Tag Archives: responsabilità
In 10 anni di ‘ristoranti contro la fame’ raccolti quasi € 1.000.000

L’ultima edizione si è conclusa con oltre 250.000 euro raccolti grazie a chef, ristoratori e catene in tutta Italia. Presentate durante l’evento le storie e i risultati dei progetti sostenuti in Italia, Sahel, India, Libano, Rep. Centrafricana e Rep. Democratica del Congo. Dai ristoranti stellati MICHELIN alle catene di ristorazione: Lombardia, Veneto e Piemonte sono le prime tre regioni per numero di riconoscimenti ottenuti. L’ultima edizione della campagna si è conclusa con una raccolta totale superiore ad € 250.000 ottenuta attraverso l’offerta di piatti solidali e cene di raccolta fondi
Dieci anni di collaborazione solidale con il mondo della ristorazione. Dieci anni di idee, piatti solidali, eventi e coinvolgimento attivo per garantire a ogni persona una vita libera dalla fame. Questo e tanto altro è “Ristoranti Contro la Fame”, iniziativa promossa da Azione Contro la Fame, che oggi ha celebrato la conclusione dell’edizione numero dieci con un evento organizzato presso la Fondazione IBVA di Milano, una delle due sedi che ospita il programma di Azione Contro la Fame a Milano.
All’evento hanno partecipato oltre cento persone, tra ristoratori, rappresentanti istituzionali, partner e appassionati del mondo food. La giornata ha alternato momenti di riconoscimento ufficiale, testimonianze dirette dei beneficiari dei programmi e la condivisione dei risultati raggiunti, resi possibili anche grazie ai fondi raccolti attraverso l’iniziativa Ristoranti Contro la Fame.
La mattinata si è aperta con una visita al social market Solidando, progetto di IBVA nato nel 2017, ed è proseguita con gli interventi di Azione Contro la Fame e dei partner. La conclusione dell’evento ha visto la consegna dei premi ai ristoranti e alle catene che si sono distinti per l’impegno nella raccolta fondi sia nell’ultimo anno sia nel corso del decennio. La raccolta fondi di € 250.000 euro nel 2024 ha portato il totale complessivo dei 10 anni a quasi € 1.000.000.
“Ristoranti Contro la Fame è sicuramente buon cibo e convivialità, ma è soprattutto un modo per realizzare progetti concreti di risposta alle emergenze e di costruzione dell’autonomia delle persone che partecipano ai nostri programmi. In Italia abbiamo supportato più di 400 persone vulnerabili a Milano e Napoli. Nel mondo, abbiamo potuto verificare lo stato di nutrizione di oltre 8.000 bambini in India, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo, dato accesso all’acqua potabile a quasi 30.000 persone in Libano e rafforzato 21 strutture sanitarie in contesti fragili”, ha dichiarato Simone Garroni, Direttore di Azione Contro la Fame in Italia.
Oltre 300 le realtà aderenti tra ristoranti, osterie, pizzerie e catene. A queste ultime si deve una delle principali novità della decima edizione che, per la prima volta, ha visto un equilibrio numerico tra catene e ristoranti indipendenti. Tra i brand più attivi: Bomaki, Bun Burgers, Greeat, Investfood (NIMA Sushi, Pokéria by NIMA, This Is Not a Sushi Bar, Poké Factory e Maui Hawaiian Restaurant), Il Mannarino, Lievità – Pizzeria Gourmet, Macha, Roadhouse Restaurant e Wiener Haus. Al risultato del 2024 hanno contribuito anche Giano Lai e Francesca Manunta (del canale YouTube @cosamangiamooggi) che, nel loro viaggio-documentario attraverso l’India, hanno raccontato i progetti di Azione Contro la Fame e raccolto oltre 30.000 euro attraverso la loro community.
Tra i riconoscimenti con il Premio Platinum 2024 (oltre 3.000 euro raccolti): Madama Piola di Torino, Da Vittorio di Brusaporto – BG (3 Stelle MICHELIN 2025), Yard Restaurant di Verona, Nobu di Milano, Il Sereno Al Lago di Torno – CO (1 Stella MICHELIN 2025), Il Fagiano di Gardone Riviera – BS (1 Stella MICHELIN 2025), Locanda Margon di Trento (1 Stella MICHELIN 2025), Osteria Brunello di Milano e Denis Pizza di Montagna di Alano di Piave – BL.
I riconoscimenti con il Premio Gold 2024 (oltre 1.500 euro raccolti) sono per: Innocenti Evasioni di Milano, Ristorante Famiglia Rana di Vallese di Oppeano – VR (1 Stella MICHELIN 2025), Venissa di Mazzorbo – VE (1 Stella MICHELIN 2025), Lanterna Verde di Villa di Chiavenna – SO (1 Stella MICHELIN 2025), Orma di Roma (1 Stella MICHELIN 2025), Osteria dai Coghi di Costermano sul Garda – VR e Oseleta di Cavaion Veronese – VR (1 Stella MICHELIN 2025).
Premi Fedeltà assegnati a ristoranti che sostengono l’iniziativa dall’inizio come Ceresio 7 di Milano, Glass Hostaria di Roma (1 Stella MICHELIN 2025), Il Credenziere di Annone Veneto – VE, Innocenti Evasioni di Milano, La Locanda dei Matteri di Sant’Elpidio a Mare – FM, La Pineta Marina di Bibbona – LI (1 Stella MICHELIN 2025), Lanterna Verde di San Barnaba – SO (1 Stella MICHELIN 2025), Piazza Duomo di Alba – CN (3 Stelle MICHELIN 2025), Poporoya di Milano, Sadler di Milano (1 Stella MICHELIN 2025), San Domenico di Imola – BO (2 Stelle MICHELIN 2025) e Terrazza Palestro di Milano.
In Italia, fino a fine 2024, il programma ha coinvolto 410 famiglie tra Milano e Napoli, offrendo un percorso integrato che comprende supporto alla spesa, educazione nutrizionale, formazione e accompagnamento all’inserimento lavorativo. I risultati sono rilevanti: il 59% dei partecipanti ha trovato lavoro o ripreso la formazione e anche la qualità dell’alimentazione è migliorata sensibilmente, con progressi evidenti su idratazione, varietà della dieta e riduzione del consumo di zuccheri e cibi ultra-processati.
Nel mondo, i programmi sono stati portati avanti in India, dove oltre 6.000 bambini hanno avuto accesso a screening nutrizionali e 2.400 donne hanno ricevuto consulenza su salute e nutrizione. Nel Sahel (Burkina Faso, Mauritania, Niger e Senegal), Azione Contro la Fame ha sviluppato progetti di adattamento climatico, guidando le comunità nomadi – grazie all’uso di immagini satellitari e intelligenza artificiale – verso le aree più adatte al pascolo e alla coltivazione. In Repubblica Centrafricana, sei strutture sanitarie sono state rinforzate e dotate delle risorse necessarie, più di 2.300 bambini sono stati sottoposti a screening e 246 famiglie hanno ricevuto supporto psicosociale.
Nella Repubblica Democratica del Congo, sostenute 15 strutture per il trattamento della malnutrizione grave, oltre 6.000 famiglie sono state formate sulla diagnosi precoce della malnutrizione e più di 1.600 bambini sono stati curati. In Libano, oltre 29.000 persone hanno avuto accesso all’acqua potabile e più di 39.000 hanno beneficiato di servizi di igiene e gestione delle acque reflue, in un contesto segnato da crisi economica e sociale.
L’edizione 2024 della campagna ha visto il supporto di partner strategici, tra cui Ferrari Trento, METRO Italia, Michelin Italiana e Radio DEEJAY: “La partnership con Azione Contro la Fame è particolarmente significativa per noi perché unisce a filo doppio ristorazione di eccellenza e solidarietà, due ambiti a cui sia Ferrari Trento sia l’acqua Surgiva sono da sempre molto vicini. Sapere che i fondi ricavati da Ristoranti Contro la Fame, anche grazie al contributo del nostro progetto ‘Bollicine Solidali’, si sono tradotti in azioni concrete a sostegno di tante persone vulnerabili, in Italia e nel mondo, è per noi motivo di grande soddisfazione”, ha dichiarato Camilla Lunelli, Direttrice Comunicazione e Sostenibilità Gruppo Lunelli.
“Come METRO Italia, siamo orgogliosi di essere al fianco di Azione Contro la Fame per celebrare dieci anni di Ristoranti Contro la Fame, un progetto che dimostra quanto la ristorazione possa essere protagonista anche fuori dalle cucine. I ristoratori che aderiscono a questa iniziativa mettono al servizio degli altri non solo il loro lavoro, ma anche il loro senso di responsabilità e il loro cuore. In qualità di partner d’eccellenza della ristorazione, METRO crede con convinzione nell’importanza di iniziative come questa per mettere il talento e l’impegno dei professionisti del fuori casa a sostegno di chi è più in difficoltà”, ha dichiarato David Martínez Fontano, CEO di METRO Italia.
Si ringraziano: ABI Professional, Federazione Italiana Cuochi, GAG, Gastronomika, Honor Consulting, IBVA, International Pizza Academy, Italian Gourmet, Jeunes Restaurateurs, Le Soste, Restworld e Unione Brand Ristorazione Italiana – UBRI. Si aggiunge nel 2025 il prezioso contributo della Federazione Italiana Pubblici Esercizi – FIPE.
(Foto: Azione contro la fame)
L’Aquila non dimentica le 309 vittime del sisma

Nei giorni scorsi, in occasione delle celebrazioni del XVI anniversario del sisma del 2009 nella chiesa di S. Maria del Suffragio de L’Aquila, è stata officiata una celebrazione eucaristica dall’arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi, mons. Antonio D’Angelo in suffragio dei 309 ‘martiri’ del sisma del 2009 con una fiaccolata partita dalla Casa dello Studente, attraversando via XX Settembre per raggiungere il parco della Memoria, in cui i parenti delle vittime hanno deposto i fiori, 250 rose, una per ogni famiglia, sui nomi incisi nel memoriale, dove ha preso la parola Vincenzo Vittorini, esponente del comitato dei familiari delle vittime del terremoto:
“Penso che questa città debba essere a fianco di quei genitori che stanno combattendo da anni. Penso che dobbiamo essere tutti insieme con quei genitori per far togliere quell’ignominia di quel 100% di colpa per quei ragazzi che hanno perso la vita. Lo dobbiamo a questi ragazzi, a tutti i 309 morti, ma soprattutto a quei genitori che stanno combattendo una battaglia da anni e che devono avere al loro fianco non solo i cittadini ma tutte le istituzioni di un paese che altrimenti non si può definire civile”.
Nell’omelia mons. D’Angelo ha preso spunto dal Vangelo della quinta domenica quaresimale: “Questo invito al cambiamento non è limitato solo a comportamenti etici, ma restituisce alla donna una nuova prospettiva, la riabilita ad un’esistenza rinnovata, apre dinanzi a lei un nuovo orizzonte, apre alla via della speranza. Il profeta Isaia dice nella prima lettura ‘Ecco io, faccio una cosa nuova. Proprio ora germoglia non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada nuova, immetterò fiumi nella steppa. … per dissetare il mio popolo, il mio eletto’.
Qui ancora una volta ci viene testimoniato che dai luoghi di morte Dio fa germogliare una nuova vita, nel deserto disseta il “suo eletto”, noi siamo i suoi eletti, coloro che sono alimentati da quest’acqua di Speranza. La nostra vita, anche se segnata dall’aridità della sofferenza e del dolore, in Cristo ritrova un nuovo vigore, Lui riabilita il nostro cammino quando si arena”.
Proprio queste letture sono sprono per ‘guardare’ avanti: “Così, in questo giorno di memoria, che dopo 16 anni ci riporta alla ferita mortale subìta dalla nostra Comunità Aquilana, siamo chiamati a guardare in avanti. Il cammino fatto in questi anni è stato faticoso e a volte accidentato, non semplice, ora si sta aprendo nel nostro territorio un nuovo futuro, questo, frutto di un lavoro sinergico e costante che ha richiesto e richiede il contributo di tutti e di ciascuno, ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte”.
E’ stato anche un invito alla ricostruzione della ‘bellezza’: “Nella speranza che nasce dalla fede è possibile guardare in avanti, mettendo in campo la sapienza e l’intelligenza che ha come mèta il bene della Comunità. Certamente siamo impegnati a ricostruire il patrimonio artistico e architettonico, ma soprattutto si è protagonisti nella ricostruzione dello spirito, anima della nostra persona.
La bellezza che troviamo nelle strutture e nella nostra tradizione culturale, ereditata dai nostri padri, è per noi ricchezza di umanità, un dono che ci è stato consegnato e dal quale ne cogliamo i valori più alti e profondi dell’uomo, ma rimane l’impegno di trasmetterlo ai nostri figli”.
Attraverso la vita può avvenire la rinascita: “La Pasqua significa passaggio, nella nostra comunità lo stiamo sperimentando, perché nella fede l’ultima parola non è della sofferenza e della morte ma della Vita. Il processo iniziato testimonia questa rinascita, ma va ulteriormente rafforzato soprattutto nella prospettiva di costruire una Comunità sempre più armonica e serena. Noi siamo irrigati dall’amore del Padre che genera sempre nuova vita e di fronte alla potenza della sua grazia ogni avversità tace, la Sua azione può far germogliare anche il deserto”.
Una rinascita che si completa nella Resurrezione: “Noi siamo toccati nella fede da questa sublimità di Vita, con Lui si apre un nuovo percorso esistenziale, sempre, anche se investiti dalla morte. Infatti per noi la morte non è una porta che si chiude ma una strada che si apre, perché la grazia della Resurrezione è una potenza vitale che abita la nostra persona e non conosce i confini del tempo, ma si affaccia nell’eternità… L’anelito del futuro, la capacità di non cedere, di non arrendersi è dono di Dio; quindi possiamo pensare e progettare il domani grazie all’opera del Signore presente nella storia”.
In questa rinascita tutti sono chiamati a portare il proprio contributo: “Siamo chiamati ad accogliere questo germe di vita, per tradurlo in opere, mettendo a disposizione i nostri talenti, per costruire un futuro migliore, in cui ogni singola persona possa essere valorizzata e tutta la comunità possa trovare un piena armonia e serenità. In questo progetto di rinascita nessuno è escluso, tutti siamo responsabili, ognuno è chiamato a dare il suo personale contributo. Se dentro di noi ascoltiamo e diamo spazio a questo anelito di Vita, sicuramente riusciremo a fare cose straordinarie”.
(Foto: Arcidiocesi L’Aquila)
Mons. Baturi: le ‘energie per la Casa Comune’ per la custodia del Creato

“Nell’ottica dell’ecologia integrale, tutto è in relazione, collegato, connesso: la questione ecologica dunque è anche politica, economica e sociale”: lo ha ricordato mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della CEI, intervenendo martedì 18 febbraio alla presentazione dei risultati del progetto ‘Energie per la Casa Comune’, ispirato all’enciclica ‘Laudato sì’, che ha coinvolto 10 Diocesi italiane (Arcidiocesi di Modena-Nonantola, Diocesi di Teramo-Atri, Diocesi di Mantova, Arcidiocesi di Napoli, Diocesi di Lodi, Arcidiocesi di Firenze, Diocesi di Bolzano-Bressanone, Diocesi di Torino, Arcidiocesi di Genova, Diocesi di Bergamo) con l’obiettivo di promuovere una cultura della sostenibilità energetica attraverso interventi di miglioramento edilizio e riduzione dei consumi energetici nelle strutture ecclesiastiche.
Per il segretario generale della Cei l’atteggiamento verso l’ambiente è quello della cura: “L’ambiente non è semplicemente lo scenario, un semplice spazio, ma un luogo affettivo, una casa dove svolgere la propria personalità… La questione non è meramente economica: è in gioco non solo il destino del mondo, ma il senso stesso del nostro passaggio su questa terra”.
Il progetto si inserisce nel contesto della Campagna nazionale di informazione e formazione sull’efficienza energetica ‘Italia in Classe A’, promossa e finanziata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ed attuata da ENEA, sviluppato con il supporto tecnico della Rete Nazionale delle Agenzie Energetiche Locali (RENAEL) e la collaborazione della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Il progetto mira a rafforzare il ruolo delle diocesi italiane come promotrici di buone pratiche in tema di efficienza energetica e prevede lo sviluppo di una piattaforma per identificare consumi e sprechi delle strutture ecclesiastiche, e la realizzazione di un piano di eventuali interventi in grado di produrre risparmi economici, miglioramento del comfort e valorizzazione architettonica.
Infatti nella prima fase sono stati analizzati 34 edifici fra scuole, laboratori, oratori, centri congresso, edifici residenziali, asili e piscine, per una superficie totale di 67.100 mq, mentre la superficie totale riscaldata è di 57.100 mq. L’analisi ha evidenziato che il 79% degli edifici è riscaldato con caldaie a gas naturale.
I consumi energetici complessivi corrispondono a 4.100 MWh l’anno, equivalenti al consumo di energia elettrica di circa 1.520 famiglie. Dalle diagnosi energetiche effettuate sulle strutture è emerso che le principali esigenze di riqualificazione riguardano: isolamento termico dell’involucro edilizio (71%), sostituzione generatore di calore (47%), riqualificazione del sistema di illuminazione (56%), pannelli solari termici per l’acqua calda sanitaria (24%), installazione di impianti fotovoltaici (74%).
Dall’analisi (con interventi che in totale superano € 10.000.000) risalta che la riqualificazione dell’involucro su 28 edifici porterebbe al 43% di riduzione del fabbisogno energetico, la sostituzione di 16 caldaie con pompe di calore al 45% di risparmio di energia primaria e al 47% in meno di emissione di Co2, come pure la riqualificazione dell’illuminazione di 20 edifici produrrebbe il 45% di riduzione dei consumi. In totale, la riduzione di energia primaria sarebbe pari a 2.990 mega kilowatt e il risparmio di Co2 a 510 tonnellate all’anno, per un risparmio di € 336.000.
Grazie al ruolo della CEI, sia come driver strategico che come soggetto in grado di svolgere azioni di osservazione e indirizzo culturale verso tutte le parrocchie italiane, il progetto si propone di coinvolgere nel prossimo futuro centri ecclesiastici dislocati su tutto il territorio nazionale, ha dichiarato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin:
“Il progetto ‘Energie per la Casa Comune’ è un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni per il perseguimento di un obiettivo di interesse collettivo che guarda ai valori della solidarietà, della coesione e del bene comune… Nella ricerca di equilibrio tra etica e tecnologia, tra progresso e rispetto per la tradizione questo progetto è un esempio di buone pratiche da seguire e diffondere, un messaggio di speranza e una chiamata all’azione per il bene del nostro ambiente che condividiamo e dobbiamo custodire come la nostra Casa Comune”.
Per tale ragione l’economo della CEI, don Claudio Francesconi, ha ribadito la necessità di un processo che punti a realizzare nuovi stili di vita: “Quella dello sviluppo sostenibile, dell’attenzione agli stili di vita e alla conversione ecologica è una strada che la Chiesa in Italia ha intrapreso con decisione e consapevolezza, a partire dalle indicazioni emerse dalla Settimana Sociale di Taranto e con la costituzione del Tavolo Tecnico sulle Comunità Energetiche Rinnovabili della Segreteria Generale.
Rispondendo alle sollecitazioni contenute nell’enciclica ‘Laudato sì’ ed agli appelli di papa Francesco sul debito ecologico abbiamo avviato un processo, a livello nazionale e territoriale, che è ormai irreversibile e indispensabile per le comunità: non ci si può pensare se non insieme e non si può ragionare considerando solo il presente e il contingente.
Il nostro sguardo deve essere rivolto alle prossime generazioni, verso le quali abbiamo un’enorme responsabilità. Questo nuovo progetto è un ulteriore passo nell’orizzonte dell’ecologia integrale, della solidarietà, della cura della Casa comune e di tutte le persone che la abitano, a prescindere dalla latitudine”.
A Catania mons. Renna invita ad essere responsabili della speranza

“Carissimi fratelli e sorelle di Catania, nel cuore della nostra Città, accanto ai luoghi dove la nostra santa martire Agata soffrì atroci tormenti, fu imprigionata e spirò pregando, vi rivolgo questa sera una parola che non può che essere di speranza, in linea con il giubileo che stiamo celebrando in questo 2025”: con queste parole mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, si è rivolto alla città nella festa di sant’Agata.
Nel discorso alla città mons. Renna ha invitato a non perdere la speranza, che è comunitaria: “La nostra speranza è comunitaria, non deve lasciare indietro nessuno, e ci fa guardare in alto, verso Dio, così come ha fatto sant’Agata, donna di fede e di speranza. Da lei impariamo a guardare in alto verso il Signore; da lei impariamo a guardare avanti, verso il futuro, e attorno a noi, come fratelli e cittadini. Da lei impariamo a guardare in alto, anzitutto, cioè ad avere fede in un Dio che non ci abbandona mai, anche quando sembra tutto perduto”.
E’ stato un invito a risanare le ‘ferite’ come ha fatto sant’Agata: “Come Agata, nel momento della sua morte levò le braccia al cielo e si affidò al Padre, leviamo il nostro cuore al Signore, e sentiamo che la convinzione più bella che dobbiamo chiederle è la fiducia nella paternità di Dio, che ha cura anche dei capelli del nostro capo.
Le nostre lacrime, le nostre aspirazioni, soprattutto quelle di chi è sull’orlo della disperazione, non gli sono indifferenti, e la luce che deve spingere a ‘sperare contro ogni speranza’ sono le parole del ‘Padre Nostro’, che ci fanno chiedere che venga il suo regno, che ci sia donato il pane quotidiano, che il perdono risani le nostre divisioni e siamo liberati dal male, anche dal male della disperazione”.
E’ stato un invito a guardare ‘oltre’: “Dobbiamo guardare oltre i nostri limiti, oltre i mali di Catania e le ombre di guerra, di conflitto sociale e politico che avvolgono l’Europa, anche oltre la mancanza di fiducia tra istituzioni che in questo momento sta segnando la vita dell’Italia. Guardare avanti significa costruire insieme anche la strada che si apre davanti a noi: non basta sperare, ma occorre organizzare la speranza! E lo si può fare se di questo mondo e di questa Città ci prendiamo cura tutti. Ci sono le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e preghiamo e ci aspettiamo che abbia tanta passione, tanta concordia, tanta lungimiranza nei progetti che stanno realizzando per Catania”.
Uno sguardo al futuro per un richiamo alla responsabilità: “Ma le strade del futuro abbiamo il dovere di lastricarle di responsabilità anche noi! Responsabilità è la cura della famiglia e dell’educazione dei figli, sulla quale non mi stancherò di esortare, perché molti bambini sono lasciati a sé stessi dai genitori che forse si sono trovati troppo presto con la responsabilità di essere padri e madri. Vanno aiutati! Il futuro di voi ragazzi e ragazze non può essere quello di rimanere genitori a 15 anni, quando avete bisogno ancora di progettare il vostro domani”.
Avere speranza significa essere un popolo: “Oggi sant’Agata ci invita a guardarci attorno e a considerare che siamo un popolo che cammina con lei, alla sequela di Cristo. Si è popolo se si recupera la fiducia reciproca, se ciascuno fa la sua parte. L’idea che altri risolvino per noi i nostri problemi è deresponsabilizzante; quella che gli uomini soli al comando siano migliori di un popolo responsabile, porta al dispotismo. Accanto a te c’è un altro con il quale organizzare la speranza mettendo da parte cattiverie, chiacchiericcio, desideri insani di sopraffazione. Siamo devoti tutti, siamo cittadini, ma siamo soprattutto fratelli tutti!”
Infine un appello ad avere la forza della speranza: “Rivestiamoci della forza della speranza, che è la pazienza e la mitezza di chi ogni giorno organizza il bene comune, con lo sguardo rivolto a un bene più grande, quel premio eterno che fu la massima aspirazione della nostra sant’Agata. Sant’Agata ci prenda per mano per riscoprire la fede, con uno sguardo rivolto verso l’alto; ci aiuti a guardare avanti e a non scoraggiarci mai: a guardare attorno le persone, da trattare con la carità e la gentilezza con cui lei guarda ciascuno di noi. Da quegli sguardi di Agata impariamo la speranza!”
Speranza al centro dell’omelia nella celebrazione eucaristica mattutina: “La speranza di una martire sfida l’impossibile, così come ci ha ricordato papa Francesco nella bolla d’indizione dell’anno giubilare… La speranza cristiana ha la pretesa di ‘non deludere’, perché è fondata in Dio e fa dire all’apostolo Paolo: ‘Chi potrà separarci dall’amore di Cristo?’, ma è anche la speranza di una comunità, non di una somma di individui che pensano solo a sé.
Questa virtù ha nutrito il cuore di Agata e l’ha portata a rimanere ferma e solida nelle sue scelte di fede di fronte alla tentazione di tirarsi indietro e di rinunciare persino al dono dell’esistenza per un bene più grande. La sua era la stessa speranza che noi rinnoviamo nel credo, quella in Cristo che è il crocifisso risorto: in lui vengono rese feconde tutte le aspirazioni di bene, di giustizia e di pace che noi coltiviamo”.
E’ un invito particolare per i giovani: “Care giovani mamme, avete un merito: non aver messo fine alla vita dei vostri piccoli con l’aborto. Ora prendetevi cura di essi, costruitevi un futuro sicuro, fate sì che i vostri figli siano più responsabili di voi. Voi ragazzi sappiate attendere per accogliere il dono della vita nascente, di un fidanzato, di uno sposo; a causa di queste precoci gravidanze per voi la scuola finisce molto presto, e vi precludete l’accesso a titoli di studio che vi renderebbero più indipendenti.
Un genitore che lascia che la propria figlia vada incontro a questo futuro o la spinge a questo per togliersi una bocca da sfamare, la condanna ad una povertà educativa che si perpetua di generazione in generazione”.
Ma anche per i genitori: “Cari genitori, abbiate cura dell’educazione morale dei vostri figli, non lasciateli in balia della leggerezza della loro età: dei sani ‘no’, ripagano; un’attenzione maggiore ai loro percorsi di studio fin da piccoli, al modo come vivono, deve essere l’investimento da fare sul loro futuro. E voi ragazze e ragazzi, non compromettete il vostro domani con irresponsabilità, perché vi troverete ad affrontare difficoltà più grandi di voi”.
Ed ai sacerdoti: “Miei cari sacerdoti, anche l’educazione cristiana deve fare la sua parte! Nelle nostre parrocchie non possiamo limitarci alla catechesi e non creare altre opportunità educative. Cari ragazzi, aspirate ad una vita bella e più completa: nei vostri occhi deve risplendere la stessa luce pura di sant’Agata”.
Ha concluso l’omelia con l’invito a camminare insieme: “La parola speranza pare che derivi da pes, che in latino significa «piede» e quindi ci spinge a camminare insieme, a tirare il cordone di sant’Agata, facendo progredire tutti, soprattutto coloro che sono indietro. Non aspettiamo solo che camminino gli altri, ma muoviamoci insieme: quest’Eucarestia che celebriamo in un’aurora che promette speranza è garanzia e forza per camminare come popolo che viene tenuto insieme dal Signore Gesù, con la sua santa martire Agata”.
Da Parma un invito ad un cammino di speranza con i giovani

“C’è speranza per i giovani, a Parma? Il marziano che arriva o la persona che ha passato il mare, a Parma, vede speranza o rassegnazione? Siamo Capitale europea dei giovani. L’Europa è giovane e dà speranza? Queste domande me le faccio da cittadino e da Vescovo, preoccupato e voglioso di guardare avanti con una coscienza che si interroga, osservando prima di tutto la nostra Chiesa le cui membra sono la gente di Parma che crede, partecipa, vive, come ognuno può, la fede cattolica. Ho goduto della Giornata mondiale della gioventù e di altre manifestazioni con i giovani e soffro se la Chiesa non ascolta e non propone e quando vedo non accolte o sciupate le potenzialità ed energie dei giovani. Intuisco la loro voglia di autenticità, di crescita e di testimoni”.
Con queste domande inizia la lettera inviata da mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, alla città, che sarà capitale europea dei giovani nel 2024, in occasione della solennità del patrono sant’Ilario di Poitiers, coniugando la speranza, tema dell’Anno Santo, ed i giovani, simbolo di speranza nel presente e nel futuro, ma anche espressione spesso di sogni traditi: “Ognuno ha una responsabilità verso i giovani, gli adulti, la famiglia, la Chiesa e la società civile, le aggregazioni e la scuola. Pensare ai giovani, dobbiamo esserne coscienti, è inquadrare una galassia diversificata, per età, per provenienza, per possibilità, per inclusione. Un elenco lungo, troppo per essere raccolto qui. Parma è una città ricca. Dove si vive bene. Anche se questo non è per tutti”.
Consapevole di ciò ha indicato alcune speranze che i giovani, intervistati, nutrono: “Il desiderio che muove la speranza è, per molti, la felicità e per tanti la fede che prospettano uno sguardo verso il futuro. La speranza viene percepita come una molla… La speranza è colta come la possibilità e l’auspicio di un cambio di passo, nella consapevolezza che si può ‘avere una seconda possibilità’, e che ‘non è ancora detta l’ultima parola sulla realtà e che c’è ancora qualcosa di nuovo…’. Una speranza che viene alimentata, per alcuni dalla fede, per molti dalla testimonianza degli altri: ‘Giovani che fanno scelte in conformità al Vangelo’, ‘persone che, intorno a me, continuano a progettare e a vivere e non a sopravvivere’; per altri dalla gratitudine: ‘Spero di poter restituire al mondo parte di quello che ho ricevuto’, come gli stessi giovani intervistati hanno dichiarato. Messaggio che contiene domande, riflessioni e provocazioni, rivolte a tutta la comunità, sia cristiana che civile, perché solo camminando insieme si dà forma e volto alla speranza”.
Inoltre i giovani hanno sottolineato gli ostacoli alla speranza: “Ma i giovani hanno anche evidenziato ciò che spegne, ostacola, la speranza. Tra questi, la paura: ‘La paura di non riuscire ad arrivare al traguardo che mi sono posta, l’insicurezza nelle mie capacità’… Paura, incertezza, instabilità, vissute e colte anche nell’attuale contesto sociale e politico”.
Quindi parlare di speranza implica alcuni interrogativi sugli stili di vita di una comunità: “Parlare di speranza, come ci hanno detto e ci chiedono i giovani, porta ad interrogarci sullo stile di vita della nostra comunità, sulle attese che genera, sui modelli che propone, su quanto si ritiene essenziale, condiviso e non rinunciabile. Così pure se trae dal suo tesoro, dalla sua anima, un messaggio armonico che rende ragione delle dimensioni proprie della persona, non soltanto di carattere immediato e immanente, ma con piste di risposte a interrogativi profondi che non possono essere elusi e a domande di senso tanto radicali, quanto appaiono sovente lontani i punti luce che le possono rischiarare, come donne e uomini significativi, capaci di educare, ascoltare e attrarre”.
Ma la speranza è bloccata anche dalla precarietà: “La speranza fatica a crescere nella precarietà, nell’incertezza, nella povertà. Non possiamo negare che anche a Parma la forbice si sta allargando tra giovani che hanno tante possibilità di formazione e di un significativo o alto tenore di vita e chi ne ha molto meno, fino a non averne. Qui si mina la speranza. Può essere forte come la gramigna che fora l’asfalto, ma, più spesso, vi muore sotto. Pensiamo ai giovani migranti che cercano una sistemazione, un permesso di soggiorno, un lavoro, una possibilità di studio. In chiaro scuro la speranza e la sua negazione possono portare a delinquere e a oltrepassare le porte del Carcere. Via Burla non è una burla. E’ luogo di detenzione anche di giovani”.
Per questo il vescovo ha invitato i giovani ad essere testimoni di speranza: “I giovani sono testimoni di speranza. La nutrono e la diffondono. Sanno, come diceva don Pino Puglisi, ‘rispondere alle attese vere dell’umanità intera e del singolo… sperimentano che vivere è sperare’ fino al martirio, cioè fino a pagare di persona”.
Un giovane di speranza è stato Sammy Basso: “Una lezione non voluta, dalla cattedra della sua vita di giovane ventottenne, affetto da progeria. Tanti giovani hanno la domanda sulla vita e su cosa c’è oltre. Negarla è mettere la polvere sotto il tappeto. La speranza della vita piena che non finisce, non distoglie dall’oggi, anzi è la molla per il cambiamento. Nei testimoni di speranza possiamo mettere ‘i patrioti’ ricordati dal presidente Mattarella.
pI loro sono volti comuni, in professioni necessarie e spesso a rischio… Fa ben sperare vedere giovani che si offrono per i più poveri, anche loro coetanei, che servono in servizi essenziali, da volontari, come alla mensa della Caritas. Lo fanno in silenzio, non fanno polemiche sterili, non puntano il dito senza conoscere, si tirano su le maniche, si sporcano le mani”.
Perciò il messaggio del vescovo è un invito agli adulti di ascoltare i giovani: “Testimoni di speranza sono anche quei giovani (ce lo hanno detto nelle interviste) che sperano di fare famiglia, di generare figli. Preoccupa che questo desiderio resti, per loro, in bilico tra la speranza e la paura di non farcela. Due giovani che si sposano si aprono al futuro; il figlio è ‘la’ speranza della città e del mondo. Oltre che loro. Se intendiamo per ‘patriottismo’ l’agire con coraggio per il bene comune, sono veri patrioti”.
Ecco l’invito ad essere ‘pellegrini nella speranza’: “Il pellegrinaggio, tipico del Giubileo, è una pratica e un simbolo universale e può rappresentare la sinergia tra la speranza giovane e la nostra città. Richiede una partenza, un itinerario, una meta, e camminare con entusiasmo insieme. Si vince così più facilmente la fatica, e si supera, una volta partiti, la noia e l’apatia. Mette alla prova, purifica le speranze. C’è l’obbligo che nessuno resti indietro. Ci piace pensare che possa essere intrapreso da una comunità che, unendo tutti, trae dalla sua storia anche recente la motivazione per farlo (vi ricordate della pandemia e di quanto ci dicevamo?) avendo i giovani come apripista. Si cammina sulla terra, l’ambiente che ci è dato”.
Il messaggio si conclude con l’invito ad iniziare un pellegrinaggio di speranza: “Nel pellegrinaggio si può toccare l’essenziale che ci abita, attivare risorse sopite, aprirsi alla speranza. Dal di dentro si irradia la luce e la forza per il poliedro della speranza. Non ha luce propria, la riceve e l’espande al punto che diventa storia, cambiamento. L’augurio è che questa luce si riaccenda nel cuore di tutti i giovani e che si si espanda ovunque, partendo dalla nostra città, dal suo territorio, perché non ci può essere futuro se non lo speriamo insieme”.
(Foto: Diocesi di Parma)
Papa Francesco: lo sfruttamento minorile è un crimine

“Vorrei ringraziare il circo. Il lavoro del circo è un lavoro umano, un lavoro d’arte, un lavoro che comporta tanto sforzo. Quando tornerà vi chiamo all’applauso”: al termine dell’udienza generale papa Francesco ha ringraziato il circo ‘Rony Roller’, che ha allietato la mattinata, come nella scorsa settimana aveva fatto il ‘Circo Africa’, chiedendo di pregare per le popolazioni colpite dalle alluvioni e dalle guerre:
“L’altro ieri una frana ha travolto abitazioni in Myanmar provocando vittime, dispersi e ingenti danni. Sono vicino alla popolazione colpita da questa sciagura a prego per quanti hanno perso la vita e i loro famigliari. Non manchi il sostegno e la solidarietà della comunità internazionale… Non dimentichiamo l’Ucraina, la Palestina, Israele e tutti i Paesi che sono in guerra; la guerra una sconfitta. Preghiamo anche per la conversione del cuore dei fabbricanti delle armi, perché con il loro prodotto aiutano ad uccidere”.
Mentre nella catechesi si è soffermato sulla piaga del lavoro minorile: “Eppure, ancora oggi nel mondo, centinaia di milioni di minori, pur non avendo l’età minima per sottostare agli obblighi dell’età adulta, sono costretti a lavorare e molti di loro sono esposti a lavori particolarmente pericolosi. Per non parlare dei bambini e delle bambine che sono schiavi della tratta per prostituzione o pornografia, e dei matrimoni forzati. E questo è un po’ amaro. Nelle nostre società, purtroppo, sono molti i modi in cui i bambini subiscono abusi e maltrattamenti”.
Ha affermato che l’abuso sui minori è un crimine: “L’abuso sui minori, di qualunque natura esso sia, è un atto spregevole, è un atto atroce. Non è semplicemente una piaga della società, no, è un crimine! È una gravissima violazione dei comandamenti di Dio. Nessun minore dovrebbe subire abusi. Anche un solo caso è già troppo.
Occorre, dunque, risvegliare le nostre coscienze, praticare vicinanza e concreta solidarietà con i bambini e i ragazzi abusati, e nello stesso tempo costruire fiducia e sinergie tra coloro che si impegnano per offrire ad essi opportunità e luoghi sicuri in cui crescere sereni. Conosco un Paese in America Latina, dove cresce un frutto speciale, molto speciale, che si chiama arandano (una specie di mirtillo). Per fare la raccolta dell’arandano ci vogliono mani tenere e la fanno fare ai bambini, li schiavizzano da bambini per la raccolta”.
E’ una situazione tragica: “Le povertà diffuse, la carenza di strumenti sociali di supporto alle famiglie, la marginalità aumentata negli ultimi anni insieme con la disoccupazione e la precarietà del lavoro sono fattori che scaricano sui più piccoli il prezzo maggiore da pagare. Nelle metropoli, dove ‘mordono’ il divario sociale e il degrado morale, ci sono ragazzini impiegati nello spaccio di droga e nelle più disparate attività illecite.
Bambini ‘sacrificati’, perché non si ha il coraggio della denuncia, come è stato per Loan: “Quanti di questi ragazzini abbiamo visto cadere come vittime sacrificali! A volte tragicamente essi sono indotti a farsi “carnefici” di altri coetanei, oltre che a danneggiare sé stessi, la propria dignità e umanità. E tuttavia, quando in strada, nel quartiere della parrocchia, queste vite smarrite si offrono al nostro sguardo, spesso guardiamo dall’altra parte.
C’è un caso anche nel mio Paese, un ragazzo chiamato Loan è stato rapito e non si sa dov’è. E una delle ipotesi è che sia stato mandato per togliere gli organi, per fare trapianti. E questo si fa, lo sapete bene. Questo si fa! Alcuni tornano con la cicatrice, altri muoiono. Per questo io vorrei oggi ricordare questo ragazzo Loan”.
Ecco l’appello a combattere lo sfruttamento minorile: “Ci costa riconoscere l’ingiustizia sociale che spinge due bambini, magari abitanti dello stesso rione o condominio, a imboccare strade e destini diametralmente opposti, perché uno dei due è nato in una famiglia svantaggiata. Una frattura umana e sociale inaccettabile: tra chi può sognare e chi deve soccombere. Ma Gesù ci vuole tutti liberi, felici; e se ama ogni uomo e ogni donna come suo figlio e figlia, ama i più piccoli con tutta la tenerezza del suo cuore.
Perciò ci chiede di fermarci e di prestare ascolto alla sofferenza di chi non ha voce, di chi non ha istruzione. Combattere lo sfruttamento, in particolare quello minorile, è la strada maestra per costruire un futuro migliore per tutta la società. Alcuni Paesi hanno avuto la saggezza di scrivere i diritti dei bambini. I bambini hanno diritti. Cercate voi stessi su internet quali sono i diritti del bambino”.
E’ stato un invito ad acquisire consapevolezza sulla realtà dello sfruttamento: “La consapevolezza su quello che acquistiamo è un primo atto per non essere complici. Vedere da dove vengono quei prodotti. Qualcuno dirà che, come singoli, non possiamo fare molto. E’ vero, ma ciascuno può essere una goccia che, insieme a tante altre gocce, può diventare un mare.
Occorre però richiamare anche le istituzioni, comprese quelle ecclesiali, e le imprese alla loro responsabilità: possono fare la differenza spostando i loro investimenti verso compagnie che non usano e non permettono il lavoro minorile… Non abbiate paura, denunciate, denunciate queste cose”.
Ha concluso l’udienza generale con una preghiera di santa Teresa di Calcutta: “Santa Teresa di Calcutta, gioiosa operaia nella vigna del Signore, è stata madre delle bambine e dei bambini tra i più disagiati e dimenticati. Con la tenerezza e l’attenzione del suo sguardo, lei può accompagnarci a vedere i piccoli invisibili, i troppi schiavi di un mondo che non possiamo lasciare alle sue ingiustizie. Perché la felicità dei più deboli costruisce la pace di tutti.
E con Madre Teresa diamo voce ai bambini: Chiedo un luogo sicuro dove posso giocare. Chiedo un sorriso di chi sa amare. Chiedo il diritto di essere un bambino, di essere speranza di un mondo migliore. Chiedo di poter crescere come persona. Posso contare su di te?”
In precedenza aveva ricevuto i presidenti ed i direttori nazionali delle Caritas dell’America Latina e dei Caraibi: “E’ per me un grande piacere ricevervi qui oggi, in quello che è il secondo corso di formazione promosso dalla Caritas America Latina e Caraibi. Lo è perché rappresenta il consolidamento di processi volti a creare quella cultura della cura che abbiamo scelto di chiamare salvaguardia”.
Salvaguardia significa anche custodia e protezione: “Il Signore chiede a noi, suoi inviati, suoi angeli nel senso della missione, anche se non della purezza, di porre il segno della sua croce benedetta sulla fronte di tutti coloro che si rivolgono alla nostra Caritas, gemendo e lamentandosi per tante ingiustizie, perfino abominazioni perpetrate contro di loro”.
Il segno è un riconoscimento della propria dignità: “Porre ‘virtualmente’ questo segno su ogni assistito, su ogni professionista, su ogni essere umano che incontriamo, è riconoscere in lui la sua dignità di fratello in Cristo, di redento dal sangue del Salvatore, vedere in Lui la ferita aperta del Redentore che Egli offre la sua mano tesa perché possiamo riconoscere il mistero della sua incarnazione”.
Tale segno di ‘custodia’ è anche un ‘comando’ di Dio: “E’ anche assumere l’imperativo ineludibile del Signore che ci comanda: ‘non toccare il mio consacrato’. In questo senso, custodia è un nome divino, è Cristo stesso scritto sulla fronte di ogni uomo e di ogni donna e, come in uno specchio, nel cuore di ciascuno di noi che, nella nostra fragilità, vogliamo essere portatori del suo amore. in piccoli gesti di carità e di cura”.
(Foto: Santa Sede)
Mons. Delpini: non dimenticare l’eredità di sant’Ambrogio

“Come sarà quel giorno in cui si troveranno vicini chi ha bussato alle porte d’Italia e d’Europa e chi ha chiuso la porta; chi ha chiesto di lavorare, di rendersi utile senza morire di fame e di guerra e si è sentito dire: qui non puoi entrare perché non mi fido di te, perché ho paura, vai pure a morire altrove?… Come sarà quel giorno in cui nella luce di Cristo risorto si troveranno vicini l’assassino e la sua vittima, chi ha bombardato e chi è morto sotto i bombardamenti, chi ha subito violenza e chi ha commesso violenza? Signore che cosa sarà quel giorno?”: è stato un monito severo quello che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto ai fedeli che hanno gremito la basilica di sant’Ambrogio per il pontificale nella solennità del santo vescovo della città di Milano e della regione Lombardia.
L’arcivescovo ambrosiano ha comunque sottolineato che tale monito deve rendere anche saggi: “Possiamo ancora accogliere la rivelazione del grande mistero affidato all’apostolo Paolo e predicato a tutte le genti: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a essere partecipi della stessa promessa, per mezzo del Vangelo. Siamo in tempo per convertirci”.
E’ stato un invito a riscoprire il pensiero di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio amò intensamente i poveri e i prigionieri, per i quali donò tutto l’oro e l’argento che possedeva. Sant’Ambrogio accolse nella Chiesa Agostino, l’illustre intellettuale di origine africana, che proprio a Milano ha portato a compimento il suo cammino di conversione e ha ricevuto il battesimo”.
Ecco la nuova visione, sempre attuale, di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio aveva una visione del mondo e dei popoli ispirata dalla universalità cattolica e dalla visione politica dell’impero romano. L’impero romano è finito da un pezzo, ma la coscienza della vocazione alla fraternità universale è irrinunciabile per la coscienza cattolica”.
E’ stato un richiamo a non dimenticare l’eredità del santo vescovo ambrosiano: “Per essere degni dell’eredità di Ambrogio noi siamo chiamati a condividere questa visione cattolica. La radice del nostro desiderio di costruire una comunità unita nella fede e nella carità ha la sua radice e la sua forza nel desiderio di Gesù: ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.
La fraternità universale in cui tutti sono accolti non è una confusione indistinta, ma un superamento della separazione tra le genti che genera la contrapposizione, i nazionalismi e infine persino le guerre (così insegna Paolo nella lettera agli Efesini). Occorre resistere alla divisione che contrappone i fratelli, i popoli. ‘Attenzione al lupo’: c’è un nemico che insidia il gregge, rapisce le pecore e le disperde. La rovina è la divisione, che si conclude con l’essere schiavi di padrone, invece che abitare nella casa della libertà”.
Quindi la fraternità è solidarietà, che pone interrogativi: “La fraternità universale in cui tutti sono accolti, e hanno tutto in comune, non è una forma di comunismo, ma una pratica della solidarietà in cui i ricchi non sono troppo ricchi ed i poveri non sono troppo poveri. Come sarà quel giorno? Come incroceremo lo sguardo degli altri? Come incroceremo lo sguardo di Gesù?”
Anche nel ‘discorso alla città’ mons. Delpini ha invitato a lasciare ‘riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro’, perché la gente è stanca: “La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. E’ stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. E’ stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. E’ stanca perché è stata derubata dell’ ‘oltre’ che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro”.
Ed invita ad una riflessione sul valore del lavoro: “La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti. La gente è stanca della burocrazia, dell’ossessione dei controlli che tratta ogni cittadino come un soggetto da vigilare, piuttosto che come una persona da coinvolgere nella responsabilità per il bene comune”.
Ed ecco la ‘novità’ del Giubileo: “Non vogliamo e non possiamo, infatti, sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco. Ciò sarà possibile operando tutti insieme attraverso uno sguardo ‘contemplativo’, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali”.
Il Giubileo è un’occasione per riscoprire il ‘principio sabbatico’: “Il Giubileo, che si sta per aprire, deve essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Il Giubileo che il papa ha indetto per l’anno 2025 è un’attuazione storica del ‘principio sabbatico’: se Dio ha sentito l’esigenza di riposare, così occorre lasciare anche agli esseri umani e alla terra la possibilità di farlo.
Il ‘principio sabbatico’ custodisce il mistero del cosmo come dono di benevolenza e creatività. Senza il rispetto di tale principio, non solo non c’è più festa, ma viene a esaurirsi lo spazio dello spirito umano: la stanchezza non trova sollievo, l’umano affaticato non vive le condizioni per una ri-creazione. Il riposo è essenziale agli uomini come alla terra”.
Nel giubileo risiede il significato del riposo: “Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra”.
In questo senso si può ancora sperare, in quanto nasce dalla responsabilità: “La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive. Significa lasciarci guidare da Dio, nel leggere e accogliere tutte le grida e le domande di riparazione che la terra mal coltivata e sfruttata eleva ogni giorno, dentro le nostre vite”.
E’ una benedizione anche per il popolo: “E benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri.
Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere… Che siate tutti benedetti, voi che vi prendete cura della stanchezza della gente, della città, della terra e cercate come offrire riposo nell’anno del Giubileo e in ogni anno a venire. E riposate un po’ anche voi!”
(Foto: Diocesi di Milano)
Giornata dei poveri: per mons. Pesce la preghiera è assunzione di responsabilità

“La preghiera del povero sale fino a Dio… Riflettiamo su questa Parola e ‘leggiamola’ sui volti e nelle storie dei poveri che incontriamo nelle nostre giornate, perché la preghiera diventi via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza”: così inizia il messaggio di papa Francesco per l’ottava giornata dei poveri, ‘La preghiera del povero sale fino a Dio’, che si celebra domenica prossima, una preghiera che deve diventare ‘via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza’. E nei contesti di guerra questa preghiera assume la forma di un grido, di cui il Papa si fa portavoce tornando a stigmatizzare l’orrore che si vive in alcune zone del mondo.
A mons. Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio per la Pastorale Sociale, del Lavoro e della Custodia del Creato, chiediamo di spiegarci il motivo per cui la preghiera del povero sale fino a Dio: “La preghiera dei poveri arriva al cielo e nessuno la può fermare perché è una vocazione, una chiamata di Dio stesso; rompe l’intreccio mafioso tra la speranza dei poveri e la furbizia dei ricchi. La preghiera dei poveri non si ferma finché non è arrivata al cielo, che ricorda la Bibbia, è ‘la soddisfazione ai giusti e il ristabilimento della equità’. Noi dobbiamo metterci dentro la preghiera dei poveri: Paolo li chiama ‘coloro che attendono con amore la sua manifestazione’. La preghiera dei poveri lotta contro tanti ostacoli, ma il Signore li abbatte tutti; abbatte l’ostacolo della legge, perché i poveri non accettano più piccoli compromessi per sopravvivere; abbatte anche le barriere ideologiche, le nostre presunzioni morali e culturali”.
In quale modo si può operare per la liberazione del povero?
“La libertà religiosa, l’economia come servizio e non come prevaricazione, la giustizia sociale che garantisce equità, la pace come vocazione per il mondo intero, la dignità di ogni vita, la cura della nostra “casa comune”, la questione migratoria, la sfida della innovazione tecnologica, la difesa di una cultura e di un’etica della democrazia, sono binari che la dottrina sociale della Chiesa indica, ed entro i quali misuriamo la nostra identità di cittadini e di credenti. La dimensione politica è lo spazio nel quale verifichiamo l’efficacia della lettura dei segni dei tempi offerta dal magistero sociale della Chiesa. La convinzione è che occorre creare una realtà sociale alimentata da una visione spirituale che passa anche attraverso la capacità di far diventare le nostre proposte istanze politiche su cui confrontarsi. Non si tratta, nonostante tutto, di essere buoni; si tratta di annunciare il Regno”.
Come è possibile coniugare povertà e giustizia?
“Il potere sociale o quello politico, il potere economico, il potere religioso disegnano la vita di una comunità. Per questo va letto e possibilmente capito. Il potere non arriva da solo ma è pensato, voluto, conquistato e perché questo avvenga non ha bisogno solo di chi lo cerca ma di chi poi, subendolo o accettandolo, lo legittima. Chi lo ricerca deve crearsi spazi di visibilità per comunicare perché lo richiede e che cosa offe in cambio. In questa dinamica ha bisogno necessariamente di ‘collaboratori’ chi gli riconoscono il ruolo e la funzione, che siano obbedienti e fedeli al disegno di cambiamento che il potere, economico, politico, religioso, sociale, vuole perseguire, fino a diventarne paradossalmente i garanti. E’ necessario indagare il senso profondo e la riconoscibile evidenza di questo stretto rapporto tra chi esercita e chi subisce, volutamente o no, le conseguenze di un potere”.
In quale modo è possibile ‘fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro’?
“La preghiera autentica è un rapporto col Padre. La parola Padre è quella più vera e Lui la preferisce. Ma se preghiamo bene, sentiamo spesso di preferire il silenzio. La vera parola che esprime Dio è la non-parola, è il silenzio, è l’affacciarsi ai nostri limiti, e alzare la preghiera al Padre o appunto rimanere immobili e muti. La preghiera poi è assunzione di responsabilità del mondo in cui viviamo. Che cosa fa Abramo? Abramo prega Dio che risparmi la città peccatrice:
‘Ci saranno cinquanta, quaranta, trenta, venti, dieci giusti?’ Si preoccupa della città. Da bambini ci insegnavano ad abbandonare le distrazioni fuori dalla chiesa; io esorterei a riempire la preghiera di distrazioni, cioè di riempirla della premura per il mondo intero. Come facciamo ad isolarci se accanto a noi c’è un mondo che soffre, i poveri schiacciati, tante vittime di giustizia e di prepotenza? Noi dobbiamo preoccuparci di questo, pregare per questo”.
“E come non ricordare qui, nella città di Roma, San Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783), il cui corpo riposa ed è venerato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Pellegrino dalla Francia a Roma, rifiutato da tanti monasteri, egli trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo. Non avendo nemmeno una piccola stanza dove alloggiare, dormiva abitualmente in un angolo delle rovine del Colosseo, come ‘vagabondo di Dio’, facendo della sua esistenza una preghiera incessante che saliva fino a Lui”. Per quale motivo papa Francesco nel messaggio ha proposto san Benedetto Giuseppe Labre?
“San Benedetto Giuseppe Labre ci sorregge in quella grande avventura dello Spirito che è la nostra vita di fede. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola d’amore che Dio pronuncia su di noi, sul mondo, sulla storia e che carezza come un vento leggero la nostra vita, spesso così difficile in tante giornate. Ha testimoniato che la Parola di Dio è una Parola efficace che opera ciò per cui era stata mandata. Ha testimoniato che la Parola di Dio porta in sé il gemito di ogni carne in cammino verso la pienezza, di Dio. Ha testimoniato qui a Roma che una Chiesa in preghiera con Pietro e per Pietro è una Chiesa in cammino verso il Risorto.
La sua testimonianza continua lungo i secoli. La nostra società vuole ispirarsi ai grandi principi dell’uguaglianza e della fraternità, cari all’Illuminismo, e ai principi cristiani, ma si trova a compiere una impossibile quadratura del cerchio. Fa finta di voler inserire in sé, dentro le proprie città, l’escluso, (l’immigrato, il clandestino, il senza fissa dimora, il carcerato) ma non ci riesce; perché non ci riesce?
Non ci riesce perché dovrebbe contestare se stessa, nei propri principi costitutivi, e non ne ha il coraggio, anzi meglio non ne abbiamo il coraggio. San Benedetto Giuseppe Labre ha avuto il coraggio di contestare se stesso, la società e la Chiesa del suo tempo; San Benedetto Giuseppe Labre è un testimone per ogni tempo, della dignità dell’uomo, di ogni uomo”.
Allora in quale modo è possibile ‘essere amici dei poveri’?
“Risponderei con un’altra domanda: chi sono i poveri oggi? Sono coloro che stanno sempre con noi:’I poveri infatti li avete sempre con voi’(Mt 26,11). Sono uomini e donne, nomi e cognomi, sono milioni, e rappresentano esattamente come la Parola di Dio, una spada a doppio taglio che penetra nella coscienza civile e cristiana di ognuno di noi; sono lo scandalo perenne di una società moderna che ha costruito il suo ‘accampamento’ lo ha cinto di mura invalicabili e si è lasciata alle spalle, cinicamente, di nascosto e senza pietà un mucchio di pietre scartate.
Possiamo essere amici dei poveri allora stando semplicemente con loro, gettando tanta zavorra inutile, con uno stile di sobrietà nelle nostre scelte personali, e vorrei anche aggiungere, a telecamere spente, senza far vedere ogni istante sui social quello che si fa’; spesso c’è una spettacolarizzazione del servizio ai poveri, fastidiosa ,egocentrica e narcisista, che è il contrario di quello che faceva Gesù”.
(Tratto da Aci Stampa)
Sant’Omobono ai cremonesi: un invito alla preghiera ed alla pace

“Carissimo Papa Francesco, ti scrivo insieme a tutta la Chiesa di Cremona, di cui da più di otto secoli sono il Patrono, ossia un suo figlio che in cielo continua ad amare tanto la sua gente. Mi chiamo Omobono Tucenghi, laico, sposo e padre, sarto e mercante di stoffe, sono vissuto nel XII secolo, e dicono che abbia illuminato questa terra con la mia fede, accesa da una preghiera incessante e testimoniata nella carità verso i poveri, oltre a spendermi per ricostruire la pace tra le fazioni che dividevano e insanguinavano la nostra comunità”.
Recuperando un altro tratto divenuto ormai tradizione per il solenne Pontificale per la festa del Santo patrono, nell’omelia il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha proposto ai fedeli una riflessione raccolta nella forma di una lettera scritta in prima persona dal Santo, ringraziando per quanto il suo magistero incontri i tratti della sua vita terrena, della vicenda storica e della spiritualità del patrono di Cremona, modello di una santità ‘in uscita’:
“Preghiera, poveri e pace: queste erano le passioni maturate giorno dopo giorno nel mio umile cuore di uomo concreto della piccola borghesia cremonese. Mi fa impressione che poi, nei secoli, sia cresciuta dietro di me una comunità che ha imparato ad ideare e attuare tante iniziative di solidarietà, forme di prossimità, che ancora oggi colpiscono e impegnano”.
Ed ha apprezzato il papa per l’impegno verso i poveri, meditando i brani biblici: “Tu, papa Francesco, anche se vieni da un altro continente, conosci l’operosa generosità della gente di Lombardia. E mi colpisce che tu oggi chieda a tutti di fare un passo in più, quello di ‘fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro… che hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio’…
Io imparai a vivere proprio così: meditavo la legge del Signore giorno e notte, alzandomi nel cuore della notte per lodarlo, pregavo incessantemente… arrivavo in chiesa molto tempo prima della celebrazione delle Ore, a meno che non fossi trattenuto dall’esigenza di riportare la pace in città o di procurare elemosine per i poveri. E a volte trovavo le porte della chiesa spalancate (anche se nessuno era ancora sceso ad aprirle): quella chiesa dalle porte aperte che anche a te piace tanto!”
Inoltre ha ‘elogiato’ il papa per aver ricordato che la povertà è anche spirituale: “Tu ci ricordi che i poveri non hanno bisogno solo di beni materiali essenziali, ma anche di attenzione spirituale, e aggiungi che “tutto questo richiede un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante, un cuore pronto a riconoscersi povero o bisognoso… perché il vero povero è l’umile, che non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di Dio… il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia. Infatti, l’umiltà genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai e non ci lascerà senza risposta”.
Questo è un ritratto di un innamorato di Dio: “Senza saperlo, hai fatto il ritratto di un uomo innamorato di Dio, quale sentivo di essere: digiunavo, confessavo ogni settimana le mie colpe, preso da tanta preghiera in chiesa e fuori di chiesa, camminando, vegliando o dormendo! Durante la Messa mi prostravo a terra davanti alla Croce, e sempre durante l’Eucaristia quel 13 novembre spirai, al canto del Gloria, restando a terra in preghiera, come fossi ancora vivo”.
Una sollecitazione particolare è stata posta sul valore della preghiera: “Sono stato felice di vedere quest’anno, nel mese di ottobre, ogni martedì, tanti credenti della nostra città riuniti qui, in cattedrale, per un itinerario di preghiera ‘alla scuola di Maria’, come tu hai proposto loro in preparazione al prossimo Giubileo. E’ stato bello sentirli uniti, nell’adorazione e nella lode, nell’intercessione e nella supplica, cantando le parole e i sentimenti della fede in Cristo Signore. Ed il mio povero corpo era lì, sotto i loro piedi, nella cripta da dove cerco sempre di chiamarli alla mia stessa passione per la preghiera, per i poveri, per la pace”.
E la preghiera non deve essere disgiunta dalla responsabilità: “Guai a noi illuderci di avere ‘imparato a pregare’ solo in base all’emozione di qualche canto o alla cura delle nostre cerimonie! Ieri donne e uomini come me e tanti altri amici del Signore, e oggi come te papa Francesco, ci sentiamo spinti a uscire, ad andare (pregando incessantemente, nel cuore) incontro agli altri, agli emarginati e agli ultimi, alle tante storie di solitudine che si nascondono nelle case e nelle periferie, al disagio di piccoli e grandi che urla, disturba e invoca vero ascolto e concreti gesti di amore”.
Infine un pensiero per la pace: “Ma non basta chiederlo al cielo, tocca a tutti voi, farlo, subito, ovunque… per invertire la drammatica corsa all’odio, alle armi, alle guerre, che entra come un sottile veleno anche nelle vostre anime, vi fa dire parole come pietre, e compiere solo per paura scelte di cui dovrete amaramente pentirvi.
Tu, papa Francesco, indichi un metodo di vita diverso, costruttivo e rigenerante, semplice e praticabile da tutti: ’non dimentichiamo di custodire i piccoli particolari dell’amore: fermarsi, avvicinarsi, dare un po’ di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto’. I miei figli e fratelli della Chiesa di Cremona ti promettono di provarci ancora, ne sono sicuro. Ed io, che benigno proteggo Cremona da secoli, saprò ancora ispirare cristiani e cittadini così, attenti a rammendare le relazioni, a tessere l’armonia delle diversità, a pregare e lavorare per la giustizia e la pace”.
Eraldo Affinati: la scuola è chiamata ad integrare per incontrare la ‘vita’ degli studenti

La scuola è iniziata dopo l’approvazione, nello scorso luglio, alla Camera dei Deputati del decreto legge ‘Scuola’, che ha introdotto importanti novità per quest’anno scolastico 2024/2025, tra le quali il potenziamento del sostegno agli alunni con disabilità, l’inclusione degli studenti stranieri e l’impegno per garantire l’organico docente. Quindi particolare attenzione è dedicata agli studenti di origini straniere, per i quali saranno attivati corsi di italiano obbligatori con docenti dedicati, come ha sottolineato il ministro il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara:
“La lingua è un requisito fondamentale per una vera inclusione. Il nostro obiettivo è una scuola sempre più inclusiva e con standard qualitativi sempre più alti; una scuola in cui siano valorizzati e promossi i talenti di ogni giovane, indipendentemente dalle condizioni di partenza”.
Per capire con quali difficoltà è iniziato questo nuovo anno scolastico abbiamo contattato Eraldo Affinati, scrittore (ultimo libro ‘Le città del mondo’) ed insegnante, fondatore della ‘Penny Wirton’, scuola gratuita di italiano per immigrati: “Gli anni scolastici sono come il fiume che scorre: l’acqua sembra uguale a quella appena passata, ma in realtà è sempre nuova perché i ragazzi sono diversi e anche le combinazioni nelle classi fra compagni e docenti cambiano.
In queste ultime stagioni stiamo assistendo ad una progressiva mutazione del corpo insegnanti che si sta, seppur lentamente, ringiovanendo. Questo, che rappresenta una buona cosa, ripropone il tema della necessaria formazione in itinere, anche pensando alla rivoluzione digitale che va sostenuta ma anche guidata. Da una parte dobbiamo favorire l’innovazione tecnologica, dall’altra ripristinare le gerarchie di valore all’interno della Rete”.
Dal 2025 classi con un tetto di studenti immigrati ed insegnanti di sostegno: è la strada per integrare meglio?
“La presenza di insegnanti di sostegno linguistico che possano sostenere e accelerare l’inserimento dei ragazzi non italofoni neo-arrivati la considero positiva. Tutto dipenderà però da come sarà realizzata questa azione: ci dovrà essere un coordinamento nei consigli di classe con la creazione di percorsi individualizzati e opportune modifiche ai criteri di valutazione. Ciò passa anche attraverso un lavoro da fare nella testa dei docenti. Quanto al tetto di studenti immigrati, in certe zone del Paese sarà impossibile attuarlo: anche qui l’autonomia dei singoli istituti risulterà decisiva”.
In quale modo la scuola può incontrare la ‘vita’ degli studenti?
“Se la scuola resta un luogo separato dalla vita degli studenti, rischia di trasformarsi in uno spazio specialistico dove si fanno cose astruse e ci si annoia. Troppo spesso gli adolescenti, soprattutto, spendono le loro migliori energie nel pomeriggio, andando al risparmio la mattina. Dovremmo invertire tale tendenza, facendo in modo che per loro la scuola diventi l’intensificazione della vita. Per farlo dovremmo assicurare la continuità didattica. Ed invece anche quest’anno inizieremo con troppi supplenti che a Natale saranno costretti a andar via”.
La scuola è capace di generare la responsabilità nei giovani?
“In certe scuole sì, in altre meno. Non si possono fare discorsi generali e onnicomprensivi. Certo è che tutti i grandi educatori del Novecento, da John Dewey a Maria Montessori, da Alberto Manzi a don Lorenzo Milani, fino a John Partrick Carroll-Abbing, nelle loro pur sostanziali differenze, convergevano su un punto: rendere protagonisti i ragazzi, facendoli uscire da una condizione di pura sudditanza. Al centro ci dovrebbe sempre essere la qualità della relazione educativa: quello che accade in aula non riguarda solo i diretti interessati”.
La scuola è in grado di contrastare la povertà educativa?
“Spesso ci si lamenta che questo non accade, ma io non sarei così pessimista. In certe regioni italiane gli istituti scolastici sono gli unici punti di riferimento sociale; lo abbiamo visto durante la pandemia. Tuttavia dobbiamo lavorare ancora più a fondo per ricostruire la spezzata alleanza fra scuola e famiglie; soltanto così potremo raggiungere la dimensione del villaggio educativo di cui ha parlato papa Francesco”.
Allora, la scuola ‘Penny Wirton’ può essere un ‘modello’ per quella italiana?
“Più che un modello, direi un stimolo. La nostra impostazione didattica, basata sul rapporto uno ad uno, fra docente e studente, ci consente di superare ogni ansia del risultato. Abbiamo già un rapporto strutturale con la scuola pubblica. Noi infatti insegniamo gratuitamente la lingua italiana agli immigrati: possiamo farlo grazie ai giovani dei Pcto (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), cioè quegli studenti delle medie superiori che formiamo quali piccoli docenti dei loro coetanei immigrati. Quando questi ragazzi, dopo aver fatto un’esperienza con noi, tornano nelle loro classi della mattina, possono trasformarsi in testimoni di una nuova scuola. Oggi esistono più di 60 postazioni didattiche in ogni parte d’Italia che si ispirano al nostro stile educativo: firmano un patto d’intesa e, nel rispetto della loro autonomia giuridica e amministrativa, entrano a far parte della rete Penny Wirton”.
Come far emergere la ricchezza dell’ ‘altro’ in modo da arricchire la nostra società?
“L’immigrato non va né criminalizzato, né idealizzato. Va conosciuto. Per farlo noi dobbiamo giocare a carte scoperte, senza rinunciare a ciò che siamo, anzi affermandolo, entrando in azione. Questo vale per ogni rapporto umano. Se noi riuscissimo ad assumere la responsabilità dello sguardo altrui, come dovrebbe fare ogni docente tutte le volte che entra in aula, potremmo contribuire, nel nostro piccolo, al miglioramento dell’umanità. Senza illusioni palingenetiche.
Sapendo che ogni generazione è chiamata a ricominciare da capo e non dobbiamo dare mai niente per scontato. Forse il segreto della Penny Wirton è che non abbiamo nessuna connotazione, nessun colore speciale nella nostra maglietta: mettiamo insieme persone molto diverse le une dalle altre che, se fossero chiamate intorno a un tavolo a discutere di un qualsiasi argomento, magari litigherebbero, tuttavia si riconoscono nell’azione a fondo perduto che noi proponiamo”.
(Foto: Penny Wirton)