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Dalla Calabria i ‘Panettoni della speranza’

A Reggio Calabria tutti lo conoscono. Padre Thao, giovane missionario scalabriniano, venuto dalle risaie del sud Vietnam, vive da 4 anni in questa città. Unico vietnamita a Reggio Calabria. Dolce, un sorriso che vi conquista, una disponibilità a tutta prova, lavora in prima linea per i migranti. Dirige il ‘Centro di Accoglienza Scalabrini’ a due passi dalla cattedrale.

Alla domenica, celebra l’eucarestia nella nostra chiesa di sant’Agostino, dove con il suo bell’accento orientale si è accattivato la simpatia dei fedeli del quartiere. Padre Thao è il loro idolo. Ma durante la settimana combatte una battaglia intensa e impegnativa.

Sì, al Centro Migranti, dove giovani, mamme e bambini vanno e vengono in continuazione… provenienti dal Marocco, dalla Georgia, dal Pakistan, dai Paesi africani. Il suo impegno è sostenere, coordinare e intervenire nelle varie attività del Centro. Esse sono l’accoglienza, l’alfabetizzazione, l’assistenza amministrativa e legale, gli alimentari, i farmaci, il sostegno scolastico… insomma, un’attività a 360⁰ in favore dei migranti, qui, all’estremità della nostra lunga Italia, nel territorio di Reggio Calabria. Sì, di fronte all’Africa.

Per Natale, padre Thao vi presenta un piccolo progetto originale per il nostro Centro. Quello di poter offrire 400 super-panettoni con dei generi alimentari a tutti i migranti che passeranno nel periodo natalizio… Li abbiamo chiamati ‘panettoni della speranza’. E’ un gesto semplice, ma un grande dono per umanizzare una vita difficile, amara, di tante persone qui in emigrazione… proprio in quel periodo magico, che ci parla apertamente – in nome di Dio – di fraternità. ‘Un panettone della speranza’, in tempo di Giubileo. Sarà per voi, in fondo, come deporlo alla grotta di Betlemme per i pastori. E sarà Natale.

Se desiderate dare una mano al nostro Centro Migranti a Reggio Calabria o al suo progetto ‘Panettoni della speranza’: IBAN IT69F3608105138258674058684 intestato a Thao Nguyen Thanh. Il Bambino di Betlemme vi sorrida e vi ricompensi!

Per Fondazione Migrantes i giovani migranti sono testimoni di speranza

I giovani di origine straniera, nati o cresciuti in Italia, sono i protagonisti silenziosi della trasformazione dell’Italia; quindi non solo destinatari di interventi, ma generatori di speranza, portatori di identità plurali e di un futuro da costruire insieme, come ha sintetizzato il messaggio  della XXXIV edizione del ‘Rapporto Immigrazione’, realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza’, presentato nelle settimane scorse da mons. Carlo Redaelli (presidente di Caritas Italiana), Manuela De Marco (membro dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana), Simone Varisco (storico e ricercatore della Fondazione Migrantes), Maurizio Ambrosini (docente di Sociologia dei processi economici all’università Statale di Milano), Noura Ghazoui (presidente di ‘Conngi’ – Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiani), Rosanna Rabuano (responsabile del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno), Alberto Caldana (vice presidente del Festival della migrazione di Modena), mons. Pierpaolo Felicolo (direttore della Fondazione Migrantes).

Quest’anno il Rapporto pone al centro i giovani con background migratorio, che rappresentano una risorsa vitale per la società italiana. Molti di loro affrontano difficoltà nel riconoscimento e nella partecipazione, ma la loro esperienza è una narrazione vivente di speranza e cambiamento: nel 2024 gli occupati in Italia sono 24.000.000, di cui oltre 2.500.000 stranieri (10,5%) e crescono i rapporti di lavoro attivati con cittadini stranieri (+5,8% in un anno), ma persistono disuguaglianze e sfruttamento, soprattutto nel settore agricolo e in quello dei servizi.

Sul fronte economico, mentre l’incidenza della povertà tra i cittadini italiani si attesta al 7,4%, tra gli stranieri raggiunge il 35,1% (sono 1.727.000 i cittadini stranieri in condizione di povertà assoluta), come ha sottolineato mons. Carlo Redaelli, arcivescovo metropolita di Gorizia e presidente di Caritas Italiana: “Investire in strategie di inclusione e in percorsi legali non è un favore, ma un atto di responsabilità verso il futuro delle nostre comunità e di quelle che arrivano: si può e si deve fare meglio di quanto fatto finora”.

Ad uno dei coordinatori di questo rapporto, Simone Varisco, abbiamo chiesto il motivo per cui il  rapporto sull’immigrazione di quest’anno è intitolato ‘Giovani, testimoni di speranza’: “Il titolo dell’edizione 2025 del Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes vuole richiamare il fatto che i giovani con background migratorio, di origine straniera, rappresentano generazioni ‘ponte’: nascono o crescono in Italia, praticano la lingua e la cultura italiane, frequentano la scuola, fanno sport e attivismo politico e contribuiscono a costruire il futuro del Paese. Sono ‘testimoni di speranza’ perché mostrano che la partecipazione non è un’utopia, ma una realtà già in atto da tempo, fatta di amicizie, studio, lavoro e cittadinanza. E poi è l’anno del Giubileo dedicato alla speranza, che non delude”.

Organi di stampa hanno scritto di ‘invasione’: quanto c’è di vero? 

“Subiamo molteplici forme di ‘colonizzazione ideologica’, come le definiva papa Francesco, ma non è il caso dell’immigrazione. I cittadini stranieri residenti in Italia sono circa 5.500.000, meno del 10% della popolazione complessiva. I numeri sono pressoché costanti da una decina di anni, anche in virtù delle acquisizioni di cittadinanza. Inoltre, molti arrivi sono temporanei o stagionali.

Si tratta di una presenza certo significativa, ma non sproporzionata rispetto a quella di altri Paesi europei e molto inferiore a quella che caratterizza contesti ben più complessi in Medio Oriente, Asia e Africa. Più che un’invasione, è un fenomeno strutturale e governabile, che richiede politiche serie e non slogan”.

Ma gli immigranti sono veramente una ‘risorsa’ per l’Italia? 

“Se anche volessimo limitarci al solo piano economico, l’apporto dei contribuenti stranieri alle casse pubbliche nel 2023 è di € 41.100.000.000 di entrate (contributi sociali netti, tasse, IVA, consumi, spese burocratiche), contro € 39.900.000.000 di uscite: vale a dire un saldo positivo di € 1.200.000.000. Gli occupati stranieri generano € 177.200.000.000 di valore aggiunto, pari al 9% del Pil nazionale. Sono fondamentali in settori quali l’agricoltura, l’edilizia, l’assistenza familiare e la sanità. Inoltre, l’imprenditoria straniera è in crescita. Ci sono poi i contributi che vengono sul piano demografico e strutturale: nascite, giovani, la presenza nelle scuole. Non dimentichiamo, però, che accanto agli apporti più ‘materiali’ è importante ricordare il valore immateriale – ma concreto – della presenza di persone di origine straniera in Italia sul piano umano, culturale, non da ultimo anche spirituale: sono quasi un milione gli stranieri che stimiamo essere cattolici, che ridanno linfa a comunità locali spesso svigorite; insieme a ortodossi, evangelici, copti e appartenenti ad altre confessioni, i cristiani nel loro complesso sono ancora la maggioranza assoluta fra gli stranieri (51,7%)”.

Quali sono le strade da percorrere per l’integrazione? 

“La prima è chiarire, intanto, cosa si intenda per ‘integrazione’: se una semplice assimilazione oppure un’autentica partecipazione alla vita del Paese, con diritti e doveri. Solo quest’ultima è in grado di cogliere il valore aggiunto dell’immigrazione. Le strade per arrivarci sono molte: dall’istruzione, anche linguistica, al lavoro dignitoso, contrastando le forme di sfruttamento e valorizzando le competenze; dalla partecipazione civica e culturale, con percorsi di cittadinanza e il coinvolgimento nelle comunità locali, al dialogo interculturale e interreligioso”.

In quale modo è possibile sconfiggere l’immigrazione irregolare? 

“Alla prova dei fatti, muri e respingimenti si sono rivelati inefficaci. Gran parte dell’immigrazione irregolare è creata da iter burocratici complessi e talvolta schizofrenici, innescati da una legge quadro incongruente. Serve una politica lungimirante che garantisca canali legali di ingresso in Italia, accordi di cooperazione con i Paesi di origine e corridoi umanitari per chi fugge da guerre e persecuzioni. Così si toglierà spazio ai trafficanti e si offrirà sicurezza sia alle persone migranti sia alla società accogliente”.

Quale ruolo hanno lo sport e la scuola nella realizzazione dell’integrazione

“Entrambi sono laboratori di incontro, di partecipazione, di scambio e di convivenza. Ragazzi e ragazze imparano insieme, senza barriere, un linguaggio universale. Pur con le innegabili difficoltà di entrambi questi ambiti, si tratta di ‘mondi’ potenti per costruire rispetto reciproco e senso di appartenenza e cittadinanza”.

Papa Leone XIV al giubileo dei rom, sinti e camminanti ha lanciato l’invito ad essere protagonisti del cambiamento d’epoca: hanno il coraggio? 

“Il coraggio c’è, e si vede nelle tante storie di famiglie rom, sinti e camminanti che scelgono di investire nell’istruzione dei figli, nel lavoro regolare, nella partecipazione sociale. Non mancano, naturalmente, ombre, questioni irrisolte, devianza, prodotte anche dalla marginalità. Essere protagonisti del cambiamento significa uscire dai margini e contribuire al bene comune. Molti già lo stanno facendo, spesso in silenzio, e molto resta ancora da fare.

La Chiesa e la società civile hanno il compito di accompagnarli, e laddove necessario sostenerli, in questo cammino. Rimane una consapevolezza, che si fa auspicio: ‘Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al cento, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa, perché siete soli: nessuno è solo nella Chiesa’, come ebbe a dire nel 1965 Paolo VI al raduno internazionale dei popoli romaní a Pomezia”.

(Foto: Fondazione Migrantes)

Giubileo dei Movimenti Popolari: ce lo racconta don Mattia Ferrari

In questo fine settimana si sta svolgendo in Vaticano il quinto incontro dei Movimenti Popolari, seguito dal pellegrinaggio giubilare, come ha sottolineato il card. M. Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, riprendendo l’esortazione apostolica ‘Dilexi Te’; “I leader popolari sanno che solidarietà significa anche lottare contro le cause strutturali della povertà e della disuguaglianza; della mancanza di lavoro, di terra e di casa; e della negazione dei diritti sociali e lavorativi. Significa affrontare gli effetti distruttivi dell’impero del denaro… La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è ciò che stanno facendo i movimenti popolari”.

Il coordinatore della piattaforma EMMP (Encuentro Mundial de Movimientos Populares), don Mattia Ferrari, aveva sottolineato l’importanza dei movimenti popolari: “In questo momento storico aumentano le ingiustizie, si intensificano le violenze contro le persone migranti, si aggrava la dittatura di un’economia che uccide, si investe nell’economia di guerra, la crisi ecologica peggiora. I movimenti popolari e la Chiesa costituiscono la speranza di un altro mondo possibile, fondato non sull’individualismo ma sulla giustizia, sulla solidarietà e la fraternità. I movimenti popolari sono chiamati oggi soprattutto a promuovere le relazioni tra di loro, con gli altri attori sociali, e con le Chiese locali”.

Partiamo da queste indicazioni per comprendere da don Mattia Ferrari il motivo per cui i componenti dei movimenti popolari sono portatori di speranza?

“Con le loro vite e le loro storie i componenti dei movimenti popolari sono portatori di speranza che ci aiutano a riscoprire il significato della speranza, che non è mai un sogno individuale, ma è sempre comunitario, perché è il sogno della fraternità, il sogno delle relazioni”.

In quale modo essi possono stimolare all’accoglienza?

“Attraverso le relazioni. Ogni volta che ci relazioniamo con i migranti sentiamo nascere la solidarietà. Quindi ci salviamo attraverso le relazioni con loro?

Nella sua attività pastorale dove ha riscontrato la speranza?

“La speranza che nasce dal salvarsi insieme ed abbiamo il coraggio di aprire il cuore e di creare solidarietà”.

E’ diventato cappellano di bordo sulla nave della ong ‘Mediterranea Saving Humans’: per quale motivo si è sentito ‘salvato dai migranti’?

.” Cosa mi ha insegnato questa storia? Che se apriamo il nostro cuore ai poveri, agli scartati, agli ultimi del mondo, se accettiamo di vivere l’avventura di diventare davvero loro amici e fratelli, allora la vita ci sorprenderà. Perché laddove si permette alla forza dell’amore di sprigionarsi, la vita sorprende e accade quello che mai ci si sarebbe aspettati”.

Ma come è diventato cappellano di bordo?

“Sono diventato cappellano di bordo della Mare Jonio non per scelta mia, ma in risposta alla chiamata ricevuta dell’equipaggio stesso. Infatti tra i fondatori di ‘Mediterranea’ ci sono i ragazzi e le ragazze dei centri sociali bolognesi Tpo e Labas, con cui siamo amici da anni grazie proprio alla comune fraternità con le persone migranti. Hanno voluto avere il cappellano di bordo come segno della presenza della Chiesa, che accompagna questa missione”.

In quale modo la fede ha inciso in questa scelta?

“La fede ha inciso, perché quando i miei compagni mi hanno rivolto l’invito ho subito pensato a Gesù. In loro ho visto il Vangelo: sono ragazzi e ragazze ‘affamati ed assetati di giustizia’, come dice il brano evangelico delle Beatitudini, ragazzi e ragazze che vivono la ‘compassione viscerale’, di cui ci parla la parabola del Buon Samaritano, realizzando quell’accoglienza di Gesù nei suoi fratelli più piccoli di cui parla il capitolo 25 del Vangelo matteano. Dico sempre infatti che non sono tanto io che evangelizzo i miei compagni, ma sono loro che evangelizzano me.

La Chiesa ha sostenuto questa scelta: per partire come cappellano di bordo, abbiamo prima chiesto il consenso dei vescovi competenti. Il riscontro loro, insieme alle altre persone cristiane presenti con me, il segno concreto che la Chiesa è con loro”.

Ma è anche amico di molti disabili: in quale modo si approccia con loro?

“Alcuni tra i miei migliori amici da sempre sono disabili. Le nostre comunità cristiane hanno tanto da imparare dalle persone disabili e dalle loro famiglie. Tante volte perdiamo di vista il vero senso della vita. Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita.

Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita. Non a caso Gesù considera tutte queste persone i Suoi fratelli più piccoli. Dall’ascolto e dalla condivisione con loro possiamo imparare meglio il Vangelo e conoscere meglio Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV esorta a difendere i poveri

“Sono lieto di salutare tutti voi, leader sindacali e ospiti di Chicago, giunti a Roma per celebrare l’Anno Giubilare. Questa delegazione rappresenta migliaia di lavoratori, le cui competenze contribuiscono al bene comune e alla creazione di una società in cui tutti possono prosperare. E’ un lavoro importante e vi elogio per il vostro contributo in questo senso”: con queste parole papa Leone XIV ha salutato la delegazione dell’Union Leaders from Chicagoland (leader sindacali della città di Chicago).

Il papa li ha ringraziati per la collaborazione con la Chiesa: “In particolare, vorrei esprimere la mia gratitudine per la vostra collaborazione con la Chiesa. Il Cardinale Cupich mi ha informato dei vostri numerosi contributi, tra cui il sostegno ai seminaristi ospitando, insieme a esponenti della società civile e del mondo imprenditoriale, il banchetto annuale del Premio Rerum Novarum”.

Ha trovato anche molto interessanti le attività svolte per stimolare la partecipazione e l’impegno per il creato: “Inoltre, è incoraggiante apprendere dei progressi compiuti nell’ampliare la partecipazione e l’inclusione delle minoranze nel movimento sindacale attraverso l’apprendistato e la formazione. Allo stesso tempo, il vostro impegno per la tutela dell’ambiente, attraverso l’insegnamento delle competenze necessarie per lo sviluppo delle energie rinnovabili, non è solo encomiabile, ma anche tempestivo, data l’urgenza di prenderci cura della nostra casa comune”.

Inoltre ha molto ‘apprezzato’ l’accoglienza verso i migranti: “Soprattutto, vi prego di comprendere il mio apprezzamento per l’accoglienza di immigrati e rifugiati, in particolare per il sostegno alle dispense alimentari e ai rifugi. Pur riconoscendo che politiche appropriate sono necessarie per garantire la sicurezza delle comunità, vi incoraggio a continuare a impegnarvi affinché la società rispetti la dignità umana dei più vulnerabili. Così facendo, state mettendo in pratica l’appello del mio amato predecessore, papa Francesco, che ha esortato ogni sindacato a rinascere ogni giorno nelle periferie”.

Infine ha elogiato il loro impegno per i diritti dei lavoratori: “Durante questa settimana di pellegrinaggio, oltre ad attraversare le Porte Sante e a partecipare ad altri esercizi spirituali, state anche dedicando del tempo allo studio di importanti questioni relative ai diritti e ai doveri dei lavoratori. Prego che questo tempo sia fruttuoso sia per le vostre menti che per i vostri cuori”.

Poi ha accolto i partecipanti alla 39^ Conferenza dell’Associazione ‘MINDS International’ (rete di  agenzie di stampa) sottolineando un po’ la crisi dell’informazione: “Potremmo definire un paradosso che nell’era della comunicazione le agenzie di informazione e di comunicazione attraversino un periodo di crisi. E che anche i fruitori dell’informazione siano in crisi essi stessi, scambiando spesso il falso per vero, ciò che è autentico con ciò che è invece artefatto. E tuttavia, nessuno oggi dovrebbe poter dire ‘non sapevo’. Per questo vi incoraggio nel vostro servizio, così importante; incoraggio i momenti di incontro associativo, che vi permettono di riflettere insieme”.

Però ha sottolineato che l’informazione deve essere tutelata: “L’informazione è un bene pubblico che tutti dovremmo tutelare. Per questo, ciò che è davvero costruttivo è l’alleanza tra i cittadini e i giornalisti all’insegna dell’impegno per la responsabilità etica e civile. Una forma di cittadinanza attiva è quella di stimare e sostenere gli operatori e le agenzie che dimostrano serietà e vera libertà nel loro lavoro. Allora si verifica un circolo virtuoso che fa bene al corpo sociale”.

Inoltre non ha mancato di evidenziare chi rischia la vita per informare: “Ogni giorno ci sono reporter che rischiano personalmente perché la gente possa sapere come stanno le cose. E in un tempo come il nostro, di conflitti violenti e diffusi, quelli che cadono sul campo sono molti: vittime della guerra e dell’ideologia della guerra, che vorrebbe impedire ai giornalisti di esserci. Non dobbiamo dimenticarli!

Se oggi sappiamo che cosa è successo a Gaza, in Ucraina e in ogni altra terra insanguinata dalle bombe, lo dobbiamo in buona parte a loro. Ma queste testimonianze estreme sono l’apice del tributo di quotidiana fatica di tantissimi che lavorano perché l’informazione non sia inquinata da altri fini, contrari alla verità e alla dignità della persona”.

Per questo ha invitato a ‘liberare’ l’informazione: “Occorre infatti liberare la comunicazione dall’inquinamento cognitivo che la corrompe, dalla concorrenza sleale, dal degrado del cosiddetto click bait. Le agenzie di stampa sono in prima linea, chiamate ad agire nell’attuale contesto comunicativo secondo principi (purtroppo non sempre condivisi) che coniugano la sostenibilità economica dell’impresa con la tutela del diritto ad una informazione corretta e plurale”.

Infatti i giornalisti delle agenzie svolgo un compito importante: “I giornalisti delle agenzie di stampa sono a loro volta chiamati ad essere i primi sul campo, i primi a dare la notizia. E questo vale ancora più nell’era della comunicazione permanentemente live, della digitalizzazione sempre più pervasiva dei mass media. Chi lavora per un’agenzia, lo sapete bene, è chiamato a scrivere con rapidità, sotto pressione, anche in situazioni molto complesse e drammatiche. A maggior ragione, il vostro servizio è prezioso e deve essere un antidoto al proliferare dell’informazione ‘spazzatura’; pertanto richiede competenza, coraggio e senso etico”.

E’ stata un’esortazione a vigilare sulla tecnologia: “Non siamo destinati a vivere in un mondo dove la verità non è più distinguibile dalla finzione. Al riguardo, dobbiamo porci degli importanti interrogativi… Dobbiamo vigilare perché la tecnologia non si sostituisca all’uomo, e perché l’informazione e gli algoritmi che oggi la governano non siano nelle mani di pochi”.

Per il papa, inoltre, è necessaria un’informazione libera, ricordando il monito di Hannah Arendt: “Il mondo ha bisogno di un’informazione libera, rigorosa, obiettiva… Con il vostro lavoro, paziente e rigoroso, voi potete essere un argine a chi, attraverso l’arte antica della menzogna, punta a creare contrapposizioni per comandare dividendo; un baluardo di civiltà rispetto alle sabbie mobili dell’approssimazione e della post-verità”.

Insomma è stato un invito a non svendere l’autorevolezza della comunicazione: “L’economia della comunicazione non può e non deve separare il proprio destino dalla condivisone della verità. Trasparenza delle fonti e della proprietà, accountability, qualità, obiettività sono le chiavi per restituire ai cittadini il loro ruolo di protagonisti del sistema, convincendoli a pretendere un’informazione degna di questo nome. Mi raccomando: non svendete mai la vostra autorevolezza!”

Infine nel messaggio alla rete ‘Catholic Charities Usa’, che raduna 168 agenzie diocesane, ha esortato a continuare il supporto alle persone migranti e rifugiate: “Attraverso le vostre 168 agenzie diocesane di Catholic Charities, diventate ‘agenti di speranza’ per i milioni di persone che si rivolgono alla Chiesa negli Stati Uniti d’America in cerca di compassione e cura. Molti di coloro che servite sono tra i più vulnerabili, tra cui migranti e rifugiati”.

Il ruolo di questa rete è molto importante per l’assistenza ai poveri: “Poiché non possono contare sulle proprie risorse e devono dipendere da Dio e dalla bontà degli altri, in molti modi il vostro ministero rende concreta la provvidenza del Signore per loro. Fornendo cibo, alloggio, assistenza medica, assistenza legale e molti altri gesti di gentilezza, le affiliate di Catholic Charities negli Stati Uniti mostrano quello che papa Francesco ha spesso definito lo ‘stile’ di Dio, fatto di vicinanza, compassione e tenerezza”.

Ed ha di nuovo sottolineato che i migranti sono portatori di speranza: “Mentre coloro che sono colpiti dalla povertà e dalla migrazione forzata affrontano sfide difficili, non dimentichiamo che possono anche essere testimoni di speranza non solo attraverso la loro fiducia nell’aiuto divino, ma anche attraverso la loro resilienza nel dover spesso superare molti ostacoli durante il loro viaggio. In modo speciale, i migranti e i rifugiati cattolici sono diventati missionari di speranza in molte nazioni, compresa la vostra, portando con sé una fede vibrante e le devozioni popolari che spesso rianimano le parrocchie che li accolgono”.

Infine un elogio in quanto sono ‘costruttori di ponti’: “Si potrebbe dire che, aiutando gli sfollati a trovare una nuova casa nel vostro Paese, agite anche come costruttori di ponti tra nazioni, culture e popoli. Vi incoraggio, quindi, a continuare ad aiutare le comunità che accolgono questi fratelli e sorelle appena arrivati ​​a essere testimoni viventi di speranza, riconoscendo che hanno un’intrinseca dignità umana e sono invitati a partecipare pienamente alla vita comunitaria “.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV: la missione è vita

“Siete bravi missionari perché siete venuti anche sotto la pioggia! Grazie!La Chiesa è tutta missionaria ed è tutta un grande popolo in cammino verso il Regno di Dio. Oggi i fratelli e le sorelle missionari e migranti ce lo ricordano. Ma nessuno deve essere costretto a partire, né sfruttato o maltrattato per la sua condizione di bisognoso o di forestiero! Al primo posto, sempre, la dignità umana!”: al termine della celebrazione eucaristica papa Leone XIV ha ringraziato i fedeli ricordando che nessuno deve essere sfruttato.

Ha espresso solidarietà per coloro che sono stati colpiti dal terremoto nelle Filippine: “Nella sera di martedì 30 settembre un forte sisma ha colpito la regione centrale delle Filippine, in particolare la provincia di Cebu e le province limitrofe. Esprimo la mia vicinanza al caro popolo filippino, e in particolare prego per coloro che sono più duramente provati dalle conseguenze del terremoto. Rimaniamo uniti e solidali nella fiducia in Dio e nell’intercessione della Madre sua in ogni pericolo”.

Inoltre è preoccupato per la situazione nel Medio Oriente ed il crescente odio antisemita: “Esprimo la mia preoccupazione per l’insorgenza dell’odio antisemita nel mondo, come purtroppo si è visto con l’attentato terroristico a Manchester, avvenuto pochi giorni fa. Continuo ad essere addolorato per l’immane sofferenza patita dal popolo palestinese a Gaza.

In queste ultime ore, nella drammatica situazione del Medio Oriente, si stanno compiendo alcuni significativi passi in avanti nelle trattative di pace, che auspico possano al più presto raggiungere i risultati sperati. Chiedo a tutti i responsabili di impegnarsi su questa strada, di cessare il fuoco e di liberare gli ostaggi, mentre esorto a restare uniti nella preghiera, affinché gli sforzi in corso possano mettere fine alla guerra e condurci verso una pace giusta e duratura”.

Mentre nell’omelia del  Giubileo del Mondo Missionario e dei Migranti ha affermato che questa è stata “una bella occasione per ravvivare in noi la coscienza della vocazione missionaria, che nasce dal desiderio di portare a tutti la gioia e la consolazione del Vangelo, specialmente a coloro che vivono una storia difficile e ferita. Penso in modo particolare ai fratelli migranti, che hanno dovuto abbandonare la loro terra, spesso lasciando i loro cari, attraversando le notti della paura e della solitudine, vivendo sulla propria pelle la discriminazione e la violenza”.

E’ stato un invito ad andare nelle periferie: “Lo Spirito ci manda a continuare l’opera di Cristo nelle periferie del mondo, segnate a volte dalla guerra, dall’ingiustizia e dalla sofferenza. Dinanzi a questi scenari oscuri, riemerge il grido che tante volte nella storia si è elevato a Dio: perché, Signore, non intervieni? Perché sembri assente? Questo grido di dolore è una forma di preghiera che pervade tutta la Scrittura e, questa mattina, lo abbiamo ascoltato dal profeta Abacuc”.

Riprendendo una catechesi di papa Benedetto XVI sul male ad Auschwitz papa Leone XIV ha sottolineato che Dio promette sempre la salvezza: “La risposta del Signore, però, ci apre alla speranza. Se il profeta denuncia la forza ineluttabile del male che sembra prevalere, il Signore dal canto suo gli annuncia che tutto questo avrà un termine, una scadenza, perché la salvezza verrà e non tarderà…

C’è una vita, dunque, una nuova possibilità di vita e di salvezza che proviene dalla fede, perché essa non solo ci aiuta a resistere al male perseverando nel bene, ma trasforma la nostra esistenza tanto da renderla uno strumento della salvezza che Dio ancora oggi vuole operare nel mondo. E, come ci dice Gesù nel Vangelo, si tratta di una forza mite: la fede non si impone con i mezzi della potenza e in modi straordinari; ne basta quanto un granello di senape per fare cose impensabili, perché reca in sé la forza dell’amore di Dio che apre vie di salvezza”.

Però la salvezza richiede la cura: “E’ una salvezza che si realizza quando ci impegniamo in prima persona e ci prendiamo cura, con la compassione del Vangelo, della sofferenza del prossimo; è una salvezza che si fa strada, silenziosa e apparentemente inefficace, nei gesti e nelle parole quotidiane, che diventano proprio come il piccolo seme di cui ci parla Gesù; è una salvezza che lentamente cresce quando ci facciamo ‘servi inutili’, cioè quando ci mettiamo al servizio del Vangelo e dei fratelli senza cercare i nostri interessi, ma solo per portare nel mondo l’amore del Signore”.

Ed ha parlato di una nuova missione: “Fratelli e sorelle, oggi si apre nella storia della Chiesa un’epoca missionaria nuova. Se per lungo tempo alla missione abbiamo associato il ‘partire’, l’andare verso terre lontane che non avevano conosciuto il Vangelo o versavano in situazioni di povertà, oggi le frontiere della missione non sono più quelle geografiche, perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande, sono loro a venire verso di noi”.

Missione che coinvolge anche i migranti: “Ce lo testimonia la storia di tanti nostri fratelli migranti, il dramma della loro fuga dalla violenza, la sofferenza che li accompagna, la paura di non farcela, il rischio di pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione: fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!”

Questa è cooperazione missionaria: “Anzitutto, vi chiedo di promuovere una rinnovata cooperazione missionaria tra le Chiese. Nelle comunità di antica tradizione cristiana come quelle occidentali, la presenza di tanti fratelli e sorelle del Sud del mondo dev’essere colta come un’opportunità, per uno scambio che rinnova il volto della Chiesa e suscita un cristianesimo più aperto, più vivo e più dinamico. Allo stesso tempo, ogni missionario che parte per altre terre, è chiamato ad abitare le culture che incontra con sacro rispetto, indirizzando al bene tutto ciò che trova di buono e di nobile, e portandovi la profezia del Vangelo”.

Questa è la bellezza della missione: “Vorrei poi ricordare la bellezza e l’importanza delle vocazioni missionarie. Mi rivolgo in particolare alla Chiesa europea: oggi c’è bisogno di un nuovo slancio missionario, di laici, religiosi e presbiteri che offrano il loro servizio nelle terre di missione, di nuove proposte ed esperienze vocazionali capaci di suscitare questo desiderio, specialmente nei giovani.

Carissimi, invio con affetto la mia benedizione al clero locale delle Chiese particolari, ai missionari e alle missionarie, e a coloro che sono in discernimento vocazionale. Ai migranti invece dico: siate sempre i benvenuti! I mari e i deserti che avete attraversato, nella Scrittura sono ‘luoghi della salvezza’, in cui Dio si è fatto presente per salvare il suo popolo”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV: stare nella quotidianità della storia

“E’ per me un piacere darvi il benvenuto in Vaticano in occasione del vostro convegno sul tema ‘Rifugiati e migranti nella nostra casa comune’. Ringrazio coloro che hanno organizzato queste giornate di discussione, riflessione e collaborazione, nonché ciascuno di voi per la vostra presenza e per il contributo che apportate a questa iniziativa”: con queste parole papa Leone XIV ha accolto i partecipanti al convegno ‘Refugees and Migrants in our Common Home’, preparazione al giubileo di domenica prossima.

Riprendendo il discorso di papa Francesco pronunciato nel 2022, papa Leone XIV ha sottolineato la validità delle risposte alla migrazione: “Il vostro tempo insieme segna l’inizio di un progetto triennale con l’obiettivo di creare ‘piani d’azione’ incentrati su quattro pilastri fondamentali: insegnamento, ricerca, servizio e advocacy. In questo modo, state rispondendo all’appello di papa Francesco affinché le comunità accademiche contribuiscano a soddisfare i bisogni dei nostri fratelli e sorelle sfollati, concentrandosi sulle aree di vostra competenza”.

Ed ha auspicato che tali incontri possano sensibilizzare la gente per la dignità delle persone: “Questi pilastri fanno parte della stessa missione: riunire voci autorevoli in diverse discipline per rispondere alle attuali urgenti sfide poste dal crescente numero di persone, stimato in oltre 100.000.000, colpite da migrazioni e sfollamenti.

Prego affinché i vostri sforzi possano portare a nuove idee e approcci in questo senso, cercando sempre di porre la dignità di ogni persona umana al centro di ogni soluzione. Mentre proseguite il vostro incontro, vorrei suggerirvi due temi che potreste considerare di integrare nei vostri piani d’azione: riconciliazione e speranza”.

Sempre riprendendo il pensiero di papa Leone XIV è importante combattere l’indifferenza: “Uno degli ostacoli che spesso si incontrano quando si affrontano difficoltà di così grande portata è un atteggiamento di indifferenza da parte sia delle istituzioni che dei singoli individui. Il mio venerato predecessore parlava di ‘globalizzazione dell’indifferenza’, per cui ci abituiamo alle sofferenze altrui e non cerchiamo più di alleviarle. Questo può portare a quella che ho precedentemente definito una ‘globalizzazione dell’impotenza’, in cui rischiamo di diventare immobili, silenziosi, forse tristi, pensando che non si possa fare nulla di fronte a sofferenze innocenti”.

Per questo ha incoraggiato ad approfondire una cultura dell’incontro: “Proprio come papa Francesco ha parlato della cultura dell’incontro come antidoto alla globalizzazione dell’indifferenza, dobbiamo impegnarci per affrontare la globalizzazione dell’impotenza promuovendo una cultura della riconciliazione… Ciò richiede pazienza, disponibilità all’ascolto, capacità di immedesimarsi nel dolore altrui e il riconoscimento di condividere gli stessi sogni e le stesse speranze”.

Con un incoraggiamento: “Vi incoraggio, pertanto, a proporre modalità concrete per promuovere gesti e politiche di riconciliazione, in particolare in terre dove sono presenti ferite profonde dovute a conflitti di lunga data. Non è un compito facile, ma affinché gli sforzi per operare un cambiamento duraturo abbiano successo, devono includere modalità che tocchino i cuori e le menti”.

Riprendendo il messaggio per l’imminente giornata mondiale del rifugiato e del migrante papa Leone XIV ha ricordato che i migranti sono portatori di speranza: “Spesso mantengono la loro forza mentre cercano un futuro migliore, nonostante gli ostacoli che incontrano. Mentre ci prepariamo a celebrare i Giubilei dei Migranti e delle Missioni in questo santo anno giubilare, vi incoraggio a suscitare tali esempi di speranza nelle comunità di coloro che servite. In questo modo, possono essere di ispirazione per gli altri e aiutare a sviluppare modi per affrontare le sfide che hanno incontrato nella loro vita”.

Ugualmente ai membri della Confederazione Medica Latino-Iberoamericana e dei Caraibi (CONFEMEL), ha sottolineato che dialogo e presenza fisica sono fondamentali per la cura nel giorno della festa degli Angeli Custodi: “Questa memoria può aiutarci a riflettere sulla relazione medico-paziente, che si basa sul contatto personale e sulla cura della salute, si potrebbe dire, proprio come gli angeli che vegliano e ci proteggono nel cammino della vita. Questo tema mi ricorda anche alcune parole di sant’Agostino, in cui si riferiva a Cristo come a un medico e a una medicina. E’ medico perché è parola, e medicina perché è parola fatta carne”.

Nel ricordo del beato José Gregorio Hernández il papa ha sottolineato l’importanza del rapporto tra medico e paziente: “Alla luce di queste riflessioni, vi invito a continuare ad approfondire l’importanza della relazione medico-paziente. Una relazione tra due persone, con il loro corpo e la loro interiorità, con la loro storia. Questa convinzione ci aiuta anche a far luce sul posto dell’intelligenza artificiale in medicina: essa può e deve essere di grande aiuto per migliorare l’assistenza clinica, ma non potrà mai sostituirsi al medico, perché voi ‘siete, come ha detto papa Benedetto XVI, serbatoi di amore, che portano serenità e speranza a quanti soffrono’. Un algoritmo non potrà mai sostituire un gesto di vicinanza o una parola di conforto”.

Ad inizio giornata alle suore Figlie di San Paolo che hanno celebrato il loro Capitolo Generale e che hanno appena eletto la nuova Madre Generale, suor Mari Lucia Kim: il papa ha sottolineato la necessità di guardare ‘in alto’: “Guardare in alto, perché possiate essere spinte dallo Spirito Santo. La vostra vocazione e la vostra missione vengono dal Signore, non dimentichiamolo. Perciò, l’impegno personale, i carismi che mettiamo in circolo, lo zelo dell’apostolato e gli strumenti che utilizziamo non devono mai farci cadere nell’illusione e nella presunzione dell’autosufficienza”.

Da qui l’invito a stare nelle situazioni della vita quotidiana: “Il secondo atteggiamento che vi raccomando è quello di immergervi dentro, dentro le situazioni, perché lo sguardo rivolto verso l’alto non è una fuga ma, al contrario, ci deve aiutare ad avere la stessa condiscendenza di Cristo, che si è spogliato per noi, è disceso nella nostra carne, si è abbassato per entrare negli abissi dell’umanità ferita e portarvi l’amore del Padre”.

Essere nella vita significa ‘abitare la cultura’: “Così, spinte dallo Spirito, siete chiamate anche voi a immergervi nella storia, proprio in ascolto dell’umanità di oggi; si tratta di abitare la cultura attuale e incarnarvi nella vita reale delle persone che incontrate. La vostra presenza, l’annuncio della Parola, i mezzi che utilizzate (in particolare ricordare l’editoria che curate con tanta dedizione), tutto ciò deve essere un grembo ospitale per le sofferenze e le speranze delle donne e degli uomini a cui siete inviate”.

L’importante è non scoraggiarsi: “Ma non ci lasciamo scoraggiare! Perciò vi invito a riflettere su come mantenere vivo il carisma, anche se ciò dovesse richiedere scelte coraggiose e impegnative. C’è bisogno infatti di un attento discernimento sulle opere legate all’apostolato, su come vengono portate avanti e sulla necessità di rinnovarle con una visione equilibrata, che sappia tenere insieme la ricchezza della storia passata con le risorse e i doni attuali di ciascuna di voi, in una feconda alleanza tra le diverse generazioni”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Leone XIV: i migranti sono messaggeri di speranza

“La  111^ Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato, che il mio predecessore ha voluto far coincidere con il Giubileo dei migranti e del mondo missionario, ci offre l’occasione di riflettere sul nesso tra speranza, migrazione e missione”: nel messaggio intitolato ‘Migranti, missionari di speranza’, che si celebra il 4-5 ottobre, papa Leone XIV riflette sul nesso tra speranza, migrazione e missione.

La mobilità umana è generata per lo più dalla ricerca di una felicità che guerre, ingiustizie, crisi climatica mettono a dura prova: “Il contesto mondiale attuale è tristemente segnato da guerre, violenze, ingiustizie e fenomeni meteorologici estremi, che obbligano milioni di persone a lasciare la loro terra d’origine per cercare rifugio altrove. La generalizzata tendenza a curare esclusivamente gli interessi di comunità circoscritte costituisce una seria minaccia alla condivisione di responsabilità, alla cooperazione multilaterale, alla realizzazione del bene comune e alla solidarietà globale a vantaggio di tutta la famiglia umana.

La prospettiva di una rinnovata corsa agli armamenti e lo sviluppo di nuove armi, incluse quelle nucleari, la scarsa considerazione degli effetti nefasti della crisi climatica in corso e le profonde disuguaglianze economiche rendono sempre più impegnative le sfide del presente e del futuro”.

Quindi chi si muove va alla ricerca della speranza: “Questo collegamento tra migrazione e speranza si rivela distintamente in molte delle esperienze migratorie dei nostri giorni. Molti migranti, rifugiati e sfollati sono testimoni privilegiati della speranza vissuta nella quotidianità, attraverso il loro affidarsi a Dio e la loro sopportazione delle avversità in vista di un futuro, nel quale intravedono l’avvicinarsi della felicità, dello sviluppo umano integrale”.

Per questo la loro migrazione può essere rintracciata nel libro della Genesi: “In un mondo oscurato da guerre e ingiustizie, anche lì dove tutto sembra perduto, i migranti e i rifugiati si ergono a messaggeri di speranza. Il loro coraggio e la loro tenacia è testimonianza eroica di una fede che vede oltre quello che i nostri occhi possono vedere e che dona loro la forza di sfidare la morte nelle diverse rotte migratorie contemporanee”.

Essi ricordano la dimensione ‘pellegrina’: “I migranti e i rifugiati ricordano alla Chiesa la sua dimensione pellegrina, perennemente protesa verso il raggiungimento della patria definitiva, sostenuta da una speranza che è virtù teologale. Ogni volta che la Chiesa cede alla tentazione di ‘sedentarizzazione’ e smette di  essere civitas peregrina (popolo di Dio pellegrinante verso la patria celeste), essa smette di essere ‘nel mondo’ e diventa ‘del mondo’. Si tratta di una tentazione presente già nelle prime comunità cristiane”.

Quindi possono essere ‘pellegrini’ di speranza: “In modo particolare, migranti e rifugiati cattolici possono diventare oggi missionari di speranza nei Paesi che li accolgono, portando avanti percorsi di fede nuovi lì dove il messaggio di Gesù Cristo non è ancora arrivato o avviando dialoghi interreligiosi fatti di quotidianità e di ricerca di valori comuni. Essi, infatti, con il loro entusiasmo spirituale e la loro vitalità possono contribuire a rivitalizzare comunità ecclesiali irrigidite ed appesantite, in cui avanza minacciosamente il deserto spirituale”.

Per questo l’evangelizzazione si realizza con la testimonianza: “Si tratta di una vera missio migrantium (missione realizzata dai migranti) per la quale devono essere assicurate un’adeguata preparazione e un sostegno continuo frutto di un’efficace cooperazione inter-ecclesiale. Dall’altro lato, anche le comunità che li accolgono possono essere una testimonianza viva di speranza.

Speranza intesa come promessa di un presente e di un futuro in cui sia riconosciuta la dignità di tutti come figli di Dio. In tal modo migranti e rifugiati sono riconosciuti come fratelli e sorelle, parte di una famiglia in cui possono esprimere i loro talenti e partecipare pienamente alla vita comunitaria”.

Mons. Perego: Marcinelle ci ricorda che i lavoratori migranti devono essere tutelati

L’8 agosto 1956 nella miniera di Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio, persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani, 95 belgi e poco più di una trentina di altre nazionalità: è ricordata come una delle più gravi stragi sul lavoro ed è anche, per il nostro Paese, un evento emblematico dell’emigrazione italiana del Novecento.

Per la giornata di oggi è in programma presso la miniera di Bois du Cazier la cerimonia istituzionale di commemorazione. La Fondazione Migrantes, nel giorno in cui si ricorda un evento che ancora scuote l’Italia, si fa vicina a tutti gli italiani che lavorano all’estero e rivolge un pensiero ai tanti lavoratori, anche immigrati, che anche di recente hanno perso la vita sul lavoro in Italia, come ha precisato mons. Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes:

“Marcinelle ogni anno ci ricorda il dramma sulle morti del lavoro in Italia, ma anche in Europa. Negli anni nel nostro Paese, anche grazie ai controlli e alle misure di sicurezza adottate, i decessi sono in calo. Occorre, però, segnalare che le morti sul lavoro dei lavoratori migranti, che avvengono in particolare nel mondo agricolo, nell’edilizia e nei trasporti, secondo le analisi dell’Osservatorio dell’Università Cattolica, sono in proporzione il doppio rispetto a quelle dei lavoratori italiani.

Questo dato impegna le aziende a una maggiore formazione dei lavoratori migranti sulla sicurezza. Al tempo stesso la crescita del numero degli incidenti sul lavoro nei primi quattro mesi del 2025 (286) rispetto al 2024 (265) chiedono di non abbassare la guardia nei controlli e nella formazione. A Marcinelle sono morti soprattutto i nostri lavoratori emigrati: un evento, un segno che ricorda come i lavoratori migranti debbono essere particolarmente tutelati. Ieri come oggi”.

Anche per questo c’è attesa per la decisione della presidenza del Parlamento europeo di calendarizzare il voto su una proposta di risoluzione per la istituzione, proprio nella data dell’8 agosto, di una ‘Giornata europea in memoria delle vittime del lavoro e per la tutela e la dignità dei lavoratori’.

Per tale ricorrenza della strage la fondazione Migrantes ripubblica un racconto di Luigi Dal Cin, ‘Un manifesto rosa’, tratto dal suo volume ‘Sulla porta del mondo. Storie di emigranti italiani’: “Lo tengo aperto qui da­vanti a me, sopra il foglio bianco ancora da scrive­re. L’ho trovato tra le vecchie carte di mio nonno, conservate nel baule in soffitta. Riposava lì, ripiegato su sé stesso, chissà da quanti anni, ‘Un manifesto rosa’…

Il viaggio dall’Italia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori italiani firmatari di un contratto annuale di lavoro per le miniere. Il viaggio dall’Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore. Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”.

E si racconta il disastro: “Pare che all’origine del disastro ci fu un’incomprensione tra i minatori che dal fondo del pozzo caricavano sull’ascensore i vagoncini con il carbone e i manovratori in superficie. Alle 8 e 10 del mattino dell’8 ago­sto 1956 un vagone di carbone rimase incastrato nella gabbia del montacarichi ma l’ascensore partì comunque. Nella risalita il carrello che sporgeva tran­ciò le condutture dell’olio, i tubi dell’aria compressa e i cavi dell’alta tensione. Le scintille causate dal cortocircuito fecero incendiare l’olio.

Fu subito l’inferno. Un imponente incendio si estese alle gallerie superiori mentre sotto, ad oltre mille metri di profondità, i minatori venivano soffocati dal fumo. Il fuoco infatti era divampato nel pozzo d’in­gresso dell’aria e il fumo pro­dotto dalla combustione rag­giunse ben presto ogni angolo della miniera.

Fin dai primi istanti la gravità dell’incidente e l’impossibilità di trarre in salvo gli eventuali superstiti apparvero chia­re ai soccorritori. Il 22 agosto, dopo due settimane di diffici­li ricerche, mentre una fumata nera e acre continuava ancora a uscire dal pozzo, uno di loro, riemergendo affranto dalle viscere della miniera, sussurrò in italiano: Tutti cadaveri”.

Al Centro Astalli di Roma presentato il rapporto

Nelle settimane scorse a Roma è stato presentato il Rapporto annuale del Centro Astalli: uno strumento per capire attraverso dati e statistiche quali sono le principali nazionalità degli oltre 24.000 rifugiati e richiedenti asilo assistiti, di cui 11.000 a Roma, che si sono rivolti nel corso dell’anno al Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, quali le difficoltà che incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di inclusione.

Durante l’evento, trasmesso anche in diretta sul canale YouTube dell’organizzazione, p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha presentato i dati che raccontano una realtà che, grazie agli oltre 800 volontari che operano nelle 8 sedi territoriali (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Padova, Palermo, Vicenza, Trento), si adatta a rispondere ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che stenta a dare la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca protezione:

“Presentiamo il Rapporto 2025 in questo Anno Giubilare con la ferma convinzione che accompagnare, servire e difendere le persone richiedenti asilo e rifugiate sia un segno di speranza… Il 2024 è stato l’anno del Patto sulla migrazione e l’asilo adottato dal Consiglio Europeo lo scorso maggio. Come in più occasioni sottolineato dalla società civile e con documenti congiunti dall’Ufficio europeo del JRS, l’implementazione di questo Patto può portare, tra le altre cose, a un arretramento del diritto d’asilo, per l’aumento previsto delle procedure accelerate alla frontiera e un conseguente possibile aumento del numero delle persone detenute in modo arbitrario”.

Per quanto riguarda la situazione italiana ha sottolineato la creazione di centri di accoglienza in Albania: “Sul versante Italia il 2024 è stato poi l’anno del braccio di ferro sui centri in Albania. Al di là delle polemiche, quello che ci preoccupa è la creazione di un artificio legale, quello di centri in terra albanese sotto la giurisdizione italiana. Per fare questo si è sostenuto il principio di deportabilità delle persone (abbiamo visto qualche esempio), rispetto alle quali si è persa di vista la centralità della loro dignità, trattandole come carichi residuali non desiderati.

Non convince neppure la recente decisione di convertire queste strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR)… Non crediamo che l’utilizzo a tale scopo delle strutture in Albania possa migliorarne la funzionalità in vista del rimpatrio delle persone detenute e garantire nel contempo il rispetto dei diritti dei migranti trattenuti”.

Ed ha evidenziato il ‘lavoro’ fatto con i giovani: “Anche per il 2024 una parte importante del percorso di Astalli, attraverso i progetti ‘Finestre e Incontri’, è stato fatto con i giovani italiani delle scuole secondarie, anche se tra di loro ci sono molti ragazzi e ragazze (troppi) che non hanno ancora la cittadinanza, che sono cittadini di fatto anche se ancora non di diritto. Abbiamo continuato, non senza la fatica per le poche risorse, a far incontrare i rifugiati e i testimoni di diverse religioni e confessioni cristiane con studenti e studentesse andando nelle scuole, in 1.969 classi, per un totale di 38.700 studenti in tutta Italia”.

Il Rapporto annuale 2025 del Centro Astalli evidenzia un quadro di crescente complessità e vulnerabilità di cui i rifugiati assistiti sono portatori, in un contesto caratterizzato da politiche migratorie sempre più restrittive e dalle difficoltà di accesso a un sistema di accoglienza adeguato non sempre all’altezza del compito che è chiamato a svolgere.

Sono stati 65.581 i pasti distribuiti presso la mensa di Via degli Astalli, 1.114 le persone ospitate in strutture d’accoglienza, di cui, 227 a Roma, 10.044 le persone che hanno ricevuto assistenza sanitaria presso il Centro Sa.Mi.Fo., 1.161 le persone che si sono rivolte ai servizi di accompagnamento sociale, tra cui 710 quelle che hanno richiesto un accompagnamento ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione. Mentre sono stati 38.700 gli studenti e le studentesse incontrati nell’ambito dei progetti di sensibilizzazione ‘Finestre e Incontri’.

Dal rapporto si evince che sono sempre più numerosi i migranti vulnerati da tentativi negati di accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, intrappolati in un limbo giuridico: “La riduzione a soli sette giorni del termine per presentare ricorso contro decisioni negative alla richiesta di asilo da parte di migranti provenienti da Paesi considerati ‘sicuri’ ha reso difficile garantire un’efficace tutela giurisdizionale.

Sono lunghe mesi, invece, le attese per accedere alle Questure e per ottenere permessi di soggiorno, mentre si lamenta una disponibilità sempre più limitata di posti in accoglienza…. Il servizio di orientamento legale del Centro Astalli si è trovato a supportare 517 persone, tra le quali molte con permessi in scadenza e senza possibilità di rinnovo. A Catania sono state 965 le persone accompagnate nell’iter burocratico della procedura di asilo, 525 a Trento”.

Quest’evento era iniziato con la testimonianza di Khanum Yehoian, originaria dell’Armenia, in fuga dall’Ucraina in guerra: “Mi chiamo Khanum e sono nata in Armenia, un piccolo e antico Paese del Caucaso meridionale, tra Turchia, Georgia, Azerbaigian e Iran. La civiltà armena è una delle più antiche del mondo, ha una storia millenaria e un popolo forte, che è sopravvissuto al genocidio del 1915, quando l’Impero Ottomano organizzò lo sterminio sistematico del mio popolo. Più di 3.000.000 di persone furono uccise e altre milioni furono costrette a lasciare la loro terra…

Vivo a Roma da tre anni e il mio percorso di adattamento in questo nuovo Paese continua. Cerco ancora delle risposte alle tante domande e continuo a crescere come persona. So che l’Armenia, la mia terra d’origine, l’Ucraina, il Paese dove sono cresciuta, e l’Italia, il luogo in cui ho trovato rifugio, fanno parte di me. Tre paesi, tre identità diverse. Ognuno di questi mi ha lasciato un segno e sono felice di poter condividere oggi questa esperienza con voi”.

(Foto: Centro Astalli)

Fondazione Migrantes: il diritto d’asilo per i migranti è a rischio

L’ottava edizione del report (‘Il Diritto d’asilo 2024. Popoli in cammino senza diritto d’asilo’), curata da Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti, e che la Fondazione Migrantes dedica al mondo delle migrazioni forzate, anche quest’anno legge e interpreta dati, norme, politiche e storie, portando alla luce come nell’Unione europea e nel nostro Paese a essere sempre più a rischio sia il diritto d’asilo stesso. Le persone in fuga nel mondo hanno superato quota 122.000.000 a causa di guerre e conflitti che si allargano di anno in anno, portando a un ulteriore incremento delle vittime, specie tra i civili. In Medio Oriente la guerra tra Hamas ed Israele si è estesa con il coinvolgimento della Cisgiordania, dell’Iran e del Libano:

“Le armi continuano ad essere le uniche a parlare tra Ucraina e Russia, mentre anche situazioni estreme legate al cambiamento climatico contribuiscono a far crescere il numero delle persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra per un tempo sempre più lungo. Non sono invece altrettanto celeri le nostre risposte alle cause profonde di queste migrazioni forzate, e troppo poche le autorità di governo e le istituzioni che, con serietà ed autorevolezza, intendono perseguire obiettivi di pace e giustizia, mentre prosegue una folle corsa agli armamenti. Nel frattempo, poco prima della chiusura della scorsa legislatura europea è stato approvato il ‘nuovo’ Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, un compromesso al ribasso in cui si assiste a un ulteriore impoverimento dei diritti di richiedenti asilo e rifugiati”.

Partiamo da questa introduzione per farci spiegare dalla dott.ssa Mariacristina Molfetta, addetta all’area ‘ricerca e documentazione’ della fondazione ‘Migrantes’, cosa emerge dal report: “E’ l’ottavo anno che la Fondazione Migrantes dedica un rapporto specifico al mondo delle migrazioni forzate. Le persone in fuga nel mondo a fine 2024 hanno superato quota 122.000.000 a causa di guerre e conflitti che si allargano di anno in anno, portando a un ulteriore incremento delle vittime, specie tra i civili.

Nel mentre, sempre di più situazioni estreme legate al cambiamento climatico contribuiscono a far crescere il numero delle persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra per un tempo sempre più lungo, senza contare che un numero ancora molto elevato di persone soffre la fame e la sete e la mancanza di libertà civili. Non sono invece altrettanto celeri le nostre risposte alle cause profonde di queste migrazioni forzate, e troppo poche le autorità di governo e le istituzioni che, con serietà e autorevolezza, intendono perseguire obiettivi di pace e giustizia, mentre prosegue una folle corsa agli armamenti”.

Per quale motivo il diritto d’asilo è a rischio?

“Da anni si portano avanti politiche europee e nazionali per provare a limitare l’accesso al continente e ai singoli Paesi attraverso pratiche sempre più estese e discutibili di esternalizzazione (ne sono un esempio gli accordi con la Turchia, la Libia, la Tunisia, il Niger, e ora l’Albania).

Nel frattempo, poco prima della chiusura della scorsa legislatura europea, nello scorso anno è stato approvato il ‘nuovo’ Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, un compromesso al ribasso in cui si assiste a un ulteriore impoverimento dei diritti di richiedenti asilo e rifugiati. Nonostante la dichiarazione solenne sul diritto d’asilo come inviolabile, le recenti riforme limitano l’accesso a tale diritto.

In particolare, l’introduzione di procedure accelerate e di restrizioni per chi richiede asilo alle frontiere esterne dell’UE accentua il ricorso alla detenzione in aree di transito; e riduce l’efficacia del ricorso legale contro il respingimento. Inoltre, si introduce la finzione giuridica del ‘non ingresso’, che considera alcuni richiedenti asilo come non presenti sul territorio, permettendo l’adozione di misure restrittive e respingimenti immediati.

Tutte queste pratiche hanno un fine: provare a limitare l’accesso, ma anche i diritti dei richiedenti asilo e rifugiati, anche una volta che entrano nel territorio dell’Unione Europea e per questo abbiamo scelto come sottotitolo: popoli in cammino… senza diritto d’asilo”.

Quale accoglienza offre l’Italia ai minori non accompagnati?

“Nonostante il divieto di trattenimento per i MSNA previsto dalla legge italiana, molti minori sono trattenuti in centri inadeguati, quali hotspot e centri governativi di accoglienza, spesso in condizioni critiche e promiscue con adulti. Questi centri non garantiscono un’adeguata tutela legale, né la possibilità di chiedere asilo o permessi di soggiorno, lasciando i minori in uno stato di isolamento e incertezza. La recente legge 176/2023 ha legalizzato il collocamento dei MSNA sopra i 16 anni in strutture per adulti, una misura che contrasta con il superiore interesse del minore sancito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia.

Le ripetute violazioni dei diritti fondamentali sono state confermate da sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nei confronti di minori collocati proprio in strutture per adulti. Nonostante le condanne, tuttavia, le prassi non sono state modificate e la gestione emergenziale continua a prevalere. Un vero peccato perché in generale le normative che riguardano i minori nel nostro paese sono tra le più avanzate in Europa se venissero applicate correttamente”.

Per quale motivo il report dedica un capitolo alle suore?

“Ogni anno scegliamo di mappare alcune esperienze che reputiamo interessanti e quest’anno la scelta è ricaduta su un inedito monitoraggio che ha coinvolto le congregazioni religiose femminili presenti in aree di transito e permanenza. Abbiamo preso questa decisione anche perché tali esperienze spesso non ricevono l’attenzione e l’ascolto che meriterebbero. Il lavoro fatto innanzi tutto evidenzia come in Italia l’esperienza della ‘frontiera’ venga interpretata in modo vario e poliedrico dalle religiose.

Le loro comunità, dalla Sicilia alla Lombardia, sono esposte a situazioni difficili, fornendo assistenza umanitaria a migranti che affrontano povertà, violenze e vulnerabilità sociali. Operano spesso in collaborazione con enti locali, associazioni laiche e strutture sanitarie, ma si scontrano con risorse insufficienti e politiche restrittive.

Attraverso scuole di lingua, supporto psicologico e integrazione lavorativa costruiscono percorsi di riscatto in particolare a favore delle donne vittime di tratta. La mappatura ha portato alla luce, in realtà, un’ampia varietà di risposte ed esperienze, dai dormitori per migranti in transito alle strutture educative per donne e bambini. Le religiose sono animate da un carisma che intreccia fede e giustizia sociale e cerca di superare le divisioni culturali e religiose. Mentre la loro testimonianza, un vero esempio di resistenza solidale, sottolinea tutto il disagio delle ‘frontiere’ e la necessità di politiche più inclusive.

Le suore affermano, fra l’altro, l’importanza di interventi pubblici per una migliore gestione delle migrazioni, sottolineando che solo attraverso un coinvolgimento attivo di tutte le istituzioni, religiose e civili, sarà possibile costruire una società più giusta e accogliente”.

Perché ci sono sempre difficoltà per figli di migranti nati in Italia di rinnovare il permesso di soggiorno?

Nel report abbiamo mappato anche alcune delle ‘cattive pratiche’ che portano sia i richiedenti asilo che chi deve rinnovare un permesso di soggiorno, inclusi quindi anche i figli di migranti nati in Italia, a dover fare delle lunghe code fuori dai diversi uffici immigrazione delle Questure d’Italia. Questo avviene già da almeno 10 anni. Persone spesso esposte dall’alba al freddo o al caldo, a seconda delle stagioni, per giorni, senza avere la certezza di entrare, creando quindi gravi ripercussioni sulla possibilità di svolgere un’attività lavorativa regolare o anche di andare a scuola.

Succede anche perché i rinnovi di permesso di persone migranti e dei loro figli (persone che abbiamo già registrato e controllato), non vengono considerate semplici pratiche amministrative decentrabili in altri uffici della pubblica amministrazione, ma sempre pratiche da svolgere solo agli sportelli degli uffici immigrazioni delle Questure”.

(Tratto da Aci Stampa)

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