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Papa Francesco: il Cuore di Gesù apre alla gioia dell’annuncio
“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo, per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’. Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’. Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’. Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo. Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’.
Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.
Con queste parole papa Francesco inizia l’enciclica ‘Dilexit nos. Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo’, pubblicata mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, nel 1673, a Santa Margherita Maria Alacoque, fino al 27 giugno prossimo.
L’invito dell’enciclica è un ritorno al ‘cuore’: “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”.
Ed il cuore non è mai stato al centro del pensiero umano: “Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza.
Probabilmente perché l’incontro con l’altro non si consolida come via per trovare sé stessi, giacché il pensiero sfocia ancora una volta in un individualismo malsano. Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore”.
Però il cuore è importante: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo”.
Il cuore è importante perché è capace di unire i ‘frammenti’ della vita, cioè di custodire: “Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare”.
L’enciclica è un invito ad affidarsi al cuore di Gesù: “Abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. E’ lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”.
Il papa chiede di pregare il cuore di Gesù: “Davanti al Cuore di Cristo, chiedo al Signore di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita, che Lui ha voluto abitare come uno di noi. Che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”.
Per questo è necessaria l’adorazione: “La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore… E’ indispensabile sottolineare che ci relazioniamo con la Persona di Cristo, nell’amicizia e nell’adorazione, attratti dall’amore rappresentato nell’immagine del suo Cuore. Veneriamo tale immagine che lo rappresenta, ma l’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino”.
Si adora il Cuore di Gesù, in quanto è inseparabile da Dio: “Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà ‘veramente e realmente tributato a Cristo stesso’, poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è ‘simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo’.
Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi”.
Ecco il motivo per cui la Chiesa ha scelto il cuore: “Si comprende allora che la Chiesa abbia scelto l’immagine del cuore per rappresentare l’amore umano e divino di Gesù Cristo e il nucleo più intimo della sua Persona. Tuttavia, benché il disegno di un cuore con fiamme di fuoco possa essere un simbolo eloquente che ci ricorda l’amore di Gesù, è conveniente che questo cuore faccia parte di un’immagine di Gesù Cristo. In tal modo risulta ancora più significativa la sua chiamata a una relazione personale, di incontro e di dialogo”.
E’ il cuore l’organo che mette in contatto con Gesù: “Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore. L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità”.
In conclusione il cuore di Gesù invita alla missione: “Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote… Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre.
Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna”.
La missione consiste nell’annuncio dell’amore di Gesù: “In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo… Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria.
Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri”.
(Foto: Vatican News)
Papa Francesco delinea una Chiesa missionaria
“Questa domanda, davanti a una persona cieca, sembra una provocazione e invece è una prova. Gesù sta chiedendo a Bartimeo chi cerca davvero, e per quale motivo. Chi è per te il ‘Figlio di Davide’? E così il Signore inizia ad aprire gli occhi del cieco. Consideriamo tre aspetti di questo incontro, che diventa dialogo: il grido, la fede, il cammino. Anzitutto il grido di Bartimeo, che non è solo una richiesta di aiuto. E’ un’affermazione di se stesso. Il cieco sta dicendo: ‘Io esisto, guardatemi. Io non ci vedo, Gesù. Tu mi vedi?’ Sì, Gesù vede l’uomo mendicante, e lo ascolta, con gli orecchi del corpo e con quelli del cuore. Pensiamo a noi, quando per la strada incrociamo qualche mendicante: quante volte guardiamo da un’altra parte, quante volte lo ignoriamo, come se lui non esistesse”.
Così papa Francesco prima della recita dell’Angelus odierno ha sottolineato i passi verso la conversione, che dopo il ‘grido’ di aiuto, si apre alla fede, perché qualcuno presta attenzione: “Bartimeo vede perché crede; Cristo è la luce dei suoi occhi. Il Signore osserva come Bartimeo guarda a Lui. Come guardo io un mendicante? Lo ignoro? Lo guardo come Gesù? Sono capace di capire le sue domande, il suo grido di aiuto? Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi il mendicante? Gli tocchi la mano per sentire la sua carne?”
Da qui nasce un cammino: “Infine, il cammino: Bartimeo, risanato, ‘seguiva Gesù lungo la strada’. Ma ognuno di noi è Bartimeo, cieco dentro, che segue Gesù una volta che si è avvicinato a Lui. Quando tu ti avvicini a un povero e ti fai sentire vicino, è Gesù che si avvicina a te nella persona di quel povero. Per favore, non facciamo confusione: l’elemosina non è beneficenza. Quello che riceve più grazia dall’elemosina è colui che la dà, perché si fa guardare dagli occhi del Signore”.
E nell’omelia della messa conclusiva del Sinodo papa Francesco ha sottolineato il grido mendicante di Bartimeo: “La sua posizione è tipica di una persona ormai chiusa nel proprio dolore, seduta sul ciglio della strada come se non ci fosse nient’altro da fare se non ricevere qualcosa dai tanti pellegrini di passaggio nella città di Gerico in occasione della Pasqua. Ma, come sappiamo, per vivere davvero non si può restare seduti: vivere è sempre mettersi in movimento, mettersi in cammino, sognare, progettare, aprirsi al futuro. Il cieco Bartimeo, allora, rappresenta anche quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza”.
E’ stato un invito alla Chiesa ad alzarsi: “Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina sé stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere.
E se restiamo seduti nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo. Per favore, chiediamo al Signore che ci dia lo Spirito Santo per non restare seduti nella nostra cecità, cecità che si può chiamare mondanità, che si può chiamare comodità, che si può chiamare cuore chiuso. Non restare seduti nelle nostre cecità”.
Infatti appena Gesù si china su Bartimeo egli si alza: “Dopo aver gridato verso di Lui, infatti, Gesù si è fermato e lo ha fatto chiamare. Bartimeo, da seduto che era, è balzato in piedi e, subito dopo, ha recuperato la vista. Ora, egli può vedere il Signore, può riconoscere l’opera di Dio nella propria vita e può finalmente incamminarsi dietro di Lui. Così, anche noi, fratelli e sorelle: quando siamo seduti e accomodati, quando anche come Chiesa non troviamo le forze, il coraggio e l’audacia, la parresia necessaria per rialzarci e riprendere il cammino, per favore, ricordiamoci di ritornare sempre al Signore, ritornare al Vangelo. Ritornare al Signore, ritornare al Vangelo”.
E’ questa la consegna di papa Francesco alla Chiesa: “Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Il Signore lo si segue lungo la strada, non lo si segue chiusi nelle nostre comodità, non lo si segue nei labirinti delle nostre idee: lo si segue lungo la strada…
Fratelli, sorelle: non una Chiesa seduta, una Chiesa in piedi. Non una Chiesa muta, una Chiesa che raccoglie il grido dell’umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo”.
Ed ha concluso l’omelia ricordando il restauro della reliquia dell’antica Cattedra di san Pietro: “Contemplandola con stupore di fede, ricordiamoci che questa è la cattedra dell’amore, è la cattedra dell’unità, è la cattedra della misericordia, secondo quel comando che Gesù diede all’Apostolo Pietro non di dominare sugli altri, ma di servirli nella carità. E ammirando il maestoso baldacchino berniniano più splendente che mai, riscopriamo che esso inquadra il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo. Questa è la Chiesa sinodale: una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva verso di Lui”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco infonde coraggio ai fedeli
“E da questa terra così benedetta dal Creatore, vorrei insieme a voi invocare, per intercessione di Maria Santissima, il dono della pace per tutti i popoli. In particolare, lo chiedo per questa grande regione del mondo tra Asia, Oceania e Oceano Pacifico. Pace, pace per le Nazioni e anche per il creato. No al riarmo e allo sfruttamento della casa comune! Sì all’incontro tra i popoli e le culture, sì all’armonia dell’uomo con le creature!”: con queste parole papa Francesco ha terminato la recita dell’Angelus nella celebrazione eucaristica alla presenza di circa 35.000 persone con l’incoraggiamento a non temere.
Infatti sono state le parole del profeta Isaia a non temere a fare da filo conduttore all’omelia del papa: “Questa profezia si realizza in Gesù. Nel racconto di San Marco vengono messe in evidenza soprattutto due cose: la lontananza del sordomuto e la vicinanza di Gesù. La lontananza del sordomuto. Quest’uomo si trova in una zona geografica che, con il linguaggio di oggi, chiameremmo ‘periferia’. Il territorio della Decapoli si trova oltre il Giordano, lontano dal centro religioso che è Gerusalemme.
Ma quell’uomo sordomuto vive anche un altro tipo di lontananza; egli è lontano da Dio, è lontano dagli uomini perché non ha la possibilità di comunicare: è sordo e quindi non può ascoltare gli altri, è muto e quindi non può parlare con gli altri. Quest’uomo è tagliato fuori dal mondo, è isolato, è prigioniero della sua sordità e del suo mutismo e, perciò, non può aprirsi agli altri per comunicare”.
La vicinanza di Dio si mostra anche a chi vuole essere lontano: “A questa lontananza, fratelli e sorelle, Dio risponde con il contrario, con la vicinanza di Gesù. Nel suo Figlio, Dio vuole mostrare anzitutto questo: che Egli è il Dio vicino, il Dio compassionevole, che si prende cura della nostra vita, che supera tutte le distanze”.
E nella sua vicinanza Dio guarisce: “Con la sua vicinanza, Gesù guarisce, guarisce il mutismo e la sordità dell’uomo: quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza (a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi) allora ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo”.
In questo senso la distanza non è separazione: “E voi, fratelli e sorelle, che abitate questa terra così lontana, forse avete l’immaginazione di essere separati, separati dal Signore, separati dagli uomini, e questo non va, no: voi siete uniti, uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore! E il Signore dice ad ognuno di voi: ‘Apriti!’ Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita”.
Quindi l’invito di Gesù è per tutti: “Anche a voi oggi il Signore dice: ‘Coraggio, non temere, popolo papuano! Apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli’. Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito. E in questo cammino vi accompagni il Beato Giovanni Mazzucconi: tra tanti disagi e ostilità, egli ha portato Cristo in mezzo a voi, perché nessuno restasse sordo dinanzi al gioioso Messaggio della salvezza, e a tutti si potesse sciogliere la lingua per cantare l’amore di Dio”.
Al termine della celebrazione eucaristica papa Francesco ha incontrato i fedeli di Vanimo, prendendo spunto dalla bellezza della natura: “Guardandoci attorno, vediamo quanto è dolce lo scenario della natura. Ma rientrando in noi stessi, ci accorgiamo che c’è uno spettacolo ancora più bello: quello di ciò che cresce in noi quando ci amiamo a vicenda, come hanno testimoniato David e Maria, parlando del loro cammino di sposi, nel sacramento del Matrimonio. E la nostra missione è proprio questa: diffondere ovunque, attraverso l’amore di Dio e dei fratelli, la bellezza del Vangelo di Cristo”.
Nel dialogo con i fedeli papa Francesco ha rivolto loro l’esortazione all’amore come missione: “Ricordiamolo: l’amore è più forte di tutto questo e la sua bellezza può guarire il mondo, perché ha le sue radici in Dio. Diffondiamolo, perciò, e difendiamolo, anche quando il farlo può costarci qualche incomprensione, qualche opposizione. Ce lo ha testimoniato, con le parole e con l’esempio, il Beato Pietro To Rot (sposo, padre, catechista e martire di questa terra), che ha donato la sua vita proprio per difendere l’unità della famiglia di fronte a chi voleva minarne le fondamenta”.
E li ha salutati con un pensiero ai bambini: “E’ questo il dono più prezioso che potete condividere e far conoscere a tutti, rendendo Papua Nuova Guinea famosa non solo per la sua varietà di flora e di fauna, per le sue spiagge incantevoli e per il suo mare limpido, ma anche e soprattutto per le persone buone che vi si incontrano; e lo dico specialmente a voi, bambini, con i vostri sorrisi contagiosi e con la vostra gioia prorompente, che sprizza in ogni direzione. Siete l’immagine più bella che chi parte da qui può portare con sé e conservare nel cuore!”
Infine, prima di ritornare a Port Moresby, il papa ha salutato i missionari, che lo hanno accompagnato nella ‘School & Queen of Paradise Hall’, dove ha assistito ad un breve concerto dell’orchestra degli studenti della scuola.
(Foto: Santa Sede)
‘Effatà, apriti’: Gesù e il sordomuto
L’episodio del Vangelo è assai semplice e pregno di insegnamenti. Riporta la guarigione operata da Gesù in favore di un sordomuto. Davanti alla sofferenza che affligge l’uomo, Gesù si commuove e rivela la sua grande misericordia. Alcune persone avevano condotto davanti a Gesù un sordomuto pregandolo di imporle le mani e guarirlo. Gesù lo prende in disparte, lontano dalla folla, gli tocca con un dito la bocca e gli orecchi e dice: ‘Effatà, cioè apriti’ e subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della lingua e sentiva e parlava correttamente.
La buona Notizia che Gesù evidenzia e rivela alla folla è la sua divinità. Egli è uomo ed anche Dio, reso visibile agli occhi di tutti. Come aveva predetto il profeta Isaia, Egli a ragione dice “agli smarriti di cuore: coraggio, non temete; ecco il vostro Dio”. Un miracolo che ha lo sfondo catechistico e battesimale. Gesù restituisce a quell’uomo il dono di sentire e parlare, la sua vera dignità di persona umana.
Gesù premia la fede di chi è ricorso a Lui; Egli non è un guaritore che si aggira tra la folla per farsi pubblicità, ma è Dio che si aggira tra la folla con un programma di azione ben preciso: aprire le porte del regno dei cieli. Così un giorno davanti ad un paralitico, relegato da venti anni in un letto, dirà: ‘amico, ti sono rimessi i peccati’. Gli Scribi e i Farisei presenti alle parole di Gesù erano rimasti trasecolati perchè solo Dio può rimettere i peccati.
Gesù leggendo i loro pensieri interviene dicendo: cosa è più facile dire al paralitico: ‘Ti sono rimessi i peccati? oppure alzati, prendi il tuo lettuccio e vai a casa?’ Due cose che solo Dio può fare e che evidenziano la sua potenza divina. Gesù conclude dicendo al paralitico: ‘Alzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua’. In forza del nostro Battesimo anche noi ci siamo innestati a Cristo e preghiamo Dio dicendo: ‘Padre nostro, che sei nei cieli’. Gesù ancora oggi ripete a noi. ‘Effata!’: aprite gli orecchi per ascoltare la parola di Dio, la Verità di Dio che vi fa liberi e vi restituisce l’abito bianco, l’abito della purezza.
E’ necessario però avere fede, una Fede viva in Dio come quella di Abramo o come quella di Maria che disse il suo ‘sì’ all’Angelo e il Verbo si fece carne.. Il Battesimo apre la via alla comunione con Cristo Gesù che conferisce la vita, la vera vita; il Battesimo è infetti quel dono mirabile di Dio, che deve essere accolto e vissuto; il dono dell’amicizia che implica da parte nostra un ‘sì’ alla vita ed un ‘no’ a quanto non è compatibile con l’amicizia con Dio.
Il nostro ‘no’ deve essere articolato con la rinuncia a satana e l’adesione a Cristo Salvatore, morto e risorto e sempre presente nella Eucaristia sotto l’apparenza del pane e del vino. Un Dio sempre presente nella nostra vita che segna la strada da percorrere e conferisce gli aiuti necessari per vivere la comunione con Dio e i fratelli.
Un ‘sì’ che si esprime concretamente con l’osservanza dei comandamenti. ‘Effata’, cioè apriti, e sii uomo, abbandona l’uomo vecchio; inizia il tuo nuovo cammino nella Fede e nell’Amore. La Vergine Maria, sempre aperta all’ascolto della parola di Dio, ci aiuti ogni giorno ad ascoltare suo Figlio nel Vangelo e a camminare sulla giusta strada.
Presentato il 53^ Congresso Eucaristico: la fraternità per guarire il mondo
Lunedì scorso è stato presentato il 53^ Congresso Eucaristico Internazionale (IEC2024), che si terrà a Quito, in Ecuador, dall’8 al 15 settembre prossimo sul tema ‘Fraternidad para sanar el mundo’ (‘La Fraternità per sanare il mondo’ a cui hanno preso parte mons. Alfredo José Espinoza Mateus, arcivescovo di Quito, presidente del Comitato locale; p. Juan Carlos Garzón, segretario generale dell’IEC2024: e p. Corrado Maggioni, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, che ha tracciato l’itinerario dei precedenti congressi eucaristici:
“A partire dal primo Congresso Internazionale di Lille, nel 1881, tutti i seguenti furono caratterizzati da imponenti manifestazioni volte a confermare la fede nella ‘presenza reale’ di Cristo nell’Eucaristia e a incrementare il culto eucaristico. Il movimento dei Congressi era maturato in Francia nel solco della spiritualità di san Pierre-Julien Eymard (+1868), di sacerdoti influenti come il beato Antoine Chevrier (+ 1879) e Gaston-Adrien de Ségur (+ 1880), di laici ferventi, tra cui Léon Dupont (+ 1876) e in particolare Émilie Tamisier (+ 1910), animatrice dell’Opera dei Congressi. Fin dall’inizio è stato determinante il ruolo dei laici, donne e uomini che ci credevano sul serio e mettevano a disposizione le loro energie”.
Poi ha ricordato la fisionomia missionaria dei Congressi Eucaristici: “La fisionomia dei Congressi Eucaristici divenne progressivamente più internazionale e missionaria, varcando i confini dei Paesi europei: lo attestano i Congressi di Montreal (1910), Chicago (1926), Sydney (1928), Cartagine (1930), Buenos Aires (1934), Manila (1937), Rio de Janeiro (1952), Bombay (1964), Bogotá (1968), Melbourne (1973), Filadelfia (1976), Nairobi (1985), Seul (1989), Guadalajara (2004), Québec (2008) Cebu (2016)”.
Tali congressi hanno avuto positive ripercussioni nella Chiesa, ricordandone alcuni: “Sono stati eventi che hanno segnato ‘eucaristicamente’ il cammino della Chiesa in questi Paesi e nei rispettivi continenti. Considerando l’America Latina si possono ricordare il Congresso di Buenos Aires in Argentina, sul tema ‘La regalità sociale di Cristo per mezzo dell’Eucaristia’ (1934), di Rio de Janeiro in Brasile sul tema ‘Il Regno eucaristico di Cristo Redentore’ (1955), di Bogotà in Colombia sul tema ‘Vinculum charitatis’, con lo storico viaggio di papa Paolo VI e il suo incontro con 300.000 campesinos latinoamericani (1968), di Guadalajara in Messico sul tema ‘L’Eucaristia, luce e vita del nuovo millennio’ (2004).
Ora il 53° Congresso di Quito in Ecuador risuona come un deciso appello alla ‘fraternità’ vista come dono del Cielo ed insieme impegno umano a convertire le relazioni inimicali in legami fraterni, dentro il travaglio del presente. Il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo ha portato tutti, pur per strade diverse, a maturare la convinzione che ‘nessuno si salva da solo’ come ama ripetere papa Francesco”.
Quindi ha spiegato cosa è un Congresso Eucaristico alla luce del Concilio Vaticano II: “Il Congresso Eucaristico è così divenuto occasione per esprimere la Chiesa dell’Eucaristia, alla luce del Vaticano II e della riforma liturgica che ne è derivata”.
Ecco il motivo per cui il Congresso Eucaristico è divenuto internazionale: “L’idea di chiamare a Congresso gente di vari Paesi per celebrare l’Eucaristia e riflettere sulla sua portata ecclesiale e sociale, ha avuto fin dall’inizio l’intento di ravvivare la coscienza che la presenza di Cristo in mezzo a noi e attraverso di noi è il cuore della Chiesa e della sua missione…
L’internazionalità del Congresso manifesta l’universalità del Mistero eucaristico che plasma ogni battezzato, nel suo stato di vita, come ogni famiglia cristiana, comunità religiosa, parrocchia, diocesi… Ancora oggi si deve dire che ha conservato, a differenza di altri eventi, l’impronta di una convocazione di ‘popolo’, del popolo santo di Dio chiamato per vocazione ad accogliere tutti senza scartare nessuno, come ricorda papa Francesco”.
In precedenza mons. Alfredo José Espinoza Mateus, arcivescovo di Quito e presidente del Comitato locale, ha parlato del tema del Congresso Eucaristico: “Il Congresso eucaristico che si terrà a Quito dovrà essere quella voce dall’accento latino-americano per la Chiesa del mondo intero. Sarà una voce di speranza quella annunciata da questo ‘Continente della Speranza’. Cercherà di essere quella voce profetica che proclamerà a tutti che la fraternità è l’unica via possibile per fare e costruire un mondo nuovo.
‘La Fraternità per guarire il mondo’ è stato il tema scelto da papa Francesco per questo Congresso Eucaristico. Sappiamo che ci sono tante ferite nel mondo, non possiamo negarle. L’uomo e la donna di oggi soffrono di queste ferite. Sappiamo guardare il fratello che soffre? Sappiamo ascoltare la voce di chi grida dalle sue ferite? Sappiamo come guarire quelle ferite? Siamo disposti ad essere ‘missionari eucaristici’ della fraternità?”
Papa Francesco: la preghiera trasforma i fatti
“Oggi la nostra umanità e la Terra, la nostra casa comune, sono davvero ferite! Tante guerre, tante persone che hanno perso tutto, costrette a fuggire. Tanti bambini colpiti dalla violenza”: lo ha detto stamane papa Francesco, ricevendo una delegazione di Monaci Buddisti del ‘Wat Phra Chetuphon’, provenienti dalla Thailandia nel ricordo del Settimo Colloquio buddista-cristiano tenutosi in Thailandia lo scorso novembre, che ha riunito più di 150 partecipanti provenienti da varie parti dell’Asia, per riflettere sul tema ‘Karuna e Agape in dialogo per guarire un’umanità ferita e la Terra’.
Nel discorso il papa si è soffermato sull’esigenza di educazione alla pace: “Durante il Colloquio, avete sottolineato tre punti fondamentali che vorrei ricordare: in primo luogo, avete detto che ‘nessuno si salva da solo; possiamo essere salvati solo insieme, poiché siamo interconnessi e interdipendenti’. Alla luce di questa verità, vi esorto a collaborare con tutti: società civile, membri di altre religioni, governi, organizzazioni internazionali, comunità accademiche e scientifiche e tutte le altre parti interessate a promuovere un’amicizia che sostenga la pace e la fraternità e costruisca un mondo più inclusivo”.
Tale educazione può avvenire anche attraverso la preghiera: “In secondo luogo, avete sottolineato l’importanza di educare ogni persona, specialmente i giovani e i bambini, a rapporti di cura e attenzione verso gli altri e l’ambiente. Infine, avete affermato che ‘crediamo che la preghiera e la meditazione possano capovolgere le cose, purificando i nostri cuori e le nostre menti; generando amorevolezza, misericordia e perdono dove ci sono odio e vendetta, creando uno spirito di rispetto e cura per gli altri e per la terra’. Sono molto contento del fatto che domani pregherete per la pace nella Basilica di Santa Maria in Trastevere”.
Inoltre ha recapitato un messaggio all’Inviato speciale alla Celebrazione del V Congresso Eucaristico Nazionale in Portogallo, card. José Tolentino de Mendonça, con una riflessione sull’Eucarestia: “Colui che è donato al genere umano presso la sacra mensa della cena non viene oscurato, perché sotto diverse apparenze, solo nei segni e non nelle cose, si nasconde il supremo stesso ed, a chi sotto nel sacramento è rimasta la meravigliosa memoria della passione del Signore, facciamo sentire in noi il frutto della redenzione”.
(Foto: Santa Sede)
Venerdì Santo: sulla croce Io Sono
Oggi pomeriggio nella Basilica Vaticana papa Francesco ha presieduti nella Basilica Vaticana la celebrazione della Passione del Signore, ma la riflessione è stata svolta dall predicatore della Casa Pontificia, card. Raniero Cantalamessa, sul tema ‘Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono’, parola “che Gesù pronunciò al termine di una accesa disputa con i suoi contraddittori… Dice semplicemente ‘Io Sono’, senza specificazione. Ciò dà alla sua dichiarazione una portata assoluta, metafisica”.
Il card. Cantalamessa ha sottolineato che Gesù offre una nuova visione di Dio, che si manifesta al mondo sulla croce: “Siamo dinanzi a un totale rovesciamento dell’idea umana di Dio e, in parte, anche di quella dell’Antico Testamento. Gesù non è venuto a ritoccare e perfezionare l’idea che gli uomini si sono fatti di Dio, ma, in certo senso, a rovesciarla e rivelare il vero volto di Dio. L’idea di Dio che Gesù è venuto a cambiare, purtroppo, ce la portiamo tutti dentro, nel nostro inconscio”.
Dio sulla croce si mette a ‘disposizione’ dell’uomo: “Ci vuole poca potenza per mettersi in mostra; ce ne vuole molta, invece, per mettersi da parte, per cancellarsi. Che lezione per noi che, più o meno consciamente, vogliamo sempre metterci in mostra! Che lezione soprattutto per i potenti della terra!”
Il mistero della Croce è preceduto dal kerygma: “All’inizio c’è sempre il kerygma, cioè la proclamazione del mistero della Croce, visto ogni volta in una delle sue infinite virtualità e in rapporto ai problemi storici ed esistenziali del momento; da esso scaturisce ogni volta la parenesi, cioè l’applicazione morale alla vita del cristiano, sul modello delle Lettere paoline, specie di quella ai Romani”.
La Passione narra che la morte è vinta: “La sua morte era stata vista da una grande folla e aveva coinvolto le massime autorità religiose e politiche. Da risorto, Gesù appare soltanto a pochi discepoli, fuori dai riflettori. Con ciò ha voluto dirci che dopo aver sofferto, non bisogna aspettarsi un trionfo esteriore, visibile, come una gloria terrena. Il trionfo è dato nell’invisibile ed è di ordine infinitamente superiore perché è eterno! I martiri di ieri e di oggi ne sono la prova”.
La Resurrezione, al contrario della crocifissione, avviene nel ‘silenzio: “La risurrezione avviene nel mistero, senza testimoni… Dopo aver sofferto non bisogna aspettarsi un trionfo esteriore, visibile, come una gloria terrena. Il trionfo è dato nell’invisibile ed è di ordine infinitamente superiore perché è eterno! I martiri di ieri e di oggi ne sono la prova”.
Ecco il motivo per cui attraverso la croce Gesù salva: “Vieni tu che sei anziano, malato e solo, tu che il mondo lascia morire nella miseria, nella fame, o sotto le bombe; tu che per la tua fede in me, o la tua lotta per la libertà, languisci in una cella di prigione; vieni tu, donna, vittima della violenza. Insomma tutti, nessuno escluso: Venite a me e io vi darò ristoro!”
Riflessione che rispecchia le meditazioni di papa Francesco della Via Crucis al Colosseo, dove si sottolinea il cammino di preghiera verso il Calvario compiuto da Gesù, che chiede di vegliare: “Una cosa sola ci hai domandato: restare con te, vegliare. Non ci chiedi l’impossibile, ma la vicinanza. Eppure, quante volte ho preso le distanze da te! Quante volte, come i discepoli, anziché vegliare ho dormito, quante volte non ho avuto tempo o voglia di pregare, perché stanco, anestetizzato dalle comodità, assonnato nell’anima. Gesù, ripeti ancora a me, a noi tua Chiesa: ‘Alzatevi e pregate’. Svegliaci, Signore, destaci dal torpore del cuore, perché anche oggi, soprattutto oggi, hai bisogno della nostra preghiera”.
Proprio per questa compassione per il mondo Gesù salva nella ripetizione di quattordici invocazioni: “Signore, ti preghiamo come i bisognosi, i fragili e i malati del Vangelo, che ti invocavano con la parola più semplice e familiare: con il tuo nome. Gesù, il tuo nome salva, perché tu sei la nostra salvezza. Gesù, sei la mia vita e per non perdere la rotta nel cammino ho bisogno di te, che perdoni e rialzi, che guarisci il mio cuore e dai senso al mio dolore…
Gesù, prima di morire dici: ‘è compiuto’. Io, nella mia incompiutezza, non potrò dirlo; ma confido in te, perché sei la mia speranza, la speranza della Chiesa e del mondo. Gesù, ancora una parola voglio dirti e continuare a ripeterti: grazie! Grazie, mio Signore e mio Dio”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: Mama Antula è stata prossima a chi soffre
“Si celebra oggi, nella memoria della Beata Vergine di Lourdes, la Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno richiama l’attenzione sull’importanza delle relazioni nella malattia. La prima cosa di cui abbiamo bisogno quando siamo malati è la vicinanza delle persone care, degli operatori sanitari e, nel cuore, la vicinanza di Dio. Siamo tutti chiamati a farci prossimo a chi soffre, a visitare i malati, come ci insegna Gesù nel Vangelo. Per questo oggi voglio esprimere a tutte le persone ammalate o più fragili la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza”.
6^ Domenica Tempo Ordinario: la compassione e tenerezza del cuore di Cristo Gesù
Oggi di scena nel brano del Vangelo la guarigione miracolosa di un lebbroso: una persona disperata, che aveva perduto tutto: lavoro, famiglia, amici, dignità, tale era considerato un ammalato di lebbra. Un uomo rifiutato da Dio e dalla società, costretto dalla legge a vivere ai margini della società con il divieto di avvicinare o di essere avvicinato d’alcuno. Nell’Antico Testamento la labbra era sinonimo di peccato; il lebbroso era considerato un vero appestato; Mosè ne aveva descritto l’impurità e, come tale, doveva essere allontanato e segregato dalla casa e dal popolo.
Papa Francesco: il battesimo è un dono di Dio
“Oggi celebriamo il Battesimo del Signore. Esso avviene presso il fiume Giordano, dove Giovanni, detto per questo ‘Battista’, compie un rito di purificazione, che esprime l’impegno a lasciare il peccato e a convertirsi. Il popolo va a farsi battezzare con umiltà, con sincerità e, come dice la Liturgia, ‘con l’anima e i piedi nudi’, e anche Gesù ci va, inaugurando il suo ministero: mostra così di voler stare vicino ai peccatori, di essere venuto per loro, per noi tutti che siamo peccatori”.