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Quei ‘richiedenti asilo’ nel proprio Paese
Ambroise arriva per vie traverse dal Centrafrica. Djibril è scappato dalla nativa Libia a causa di una persecuzione religiosa. L’amico Mohammed si è salvato da una morte certa in Somalia. Ibrahim, espulso dalla casa di accoglienza dell’Alto Commissariato per le Nazioni Unite dove si trovava da un anno, è stato derubato della somma datagli per pagarsi l’affitto. Moussa era da giovanissimo rifugiato in Marocco e adesso si trova, sperso anche mentalmente, a Niamey in cerca di una direzione da dare alla sua traiettoria di vita.
Due giovani portatori dello stesso nome di origine etnica, Dinga, sono entrambi scappati dal Sudan del Sud, ultimo nato tra i Paesi riconosciuti che vive di guerra e di stenti. E poi tutti gli altri giovani, adulti, famiglie, donne e madri con figli. Accomunati da un’unica precaria identità. Richiedente asilo, porta scritto il documento rilasciato dalle competenti autorità locali. Grazie a questo effimero ‘riconoscimento’ con valore giuridico, essi godono di protezione umanitaria come ogni cittadino di questo Paese, il Niger, trasformatosi in “terra d’asilo”.
Si tratta di una dichiarazione di transitoria identità che sancisce uno stato di vita la cui durata può contarsi in mesi o anni. Queste persone, cittadini indefinibili, sono il simbolo forse più eloquente della condizione umana, della nostra condizione di creature di polvere.
Chiedere asilo e protezione, un luogo da vivere, una terra da camminare e un futuro da ricostruire è tutto quanto costituisce, assieme alle violenze e ferite, la nostra umanità perduta e, a volte, ritrovata. Non hanno una casa, una lingua da abitare, del cibo per nutrirsi, abiti per ripararsi e volti amici a cui confidare le loro lacrime. Sono, dei richiedenti asilo, il nostro specchio più autentico, vero e smascherato dagli orpelli delle retoriche umanitarie, filosofiche e talvolta traditrici, delle religioni. Siamo tutti uguali ma alcuni sono più uguali degli altri, diceva profeticamente George Orwell, scrittore e critico sociale di origine britannica.
La ‘Dichiarazione di Niamey’ della ‘Conferenza di Solidarietà Antimperialista con i Popoli del Sahel’, tenutasi la settimana scorsa, rivela una volta di più il dramma della nostra epoca e dell’Alleanza degli Stati del Sahel, Aes, in particolare. Si tratta della frattura tra fine perseguito e i mezzi per conseguirlo.
Si evidenzia il fossato tra una lettura storica delle cause della miseria del Sahel e la giustificazione dei colpi di stato. Questi ultimi sono letti come ‘incapacità degli Stati a proteggere gli stessi dall’aggressione imperiale francese e la complicità col terrorismo’. I golpe sono pure ‘espressione di malcontento popolare e appello al cambiamento’. Sappiamo per esperienza storica che tra il fine e i mezzi esiste un’inscindibile relazione di complicità. Anche il fine più nobile e degno, la sovranità e l’indipendenza totale, come richiamato nella Conferenza, sarà tradito se i mezzi non saranno in relazione col fine prefisso. Il richiedente asilo vive sulla sua pelle la distanza tra il riconoscimento della sua vulnerabilità e l’abbandono nella vita reale. Lo stesso baratro che esiste tra l’annuncio di una trasformazione politica radicale e la sua censura nella vita politica dei cittadini. Tra altisonanti proclami di sovranità e una propaganda da regime che offusca la condizione del quotidiano dei cittadini, diventati per buona parte, dei “richiedenti asilo” nel proprio Paese.
Papa Francesco invita gli Scalabriniani a prendersi cura dei migranti
Questa mattina papa Francesco ha ricevuto in udienza i Missionari di San Carlo, riuniti nel Capitolo generale della Congregazione, sul tema giubilare ‘Pellegrini di speranza’ al quale si ispira il Capitolo Generale della Congregazione, che nella scorsa settimana ha rieletto per il prossimo sessennio p. Leonir Mario Chiarello come superiore generale, e come membri del Consiglio Generale i padri Dias Caetano Carlos Miguel, portoghese (primo consigliere, vicario generale ed economo), Cisco Mariano, italiano (secondo consigliere), Bettin Isaldo Antonio, brasiliano (terzo consigliere) e Madin Syrilus, indonesiano (quarto consigliere e procuratore generale).
Il papa ha riflettuto su tre aspetti fondamentali del loro servizio di apostolato, quello del ministero pastorale e della carità nei confronti dei migranti, motivo per cui è stata fondata la Congregazione da san Giovanni Battista Scalabrini: “Essi sono maestri di speranza. Io sono figlio di migranti, e a casa abbiamo sempre vissuto quel senso di andare lì per fare l’America, per progredire, per andare più avanti. Partono sperando di ‘trovare altrove il pane quotidiano’, come diceva san Giovanni Battista Scalabrini, e non si arrendono, anche quando tutto sembra ‘remare contro’, anche quando trovano chiusure e rifiuti”.
E’ stato un invito a non dimenticare ciò che si afferma nella Bibbia: “Non dimenticatevi l’Antico Testamento: la vedova, l’orfano e lo straniero. Sono i privilegiati di Dio. La ricerca di futuro che anima il migrante, del resto, esprime un bisogno di salvezza che accomuna tutti, al di là di razze e condizioni. Anzi l’ ‘itineranza’, rettamente compresa e vissuta, può diventare, pur nel dolore, una preziosa scuola di fede e di umanità sia per chi assiste che per chi è assistito. Non dimentichiamo che la stessa storia della salvezza è una storia di migranti, di popoli in cammino”.
Il secondo punto della riflessione è stato incentrato sulla necessità di una pastorale della speranza: “Non dimentichiamo che il migrante va accolto, accompagnato, promosso e integrato. Se si vuole che in loro non vengano meno la forza e la resilienza necessarie a continuare i viaggi intrapresi, serve qualcuno che si chini sulle loro ferite, prendendosi cura della loro estrema vulnerabilità fisica, e anche vulnerabilità spirituale e psicologica. Servono solidi interventi pastorali di prossimità, a livello materiale, religioso e umano, per sostenere in loro la speranza, e con essa i percorsi interiori che portano a Dio, fedele compagno di viaggio, sempre presente accanto a chi soffre”.
Infine l’ultimo punto riguarda la carità e prende spunto da un pensiero di san Scalabrini pronunciato in occasione del Giubileo del 1900 (‘Il mondo geme sotto il peso di grandi sciagure’): “Sono parole pesanti, che però purtroppo suonano ancora molto attuali. Anche ai nostri giorni, infatti, chi parte lo fa spesso a causa di tragiche e ingiuste disparità di opportunità, di democrazia, di futuro, o di devastanti scenari di guerra che affliggono il pianeta. A ciò si aggiungono la chiusura e l’ostilità dei paesi ricchi, che vedono in chi bussa alla porta una minaccia al proprio benessere. Questo lo vediamo anche da noi: c’è lo scandalo che per la raccolta delle mele, al Nord, fanno venire i migranti dal Centro Europa, ma poi li mandano via”.
Concludendo l’incontro papa Francesco ha richiamato il significato biblico del giubileo, come aveva sottolineato papa san Giovanni Paolo II in un discorso del 1998 ai partecipanti al IV Congresso mondiale promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti: “Nella Bibbia, una delle leggi del Giubileo era la restituzione della terra a chi l’aveva perduta. Oggi tale atto di giustizia può concretizzarsi, in altro contesto, in una carità che rimetta al centro la persona, i suoi diritti, la sua dignità, superando stereotipi escludenti, per riconoscere nell’altro, chiunque sia e da qualunque luogo provenga, un dono di Dio, unico, sacro, inviolabile, prezioso per il bene di tutti”.
(Foto: Santa Sede)
A Trieste mons. Trevisi lancia un appello: volontari ed offerte per aiutare i poveri
“La Fondazione Caritas (che è un ente operativo della Diocesi) e la Caritas Diocesana (espressione diretta della nostra Chiesa per alcuni progetti caritativi) stanno svolgendo una serie di attività e servizi nelle direzioni più disparate: si va dal Centro di ascolto (con sostegno a persone e famiglie in difficoltà varie) all’Emporio della Solidarietà; dal dormitorio per i senza fissa dimora (in convenzione con il Comune) all’accoglienza per altri soggetti fragili (famiglie e donne con bambini piccoli), dalla Mensa per i poveri (che nello scorso anno ha fatto più di 106.000 pasti), all’accoglienza dei Migranti con strutture convenzionate con la Prefettura e altre a totale carico della diocesi e di chi vuole contribuire (pensiamo al dormitorio di via S. Anastasio per i transitanti o coloro che ancora non sono stati accolti per le lungaggini burocratiche)”.
E’ l’inizio dell’appello del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, alla città, che ha elencato le attività portate avanti dalla Caritas diocesana: “Basti vedere caritastrieste.it dove si legge: 375 volontari; 124 persone operative; 13.810 persone aiutate e sostenute (di cui 861 minori); 19 progetti attualmente attivi… E poi c’è tutto il lavoro delle Caritas e delle San Vincenzo nelle parrocchie o la Mensa dei Cappuccini o di altre associazioni (pensiamo a S. Egidio…): un magma di iniziative, persone, accoglienze, ascolti, dopo-scuola, pacchi viveri, corsi di italiano”.
La situazione illustrata dal vescovo è causata anche da mancati pagamenti da parte delle Istituzioni pubbliche negli anni passati: “Da anni la Fondazione Caritas denuncia una fatica finanziaria, in parte dovuta ai ritardi dei pagamenti delle convenzioni per i migranti e in parte anche ad una fatica organizzativa che si è accumulata: prima che io arrivassi a Trieste i dipendenti accusavano notevoli ritardi nei pagamenti del loro stipendio e così pure i fornitori, nonostante gli elevati mutui e i fidi bancari. Il desiderio è che nella riorganizzazione di questi servizi i dipendenti siano maggiormente tutelati (e ora sono pagati sempre puntualmente) ma anche che possiamo raddrizzare la gestione”.
Quindi grazie all’apporto finanziario della Cei e della Caritas italiana, attraverso l’8Xmille, la diocesi triestina riesce ad aiutare i poveri: “Abbiamo ricevuto un consistente sostegno dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Caritas Italiana che attraverso i fondi dell’8Xmille ci hanno sostenuto in modo maggiore rispetto a quanto già ogni anno ci viene erogato. Anzi grazie di cuore a tutti coloro che firmano per l’8Xmille per la Chiesa cattolica. A Trieste molti sono i segni di questa carità che raggiunge migliaia di poveri.
Il desiderio è quello di continuare e anzi aumentare la nostra attenzione alle persone fragili, sia attraverso le strutture convenzionate ma anche attraverso quella gratuità che ci porta ad accollarci spese per far fronte ai bisogni di coloro che non sono tutelati dalle leggi e dai sistemi statali”.
Ed ecco l’appello in previsione della stagione invernale: “Servono volontari e servono risorse economiche per implementare questi aiuti. Presto arriverà il freddo e non possiamo restare a guardare e neppure restare a discutere e ritardare quello che la carità esige prontamente.
Da Dio saremo giudicati per come ci siamo comportati davanti ai poveri. Di fronte a problemi complessi ‘non lasciamoci ingannare da soluzioni facili’, ammoniva il papa in visita a Trieste il 7 luglio… Ci ha messo in guardia dal ‘cancro dell’indifferenza’. Per questo chiedo a tutti di lasciarsi coinvolgere e di partecipare. Abbiamo bisogno di volontari (e grazie a quelli che già si stanno spendendo in modo ammirevole) e anche di offerte”.
Per questo il Vangelo è scomodo ma bello, aveva detto nell’omelia in occasione della festa di san Francesco di Assisi: “Il Vangelo è bello: e san Francesco scrive tante pagine di vangelo bello. San Francesco lo vediamo e lo pensiamo in una comunione profonda con il Signore, conformato a Lui nel più profondo del cuore. Ma anche capace di baciare un lebbroso o di predicare alle folle o di scrivere i primi inni in italiano o ad affascinare folle e folle di giovani che si mettono al suo seguito…
San Francesco è il Vangelo bello di Cristo che torna ad essere vivo e ad attrarre tanti giovani che lasciano i desideri di successo attraverso le battaglie, che tralasciano l’esistenza frivola e godereccia che distraeva dal senso vero della vita. Ieri come oggi spesso si è ammaliati da strade che portano alla perdizione: l’onore delle armi, il successo della vittoria, il piacere e il divertimento come nuovi idoli, la ricchezza accumulata e ostentata… Idoli del tempo di Franceso e del nostro tempo! Francesco ci insegna, vivendolo, che c’è un Vangelo bello, di fraternità, di pace, di amicizia, di solidarietà, di incontro anche con il povero, con il ricco, con il musulmano, con il lebbroso di oggi… Seguire Gesù mi autorizza ad un Vangelo bello nella vita concreta”.
Il Vangelo è scomodo, perché interroga la vita di ogni persona: “Il Vangelo è scomodo, perché è vero e non una fiction: e san Francesco ha patito il rigetto di suo padre, l’incomprensione dei suoi frati, il fraintendimento nostro quando lo riduciamo ad un’icona dell’ecologia e del panteismo e di un pacifismo ingenuo.
Il Vangelo è scomodo perché è segno di contraddizione, è accettare persecuzioni e fraintendimenti anche dentro la Chiesa, anche tra i suoi fratelli. E’ anche accettare il silenzio di Dio, come Gesù sulla croce, come san Francesco con le stimmate. Il Vangelo è scomodo perché il mondo non lo riconosce e preferisce le tenebre alla luce, il peccato alla grazia, la violenza al perdono. Vivere le beatitudini, come Francesco le ha incarnate, è scomodo. E’ un modo scorretto di presentarsi al mondo, perché ci si espone o ad essere considerati ridicoli (ingenui, goffi, bizzarri) o ad essere presi come integralisti, come fanatici. Il Vangelo è scomodo perché è vivere nell’amore di Cristo, fino al dono di sé, e per chi ti offende e ti insulta e ti crocifigge”.
Il Vangelo è bello e scomodo, ma è la ‘nostra passione’, ha concluso l’omelia: “Il Vangelo è la nostra passione. Con san Francesco vogliamo che il Vangelo sia la nostra ostinata passione. Cioè come per Francesco deve diventare il desiderio estremo, che ci consuma nell’amore, nell’abbandono a Dio, come Gesù, che è abbandonato dagli uomini e si abbandona al Padre. Il Vangelo che appassiona è il bicchiere d’acqua dato ai fratelli, il restare inginocchiati davanti all’Altissimo Onnipotente buon Signore, la ricerca della pecorella smarrita e la gioia del sapersi cercati dal Signore quando ci siamo perduti, la verità che rende liberi anche di fronte ai prepotenti, il perdono che risana il cuore, la visita all’ammalato che ridà spessore alla vita, la mitezza nei confronti degli arroganti, il silenzio che ti fa sospirare la Parola di Dio e la musica con cui canti il suo amore, l’umile ricostruzione della Chiesa, la condivisione di quello che hai e che sei, l’onore dato ad ogni piccolo e ad ogni povero”.
(Foto: diocesi di Trieste)
Papa Francesco elogia la Guardia di Finanza per la promozione della legalità
In occasione del 250° anniversario della fondazione della Guardia di Finanza papa Francesco ha ricevuto in udienza i militari appartenenti al corpo militare, che ha come motto ‘Nella tradizione, il futuro’: “Questo è il motto del vostro 250° anniversario. Nella tradizione c’è il futuro. Fa riferimento alle radici che hanno portato alla fondazione della Guardia di Finanza e le hanno dato una direzione di crescita”.
Ed ha ricordato la missione di questo Corpo: “Nata come Corpo speciale per il servizio di vigilanza finanziaria e difesa ai confini, ha assunto compiti di polizia tributaria ed economico-finanziaria, di polizia sul mare, con una importante missione nell’ambito del soccorso, sia in mare che in montagna.
Ricordo storico di questo impegno è l’aiuto offerto ai profughi ebrei e ai perseguitati durante i due grandi conflitti mondiali. Un vasto ambito di interventi, dunque, che intende rispondere ai problemi con la concretezza della presenza e dell’azione puntuale, veicolando al contempo un’alternativa culturale ad alcuni mali che rischiano di inquinare la società”.
Il papa li ha ricevuti nella festa del protettore del corpo militare: “Il vostro Patrono è San Matteo (oggi è la festa), apostolo ed evangelista. Egli, infatti, era stato un ‘pubblicano’, cioè un esattore delle tasse, mestiere doppiamente disprezzato al tempo di Gesù, perché asservito al potere imperiale e perché corrotto. A me piace andare alla chiesa dei francesi a vedere quel Caravaggio, ‘La conversione di Matteo’, che simboleggia così profondamente”.
Quindi ha sottolineato che la logica della ricchezza è difficile da cambiare: “Matteo rappresentava una mentalità utilitarista e senza scrupoli, devota solo al ‘dio denaro’. Anche ai nostri giorni una logica simile si ripercuote sulla vita sociale, causando squilibri ed emarginazione: dagli sprechi alimentari (questo è uno scandalo, gli sprechi alimentari, è uno scandalo!) all’esclusione di cittadini dal beneficiare di alcuni loro diritti”.
Le parole del papa sono state chiare quando ha affrontato il tema della finanza: “Anche lo Stato può finire vittima di questo sistema; perfino quegli Stati che, pur disponendo di ingenti risorse, rimangono isolati sul piano finanziario o del mercato globale. Come si spiega la fame nel mondo, oggi, quando ci sono tanti, tanti sprechi nelle società sviluppate? E’ terribile questo. E un’altra cosa: se si fermassero un anno dal fabbricare le armi, finirebbe la fame nel mondo. Meglio le armi che risolvere la fame”.
Il compito della Guardia di Finanza è quello di contribuire alla giustizia ‘economica’: “In questo panorama, voi siete chiamati a contribuire alla giustizia dei rapporti economici, verificando l’osservanza delle norme che disciplinano le attività dei singoli e delle imprese. Perciò vigilate sul dovere di ogni cittadino di contribuire secondo criteri di equità alle necessità dello Stato, senza che vengano privilegiati i più forti, e contrastate l’uso inappropriato di internet e delle reti sociali. Sia riguardo alla riscossione delle imposte, sia nella lotta al lavoro sommerso e sottopagato (questo è un altro scandalo), o comunque lesivo della dignità umana, la vostra azione è di primaria importanza”.
E’ un servizio per il ‘bene comune’: “E tutto questo è il vostro modo concreto e quotidiano di servire il bene comune, di essere vicini alla gente, di contrastare la corruzione e promuovere la legalità. Quella corruzione che si fa sotto il tavolo… Perciò la risposta, l’alternativa non sta solo nelle norme, ma in un ‘nuovo umanesimo’. Rifondare l’umanità”.
Ad un certo punto Matteo cambiò mentalità: “Matteo, in un certo senso, passò dalla logica del profitto a quella dell’equità. Ma, alla scuola di Gesù, egli superò anche l’equità e la giustizia e conobbe la gratuità, il dono di sé che genera solidarietà, condivisione, inclusione. La gratuità non è soltanto una dimensione finanziaria, ma è una dimensione umana. Diventare [persone] al servizio degli altri, gratuitamente, senza cercare il proprio profitto. Perché, se la giustizia è necessaria, essa non è sufficiente a colmare quei vuoti che solo la gratuità, la carità, l’amore può sanare”.
Ed ha elogiato la Guardia di Finanza per i ‘servizi’ svolti: “Voi lo sperimentate ad esempio quando organizzate l’accoglienza e il soccorso ai migranti in pericolo nel Mediterraneo. Grazie di questo, grazie. Oppure negli interventi coraggiosi per le calamità naturali, in Italia e altrove. Ma pensiamo al contrasto alla piaga del traffico di stupefacenti, ai mercanti di morte. Il vostro servizio non si esaurisce nella protezione delle vittime, ma include il tentativo di aiutare la rinascita di chi sbaglia: infatti, agendo con rispetto e integrità morale potete toccare le coscienze, mostrando la possibilità di una vita diversa”.
Ha concluso l’udienza con una riflessione sulla globalizzazione: “Anche in questo modo si può e si deve costruire un’alternativa alla globalizzazione dell’indifferenza, che distrugge con la violenza e la guerra, ma pure trascurando la cura della socialità e dell’ambiente. In effetti, la ricchezza di una Nazione non sta solo nel suo PIL, risiede nel suo patrimonio naturale, artistico, culturale, religioso, e nel sorriso dei suoi abitanti, dei suoi bambini… Serve questo slancio solidale verso l’altro come via per la pace e come speranza di un futuro migliore!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco è rientrato a Roma: uccidere e respingere sono contro la vita
Il volo di rientro da Singapore ha fatto scalo all’aeroporto di Fiumicino alle ore 18.46 di ieri e subito, papa Francesco ha ringraziato la Vergine Maria nella basilica di santa Maria Maggiore per il viaggio apostolico appena concluso, come è stato scritto sul canale Telegram della Sala Stampa vaticana: “Papa Francesco si è recato nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove ha sostato in preghiera davanti all’icona della Vergine Salus Populi Romani. Quindi, al termine della visita, ha fatto rientro in Vaticano”.
Nella conferenza stampa ‘aerea’ papa Francesco ha ringraziato i giornalisti, prima di rispondere alle loro domande: “Prima di tutto voglio ringraziare tutti voi per questo lavoro, per questa compagnia nel viaggio, che per me è molto importante. Poi, io vorrei congratularmi con la ‘decana’, perché Valentina Alazraki fa il 160° viaggio, con questo! Io non le dirò che deve andare in pensione, ma che continui così!”
Molte sono state le domande ed anche molto complesse, tanto da richiedere più risposte, ma ad una domanda su aborto e deportazione di massa di migranti, il papa è stato molto chiaro, in quanto si tratta di due atti “contrari alla vita, sia quello che butta via i migranti, sia quello che uccide i bambini. Ambedue sono contro la vita. Sia chiaro, sia mandare via i migranti, sia non dare ai migranti capacità di lavorare, non dare ai migranti accoglienza è un peccato grave. Nell’Antico Testamento si parla dell’orfano, della vedova e dello straniero, cioè il migrante. Sono i tre che il popolo di Israele deve custodire. Chi non custodisce il migrante manca. La migrazione è un diritto, è un diritto che c’è nella Scrittura. nell’Antico Testamento c’era.
L’aborto è uccidere un essere umano. Ti piace la parola, non ti piace … ma è uccidere. La Chiesa non è chiusa perché non permette l’aborto. La Chiesa non permette l’aborto perché uccide. È un assassinio. E questo dobbiamo avere le idee chiare. Mandare via i migranti è una cosa brutta, è cattiveria lì. Mandare via un bambino dal seno della mamma è un assassinio perché c’è vita. In queste cose dobbiamo parlare chiaro. Nella morale politica, in genere, si dice che non votare è brutto, non è buono. Si deve votare. E si deve scegliere il male minore. Chi è il male minore, quella signora o quel signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo”.
Però le prime domande vertevano sul viaggio apostolico, specialmente a riguardo dell’ultima tappa a Singapore: “Prima di tutto, io non mi aspettavo di trovare Singapore così. Dicono che la chiamano la New York dell’Oriente: un Paese sviluppato, pulito, gente educata, la città con grattacieli grandi e anche una grande cultura interreligiosa. L’incontro interreligioso che ho avuto alla fine è stato un modello, un modello di fratellanza. Poi ho visto anche, già parlando dei migranti, i grattacieli per gli operai. I grattacieli lussuosi e gli altri sono ben fatti e puliti, e questo mi è piaciuto tanto.
Io non ho sentito che ci sia una discriminazione, non ho sentito. Mi ha colpito la cultura. Con gli studenti, per esempio, l’ultimo giorno: sono rimasto colpito dalla cultura. Il ruolo internazionale: ho visto che la prossima settimana c’è una ‘Formula Uno’, credo… Il ruolo internazionale è di una capitale che attira le culture e questo è importante. È una grande capitale. Io non mi aspettavo di trovare una cosa del genere”.
Eppoi un chiarimento sulla presenza dei coccodrilli a Timor Est, se era un riferimento alle sette: “Ho preso l’immagine dei coccodrilli che vengono sulla spiaggia. Timor Est ha una cultura semplice, familiare, gioiosa e ha una cultura di vita, ha tanti bambini, tanti, e io, quando parlavo di coccodrilli, parlavo delle idee che possono venire da fuori per rovinare questa armonia che voi avete. Ti dico una cosa: io sono rimasto innamorato di Timor Est! Un’altra cosa?…
Può darsi. Io non parlo di questo, non posso, ma può darsi. Perché tutte le religioni vanno rispettate, ma si fa una distinzione tra religione e setta. La religione è universale, qualsiasi religione; la setta è restrittiva, è un gruppetto che sempre ha un’altra intenzione. Grazie, e complimenti per il tuo Paese”.
Ed ha raccontato anche della visita in Papua Nuova Guinea: “Mi è piaciuto il Paese, e ho visto un Paese in via di sviluppo forte. Poi ho voluto andare a Vanimo per trovare un gruppo di preti e suore argentini che lavorano lì, e ho visto un’organizzazione molto bella, molto bella! In tutti i Paesi l’arte è molto sviluppata: le danze, altre espressioni poetiche…
Ma in Papua Nuova Guinea è impressionante, e a Vanimo impressiona lo sviluppo dell’arte. Questo mi ha colpito molto. I missionari che ho visitato sono nella foresta, vanno dentro la foresta a lavorare. Mi è piaciuto Vanimo, e il Paese pure”.
Un’ulteriore domanda ha riguardato l’accordo tra la Santa Sede e la Cina: “Prendo l’ultima: io sono contento dei dialoghi con la Cina, il risultato è buono, anche per la nomina dei vescovi si lavora con buona volontà. E per questo ho sentito la Segreteria di Stato, su come vanno le cose: io sono contento. L’altra cosa è la Cina: la Cina per me è un desiderio, nel senso che io vorrei visitare la Cina, perché è un grande Paese; io ammiro la Cina, rispetto la Cina.
E’ un Paese con una cultura millenaria, una capacità di dialogo, di capirsi tra loro che va oltre i diversi sistemi di governo che ha avuto. Credo che la Cina sia una promessa e una speranza per la Chiesa. La collaborazione si può fare, e per i conflitti certamente. In questo momento, il card. Zuppi si muove in questo senso e ha rapporti anche con la Cina”.
E non ha dimenticato il Medio Oriente: “La Santa Sede lavora per questo. Vi dico una cosa: tutti i giorni chiamo a Gaza, tutti i giorni, la parrocchia di Gaza. Lì dentro, nella parrocchia e nel collegio, ci sono 600 persone: cristiani e musulmani, ma vivono come fratelli. Mi raccontano cose brutte, cose difficili. Io non posso qualificare se questa azione di guerra è troppo sanguinaria o no, ma per favore, quando si vedono i corpi di bambini uccisi, quando si vede che presumendo che ci siano lì alcuni dei guerriglieri, si bombarda una scuola: è brutto questo, è brutto! A volte si dice che è una guerra difensiva o no, ma alcune volte credo che sia una guerra troppo, troppo…
E, mi scuso di dire questo, ma non trovo che si facciano i passi per fare la pace. Per esempio, a Verona, ho avuto un’esperienza molto bella: un ebreo, a cui era morta la moglie sotto un bombardamento, e uno di Gaza, a cui era morta la figlia, ambedue hanno parlato della pace, si sono abbracciati e hanno dato una testimonianza di fratellanza. Io dirò questo: è più importante la fratellanza che l’uccisione del fratello. Fratellanza, darsi la mano. Alla fine, chi vince la guerra troverà una grande sconfitta. La guerra sempre è una sconfitta, sempre, senza eccezioni. E questo non dobbiamo dimenticarlo”.
(Foto: Vatican News)
Esercizi (africani e non) di quotidiani apartheid
‘Buongiorno Mauro, è vero, da due mesi è vietato agli africani (neri) di prendere i bus delle grandi distanze e i treni. All’interno delle città ciò è più o meno tollerato. Quanto ai taxi in città e fuori, ciò resta un pericolo. In fatti l’autista rischia il ritiro della patente e il passeggero l’arresto e la deportazione alla frontiera col Niger…’.
E’ da Algeri, il 5 giugno scorso che, un vecchio amico impegnato nell’accoglienza dei migranti, ha inviato la mail trascritta sopra. Scorrendo il suo messaggio la prima idea che mi è venuta in mente è stata quella di un nuovo ‘apartheid’. Si tratta di una parola afrikaans che significa letteralmente ‘separazione’ o ‘partizione’. Era il nome dato alla politica di segregazione razziale istituita nel 1948 dal governo al potere nel Sudafrica. Rimase in vigore fino al 1991 ed è stata attualizzata, come denunciato proprio da questo Paese, tra l’altro da Israele nei confronti del popolo palestinese. In molte altre parti del mondo è tornato senza vergogna.
Nel Nord Africa, non da oggi, si pratica spesso con disinvoltura una politica di disprezzo per gli africani di origine sub sahariana. Le testimonianze ricevute dai migranti di ritorno sono in questo senso inesorabili e precise. L’arco della cosiddetta ‘Africa bianca’, dal Marocco sino all’Egitto, si distingue per applicare forme anche estreme di stigmatizzazione nei confronti dei migranti o rifugiati ‘neri’ che cercano in quell’area lavoro, protezione o semplicemente una riva per andare in Europa. Insulti, minacce, ruberie, sfruttamenti e accuse di propagazione di tutti i mali possibili sono quanto più i migranti, con tristezza, raccontano. C’è chi ricorda, con amarezza, che molti di loro erano considerati puramente e semplicemente schiavi o cose.
Nulla di nuovo sotto il sole, direbbe il saggio che si intendeva di umane vicende nella storia. La separazione o partizione si trova anzitutto dentro il cuore umano ogni qualvolta si esclude o mutila la coscienza e lo spirito che lo lega a se stesso, agli altri e alla trascendenza che lo spinge all’altrove. Seguono poi, e di conseguenza, le altra ‘partizioni’ o esclusioni. Quelle tra popoli, continenti, culture e immaginari simbolici. All’interno stesso delle società si sviluppano fenomeni violenti e discriminanti tra chi rivendica la pienezza dell’umano e chi si trova, suo malgrado, ad essere considerato uno scarto, superfluo e, talvolta, come i poveri, ‘pericoloso’ per l’ordine pubblico. L’apartheid ha probabilmente un futuro brillante dinnanzi a sé perché le società, nel loro insieme, non sembrano disposte a mettere in pratica quanto suggerito dal prezioso e disatteso articolo 3 della Costituzione italiana.
‘È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese’…
Finché le varie forme di organizzazione politica al potere, quali esse siano, saranno lontane o ostili a questo orientamento civico, l’apartheid troverà un terreno propizio per svilupparsi e creare società ogni volta più escludenti. Col rischio che, in definitiva, gli africani saranno i peggiori nemici degli africani.
Papa Francesco invita a pregare con i Salmi
“Domani ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite. Possa essere l’occasione per rivolgere uno sguardo attento e fraterno a tutti coloro che sono costretti a fuggire dalle loro case in cerca di pace e di sicurezza. Siamo tutti chiamati ad accogliere, promuovere, accompagnare e integrare quanti bussano alle nostre porte. Prego affinché gli Stati si adoperino ad assicurare ai rifugiati condizioni umane e a facilitare i processi di integrazione”: al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha rivolto un appello agli Stati per assicurare ai migranti condizioni umani, in vista della giornata del rifugiato in programma domani.
Inoltre ha salutato gli aderenti dell’associazione dedicata al card. Costantini presenti a Roma per la presentazione di un libro sul Concilio cinese: “In particolare, saluto l’Associazione ‘Amici del Cardinale Celso Costantini’, accompagnati dal Vescovo della Diocesi di Concordia-Pordenone Giuseppe Pellegrini, in occasione del centesimo anniversario del Concilium Sinense di Shangai. E questo anche mi fa pensare al caro popolo cinese. Preghiamo sempre per questo popolo nobile e così coraggioso, che ha una cultura così bella. Preghiamo per il popolo cinese”.
Ed in lingua polacca ha ricordato il ‘nuovo’ beato’: “Ringraziando il Signore per il nuovo beato, martire del comunismo, don Michał Rapacz, preghiamo affinché la sua testimonianza diventi un segno di consolazione da parte di Dio, in questi tempi segnati dalle guerre. Il suo esempio ci insegni ad essere fedeli a Dio, a rispondere al male con il bene, a contribuire nell’edificazione di un mondo fraterno e pacifico. Beato don Michał, intercedi per la Polonia e per ottenere la pace nel mondo!”
Mentre nella catechesi odierna ha ricordato la ‘grande sinfonia’ dei Salmi come forma di preghiera: “Con la catechesi di oggi vorrei ricordare che la Chiesa possiede già una sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo, ed è il Libro del Salmi. Come in ogni sinfonia vi sono in esso vari ‘movimenti’, cioè vari generi di preghiera: lode, ringraziamento, supplica, lamento, narrazione, riflessione sapienziale, e altri, sia nella forma personale sia in quella corale di tutto il popolo. Sono i canti che lo Spirito stesso ha messo sulle labbra della Sposa, la Chiesa. Tutti i Libri della Bibbia, ricordavo la volta scorsa, sono ispirati dallo Spirito Santo, ma il Libro dei Salmi lo è anche nel senso che è pieno di afflato poetico”.
Ed ha ricordato il ‘rapporto’ dei Salmi con il Nuovo Testamento: “Sulla mia scrivania ho un’edizione in ucraino di Nuovo Testamento e Salmi, di un soldato morto in guerra, che mi hanno inviato; lui pregava al fronte con questo libro. Non tutti i salmi (e non tutto di ogni salmo) può essere ripetuto e fatto proprio dai cristiani e ancor meno dall’uomo moderno. Essi riflettono, a volte, una situazione storica e una mentalità religiosa che non sono più le nostre. Questo non significa che non sono ispirati, ma che per certi aspetti sono legati a un tempo e uno stadio provvisorio della rivelazione, come lo è anche tanta parte della legislazione antica”.
Ha evidenziato che i Salmi sono state le preghiere di Gesù: “Ciò che più raccomanda i salmi alla nostra accoglienza è che essi sono stati la preghiera di Gesù, di Maria, degli Apostoli e di tutte le generazioni cristiane che ci hanno preceduto. Quando li recitiamo, Dio li ascolta con quella grandiosa ‘orchestrazione’ che è la comunione dei santi”.
Anche la Chiesa prega con i Salmi, chiedendo se i fedeli pregano con i Salmi, definiti da sant’Ambrogio ‘dolce libro’: “Io mi domando: voi pregate con i salmi qualche volta? Prendete la Bibbia e pregate un salmo. Per esempio, quando siete un po’ tristi per aver peccato, pregate il salmo 50? Ci sono tanti salmi che ci aiutano ad andare avanti. Prendete l’abitudine di pregare con i salmi, vi assicuro che sarete felici alla fine”.
E’ un invito a scoprire la bellezza dei Salmi: “Ma non possiamo solo vivere dell’eredità del passato: è necessario fare dei salmi la nostra preghiera. E’ stato scritto che, in un certo senso, dobbiamo diventare noi stessi ‘autori’ dei salmi, facendoli nostri e pregando con essi. Se ci sono dei salmi, o solo dei versetti, che ci parlano al cuore, è bello ripeterseli e pregarli durante il giorno”.
Ed allora occorre pregare con i Salmi per dare ‘gusto’ alla lode: “I salmi sono preghiere ‘per tutte le stagioni’: non c’è stato d’animo o bisogno che non trovi in essi le parole migliori per trasformarli in preghiera. A differenza di tutte le altre preghiere, i salmi non perdono di efficacia a forza di essere ripetuti, anzi, l’accrescono”.
E’ stato un invito ad imparare a santificare Dio: “I salmi ci permettono di non impoverire la nostra preghiera riducendola solo a richieste, a un continuo ‘dammi, dacci…’. Impariamo dal Padre nostro, che prima di chiedere il ‘pane quotidiano’ dice: ‘Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà’. I salmi ci aiutano ad aprirci a una preghiera meno centrata su noi stessi: una preghiera di lode, di benedizione, di ringraziamento; e ci aiutano anche a farci voce di tutto il creato, coinvolgendolo nella nostra lode”.
(Foto: Santa Sede)
Il popolo introvabile e la democrazia di sabbia
Dov’è passato il popolo nei Paesi del Sahel? Si tratta dei bambini, i giovani e gli adulti che hanno riempito lo stadio un paio di volte dopo il golpe di fine luglio dell’anno scorso? Oppure dei gruppi di vigilanza nelle rotonde della capitale? O allora delle migliaia di cittadini che hanno ottenuto la partenza incondizionata dei militari francesi prima e americani poi nella piazza battezzata della ‘Resistenza’?
Parliamo delle qualche decine di militanti delle organizzazioni della società civile che hanno ‘sposato ‘ e ‘orientato’ la causa della giunta? C’è popolo e popolo, come dappertutto in giro per il mondo, beninteso. Coloro che ne accaparrano i vizi e le virtù e coloro che, diciamo così, non ne faranno mai parte.
Ad esempio i bambini e adulti che a centinaia mendicano sulle strade della capitale o che sono ‘esportati’ nei Paesi confinanti per esercitare il mestiere di salvare le anime dei peccatori. In effetti, anche grazie a loro i fedeli potranno praticare la virtù dell’elemosina e sperare nella misericordia divina. Nella zona ‘grigia’ tra il popolo e il non popolo ci sono le moltitudini dei contadini, degli allevatori di bestiame e la folla immensa di giovani che sopravvivono del lavoro informale per il cibo quotidiano. A meno che non si chiami ‘popolo’ solo chi sta dalla parte’ giusta’.
C’è il popolo dei commercianti, i grandi che vanno a Dubai o altrove, i medi che si industriano per riemergere dalla crisi, i piccoli delle frontiere e i minimi che vendono i sacchetti d’acqua di un’improbabile sorgente del Sahel, pura e minerale per tutti i gusti. Ci si ricorda del popolo dei politici del passato, in situazione di stallo con la sospensione delle attività dei partiti politici o per via dei compromessi con l’antico regime presidenziale del Rinascimento.
Il popolo dei funzionari statali, gli insegnanti, gli impiegati nelle Ong locali, i superstiti delle cooperazioni bilaterali e l’indefinita lista di chi cerca lavoro e colleziona domande di assunzione per concorsi che non arrivano mai a tempo. Si dovrebbe aggiungere il popolo degli imprenditori religiosi che organizzano la vita religiosa del popolo dei credenti a sua volta suddiviso tra stranieri e autoctoni.
Poi c’è il popolo dei migranti, dei rifugiati, degli sfollati espropriati delle terre, le case e il futuro che immaginavano diverso. Il popolo dei militari fa storia a sé soprattutto se si prendono in considerazioni i gradi, le affinità, le conoscenze e l’attuale posto nell’amministrazione politica del Paese. Anche le donne formano, a modo loro, un popolo a parte speciale coi suoi riti, attese, prerogative e poteri sul quotidiano dei figli e quello, meno evidente, sui mariti.
Il popolo è dunque un’idea nata da qualche parte tra il concetto di nazione e quello di stato. Oppure non si tratta che di un’invenzione che solo la scelta di nominarlo permette di farlo esistere. ‘In nome del popolo sovrano’ suona quasi come un proclama assoluto dal sapore divino. La giustizia, la legge e la carta costituzionale si fondano sul popolo e così la sovranità che gli appartiene per natura.
Sono i cittadini riconosciuti come tali che sembrano costituire il popolo in base all’appartenenza storica, geografica, culturale e politica ad un ordinamento accettato e riconosciuto. C’è poi, infine, il popolo di sabbia o meglio il popolo che della sabbia è una creatura a parte.
Spazzato via dal vento e dai pulitori di strade, ai margini delle corsie transitabili dai veicoli oppure allontanato dagli orientamenti strategici del Paese, venduto e occasionalmente ostaggio delle nuove bandiere sistemate nelle rotonde della capitale. Fanno bella mostra quelle dei Paesi dell’Alleanza del Sahel assieme a quella della Russia. Forse il popolo introvabile si trova, nascosto, nella polvere che il vento porta lontano.
Dall’Italia oltre € 8.000.000.000 di risparmi inviati dai migranti
Nel 2023 i migranti hanno inviato dall’Italia ai propri Paesi di residenza € 8.178.000.000, in leggero calo (-0,4%) rispetto all’anno precedente, confermando il Bangladesh primo Paese di destinazione e la Lombardia prima Regione di invio, da quanto si legge nell’aggiornamento statistico sulle rimesse pubblicato ieri dalla Banca d’Italia.
Però nel quarto trimestre dello scorso anno le rimesse inviate all’estero dagli stranieri residenti in Italia sono diminuite del 2,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Comunque nello scorso anno la contrazione è stata marginale, pari allo 0,4%; sono diminuiti soprattutto i flussi verso i paesi dell’Africa sub-sahariana (-7,8%) e dell’Unione europea (-4,7%), in larga parte compensati dall’aumento dei flussi verso l’America centro-meridionale (+4,9%) ed, in minor misura, verso i paesi dell’Asia e del Nord Africa – Vicino Oriente (+0,9% e +0,8%, rispettivamente).
I primi tre paesi beneficiari delle rimesse dall’Italia nel 2023 si sono riconfermati Bangladesh, Pakistan e Filippine, che hanno ricevuto rispettivamente il 14,3%, l’8,3% ed il 7,3% del flusso totale.
Inoltre le maggiori regioni italiane, ad eccezione della Toscana, hanno registrato una crescita sostanzialmente nulla o negativa delle rimesse verso l’estero rispetto al 2022. Quasi la metà delle rimesse è provenuta dalle tre regioni più importanti in termini di flussi: Lombardia (22,6%), Lazio (14,8%) ed Emilia-Romagna (10,4%). Le maggiori variazioni positive si sono registrate nelle province di Milano e Napoli verso Sri-Lanka e Georgia, mentre quelle più negative nelle province di Napoli e Roma verso il Bangladesh.
In dettaglio nello scorso anno il Bangladesh si conferma al primo posto tra i paesi ricettori del flusso di rimesse inviato dall’Italia avendo ricevuto oltre € 1.100.000.000. Al secondo posto si colloca il Pakistan, interessato da rimesse per € 680.500.000 ed in terza posizione le Filippine con quasi € 600.000.000. Poi il Marocco con € 562.400.000 ricevuti (€ 4.000.000 in meno rispetto al 2022) ed in quinta posizione la Georgia con € 457.700.000, che incrementa rispetto all’anno precedente di quasi € 60.000.000.
Di contro continua a diminuire il denaro verso la Romania, che nel 2023 ha ricevuto € 449.000.000. Il fenomeno riguarda altri Paesi dell’Est Europa come la Bulgaria che lo scorso anno ha ricevuto € 24.000.000 contro € 26.000.000 nel 2022 ed € 29.500.000 nel 2021.