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Oltre l’assistenza: un’amicizia che trasforma la povertà
C’è un’Associazione che da 191 anni è accanto agli ultimi, ai vulnerabili, agli invisibili: la Società di San Vincenzo De Paoli, che in occasione della VIII Giornata mondiale dei Poveri ha deciso di offrire un segno tangibile.
“In tutto il Paese – dichiara Paola Da Ros, Presidente della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV – si moltiplicano le iniziative a favore dei bisognosi: raccolte di alimenti, pranzi ed altre attività da svolgere insieme come le visite ai musei o la partecipazione a spettacoli teatrali. Quest’anno, insieme agli altri membri della Famiglia Vincenziana Italia consegneremo 1.300 zaini contenenti prodotti per la cura e l’igiene personale ed altri generi di conforto alle persone che parteciperanno al pranzo con Papa Francesco in Vaticano domenica 17 novembre”.
Un dono che rappresenta un’opportunità per farsi prossimi all’umanità ferita. Un beneficio tangibile che viene rinnovato, giorno dopo giorno, attraverso la vicinanza di oltre 11.300 soci e volontari che, in tutta Italia, supportano 30.000 famiglie – più di 100.000 persone -. Questo aiuto va oltre l’assistenza materiale, perché i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli incontrano i più fragili visitandoli nelle loro case, negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strade e perfino nelle carceri. Portano loro un pacco viveri o un sostegno economico che non è il fine dell’incontro, ma solo un mezzo per instaurare una relazione duratura nel tempo.
Perché il vincenziano rappresenta, per chi gli si affida, un punto di riferimento, un confidente, un amico, una guida saggia e non soltanto una persona che eroga servizi. Così il volontario, coinvolgendo le famiglie in un percorso di crescita personale, diventa anche stimolo a migliorarsi e cercare di acquisire nuove competenze da spendere nel mondo del lavoro, ad adottare stili di vita più consapevoli e a ritrovare il proprio posto nella società. “È un modo di aiutare – prosegue la Presidente Da Ros – che non si limita a risolvere una criticità immediata, ma produce cambiamenti e risultati che si mantengono nel tempo”.
Comunione, condivisione, reciprocità, solidarietà sono le parole del corpo semantico Carità che ben racchiude il significato della Giornata mondiale dei poveri. Ogni gesto quotidiano teso verso gli ultimi è un segno di reciproca Carità che eleva non solo l’indigente ma anche chi accoglie la sofferenza dell’altro e tende la mano per condividerla.
Uno scambio che consente di vedere “nei volti e nelle storie dei poveri che incontriamo nelle nostre giornate” (Papa Francesco nel messaggio per l’VIII Giornata mondiale dei poveri) un momento unico e propizio per stare accanto a chi è nel bisogno ed aiutarlo ad elevarsi dalla condizione di povertà, proprio come raccomandava il fondatore della Società di San Vincenzo De Paoli, il beato Federico Ozanam: «L’assistenza umilia quando si preoccupa soltanto di garantire le necessità terrene dell’uomo, ma onora quando unisce al pane che nutre, la visita che consola, il consiglio che illumina, la stretta di mano che ravviva il coraggio abbattuto, quando tratta il povero con rispetto» (da “l’assistenza che umilia e quella che onora”, L’Ere Nouvelle, 1848).
“La Giornata Mondiale dei Poveri è per tutta la Chiesa un’opportunità per prendere coscienza della presenza dei poveri nelle nostre città e comunità, e per comprendere le loro necessità”, afferma Padre Valerio Di Trapani CM, Visitatore della Provincia d’Italia dei Padri della Missione. Il 17 novembre 2024 ogni uomo è chiamato a vivere un momento di riflessione attorno al tema “La preghiera del povero sale fino a Dio” (cfr Sir 21,5) con cui il Papa ha voluto ribadire che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, che è attento e vicino a ognuno di loro.
Per la Società di San Vincenzo De Paoli questo rappresenta la quotidianità: “Accanto ai vincenziani che svolgono la visita a domicilio – conclude la Presidente Paola Da Ros – da nord a sud, le nostre strutture si fanno carico delle sfide sociali più complesse: accoglienza temporanea, condomini, negozi ed empori solidali, mense, dormitori, ambulatori, borse lavoro, laboratori di cucito e cucina, centri per il doposcuola e altre iniziative di sostegno allo studio e persino una stireria solidale”.
La scuola cattolica nel cammino sinodale
‘Non si testimonia nulla stando in una posizione esterna, ma solo condividendo i luoghi in cui si può spezzare il pane della comune umanità’: inizia con questa citazione tratta dalle Linee guida per la fase sapienziale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia il documento che il Consiglio nazionale della scuola cattolica (Cnsc) ha inviato al Comitato del Cammino sinodale della Chiesa italiana quale contributo alla seconda fase del percorso sinodale, che riguarda il cammino ‘sapienziale’.
Per il Consiglio nazionale della scuola cattolica la scuola ha la missione della prossimità: “Per non pochi alunni e studenti che la frequentano, essa è l’unica o la principale occasione per entrare in contatto con la realtà ecclesiale. Molti, inoltre, sono gli alunni non cattolici che la scelgono. E’ dunque rilevante l’apporto che può offrire alla costruzione di una Chiesa che si presenti e sia percepita come inclusiva, propositiva, responsabile, testimone di verità”.
Ciò avviene attraverso le relazioni, che si instaurano con la testimonianza: “Essendo vicina al compito educativo dei genitori che l’hanno scelta per i propri figli, la scuola cattolica manifesta particolare prossimità alle loro domande e condizioni di vita. Oltre a educare i ragazzi in un ambiente e una cultura ispirati ai valori evangelici, la scuola cattolica può essere testimone degli stessi valori nei confronti degli adulti, delle altre istituzioni formative del territorio, del mondo culturale e sociale.
La scelta della prossimità deve manifestarsi soprattutto nei confronti delle famiglie, oggi sempre più in crisi, offrendo loro un riferimento e un sostegno solido per l’educazione dei loro figli. La dimensione comunitaria della scuola deve realizzarsi non solo tra gli alunni e tra questi e i docenti ma soprattutto tra l’intera scuola e ciascuna famiglia: intercettare i problemi, offrire aiuto, accompagnare nelle scelte educative”.
E’ ‘dovere’ della scuola confrontarsi con il mondo: “Nell’attuale fase storica e culturale, si impongono in particolare alcune sfide, in diverse direzioni. Sul piano culturale vanno superati i pregiudizi provenienti da una visione riduttiva di laicità, intesa come esclusione della dimensione religiosa dalla sfera pubblica. Sul piano pedagogico, vi sono ancora importanti passi da fare per una reale centralità della persona nei processi di apprendimento, per la promozione di comunità educative che superino anacronistici individualismi e frammentazioni, per il riconoscimento e la formazione dei genitori e degli insegnanti, così come per la consapevolezza della valenza educativa diffusa in molti ambiti della vita sociale, quali il mondo del lavoro e dell’economia, della comunicazione e delle tecnologie digitali, della salute, dello sport, della politica, dello spettacolo, del tempo libero e del turismo, della custodia dell’ambiente naturale”.
Per questo è necessario che anche la scuola cattolica, pur nelle difficoltà economiche, scopra la necessità del cambiamento per essere al passo con i ‘tempi’: “In questi anni, in mezzo a mille difficoltà, si registrano numerose azioni virtuose, quali: l’ottimizzazione delle risorse che deriva dal lavoro in rete con altre scuole; il maggior coinvolgimento dei laici presenti nella scuola; l’utilizzo dei locali per attività extracurricolari o extrascolastiche; la ristrutturazione dell’offerta formativa; il dialogo con altre scuole cattoliche per studiare forme di collaborazione, se non addirittura di fusione; la possibilità di trasferire la gestione ad altri enti che ne garantiscano l’ispirazione cristiana”.
Però è necessario che ci sia la consapevolezza del bisogno della scuola cattolica: “Tuttavia, ciò non è sufficiente e non può sostituire la responsabilità di tutta la comunità ecclesiale per la diffusione e il consolidamento di una “cultura della parità” e la richiesta di strumenti (anche legislativi ed economici) che consentano ad ogni famiglia e ad ogni persona un’effettiva libertà di scelta educativa, diritto riconosciuto dalla Costituzione italiana e valore affermato con chiarezza dalla Dottrina sociale della Chiesa.
La parità scolastica, infatti, è enunciata formalmente ma non accompagnata da un sostegno capace di renderla effettiva. Lo stesso vale per il sistema dell’Istruzione e formazione professionale, che risulta ancora disomogeneo quanto alla sua distribuzione territoriale e precario nelle risorse”.
Papa Francesco: Mama Antula è stata prossima a chi soffre
“Si celebra oggi, nella memoria della Beata Vergine di Lourdes, la Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno richiama l’attenzione sull’importanza delle relazioni nella malattia. La prima cosa di cui abbiamo bisogno quando siamo malati è la vicinanza delle persone care, degli operatori sanitari e, nel cuore, la vicinanza di Dio. Siamo tutti chiamati a farci prossimo a chi soffre, a visitare i malati, come ci insegna Gesù nel Vangelo. Per questo oggi voglio esprimere a tutte le persone ammalate o più fragili la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza”.
Papa Francesco chiede un’informazione coraggiosa
A 10 anni dal precedente incontro oggi papa Francesco ha incontrato i dirigenti e dipendenti di TV2000 e del circuito inBlu2000 in occasione del 25^ anniversario della nascita delle due realtà, ricordando che in questi anni il panorama ‘mediatico’ è molto cambiato:
“L’innovazione tecnologica ha trasformato le modalità di produzione dei contenuti, così come la loro fruizione; e ora l’intelligenza artificiale ‘sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcune basi della convivenza civile’. In questo vortice, che pare trascinare non solo gli operatori del settore ma un po’ tutti noi, ci sono tuttavia alcuni principi che restano fissi, come stelle alle quali guardare per orientarsi e non smarrire la rotta”.
In compenso avere bene in mente una ‘direzione’ precisa, in quanto appartenenti alla Cei, non è un limite: “Questo non è un limite, anzi è espressione di una grande libertà, perché ricorda che la comunicazione e l’informazione hanno sempre le radici nell’umano. Ed ancora, sottolinea l’importanza di incarnare la fede nella cultura, in particolare attraverso la testimonianza, narrando storie in cui il buio che è intorno a noi non spenga il lume della speranza. E’ fondamentale ricordare e vivere questa appartenenza. Per questo vorrei indicarvi tre parole per proseguire sulla strada del vostro lavoro”.
Anche in quest’occasione il papa ha consegnato tre parole chiave, iniziando dalla prossimità: “Ogni giorno (tramite la televisione o la radio) vi fate vicini a tante persone, che trovano in voi degli amici da cui ricevere informazioni, con cui trascorrere piacevolmente del tempo, o andare alla scoperta di realtà, esperienze e luoghi nuovi. E questa prossimità si estende anche ai territori e alle periferie dove la gente abita”.
Per il papa la prossimità è una ‘qualità’ di Dio, che diventa incoraggiamento: “A me piace pensare che la prossimità è una delle qualità di Dio che si è fatto prossimo a noi. Sono tre le cose che fanno vedere Dio: la prossimità: si fa prossimo; la tenerezza: Dio è tenero; la compassione: sempre perdona. Non dimenticatevi questo: prossimità, compassione e tenerezza. Vi incoraggio a continuare a creare reti, a tessere legami, a raccontare il bello e il buono delle nostre comunità, con prossimità, a rendere protagonisti quanti solitamente finiscono a fare le comparse o non vengono nemmeno presi in considerazione”.
E’ un invito ad andare ‘controcorrente’: “La comunicazione rischia di appiattirsi su alcune logiche dominanti, di piegarsi al potere o addirittura di costruire fake news. Non cadete nella tentazione di allinearvi, andate controcorrente, sempre consumando le suole delle scarpe e incontrando la gente. Solo così potete essere ‘autentici per vocazione’, come dice un vostro slogan. E non dimenticate mai quanti sono ai margini, le persone povere, le persone sole e, più brutto ancora, le persone scartate”.
Ed attraverso la vicinanza si arriva al cuore: “Potrebbe sembrare fuori luogo accostare il cuore al mondo tecnologico, come è ormai quello della comunicazione, invece tutto nasce da lì. Non si può osservare un fatto, non si può intervistare qualcuno, non si può raccontare qualcosa se non a partire dal cuore”.
Per questo la comunicazione è un’arte, che nasce dal cuore e diventa carità: “Infatti, il comunicare non si risolve nella trasmissione di una teoria o nell’esecuzione di una tecnica, ma è un’arte che ha al centro la ‘capacità del cuore che rende possibile la prossimità’. Ciò permette di fare spazio all’altro (restringendo un po’ quello dell’io), di liberarci dalle catene dei pregiudizi, di dire la verità senza separarla dalla carità. Mai separare i fatti dal cuore!”
Tale comunicazione rende coraggiosi di essere ‘alternativi’, in quanto tutto dipende dal cuore: “E poi, avere coraggio. Non è un caso che ‘coraggio’ derivi da cor. Chi ha cuore ha anche il coraggio di essere alternativo, senza però diventare polemico o aggressivo; di essere credibile, senza avere la pretesa di imporre il proprio punto di vista; di essere costruttore di ponti. E questo è molto importante: un comunicatore possiamo pensarlo come un ponte, perché il comunicatore necessariamente è un costruttore di ponti”.
Infine dal cuore dipende anche la responsabilità per informare bene: “Ognuno deve fare la propria parte per assicurare che ogni forma di comunicazione sia obiettiva, rispettosa della dignità umana e attenta al bene comune. In questo modo, potremo ricucire le fratture, trasformare l’indifferenza in accoglienza e relazione.
Il vostro è uno di quei mestieri che hanno il carattere della vocazione: siete chiamati a essere messaggeri che informano con rispetto, con competenza, contrastando divisioni e discordie. E sempre ricordando che al centro di ogni servizio, di ogni articolo, di ogni programma c’è la persona: non dimenticare questo. E’ proprio ciò che dà senso alla comunicazione”.
Mentre ricevendo i membri del Real Club de Real Barcelona papa Francesco si è congratulato con Sinner che ha vinto in Australia, sottolineando che il tennis implica un dialogo: “Sembrerebbe che la sfida tra giocatori abbia a che vedere soprattutto con il desiderio di prevalere sull’avversario. Tuttavia, guardando alla storia del vostro club, si può osservare che in realtà, fin dalla sua origine inglese, è espressione dell’apertura dei fondatori a ciò che di buono poteva venire dall’esterno e a un dialogo con altre culture, che ha permesso loro di dar vita a nuove realtà…
Nel tennis, come nella vita, non possiamo vincere sempre, ma sarà una sfida che arricchisce se, giocando in modo educato e secondo le regole, impareremo che non è una lotta ma un dialogo che implica il nostro sforzo e ci consente di migliorarci. Concepire un po’ lo sport non solo come una lotta, ma anche come dialogo. Si instaura un dialogo che, nel caso del tennis, molte volte riesce a diventare artistico”.
E’ un invito a prendersi cura dello sviluppo dei bambini: “E lo sport deve aiutare questo sviluppo, non essere il centro, ma aiutare questo. Perciò vi chiedo: prendetevi cura dei bambini, prendetevi cura di quanti possono beneficiare dei valori dello sport in ambiti sociali complessi, e anche di quanti potrebbero avere successo in competizioni di alto livello. Che non smettano di essere bambini!”
(Foto: Santa Sede)
Mons. Sigalini: quale Chiesa per le aree interne?
“Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie. Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia”.
Dalla diocesi di Aosta un invito alla missione
Nelle scorse settimane il vescovo di Aosta, mons. Franco Lovignana, ha presentato la Lettera pastorale dal titolo ‘Gesù camminava con loro’, che ha come icona evangelica il passo evangelico di Luca dedicato ai discepoli di Emmaus, scelto anche dalla Conferenza episcopale italiana per le Linee guida della seconda fase del percorso sinodale, e, come recita il sottotitolo, vuole sviluppare un duplice cammino di conversione episcopale: ‘percorso sinodale e avvio delle unità parrocchiali’.
Il buon Samaritano: presenza dei cattolici nei new media
‘Verso una piena presenza’ è il titolo del documento del Dicastero per la Comunicazione pubblicato lunedì 29 maggio, che si propone di promuovere una riflessione comune sul coinvolgimento dei cristiani con i social media, che sono diventati sempre più parte della vita delle persone, che è ispirato alla parabola del Buon Samaritano, e intende avviare una riflessione condivisa per promuovere una cultura dell’essere ‘prossimo amorevole’ anche nella sfera digitale,firmato dal prefetto, Paolo Ruffini, e dal segretario, mons. Lucio Adrian Ruiz.
Papa Francesco invita a fare rete per la cura del prossimo
In occasione della Giornata mondiale del Malato, che si celebra oggi, nei giorni scorsi papa Francesco ha ricevuto in udienza una delegazione di esponenti dell’Area Medica dell’Ufficio di Pastorale Sanitaria della diocesi di Roma, richiamando la figura evangelica del ‘buon samaritano’, al centro del suo messaggio, che invita ad avere cura:
Da Perugia mons. Maffeis lancia l’invito ad investire nella cultura della pace
Secondo il racconto di san Gregorio Magno nei Dialoghi, Ercolano morì martire tentando di impedire a Totila, re degli Ostrogoti, l’invasione della città di Perugia. Prima che la città fosse presa, Ercolano tentò di salvarla con uno stratagemma: gettò dalle mura un bue pieno di frumento, per far credere agli Ostrogoti che i perugini avessero cibo in abbondanza per sostenere ancora un lungo assedio.