Mons. Brambilla spiega le tre carità di Antonio Rosmini

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Il 1^ luglio 1855 moriva Antonio Rosmini, che durante la vita portò avanti tesi filosofiche tese a contrastare sia l’illuminismo che il sensismo. Sottolineando l’inalienabilità dei diritti naturali della persona, fra i quali quello della proprietà privata, entrò in polemica con il socialismo e il comunismo, postulando uno Stato il cui intervento fosse ridotto ai minimi termini. Nelle sue teorie il filosofo seguì le concezioni di sant’Agostino e di san Tommaso, rifacendosi anche a Platone.

Rosmini dedicò alla politica una breve ma intensa fase della sua vita. Seguì papa Pio IX riparato a Gaeta dopo la proclamazione della Repubblica Romana, ma la sua formazione attestatasi su ferme posizioni di cattolicesimo liberale era tale per cui fu costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore, a Stresa.

Tuttavia, quando papa Pio IX volle istituire dopo il 1849 una commissione incaricata della preparazione del testo per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, nonostante ben due sue opere (‘Le cinque piaghe della Chiesa’ e ‘La costituzione secondo la giustizia sociale’) fossero all’Indice, Rosmini fu chiamato a prendere parte a tale commissione.

In generale, Rosmini era favorevole al costituzionalismo e anche alla separazione tra Stato e Chiesa (sebbene non ‘assoluta’: contrario alla religione di Stato, era comunque convinto di un necessario primato del cattolicesimo per orientare correttamente la società).

La sua grande polemica fu diretta verso chi, da una parte e dall’altra, sosteneva una società da lui definita ‘perfettista’. Criticò ad esempio il socialismo e il comunismo e la loro affermazione del primato dello Stato sulla persona, difendendo la liceità naturale della proprietà privata in ambito economico.

E nel santuario del Santissimo Crocifisso del Centro internazionale di studi Rosminiani di Stresa, il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, ha presieduto la celebrazione per la memoria liturgica del beato roveretano, ha raccontato l’incontro con papa Benedetto XVI, che da poco aveva rinunciato ad essere papa:

“Appena terminata la visione, il papa mi rivolse una domanda ben precisa. Era stato lui a smuovere il processo per la causa di Rosmini fin dal 2001, che era poi culminata con la beatificazione il 18 novembre 2007. Dunque, il papa voleva sapere se vi fosse nella nostra diocesi una devozione popolare verso il beato Rosmini.

Preso abbastanza di sorpresa risposi che è certo coloro che sono stati alunni presso i rosminiani, così come gli amici e i simpatizzanti, hanno una passione per la conoscenza della verità, per la dignità della persona, per la bellezza dell’uomo, per la ricerca di Dio”.

Ed ha illustrato la ‘triplice carità’ di Rosmini: “Egli spesso usava i termini consueti, però il suo genio non si fermava a leggere l’etichetta, ma era capace di penetrare nella realtà profonda che questi termini indicavano. Rosmini afferma che c’è una carità materiale, una carità intellettuale e una carità spirituale. E’ il triplice aspetto della carità che si rivela assai interessante e su cui vorrei dirvi una parola di incoraggiamento”.

L’aspetto più lampante della carità è l’elemosina: “La carità materiale è l’elemosina, il soccorso, il cibo, il vestito, il lavoro, in genere è la relazione di aiuto. Tutti coloro che pensano alla parola carità intuiscono che, se c’è una necessità, un bisogno, occorre prendersene cura.

Nella tradizione teologica, questa è stata chiamata la carità-servizio, riferita a tutte le forme di bisogno dell’uomo, perché l’indigente possa sedere anche lui alla mensa eucaristica, non solo come un bisognoso, ma come un fratello.

Tale aspetto della carità è tendenzialmente interminabile, anche perché Gesù ci ha detto che ‘i poveri li avete sempre con voi’ (Mc 14,7)… Anche papa Francesco attira sempre la nostra attenzione sui poveri”.

Ed ha elencato le ‘nuove’ povertà: “Oggi bisogna essere coscienti che da noi la povertà ha molte facce e non si riferisce semplicemente al fatto del bisogno di cibo materiale o di avere una casa ospitale, ma piuttosto riguarda anche le malattie spirituali: ne ho contate almeno nove (dipendenze da droghe e da altre sostanze; ludopatie da videogiochi e non solo; forme di depressione; alti livelli di dispersione scolastica;

condizione del pianeta NEET (Not in Education, Employement or Training: persone che non studiano, non lavorano né sono impegnate in percorsi di tirocinio); episodi di cyberbullismo nella scuola; la piaga dei femminicidi e della violenza sui minori; situazioni di frammentazione e disagio della famiglia; il dramma dei suicidi)”.

C’è  poi la carità spirituale: “La carità-virtù mi dice che il gesto di aiuto al povero mi impegna poi a responsabilizzarlo e a farlo diventare fratello. Il povero non può essere semplicemente il destinatario della nostra elemosina (il, cibo, il vestito, il lavoro, la casa o altro), ma lo devo rendere anche autonomo perché poi responsabilmente diventi un membro della vita della comunità cristiana e della società umana.

Lunedì scorso, il 26 giugno, presentando al clero la Lettera pastorale dell’anno prossimo che ha come tema proprio la carità, ho affermato che la Caritas deve essere come la levatrice, la quale raggiunge il suo scopo quando diventa inutile.

Infatti, se in dieci anni di aiuto ai poveri, nessun povero è diventato capace di stare in piedi da solo, temo che la Caritas, o anche l’azione solidale di un gruppo di volontariato, non abbiano raggiunto il loro scopo ultimo. In ogni caso la vera carità cristiana deve affrancare dal bisogno, deve liberare dal bisogno, deve responsabilizzare l’altro”.

Quindi alla carità spirituale corrisponde una carità virtù: “La carità-virtù nella tradizione teologica è illuminata o addirittura identificata persino con lo Spirito Santo, che è Donum e Charitas.

La carità-virtù mi dice che il gesto di aiuto al povero mi impegna poi a responsabilizzarlo e a farlo diventare fratello. Il povero non può essere semplicemente il destinatario della nostra elemosina (il, cibo, il vestito, il lavoro, la casa o altro), ma lo devo rendere anche autonomo perché poi responsabilmente diventi un membro della vita della comunità cristiana e della società umana”.

Quella indicata da Rosmini è una carità-servizio: “La carità-servizio diventa carità-virtù nel momento in cui, servendo l’altro lo si responsabilizza, coinvolgendolo nella nostra relazione di aiuto, e così riusciamo a liberarlo gradualmente dal bisogno.

Gli amministratori presenti sanno che questo è il problema del Welfare italiano, che spesso disperde enormi risorse con i cosiddetti interventi a pioggia, i quali non sono mai interventi che fanno crescere la coscienza, la capacità di responsabilità, di autonomia, di emancipazione dal bisogno, di libertà dalla dipendenza”.

Per questi motivi la triplice carità del Rosmini è ancora una sfida: “Per questo noi non dovremmo smettere di avere passione per l’educazione alla carità. La risposta che ho dato a papa Benedetto forse può trovare accoglienza e realizzazione anche in voi, almeno per voi che vi fregiate di essere figli, discepoli, ascritti e simpatizzanti di Rosmini…

Non date solo cose materiali ai vostri figli, ai bisognosi, ai poveri, alle persone svantaggiate e vulnerabili! Date la vostra presenza, la vostra vicinanza, e dedicate tempo e spazio per farli diventare non solo i destinatari del loro bisogno, ma i soggetti del cammino di crescita, di educazione, di sviluppo e di promozione umana. In una parola fateli diventare fratelli!”

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