Papa Francesco racconta la tenerezza di Dio
La prima giornata canadese del papa si è chiusa con l’incontro con le popolazioni indigene attraverso l’invito a condividere storie di vita, che aprono la porta della riconciliazione, accolto dal benvenuto dal parroco della chiesa del Sacro Cuore dei Primi Popoli ad Edmonton, p. Susai Iesu, che ha espresso la grande gioia:
“Da molti anni la nostra parrocchia è un luogo sacro di incontro, dialogo, riconciliazione e servizio. Ci sentiamo profondamente onorati di accoglierLa qui e di ricevere la Sua benedizione sui molti ministeri che vengono offerti al popolo di Dio che viene da noi.
Santità, desideriamo essere uniti a Lei nel pellegrinaggio di guarigione, riconciliazione e speranza. Desideriamo camminare insieme a Lei e andare nei luoghi di dolore per offrire la guarigione che Gesù porta. Possa il nostro incontro di oggi dare a tutti noi nuova forza per camminare insieme a Cristo verso questo Regno dove tutti sono uno”.
Poi il papa ha ascoltato due testimonianze di presentazione della parrocchia: “Siamo felicissimi di condividere il Suo pellegrinaggio di guarigione e riconciliazione. La nostra parrocchia lavora per essere un luogo di guarigione e riconciliazione da molti anni e siamo entusiasti di riceverLa il primo giorno della Sua visita pastorale in Canada. Vorremmo presentarLe la nostra parrocchia, la sua storia, le persone e i nostri ministeri”.
Nel discorso il papa ha ricordato l’incontro avuto a Roma con l’invito alla preghiera: “Sono lieto di vedere che in questa parrocchia, nella quale confluiscono persone di diverse comunità delle First Nations, dei Métis e degli Inuit, insieme a gente non indigena dei quartieri locali e a diversi fratelli e sorelle immigrati, tale lavoro è già iniziato”.
La Chiesa è una casa per tutti: “Ecco una casa per tutti, aperta e inclusiva, così come deve essere la Chiesa, famiglia dei figli di Dio dove l’ospitalità e l’accoglienza, valori tipici della cultura indigena, sono essenziali: dove ognuno deve sentirsi benvenuto, indipendentemente dalle vicende trascorse e dalle circostanze di vita individuali.
E vorrei anche dirvi grazie per la vicinanza concreta a tanti poveri (sono numerosi anche in questo ricco Paese) attraverso la carità: è ciò che desidera Gesù, il quale ci ha detto e ci ripete sempre nel Vangelo: Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Il papa ha avvertito che nel grano si nasconde la zizzania: “E proprio a causa di questa zizzania ho voluto intraprendere questo pellegrinaggio penitenziale, e cominciarlo stamani facendo memoria del male subito dalle popolazioni indigene da parte di tanti cristiani e chiedendone perdono con dolore.
Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana”.
Ed ha condiviso alcune riflessioni sul significato della riconciliazione: “Che cosa ci suggerisce Gesù in proposito, che significato ha per noi oggi? Cari amici, la riconciliazione operata da Cristo non è stata un accordo di pace esterno, una sorta di compromesso per accontentare le parti.
Nemmeno è stata una pace calata dal cielo, arrivata per imposizione dall’alto o per assorbimento dell’altro. L’Apostolo Paolo spiega che Gesù riconcilia mettendo insieme, facendo di due realtà distanti un’unica realtà, una cosa sola, un solo popolo. E come fa? Per mezzo della croce. E’ Gesù che ci riconcilia fra di noi sulla croce, su quell’albero di vita, come amavano chiamarlo gli antichi cristiani”.
La simbologia dell’albero ha ricordato il discorso di san Giovanni Paolo II durante il suo viaggio canadese nel 1984: “Questo simbolismo liturgico ricorda un passaggio stupendo pronunciato da San Giovanni Paolo II in questo Paese: ‘Cristo anima il centro stesso di ogni cultura, per cui non solo il cristianesimo interessa tutte le popolazioni indiane, ma Cristo, nei membri del suo corpo, è egli stesso indiano’.
Ed è Lui che sulla croce riconcilia, rimette insieme ciò che sembrava impensabile e imperdonabile, abbraccia tutti e tutto. Tutti e tutto: le popolazioni indigene attribuiscono un forte significato cosmico ai punti cardinali, intesi non solo come punti di riferimento geografico ma anche come dimensioni che abbracciano la realtà intera e indicano la via per risanarla, rappresentata dalla cosiddetta ruota della medicina”.
Quindi la riconciliazione è sinonimo di Chiesa: “La Chiesa è la casa dove conciliarsi nuovamente, dove riunirsi per ripartire e crescere insieme. E’ il luogo dove si smette di pensarsi come individui per riconoscersi fratelli guardandosi negli occhi, accogliendo le storie e la cultura dell’altro, lasciando che la mistica dell’insieme, tanto gradita allo Spirito Santo, favorisca la guarigione della memoria ferita.
Questa è la via: non decidere per gli altri, non incasellare tutti all’interno di schemi prestabiliti, ma mettersi davanti al Crocifisso e davanti al fratello per imparare a camminare insieme. Questa è la Chiesa e questo sia: il luogo dove la realtà è sempre superiore all’idea. Questa è la Chiesa e questo sia: non un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente, ma una casa accogliente per tutti!”
Ed ha preso in prestito l’immagine della tenda indiana per paragonarla alla Tenda del Convegno: “In questo tempio, sopra l’altare e il tabernacolo, vediamo i quattro pali di una tipica tenda indigena, che ho saputo chiamarsi tepee. La tenda ha un grande significato biblico.
Quando Israele camminava nel deserto, Dio dimorava in una tenda che veniva allestita ogni volta che il popolo si fermava: era la Tenda del Convegno. Ci ricorda che Dio cammina con noi e ama incontrarci insieme, in convegno, in concilio. E quando si fa uomo, il Vangelo dice, letteralmente, che ‘pose la sua tenda in mezzo a noi’”.
Così Dio manifesta la tenerezza al popolo: “Dio è Dio della vicinanza, in Gesù ci insegna la lingua della compassione e della tenerezza. Questo si deve cogliere ogni volta che veniamo in chiesa, dove Egli è presente nel tabernacolo, parola che significa proprio tenda. Dio dunque pianta la sua tenda tra di noi, ci accompagna nei nostri deserti: non abita in palazzi celesti, ma nella nostra Chiesa, che desidera sia casa di riconciliazione”.
(Foto: Santa Sede)