Mons. Trevisi mostra ai giovani san Giusto come modello

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“San Giusto lo penso come un giovane, che ha dato la vita, che è stato legato a grosse pietre ma che è vivo”: lo ha detto il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, nella solenne celebrazione in cattedrale del patrono di Trieste, san Giusto, concelebrata anche dall’arcivescovo emerito, mons. Giampaolo Crepaldi, ringraziando i fedeli per l’accompagnamento di questi primi mesi: “A tutti dico grazie per come mi state accompagnando in questi miei primi passi e a tutti chiedo scusa per i miei limiti e la mia inesperienza”.

E presentando il martire triestino come un giovane che ha ‘dato’ la vita, ha chiesto quale società si offre loro: “Mentre l’Europa (UE27) spende in istruzione mediamente il 4,8% del PIL, e paesi come la Svezia, la Danimarca e il Belgio superano abbondantemente il 6,2% del PIL, in Italia la spesa in istruzione si attesta al 4,1% del PIL.

Sarebbe bella una società nella quale si investe sui giovani, si crede nei giovani. Non li si giudica, ma semmai insieme a loro ci si appassiona per cose belle e impegnative: il lavoro in una sostenibilità integrale, la giustizia e la pace tra i popoli, la famiglia come luogo stabile di affetti e relazioni di qualità, l’attenzione ai poveri che sempre più ci circondano…

Sappiamo essere appassionati a cose grandi? O proponiamo una cultura del benessere individuale che rinchiude ciascuno su se stesso, intristito dall’invidia per quelli che altri hanno, demotivato di fronte alle proprie fragilità in una lotta continua a prevalere gli uni sugli altri. In perenne campagna elettorale, in perenne competizione gli uni sugli altri, in perenne paura gli uni degli altri. Possiamo essere diversi? Si lo possiamo e san Giusto ci insegna”.

Il patrono cittadino insegna che è possibile ‘dare la vita’ per Qualcuno: “San Giusto martire ci insegna che c’è qualcosa-qualcuno per cui dare la vita. In un tempo di relativismo imperante, di individualismo pandemico, di nichilismo contagioso e strisciante non c’è nulla che meriti il mio sacrificio, la mia vita, il mio impegno.

I genitori sono frastornati e faticano a dare motivazioni che appassionino, la scuola laica e pluralista vuole restare equidistante, nella Chiesa rischiamo un clima da fortino assediato che ci rinchiude in retroguardia…

San Giusto ci mostra che Gesù Cristo è colui che ci dice il valore della nostra vita, il senso autentico per cui vivere, che è un rischiare l’amore fino a spendersi in modo eccedente, gratuito, appassionato, senza tirarsi indietro. Fino al martirio consapevoli che c’è un infinito a cui protendersi, di cui essere segno.

Ma ti protendi all’infinito se credi in un amore infinito che già ti raggiunge. Quello di Dio per te…  San Giusto ci insegna che c’è qualcuno a cui consacrare la vita, e renderla luminosa, piena di senso, piena di amore, ricevuto e ricambiato”.

Ed ecco la possibilità di vivere i ‘grandi ideali’: “Il giovane san Giusto ci insegna che invece possiamo trovare grandi ragioni per spendere la vita. Gesù illumina il tuo essere padre e madre, lavoratore e lavoratrice, giovane e anziano. Se non ti accende Lui il cuore, rischi di restare in balia di quel nichilismo per cui niente merita il tuo impegno: non resta che il tuo ego esasperato e vulnerabile. O al massimo la tua ira per come va il mondo che brucia di guerre e di ingiustizie”.

Il martire crede nella speranza; “Il martire non è un kamikaze (uno che muore uccidendo), ma uno che muore amando e sapendosi amato. San Giusto crede che le corde e le pietre che lo portano a fondo non sono la vittoria. Non si cade nella disperazione.

San Giusto crede in un amore che vince anche nel paradosso del nostro fallimento (le corde e le pietre che ci portano a fondo nel mare). San Giusto, per la sua fede, continua a guardare il mare come infinito orizzonte di speranza”.

Per questo ha invitato i cittadini a riconoscere san Giusto nella vita quotidiana: “Ci sono giovani che, pur frastornati e tentati, stanno provando a rischiare la vita per ragioni grandi, per un mondo diverso, per una giustizia e una pace che siano segno di Cristo e non mediazioni al ribasso. Ci accorgiamo di quelli che con passione si impegnano nelle nostre Università, nel soccorrere i poveri, nel fare volontariato internazionale, in un’autentica formazione integrale di sé, dove si coniuga spiritualità, intelligenza e carità? 

Ci sono uomini e donne che pur nell’inverno demografico rischiano e spesso in una cultura che esalta solo l’egoismo si spendono nella gioia per i propri figli. Ci sono malati che restano dentro la vita impegnati ad amare e sorreggere..

Io ringrazio Dio perché San Giusto è vivo in mezzo a noi e prende le sembianze di tanti che, anche pagando il prezzo dell’incomprensione, si stanno spendendo coraggiosamente nell’amore, guardando l’orizzonte infinito del nostro mare, l’orizzonte infinito dell’amore di Dio ricevuto”.

Mentre domenica scorsa più di 1500 persone hanno accolto l’invito del Vescovo, del Rabbino e del Presidente della comunità islamica, assieme ai rappresentanti delle Chiese cristiane e confessioni religiose presenti a Trieste, per un momento di preghiera silenziosa, per gridare nel silenzio il dolore di tanti uomini e donne che piangono per le immani violenze che stanno insanguinando i popoli.

Ad introdurre i 15 minuti di raccoglimento orante sono state le parole del Vescovo che ha dato lettura del messaggio congiunto firmato da rav Eliahu Alexandre Meloni, rabbino capo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, Omar Akram, presidente della Comunità Islamica di Trieste:

“La guerra e la sofferenza e la morte di tanti uomini, donne e bambini ci lasciano sgomenti. Dio non vuole né questa, né nessuna guerra. Oggi noi nel nome dell’unico Dio ci siamo riuniti per chiedere che venga permesso il ricongiungimento delle famiglie, che cessi la violenza delle armi che con umanità ci si prenda cura della popolazione civile che si riprenda il dialogo.

Noi qui riuniti vogliamo essere un segno che ci si può parlare rispettandosi e accogliendosi nella diversità di ognuno, e così chiediamo il pieno rispetto di tutti, di ogni persona, perché tutti abbiamo la stessa dignità davanti a Dio Creatore. Dio ascolta il grido di chi piange. Dio chiede a tutti il coraggio di fare un passo per cercare di comprendere il dolore dell’altro che abbiamo di fronte”.

San Giusto, originario di Trieste, visse durante il periodo dell’Impero Romano nel III secolo d.C. In un’epoca in cui il Cristianesimo era perseguitato dall’Impero Romano, san Giusto non esitò a professare la sua fede. Il martirio di San Giusto rappresenta un punto culminante nella sua vita. Le autorità romane, indignate dalla sua aperta confessione cristiana e dal suo sforzo di diffondere la fede cristiana, decisero di metterlo alla prova.

Gli venne chiesto di adorare gli dèi romani e di rinunciare al suo Cristianesimo, ma egli rifiutò con fermezza. Fu sottoposto a flagellazione ed i carnefici cercarono di costringerlo ad abiurare la sua fede. Tuttavia, nonostante le sofferenze inflitte su di lui, san Giusto mantenne la sua lealtà a Cristo e la sua fede inalterata.

Mentre era legato a un palo e stava subendo atroci tormenti, un’immensa colonna di fuoco si alzò intorno a lui. Questo miracolo scosse profondamente coloro che assistettero all’esecuzione, portando alcuni di loro alla conversione al Cristianesimo.

(Foto: diocesi di Trieste)

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