L’Italia non è un Paese per giovani

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Il Rapporto Istat 2023 sulla ‘situazione del Paese’presenta numeri su cui occorre fare una seria riflessione per avere certezza del presente/futuro: “Nel 2022 quasi un giovane su due (47,7% dei 10.273.000 tra 18-34enni) mostra almeno un segnale di deprivazione”. Un quadro che preoccupa.

L’analisi non offre una lettura alternativa: “Sul fronte demografico, prosegue nel 2023 il calo del numero dei residenti già in atto dalla fine del 2014, frutto di una dinamica naturale ampiamente negativa (più decessi che nascite), attenuata sempre meno dagli effetti positivi dei saldi migratori.

Dalle evidenze relative al primo quadrimestre dell’anno in corso, le nascite continuano a diminuire, registrando l’1,1% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per i decessi si osserva una riduzione dell’8,3%, un dato in controtendenza rispetto al forte aumento che aveva caratterizzato drammaticamente il triennio precedente”.

Al 31 dicembre 2022, i residenti in Italia ammontano a 58.851.000, 179.000 in meno rispetto all’inizio dell’anno. I cittadini stranieri sono 5.050.257, il 51% dei quali donne, in lieve aumento rispetto al  2021, e costituiscono l’8,6% dei residenti.

Quindi per l’Istat lo scorso anno si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393.000, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400.000) e per l’elevato numero di decessi (713.000). Nel 2022, le iscrizioni anagrafiche dall’estero ammontano a 361.000, dettati dai movimenti migratori dovuti alla guerra in Ucraina scoppiata a fine febbraio dello stesso anno.

Infatti la presenza stabile della comunità ucraina (225.000 censiti a fine 2021) spiega l’effetto di attrazione esercitato dall’Italia sui profughi della guerra.

La fecondità della popolazione residente torna ai livelli del 2020 (1,24 figli in media per donna nel 2022), ma resta al di sotto del periodo pre-pandemico (1,27 nel 2019): “La persistente bassa fecondità è uno dei tratti distintivi dell’evoluzione demografica dell’Italia ed ha prodotto negli ultimi decenni una consistente erosione della platea dei potenziali genitori, a cui si deve un effetto importante del calo delle nascite che osserviamo oggi.

Nel passaggio di un ideale testimone tra una generazione di genitori (i nati del baby boom) e quella dei loro figli (i nati della metà degli anni Novanta), i contingenti si sono pressoché dimezzati”. L’evoluzione del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato, inoltre, dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate.

L’età media al parto per le donne residenti in Italia è aumentata di dodici mesi dal 2010 al 2020, mentre è rimasta stabile nel 2021 e nel 2022, a 32,4 anni.

Inoltre i livelli di sopravvivenza della popolazione restano ancora inferiori a quelli del periodo pre-pandemico, con una perdita di oltre 7 mesi in termini di anni mediamente vissuti rispetto al 2019, sia tra gli uomini, sia tra le donne. Alla nascita, la stima della speranza di vita è di 80,5 anni per gli uomini e di 84,8 anni per le donne. Dal 2021, gli uomini hanno recuperato circa 2 mesi e mezzo di vita. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato rispetto al 2021.

Quindi, nonostante l’elevato numero di decessi rilevato negli ultimi tre anni, oltre 2.150.000, di cui l’89,7% con più di 65 anni, l’età media della popolazione è salita da 45,7 anni all’inizio del 2020 a 46,4 all’inizio del 2023. Al 1° gennaio 2023, le persone con più di 65 anni sono 14.177.000, il 24,1% della popolazione totale.

Cresce anche il numero di persone ultraottantenni, che arrivano a 4.529.000 e rappresentano il 7,7% dei residenti. Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico sfiorando la soglia delle 22.000 unità, oltre 2.000 in più rispetto all’anno precedente. Da inizio millennio il numero di ultracentenari è triplicato.

Al contrario, diminuiscono gli individui in età attiva, tra i 15 e i 64 anni, che scendono a 37.339.000 (63,4%). Si riduce anche il numero dei più giovani: i ragazzi fino a 14 anni sono 7.334.000 (12,5% del totale della popolazione residente).

Le previsioni descrivono un consistente aumento dei ‘grandi anziani’, per cui nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà 6.000.000; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura ad 1.400.000: si tratta di una situazione demografica mai sperimentata finora, che rischia di mettere l’Italia in una fase di insostenibilità economica.

Ma il dato più grave riguarda le ‘aree interne’: infatti negli ultimi 20 anni la quota di popolazione è diminuita, passando dal 23,9% al 22,7% del complesso dei residenti in Italia. Parallelamente è aumentato il rapporto tra anziani e giovani in età da lavoro: al 1° gennaio di quest’anno nelle aree interne ci sono in media 122 residenti di 65 anni o più ogni 100 giovani di 15-34 anni (erano 73,6 nel 2002), ma in molti comuni della fascia appenninica si supera quota 160; nelle aree centrali questo rapporto è pari a 116,7 (era 69,5):

“La riduzione della popolazione giovane ha quindi un impatto più rilevante nelle aree interne, soprattutto in quelle del Centro-Sud. Questo rischia di esasperare i già noti elementi di fragilità di questi territori e di alimentare la spirale della continua riduzione di popolazione”.

Infine un dato che mette a rischio il welfare italiano: nello scorso anno, secondo l’Istat, quasi un giovane su due (47,7% dei 10.273.000 tra 18-34 anni) mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere (Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo, Territorio).

In questo insieme, più di 1.600.000 (pari al 15,5% tra 18-34 anni) sono multi-deprivati, ovvero mostrano segnali di deprivazione in almeno due domini: “I livelli di deprivazione e multi-deprivazione sono sistematicamente più alti nella fascia di età 25-34 anni, la più vulnerabile, costituita da coloro che entrano nella fase adulta della vita e che si trovano ad affrontare tappe cruciali quali l’ingresso nel mercato del lavoro, l’uscita dalla famiglia di origine, l’inizio di una vita autonoma, la formazione di una unione, la scelta di diventare i genitori. L’analisi della multi-deprivazione ci conferma che per la maggioranza dei giovani il raggiungimento di queste tappe è sempre più un percorso a ostacoli”.

Questo incide sul welfare come investimento sociale, situazione che  colpisce indistintamente l’Europa: “La spesa pubblica per istruzione in rapporto al Pil mostra il minore impegno del nostro Paese per questa funzione rispetto alle maggiori economie dell’Ue27 (4,1% del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2% in Francia, il 4,6% in Spagna ed il 4,5% in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8%).

Considerando i dati sulla spesa per la protezione sociale, in tutti i Paesi si osserva un netto orientamento verso le funzioni rivolte a coprire i rischi delle generazioni adulte e anziane, piuttosto che a tutelare i più giovani. L’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua, pari all’1,2 % a fronte del 2,5% della Francia e del 3,7% della Germania”.

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