un progetto atto a sollecitare un camminare insieme tra piccole comunità parrocchiali (molte delle quali senza parroco residente), capace di dialogo con le istituzioni e organizzazioni del territorio, con gli uomini e donne di buona volontà”.

A distanza di alcuni mesi abbiamo incontrato mons. Domenico Sigalini, sulle ‘sfide’, a cui i cristiani sono chiamati ad affrontare:“Andò in fretta verso la montagna: questa è l’icona che ha accompagnato i lavori della Settimana di aggiornamento pastorale del COP, l’immagine di Maria che, all’annuncio dell’Angelo, non teme e, seppure incinta, si mette in viaggio, verso ‘la montagna’, per contemplare il miracolo che si stava compiendo: dall’utero sterile di Elisabetta Dio stava traendo la vita”.

Cosa significa essere ‘piccola Chiesa’ oggi?

“Per il COP quello dell’attenzione alla parrocchia, vita concreta della gente che si rivolge alla Chiesa e vive la vita cristiana, è stato sempre uno dei grandi temi che ha affrontato. Da almeno 30 anni riflette sulle Unità pastorali che oggi, però, sono per le piccole parrocchie l’ultima chance per vivere una vita cristiana.

Per questo si è scelto come sottotitolo: ‘Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?’ Cioè: c’è ancora una comunità cristiana lì? E’ sufficiente celebrare una Messa? Ci sembra importante dare voce, strumenti, aiuti, punti di vista a queste piccole realtà perché siano ancora Chiesa.

E la Chiesa non è la struttura fatta di mattoni (ne abbiamo tantissime che vengono chiuse), e non è nemmeno la canonica. La Chiesa è l’insieme di credenti che fanno del Vangelo la loro ispirazione, il loro testo di vita e tra di loro si comunicano il bene della Parola di Dio”.

In quale modo la parrocchia può ritrovare vitalità ecclesiale?

“Dobbiamo costruire un’immagine diversa della Chiesa, dobbiamo curare maggiormente le relazioni, andare all’essenziale, al Vangelo: lo dobbiamo in particolar modo ai giovani. Dal punto di vista ecclesiale il fenomeno non è né nuovo né circoscritto al nostro Paese: ci sono state in passato, e ci sono ancora oggi (magari in altri contesti), situazioni simili, descrivibili secondo due ‘coordinate pastorali’ di riferimento: la concentrazione e la prossimità.

Da una parte la concentrazione che, riunendo le persone e utilizzando tempi e spazi centralizzati, soprattutto per la formazione, per la maturazione di nuove prospettive pastorale, di nuovi operatori e sostegno ai più deboli, risolve la complessità e la dispersione.

Dall’altra la prossimità, che consiste nel portare le risorse accanto a ogni situazione presente sul territorio con la volontà di rinnovarlo, spesso però con l’effetto di assecondare la dispersione”.

A quale cura di prossimità è chiamata la parrocchia?

“La risoluzione del rapporto tra concentrazione e prossimità è determinante per immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle ‘aree interne’. Ci si propone, cioè, di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla Chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni, all’individuazione di spazi e tempi ‘intensivi’ in cui assicurare proposte di qualità, grazie a risorse materiali e umane sufficienti.

Occorre scommettere sulla qualità, con una attenzione esplicita al mondo giovanile, tempi di condivisione di vita, tempi intensivi concentrati, aggregazioni significative… Questo non significa abbandonare l’opportuna cura per la prossimità (non solo per il valore evangelico della ‘pietra scartata’), ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri”.

Quale ruolo dei laici nella parrocchia?

“Una comunità, se intende inserirsi nel processo di annuncio del Vangelo nella cultura odierna, dovrà maturare alcuni caratteri essenziali: anzitutto, tenere presente che non potrà non considerare come la diminuzione del clero sia una situazione in evoluzione, che sta portando ad un’indispensabile revisione dei soggetti pastorali.

Il passaggio dalla logica della conservazione a quella della missione sarà infatti possibile solo grazie all’inserimento di nuovi ministeri, oltre a quelli tradizionali: nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità e alla valorizzazione delle famiglie, piccole chiese, che hanno in sé tutti i sacramenti.

E’ tempo di far rifiorire nelle nostre comunità una ‘ministerialità diffusa’. Questo dei ministeri non è un discorso nuovo per il COP, che lo ha approfondito già in altre occasioni (Settimana di aggiornamento del 2022 e numerosi numeri di ‘Orientamenti Pastorali’)”.

Quali risposte possono fornire i cristiani alle sfide poste dal mondo del lavoro?

“Quando l’uomo si fa domande di senso, domande, cioè, di orizzonte, se il suo orizzonte è chiuso, le risposte saranno strette come pareti. Dirà tutto della parete senza sospettare che l’orizzonte è enormemente più vasto. E’ così dell’uomo quando lavora e se ne domanda il senso. Spesso, l’orizzonte è talmente chiuso che il lavoro equivale solo a guadagno, a fatica inutile e inevitabile, a lotta e sopraffazione, a schiavitù, strumentalizzazione e maledizione.

Il lavoro è invece il luogo in cui incontri Dio e con lui vivi la storia del mondo. Il lavoro è incontro con altre persone, fatto di dialogo, contrapposizione, tensione, ricerca di intesa, collaborazione e solidarietà. Nel lavoro si investe la vita, la si dona agli altri. Il lavoro, prima di essere un dovere, è luogo di grande dignità e si porta dentro ideali grandi.

Io immagino che le nostre scuole di formazione professionale possano offrire il meglio ai nostri ragazzi della propria esperienza in questo campo. I giovani non dovranno andare nei luoghi di lavoro solo per capire e sperimentare tecniche, ma anche per immergersi in una cultura e in un mondo che ha valori e stili propri, obiettivi e scelte di profonda umanità, ragioni di speranza cristiana”.

(Foto: COP)

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