Papa Francesco: la compassione è l’impronta di Dio

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Ieri sera papa Francesco in piazza san Pietro ha presieduto un momento di preghiera per i migranti con i padri sinodali, incentrando la riflessione sulla parabola del ‘Buon Samaritano’, che è la parola chiave dell’enciclica ‘Fratelli tutti’, ed invocando un’azione decisa contro i criminali che speculano sui viaggi dei migranti, davanti alla scultura ‘Angels Unawares’:

“La strada che da Gerusalemme portava a Gerico non era un cammino sicuro, come oggi non lo sono le numerose rotte migratorie che attraversano deserti, foreste, fiumi, mari. Quanti fratelli e sorelle oggi si ritrovano nella medesima condizione del viandante della parabola? Tanti! Quanti vengono derubati, spogliati e percossi lungo la strada? Partono ingannati da trafficanti senza scrupoli.

Vengono poi venduti come merce di scambio. Vengono sequestrati, imprigionati, sfruttati e resi schiavi. Vengono umiliati, torturati, violentati. E tanti, tanti muoiono senza arrivare mai alla meta. Le rotte migratorie del nostro tempo sono popolate da uomini e donne feriti e lasciati mezzi morti, da fratelli e sorelle il cui dolore grida al cospetto di Dio. Spesso sono persone che scappano dalla guerra e dal terrorismo, come vediamo purtroppo in questi giorni”.

Il vangelo pone davanti a ciascuno la necessità della compassione: “Dice che vide quell’uomo ferito e ne ebbe compassione. Questa è la chiave. La compassione è l’impronta di Dio nel nostro cuore. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza: questo è lo stile di Dio. E la compassione è impronta di Dio nel nostro cuore”.

La compassione consente una diversa visione del mondo: “Questa è la chiave. Qui c’è la svolta. Infatti da quel momento la vita di quel ferito comincia a risollevarsi, grazie a quell’estraneo che si è comportato da fratello. E così il frutto non è solo una buona azione di assistenza, il frutto è la fraternità.

Come il buon samaritano, siamo chiamati a farci prossimi di tutti i viandanti di oggi, per salvare le loro vite, curare le loro ferite, lenire il loro dolore. Per molti, purtroppo, è troppo tardi e non ci resta che piangere sulle loro tombe, se ne hanno una, o il Mediterraneo è finito per essere la tomba. Ma il Signore conosce il volto di ciascuno, e non lo dimentica”.

La parabola del buon Samaritano insegna la responsabilità: “Il buon samaritano non si limita a soccorrere il povero viandante sulla strada. Lo carica sul suo giumento, lo porta a una locanda e si prende cura di lui. Qui possiamo trovare il senso dei quattro verbi che riassumono la nostra azione con i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.

E’ stato un invito a prepararsi alle sfide che la migrazione pone: “I migranti vanno accolti, protetti, promossi e integrati. Si tratta di una responsabilità a lungo termine, infatti il buon samaritano si impegna sia all’andata sia al ritorno. Per questo è importante prepararci adeguatamente alle sfide delle migrazioni odierne, comprendendone sì le criticità, ma anche le opportunità che esse offrono, in vista della crescita di società più inclusive, più belle, più pacifiche”.

Ed ecco la richiesta di rendere sicura la strada dai ‘briganti’: “Dobbiamo tutti impegnarci a rendere più sicura la strada, affinché i viandanti di oggi non cadano vittime dei briganti. E’ necessario moltiplicare gli sforzi per combattere le reti criminali, che speculano sui sogni dei migranti. Ma è altrettanto necessario indicare strade più sicure. Per questo, bisogna impegnarsi ad ampliare i canali migratori regolari.

Nello scenario mondiale attuale è evidente come sia necessario mettere in dialogo le politiche demografiche ed economiche con quelle migratorie a beneficio di tutte le persone coinvolte, senza mai dimenticarci di mettere al centro i più vulnerabili.

E’ anche necessario promuovere un approccio comune e corresponsabile al governo dei flussi migratori, che sembrano destinati ad aumentare nei prossimi anni. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: questo è il lavoro che noi dobbiamo fare”.

Durante il briefing in Sala Stampa vaticana il card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, aveva fatto riferimento alla preghiera davanti alla scultura Angels Unawares:

“L’assemblea sinodale che sta apprendendo come camminare insieme come Chiesa, avrà la possibilità di rendere visibile in modo simbolico ‘questo cammino’ compiuto insieme con alcune delle persone più vulnerabili della Terra, soprattutto quante sono in fuga, o sono obbligate ad allontanarsi dalla propria patria, ovvero «coloro che noi chiamiamo migranti e rifugiati”.

Mons. Daniel Ernest Flores, presidente delegato dell’Assemblea e membro della Commissione preparatoria, vescovo di Brownsville, in Texas, la più grande diocesi degli Stati Uniti d’America al confine con il Messico, ha raccontato che negli ultimi anni sono aumentate le persone che dall’America latina raggiungono gli Stati Uniti d’America attraversando il territorio di Brownsville:

“Ma la risposta dei fedeli non è mai mancata: in tanti si sono fatti avanti (dai ristoratori agli infermieri)  per creare soluzioni di assistenza e di aiuto: non abbiamo grandi risorse materiali ma sappiamo cos’è la povertà e siamo generosi”.

P. Khalil Alwan (segretario generale del Consiglio dei Patriarchi cattolici d’Oriente e docente all’Università libanese a Beirut) ha raccontato la situazione dei profughi siriani in Libano: “Dal 2011, quando sono giunti qui, vivono in condizioni disumane, ammassati in gran numero in campi al limite della capienza perché la comunità internazionale impone al Libano di trattenerli sul proprio territorio impedendo loro di dirigersi in Europa.

In tali aree vivono più di 2.000.000 di persone, con molte nascite registrate in questi anni. Con la sua popolazione di cinque milioni di abitanti, il Libano è nel mondo il Paese con la più alta percentuale di rifugiati. Diversi aiuti umanitari cercano di alleviare la drammatica situazione, ma occorrerebbe permettere ai rifugiati di andare in un luogo più rispettoso della dignità umana.

I cittadini libanesi sono sempre più poveri. Ciò provoca grande rabbia in loro: ritengono la questione umanitaria un pretesto per far rimanere i profughi nel Libano, costretto ad essere Paese d’asilo politico.

Molte voci si sono levate, chiedendo di far partire i siriani verso l’Europa. Siamo di fronte a una tragedia umana e noi stasera pregheremo affinché le potenze del mondo operino per mettervi fine e perché i siriani possano un giorno tornare nel loro Paese e nella loro cultura”.

Anche mons. Dabula Anthony Mpako, arcivescovo di Pretoria, vice presidente della Conferenza episcopale del Sud Africa, ha tracciato un quadro della situazione dei migranti e rifugiati: “Ospitiamo ufficialmente 2.900.000 migranti: in realtà sono molti di più, e la causa principale della loro presenza in Sud Africa è la povertà: la maggior parte sono rifugiati economici…

Abbiamo un ministero per la cura dei migranti e dei rifugiati, cercando di aiutarli anche nelle esigenze pratiche come fornire cibo, vestiario e assistenza sanitaria, seguendo anche  le pratiche per l’ottenimento di status di rifugiati…

Spesso sono cattolici che vogliono continuare a praticare la loro fede. Spesso si trovano isolati nella loro diaspora. Cerchiamo di fare in modo che si integrino nella realtà cattolica locale, anche coinvolgendo sacerdoti che vengono dai Paesi di provenienza dei migranti”.

(Foto: Santa Sede)

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