Papa Francesco alla Comunità ‘Papa Giovanni XXIII’: la famiglia è il luogo della cura

Più di 800 bambini e ragazzi hanno incontrato ieri papa Francesco in un’udienza con la Comunità ‘Papa Giovanni XXIII’ nell’aula ‘Paolo VI’: tanti i piccoli disabili, accolti nelle case famiglia di don Oreste Benzi, che hanno dialogato con il papa in un momento di festa in cui i piccoli ‘scartati’ dalla società hanno portato un vento fresco di gioia e spontaneità.
Tra i piccoli c’era anche Marianna Bergoglio, sette anni, idranencefala. Marianna Bergoglio fu abbandonata alla nascita in ospedale dopo gli esiti di una radiografia prima del parto che svelava una malformazione cerebrale. Per questo motivo l’ufficiale dell’anagrafe la registrò con il cognome Bergoglio rendendola ‘figlia adottiva’ di papa Francesco, che ama e accoglie come un padre i poveri, gli emarginati, i profughi e tutti gli scartati.
Al fianco del papa erano in tanti: Great, nigeriano di sei anni, tetraplegico costretto in carrozzina a causa di in incidente stradale, accompagnato da Emanuele, il suo fratello affidatario di 13 anni; Maria Chiara, 10 anni, che ha vissuto in Rwanda; poi Jia Hui, sei anni, bimba di origine cinese con una patologia cromosomica che l’ha costretta spesso in ospedale, accompagnata da sua sorella affidataria Anna di 14 anni.
Bianca, sette anni, in carrozzina, che sprigiona una positiva energia contagiosa. Laila, 12 anni, ha il papà che va spesso in Ucraina per aiutare le vittime e Sara,13 anni, scappata dall’Iraq per evitare di diventare una sposa bambina di un adulto. Ha chiesto a Papa Francesco come si fa a dimenticare il passato più brutto.
Infine i bambini hanno consegnato al papa un dono speciale: un libro con un centinaio di disegni e letterine che arrivano non solo da bambini italiani, ma anche da Cina, Thailandia, Francia, Bangladesh, Cile, Zambia.
Ci sono disegni che rappresentano i bambini con le loro famiglie e case famiglia; altri che mostrano la paura della guerra; altri che ritraggono Papa Francesco come un super eroe. Tra gli scritti ci sono domande simpatiche e altre che sfiorano i temi teologici più importanti.
Nell’incontro il papa li ha ringraziati per questo incontro: “L’incontro di oggi è speciale, perché siete voi più piccoli che rappresentate la grande famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. E di questo dobbiamo ringraziare il Signore e poi don Oreste Benzi, che ha dato vita a questa bella realtà. Siete d’accordo? Va bene”.
Ed ha ricordato l’importanza di avere un nome: “E poi c’è un altro aspetto importante, che mi ha colpito nelle presentazioni che mi avete mandato un po’ di tempo fa: il fatto che voi bambini e ragazzi siete tutti presentati ciascuno con il proprio nome. Così piace a Dio, che ci conosce ciascuno per nome. Non siamo anonimi, non siamo fotocopie, siamo tutti originali!”
Questo motto era ripetuto da Carlo Acutis: “E così dobbiamo essere: originali, non fotocopie, lo diceva il Beato Carlo Acutis, un ragazzo come voi. Dio ci conosce ad uno ad uno, con il nostro nome e il nostro volto, che è unico. Certo, abbiamo anche i nostri limiti; alcuni di noi purtroppo hanno limiti pesanti da portare. Ma questo non toglie nulla al valore di una persona: ognuno è unico, è figlio o figlia di Dio, ognuno è fratello o sorella di Gesù, ma unico”.
Una comunità cristiana accogliente aiuta a vedere la persona ad immagine di Dio: “Una comunità cristiana che accoglie la persona così com’è aiuta a vederla come la vede Dio. E come ci vede Dio? Con lo sguardo dell’amore. Dio vede anche i nostri limiti, è vero, e ci aiuta a portarli; ma Dio guarda soprattutto il cuore, e vede ogni persona nella sua pienezza.
Dio ci vede a immagine di Gesù, il suo Figlio, e con il suo amore ci aiuta ad assomigliare sempre più a Lui. Gesù è l’uomo perfetto, lo sappiamo, è la pienezza dell’umano, e l’amore di Dio ci fa crescere verso questa misura completa, verso la pienezza”.
Questo modo di vedere Dio è stato sperimentato da don Oreste Benzi attraverso la ‘casa-famiglia’: “Cari bambini e ragazzi, nelle vostre storie, e anche nelle vostre domande, risalta un’esperienza che molti di voi avete in comune: l’esperienza della casa famiglia.
Oggi, qui con voi, voglio sottolineare che le ‘case famiglie’ sono nate dalla mente e dal cuore di don Oreste Benzi. Lui era un prete che guardava i ragazzi e i giovani con gli occhi di Gesù, con il cuore di Gesù. E stando vicino a quelli che si comportavano male, che erano sbandati, ha capito che a loro era mancato l’amore di un papà e di una mamma, l’affetto dei fratelli”.
La ‘casa famiglia’ è l’esperienza dell’amore cristiano: “Un’esperienza che si è moltiplicata, in Italia e in altri Paesi, e che si caratterizza per l’accoglienza in casa di persone che diventano realmente i propri figli rigenerati dall’amore cristiano. Un papà e una mamma che aprono le porte di casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita.
In essa c’è posto per tutti: minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi. La famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni persona”.
Mentre alla comunità del Pontificio Collegio Americano del Nord ha ricordato l’importanza della missione: “Dopo essere rimasto con Gesù, Andrea andò a cercare suo fratello Simone e lo portò da Lui. Qui vediamo come la testimonianza, nata dal dialogo e dalla comunione con Cristo, diventa missione: i discepoli, appena chiamati, vanno ad attirare altri con la loro testimonianza.
Ogni volta che Gesù chiama uomini e donne, lo fa sempre per inviarli, in particolare dai più vulnerabili e da coloro che sono ai margini della società, che non solo siamo chiamati a servire, ma dai quali possiamo anche imparare molto”.
Infine rivolgendosi ai componenti della comunità ha sottolineato l’importanza dell’accompagnamento spirituale: “Le persone oggi hanno bisogno di noi perché ascoltiamo i loro interrogativi, le loro ansie e i loro sogni, in modo da poterle accompagnare meglio al Signore, che riaccende la speranza e rinnova la vita di tutti.
Confido che, mentre svolgete le opere di misericordia spirituali e corporali attraverso i vari apostolati educativi e caritativi in cui siete già impegnati, siate sempre segni di una Chiesa che sa uscire e andare incontro (cfr Evangelii gaudium, 20), condividendo la presenza, la compassione e l’amore di Gesù con i nostri fratelli e sorelle”.
(Foto: Santa Sede)