Don Giussani e don Puglisi al centro del Meeting di Rimini

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Ieri il Meeting di Rimini ha reso omaggio a mons. Luigi Giussani, partendo dalla frase che dà il titolo alla 44^ edizione, ‘L’esistenza umana è una amicizia inesauribile’ con cui mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, si è confrontato: “L’esistenza umana è un’amicizia perché l’esistenza è data, è data da un Mistero che ci costituisce. Sta a noi cogliere il tu di Dio come costitutivo della nostra esistenza”.

Il problema per l’umanità è lasciarsi amare: “Abbiamo una terribile difficoltà a lasciarci amare e perdonare…  E’ la difficoltà di Pietro  che non vuole lasciarsi lavare i piedi da quel Maestro che pure aveva seguito, ma che adesso si piega su di lui e sul suo bisogno. La sua difficoltà è la tentazione ultima dell’autosufficienza, che consiste nell’eliminare l’altro e pensare di potersi salvare da sé”.

Il mistero della libertà dell’uomo, “che anche davanti a Dio può dire di no, dicendo di no alla gente che ci vuole davvero bene, vuole lavarci i piedi, chiede un’apertura, una confidenza, una fiducia che spesso neghiamo per paura di perderci, perché nell’amicizia bisogna un po’ perdersi per ritrovarsi. E quindi accettare di farsi amare”.

Ha raccontato l’episodio di una ragazza che aveva difficoltà a scegliere, non riusciva mai a scegliere per paura di sbagliare perché sbagliare implicava dover essere perdonata: “Perché lasciarsi perdonare significa accettare di dipendere da un altro. E invece questa buona dipendenza rende più dolce la vita. Ed è la verità dell’amicizia: accettare di lasciarsi amare”.

In un dialogo franco mons. Baturi ha esplicitato che “la proposta educativa di don Giussani non richiede l’apprendimento di un corpo di dottrine, neppure l’osservanza di precetti. Si tratta di accettare la presenza dell’altro come un motivo fondamentale per comprendere se stessi. Questa, in fondo, è la fede.

La fede è decisiva per la vita nella misura in cui cogliamo il ‘tu’ di Dio come costitutivo della nostra esistenza. Il punto è che non è possibile scandagliare questa profondità se non con gli occhi di un amico, qualcuno che mi aiuta a leggere l’esistenza, la mia esistenza, e i segni di questo dono di cui sono fatto”.

Un’amicizia è vera, quando c’è la cura: “La cura dell’altro. Ci si prende cura dell’altro come di un destino, perché noi innanzitutto siamo dono, siamo donati a noi stessi. È l’altra cosa importante contenuta in quella frase: la verità di noi ci viene restituita nello sguardo di chi ci ama profondamente”.

E’ ciò che diceva sant’Agostino, che affermava che quando non c’è un amico niente è amico: “L’uomo non può capire se stesso come un bene se non dentro un’esperienza di amore, e la forma più gratuita e condivisa e vicendevole dell’amore si chiama amicizia. Non è un caso che sempre don Francesco Ventorino parlasse di ‘amicizia coniugale’, leggendo anche il rapporto coniugale come una forma di amicizia”.

Ed ha affrontato il tema dell’amicizia sociale: “Papa Francesco, nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, proprio perché ‘nessuno resta fuori dall’amore universale’ di Cristo, parla anche di una ‘amicizia sociale’…

Quella tra cittadini, diceva san Tommaso, è capace di essere una vera amicizia nella misura in cui si assume la responsabilità del bene dell’altro e del bene comune. Detto con le parole di don Giussani, l’amicizia genera un popolo.

Quando padri, madri e figli, uomini e donne, condividono la cura l’uno dell’altro, l’amore al destino dell’altro, questi rapporti, dilatandosi, creano un popolo. Sull’amicizia sociale, papa Francesco approfondisce mirabilmente l’eredità di papa Giovanni Paolo II”.

Mentre il prof. Costantino Esposito, docente all’Università di Bari, esaminando la frase di don Giussani, ha sottolineato che “La crisi del senso può valere come un indicatore decisivo per verificare le reali possibilità che si aprono nella condizione umana del nostro tempo.

A patto però di non intendere questa crisi solo come una circostanza determinata dalla perdita dei valori della tradizione, ma neanche come una semplice patologia rispetto a una condizione pregressa di ‘sanità’ o in vista di una risoluzione che ripristini lo stato di normalità”.

Accanto a don Giussani l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice,ha raccontato p. Pino Puglisi, incentrando il racconto sul significato del senso: “Don Pino Puglisi aveva deciso di studiare alle Magistrali perché lui fondamentalmente era un educatore, era capace di ‘tirare fuori’ dall’altro il senso ultimo della vita, che in lui coincideva con quello di Cristo”. 

Nel suo intervento l’arcivescovo di Palermo ha ripetuto l’ammonimento fatto il 9 maggio 1993 dall’allora papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, quando gridò ai mafiosi di convertirsi.

Un messaggio ripetuto, con altri toni, da papa Francesco cinque anni quando disse ‘fratelli mafiosi convertitevi, se continuate così accumulerete la peggiore delle vostre sconfitte’: “Lo specifico dei cristiani  è che dobbiamo conservare le stesse viscere di misericordia del Signore, dinnanzi alla sofferenza e all’oppressione non solo ci indigniamo ma ci coinvolgiamo.

E ci coinvolgiamo con tutti quelli che sono ancora capaci di avere viscere di misericordia. Questo è il compito che il papa affida alle comunità cristiane di Palermo e a tutti”.

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