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Papa Francesco: la dama apre la mente

“Prendersi cura degli anziani è assumere un’eredità. E quell’eredità, consegnatela. Pertanto, l’altra estremità sono i bambini. Mi stavo divertendo a vedere con quanta gioia succhiava il biberon. Una promessa. Eredità e promessa. E noi siamo un ponte”: con queste pennellate papa Francesco ha incontrato i membri della fondazione ‘Memorial papa Francesco, a cui ha espresso gratitudine.

Inoltre ha ringraziato l’associazione spagnola per le attività che svolge, ricordando che è necessario prendersi cura di anziani e bambini: “Oggi vorrei mettere in risalto queste due cose: eredità e futuro, anziani e bambini; Dobbiamo prenderci cura di entrambi perché la storia continua. E poi, universalità nella collaborazione di tutti”.

Inoltre ha ricevuto anche i membri della Federazione Italiana Dama, in occasione del centenario della Federazione italiana, fondata nel 1924 ed attualmente presieduta da Carlo Andrea Bordini, elogiando questo ‘gioco’: “Il gioco della dama ha due belle caratteristiche: stimola la mente ed è accessibile a tutti. Infatti richiede intelligenza, abilità e attenzione, ma non grandi mezzi e strutture. E’ uno di quei giochi con cui, ovunque ci si trovi, si può facilmente creare un momento di incontro e di divertimento: bastano una scacchiera e le pedine, due giocatori, ed è un modo simpatico di stare insieme”.

Le origini della disciplina sono antiche, risalenti al 5.000 a.C. mentre diagrammi di damiere (le scacchiere su cui si gioca) sono stati trovati nella tomba egizia di Kurna, vicino a Fiv, datata 1350 a.C. Quanto alle moderne regole, il primo Paese ad adottarle fu la Spagna nel XVI secolo. In Italia il primo campionato nazionale si svolse nel 1925 e può essere praticato da tutti, perché sviluppa lalogica: “Questo fa sì che la dama sia un gioco per tutti, praticato in varie parti del mondo.

Ad esempio, risulta che sia uno degli svaghi più comuni tra i migranti che approdano sulle nostre coste: tanti di questi fratelli e sorelle, in situazioni di grande incertezza e apprensione, trovano sollievo giocando a dama, a volte anche insieme alla gente che li accoglie, nella semplicità e nella condivisione. E inoltre è un gioco che fa esercitare la capacità logica, e ce n’è bisogno, perché l’abuso dei nuovi media invece la fa addormentare!”

L’incontro si è concluso con un ringraziamento: “Perciò auguro ogni bene per la vostra attività; e vi incoraggio anche a tenere vivi i momenti di spiritualità che abitualmente associate agli eventi più importanti organizzati dalla Federazione. Vi ringrazio della vostra visita e vi benedico. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. E portate sempre i bambini, che sono una promessa!”

La giornata è stata conclusa dal colloquio con il presidente del Tadjghistan, Emomali Rahmon, piccola nazione dell’Asia Centrale, una delle ex repubbliche socialiste sovietiche, vertente sul dialogo con la Russia e sul rapporto con le altre fedi. Nel colloquio bilaterale in Segreteria di Stato, insieme con il card. Pietro Parolin, segretario di Stato, e mons. Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, sono state “rilevate le buone relazioni tra la Santa Sede e il Tadjikistan, e ci si è soffermati su alcuni aspetti della situazione politica e socioeconomica del Paese”.

(Foto: Santa Sede)

Caritas Italiana: i confini sono ‘zone di contatto’

Giovedì 11 aprile si è concluso a Grado il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane dedicato al tema dei ‘Confini, zone di contatto, non di separazione’ con la partecipazione di 613 persone, tra direttori e membri di équipe provenienti da 182 Caritas diocesane di tutta Italia, con la testimonianza di don Otello Bisetto, cappellano del carcere minorile di Treviso, alla quale si è aggiunta quella di Giulia Longo, operatrice della Caritas in Turchia, che ha riportato la sua esperienza di impegno ‘al confine’ e nel post terremoto, dando voce ai molti giovani operatori Caritas: “Non su può essere giovani senza gli adulti, non si può essere adulti senza i giovani”.

Mentre mons. Alojzij Cvikl, presidente della Caritas Slovenia, ha  raccontato la vita di un’arcidiocesi di  ‘confine’: “Dopo il 1991 iniziarono ad aprirsi le frontiere, sia verso l’Italia, sia verso l’Austria e l’Ungheria,.. E’ stato un cambiamento storico. Prima il confine era una barriera, una divisione, lo si attraversava con paura, perché c’erano file e si facevano controlli.

I confini erano un luogo di separazione, anche per le famiglie, i parenti. La politica indicava quelli dall’altra parte del confine come a dei nemici. Insomma, erano tempi difficili e dolorosi. Nella nostra arcidiocesi abbiamo una chiesa filiale, dove il confine scendeva al centro della chiesa, metà dell’altare era in Austria, metà in Slovenia. La chiesa aveva due sacrestie per il sacerdote che veniva dal suo fianco alla chiesa. Le Sante Messe tedesche e slovene erano rigorosamente separate”.

Però il confine è anche un ponte: “Dal 2016, con il vescovo di Graz, concelebriamo la santa messa insieme in questa chiesa, la seconda domenica di luglio. Così i credenti di entrambe le parti ogni anno si sentono sempre più vicini. Il confine è diventato un ponte, un luogo di incontro, di arricchimento e di gioia per stare insieme… I confini non devono dividerci. Possiamo imparare gli uni dagli altri e sostenerci a vicenda. Questo si manifesta soprattutto quando l’altro è nei guai, quando viene messo alla prova”.

Negli ‘orientamenti’ conclusivi il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha indicato le proposte di lavoro per continuare il cammino Caritas nei prossimi mesi, richiamando le parole del primo presidente di Caritas Italiana, mons. Giovanni Nervo, che sottolineava il valore della parola ‘confine’:

“Siamo abituati a dire il Padre nostro e finiamo col non accorgerci che è una preghiera terribilmente impegnativa. Quelli che si rivolgono alla stessa persona chiamandola padre riconoscono di essere fratelli a tutti gli effetti: se poi nella vita di ogni giorno non riconosciamo negli altri uomini i nostri fratelli, abbiamo mentito e offendiamo il padre, che ama gli altri figli come ama noi.

Allora che mio fratello sia ammalato in casa mia, o nel paese vicino, o a diecimila chilometri di distanza sostanzialmente non fa differenza: anzi, se è lontano, la sua malattia mi crea angoscia perché mi è più difficile aiutarlo… Dipende da dove poniamo i confini del mondo. Possiamo porli in noi stessi. Possiamo porli nel nostro gruppo (famiglia, partito, razza, paese). Possiamo togliere ogni confine: allora ogni uomo è mio fratello”.

Per questo don Pagniello ha ricordato che per la Caritas i confini non sono dei limiti, ma delle ‘zone di contatto’, cioè “luoghi in cui fare l’esperienza della presenza di Dio perché ci permettono di aprirci agli altri e di capire che c’è Qualcuno che può fare prima, durante e dopo il nostro servizio… I confini sono tessere cruciali nel mosaico che compone la vita e le relazioni umane. L’ambivalenza del termine ‘Ospite’, che definisce sia chi accoglie, sia chi viene accolto, esprime la dinamica relazionale del confine”.   

I confini, per don Pagniello, sono ‘identità’ da custodire da coloro i quali vogliono abbatterli per evitare controlli: “Il commercio delle armi non deve essere ‘semplificato’, come nell’intento dei promotori di questa proposta di legge in discussione in Parlamento (voto già avvenuto al Senato, dibattito in corso alla Camera) se non negli interessi diretti di chi queste armi produce e commercia. E questa ‘semplificazione’ non produrrà nessun miglioramento della sicurezza del nostro Paese. Sarà anzi molto più facile che le armi italiane finiscano a Paesi in guerra, le cui pratiche sono in aperta violazione dei diritti umani”.

Ed ecco il motivo per cui il direttore di Caritas italiana ha lanciato la sfida di ‘difendere’ i confini in modo diverso: “I giovani di oggi vogliono pensare e decidere il loro avvenire. Non è legittimo e doveroso da parte nostra, che apparteniamo alla storia e alla cultura del passato, incoraggiare e sostenere i giovani perché accettino questa sfida di civiltà e si misurino con essa per imparare ad amare la patria e a difenderla in modo diverso più umano, più civile, più cristiano di quello delle armi?”

Infatti dalle parole di mons. Nervo nasce l’opportunità di ‘sconfinare’ in quanto ‘tutto è connesso’: “E’ questa l’opportunità di mons. Giovanni Nervo che scegliamo per imparare a connettere i fenomeni, nella consapevolezza che possiamo meglio affrontare le questioni e le sfide locali solo se teniamo in considerazione il contesto globale. ‘Sconfinare’ è, in questo caso, una scelta che ci definisce”.

Per tale motivo Caritas Italiana ha avviato il ‘Coordinamento Europa’, condividendo l’appello di Caritas Europa su cinque priorità in vista delle elezioni del prossimo giugno, proposte per il Parlamento europeo per un’Europa ‘più giusta’: mercati del lavoro e protezione sociale efficaci, accesso garantito a servizi sociali buoni e di qualità, tutela dei diritti umani e della dignità nelle politiche di migrazione e di asilo, finanziamenti costanti per gli attori locali che svolgono attività di sviluppo e umanitarie, politiche globali più eque per lo sviluppo sostenibile, affrontando questioni come la necessità di sistemi alimentari equi e la finanza per il clima.

Infine il Direttore di Caritas Italiana ha rilanciato l’importanza della presenza dei volontari che sono un indicatore dell’efficacia del lavoro di animazione della comunità cui è chiamata la Caritas. Ha richiamato alla necessità di ‘stare nelle complessità’ e ribadito il senso ed il ruolo della Caritas, ad ogni livello, perché l’efficacia della Caritas non si misura sul fare, ma sull’essere: ‘Il nostro fare nasce dal nostro essere’:

“Riconoscere i nostri confini significa imparare a stare sulla soglia, consapevoli dei nostri limiti e potenzialità, disposti a scoprire parti di sé che solo l’Altro può svelare. Animare la comunità, perché sappia custodire il senso profondo dell’umano che affiora nella capacità di abitare il ‘tra’ di un attraversamento che è anche un intrattenersi… Abitare il confine significa essere testimoni di carità, per seminare speranza ed essere segno, sapendo che “la prima opera segno è lo stile con cui facciamo le cose”.

Nella liturgia di apertura mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia e presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, ha sottolineato che la Chiesa è chiamata a non disgiungere carità e giustizia: “La Chiesa è immersa in una dinamica d’amore concreto e senza confini. E nella nostra società è chiamata sempre più a mostrare e indicare che c’è sì la giustizia ma c’è anche la carità (le due dimensioni non vanno confuse ma vanno tenute insieme) e che la vita dell’uomo non può essere ridotta ad una concezione materialista o spiritualista che, di fatto, porterebbero a ridimensionare o umiliare la dignità dell’uomo stesso”.

In questa ‘immersione’ nel mondo la preghiera è il fondamento dell’azione: “La preghiera ci aiuta così a capire, a discernere, ad opporci ad una concezione dell’uomo in cui Dio o è negato o espulso al di fuori delle vicende storiche del nostro oggi che ci interpella come discepoli e discepole del Signore. Una fede disincarnata non è la fede del Vangelo. Cornelio, alla fine, si fida e si affida alla parola di Pietro; non sa ancora di doversi battezzare ma accetta la Parola di Dio ed entrerà, così, nella comunità del Risorto”.

Mentre, introducendo i lavori della giornata di apertura, il presidente di Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, ha sottolineato che i confini sono anche occasioni di ‘grazia’: “Domani pomeriggio passeremo un confine, ormai superato dalla storia e che non c’è mai stato fino al Novecento, che divide le due città Gorizia e Nova Gorica, due realtà che l’anno prossimo saranno insieme capitale europea della cultura. Un evento che per il solo fatto di essere stato pensato come possibile è già per noi una grazia. Comprendete quindi che parlare di confini come zone di contatto e non di separazione per noi che abitiamo e viviamo qui non è una questione di principio o di studio, ma è qualcosa che tocca la nostra carne, il nostro cuore e la nostra mente. E’ per noi un tema necessario”.

Prendendo spunto dal saluto in tre lingue mons. Redaelli ha spiegato che i confini sono stati spesso separazioni dolorose: “Le tre lingue ci fanno entrare immediatamente nel tema del nostro convegno, perché indicano comunque dei confini linguistico-culturali ben precisi.

Confini che nella storia del secolo scorso, intrecciandosi con i confini voluti e approfonditi dai nazionalismi e dalle ideologie totalitarie, hanno ferito gravemente questa terra e soprattutto hanno scavato nei cuori e nelle menti dei confini ancora più difficili da valicare rispetto a quelli fisici”.

(Foto: Caritas Italiana)

Papa Francesco a Lisbona: l’Europa sia ponte di speranza

Oggi è iniziato il 42^ viaggio internazionale di papa Francesco, che è atterrato a Lisbona, dove lo attenderanno molti giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù ed alla partenza a Roma ha salutato a Casa Santa Marta un gruppo di persone accompagnate dal card. Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero della Carità. E lungo la strada che congiunge l’aeroporto dal Palazzo presidenziale, molti giovani con gli abitanti di Lisbona hanno salutato il papa.

Patriarca Moraglia: è necessario educare alla libertà e responsabilità

Nella scorsa settimana a Venezia è stata celebrata la festa del Santissimo Redentore con l’apertura del ponte votivo dedicato a questa importantissima festa per la città nel ricordo della liberazione dalla peste del 1575-77, come ha sottolineato nel discorso alla città il patriarca Francesco Moraglia:

Da Budapest papa Francesco invita ad essere porte aperte

Da Budapest papa Francesco invita ad essere porte aperte

Al termine della recita del Regina Caeli del viaggio apostolico a Budapest papa Francesco ha ringraziato per l’accoglienza, sottolineando che i confini sono ‘zone di contatto’, accomunate dal Vangelo, come aveva sottolineato il card. Péter Erdő. Metropolita di Esztergom-Budapest:

In Ungheria papa Francesco invita l’Europa a non essere ‘liquida’

“Giungo come pellegrino e amico in Ungheria, Paese ricco di storia e di cultura; da Budapest, città di ponti e di santi, penso all’Europa intera e prego perché, unita e solidale, sia anche ai nostri giorni casa di pace e profezia di accoglienza”: questa è la frase che papa Francesco ha scritto nel ‘Libro d’Onore’ del presidente della Repubblica ungherese, che ha dato il via al viaggio apostolico, accolto dal vice primo ministro e da un bambino e una bambina in abito tradizionale che gli offrono il pane e il sale, simbolo di vita, di benedizione e buon augurio.

Papa in Grecia invita ad impegnarsi per la democrazia

Dopo Nicosia papa Francesco è atterrato ad Atene, patria della democrazia, dove, parlando alle autorità ed al corpo diplomatico, ha sottolineato che nel mondo si assiste ad un arretramento della democrazia, o persino ad una diffidenza verso la democrazia stessa, prendendo spunto da un’orazione di san Gregorio di Nazanzio:

Il Banco Alimentare raccoglie 14.000.000 di pasti

La colletta alimentare, al suo 25^ anno, è tornata in presenza, anche se non era scontato che, con la ripresa dei contagi, 140.000 volontari, nel rispetto delle norme, tornassero davanti a quasi 11.000 supermercati per vivere e proporre un gesto semplice ma concreto di solidarietà, come ha ricordato Giovanni Bruno, presidente della Fondazione Banco alimentare Onlus:

Papa Francesco invita a camminare dietro Gesù

Papa Francesco ha chiuso a Budapest il Congresso eucaristico internazionale e nell’incontro con i rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e alcune Comunità ebraiche dell’Ungheria ha richiamato alla fraternità per vincere l’odio:

Viaggio apostolico in Iraq: l’ong ‘Un Ponte per’ illustra la situazione

Questa mattina papa Francesco è partito per il 32^ viaggio apostolico in Iraq, dopo un anno di pausa dovuta al Covid 19, a distanza di 22 anni da quel viaggio sognato da san Giovanni Paolo II ad apertura del Giubileo del 2000. Nel 1999 il Paese era già in ginocchio a causa della sanguinosa guerra contro l’Iran (1980-1988) e per le sanzioni internazionali seguite all’invasione del Kuwait e alla prima guerra del Golfo. Il numero dei cristiani in Iraq era allora più di tre volte maggiore di quello attuale.

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