Tag Archives: tenerezza
Papa Leone XIV: farsi pescatori di famiglie

“Sono lieto che, all’indomani della celebrazione del Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani, un gruppo di esperti si sia riunito presso il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita a riflettere sul tema: ‘Evangelizzare con le famiglie di oggi e di domani. Sfide ecclesiologiche e pastorali’. Tale tema ben esprime la preoccupazione materna della Chiesa per le famiglie cristiane presenti in tutto il mondo: membra vive del Corpo mistico di Cristo e primo nucleo ecclesiale a cui il Signore affida la trasmissione della fede e del Vangelo, specialmente alle nuove generazioni”.
In un messaggio inviato ad un seminario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, in programma fino a domani, papa Leone XIV ha invitato a farsi ‘pescatori di famiglie’ per offrire loro l’incontro con la tenerezza di Dio attraverso la testimonianza della grazia del matrimonio, riprendendo le ‘Confessioni’ di sant’Agostino: “La domanda profonda d’infinito scritta nel cuore di ogni uomo conferisce ai padri e alle madri il compito di rendere i propri figli consapevoli della paternità di Dio”.
E’ stato un invito ad accogliere le ‘sfide’ del mondo: “Il nostro è un tempo caratterizzato da una crescente ricerca di spiritualità, riscontrabile soprattutto nei giovani, desiderosi di relazioni autentiche e di maestri di vita. Proprio per questo è importante che la comunità cristiana sappia gettare lo sguardo lontano, facendosi custode, davanti alle sfide del mondo, dell’anelito di fede che alberga nel cuore di ognuno”.
Il papa ha invitato a raggiungere le famiglie ‘lontane’: “Ed è particolarmente urgente, in questo sforzo, rivolgere un’attenzione speciale a quelle famiglie che, per vari motivi, sono spiritualmente più lontane: a quelle che non si sentono coinvolte, che si dicono non interessate, oppure che si sentono escluse dai percorsi comuni, ma nondimeno vorrebbero essere in qualche modo parte di una comunità, in cui crescere e con cui camminare. Quante persone, oggi, ignorano l’invito all’incontro con Dio!”
Quindi è un invito a non ‘privatizzare’ la fede: “Così, pur con sani e santi desideri, mentre cercano sinceramente dei punti di appoggio per salire i sentieri belli della vita e della gioia piena, molti finiscono coll’affidarsi a falsi appigli che, non reggendo il peso delle loro istanze più profonde, li lasciano scivolare di nuovo verso il basso, allontanandoli da Dio e rendendoli naufraghi in un mare di sollecitazioni mondane”.
Perciò il papa ha chiesto di gettare comunque le ‘reti’: “Tra loro ci sono papà e mamme, bambini, giovani e adolescenti, a volte alienati da modelli di vita illusori, dove non c’è spazio per la fede, alla cui diffusione contribuisce non poco l’uso distorto di mezzi in sé potenzialmente buoni, come i social, ma dannosi quando fatti veicolo di messaggi ingannevoli.
Ebbene, ciò che muove la Chiesa nel suo sforzo pastorale e missionario, è proprio il desiderio di andare a ‘pescare’ questa umanità, per salvarla dalle acque del male e della morte attraverso l’incontro con Cristo”.
Riprendendo gli insegnamenti di papa san Giovanni Paolo II e di papa Francesco, papa Leone XIV ha sottolineato che la fede è risposta a uno sguardo d’amore, come affermava sant’Agostino: “Quante volte, in un passato forse non molto lontano, ci siamo dimenticati di questa verità e abbiamo presentato la vita cristiana principalmente come un insieme di precetti da rispettare, sostituendo all’esperienza meravigliosa dell’incontro con Gesù, Dio che si dona a noi, una religione moralistica, pesante, poco attraente e, per certi versi, irrealizzabile nella concretezza del quotidiano”.
Ed il compito dei vescovi è gettare le ‘reti’: “In questo contesto tocca prima di tutto ai vescovi, successori degli Apostoli e Pastori del gregge di Cristo, gettare la rete in mare facendosi ‘pescatori di famiglie’. Anche i laici, però, sono chiamati a lasciarsi coinvolgere in tale missione, divenendo, accanto ai Ministri ordinati, ‘pescatori’ di coppie, di giovani, di bambini, di donne e uomini di ogni età e condizione, affinché tutti possano incontrare Colui che solo può salvare”.
Quindi come afferma l’esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’ occorre ‘promuovere l’incontro con la tenerezza di Dio’: “Non si tratta di dare, a domande impegnative, risposte affrettate, quanto piuttosto di farsi vicini alle persone, di ascoltarle, cercando di comprendere con loro come affrontare le difficoltà, pronti anche ad aprirsi, quando necessario, a nuovi criteri di valutazione e a diverse modalità di azione, perché ogni generazione è diversa dall’altra e presenta sfide, sogni e interrogativi propri.
Ma, in mezzo a tanti cambiamenti, Gesù Cristo rimane ‘lo stesso ieri e oggi e per sempre’. Perciò, se vogliamo aiutare le famiglie a vivere cammini gioiosi di comunione e ad essere semi di fede le une per le altre, è necessario che prima di tutto coltiviamo e rinnoviamo la nostra identità di credenti”.
(Foto: Santa Sede)
Mons. Spina invoca san Ciriaco per dare speranza

Nella solennità di san Ciriaco, patrono di Ancona e dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo, celebratasi domenica 4 maggio, mons. Angelo Spina ha presieduto la celebrazione eucaristica nella cattedrale, preceduta dall’omaggio floreale del sindaco Daniele Silvetti ha offerto l’omaggio floreale a san Ciriaco, mentre al termine della messa l’arcivescovo ha elevato una preghiera al patrono cittadino ed ha impartito la benedizione con il reliquiario, contenente un frammento della croce di Cristo e la reliquia del santo.
Nell’omelia l’arcivescovo di Ancona ha ribadito che la speranza non delude: “In questo anno giubilare siamo tutti pellegrini di speranza, perché la speranza non delude. Oggi la nostra Chiesa locale guarda a San Ciriaco, colui che ci indica la via di come essere cristiani. Ci invita a ritrovare la croce, ad abbracciarla, a testimoniarla. Tre momenti significativi. Nel cammino della Croce, Gesù è vicino a ciascuno di noi, piange con noi. Tutti noi nella vita abbiamo pianto e piangiamo ancora”.
L’omelia ha riflettuto sulla tenerezza di Gesù: “E Gesù è con noi. Piange con noi perché ci accompagna nel buio che ci porta alle lacrime. Gesù, con la sua tenerezza, asciuga le nostre lacrime nascoste. Gesù spera di riempire, con la sua vicinanza, la nostra solitudine. Come sono tristi i momenti di solitudine! Lui è lì, Lui vuole colmare questa solitudine. Gesù vuole colmare la nostra paura, la tua paura, la mia paura, quelle paure oscure vuole colmarle con la sua consolazione. E Lui spera di spingerci ad abbracciare il rischio di amare. Perché, voi lo sapete, lo sapete meglio di me: amare è rischioso. Bisogna correre il rischio di amare. E’ un rischio, ma vale la pena correrlo, e Lui ci accompagna in questo. Sempre ci accompagna. Sempre cammina. Sempre, durante la vita, sta insieme a noi”.
Ha messo in guardia dalle false speranze: “Quante false speranze ci vengono proposte nel nostro tempo, soprattutto nel mondo giovanile. Viviamo in un mondo di specchi dove tutto ciò che conta è il nostro apparire, il nostro aspetto, la nostra immagine. Selfie dopo selfie. La tirannia del corpo giusto e del sorriso perfetto. Foto di noi sui social media in pose accuratamente studiate. Post artificiali in attesa di like. Purtroppo, come spesso costatiamo, le speranze terrene illudono e deludono”.
L’arcivescovo ha domandato il motivo per cui il Crocifisso è la speranza: “E’ una speranza diversa quella che nasce dalla croce. E’ una speranza diversa da quelle che crollano, da quelle del mondo. Ma quale speranza nasce dalla croce?.. Proviamo a pensare a un chicco o a un piccolo seme, che cade nel terreno. Se rimane chiuso in sé stesso, non succede nulla; se invece si spezza, si apre, allora dà vita a una spiga, a un germoglio, poi a una pianta e la pianta darà frutto… Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte, come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento è germogliata la speranza”.
Per questo la speranza nasce dalla croce: “Guarda la croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore. Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, la nostra morte in risurrezione, la nostra paura in fiducia. Ecco perché lì, sulla croce, è nata e rinasce sempre la nostra speranza; ecco perché con Gesù ogni nostra oscurità può essere trasformata in luce, ogni sconfitta in vittoria, ogni delusione in speranza”.
Ed ha elencato i molti crocifissi odierni: “Guardando alla croce di Gesù, oggi purtroppo vediamo i tanti crocifissi nella storia, uomini e donne a causa di violenze, di guerre, di ingiustizie. Penso ai giovani. A volte il dolore di alcuni giovani è lacerante, è un dolore che non si può esprimere a parole, è un dolore che ci colpisce come uno schiaffo. Il non sentirsi capiti, la mancanza di relazioni vere e sane, il vuoto educativo…
La situazione che stiamo vivendo certamente non è delle migliori. Le sfide sono tante: la dignità del lavoro, la famiglia, l’istruzione, l’impegno civico, la cura del creato e le nuove tecnologie che creano relazioni on line a volte disumane. Gli spazi digitali che rendono ciechi alla fragilità dell’altro e impediscono l’introspezione. L’immersione nel mondo virtuale favorisce una sorta di “migrazione digitale”, vale a dire un distanziamento dalla famiglia, dai valori culturali e religiosi che conduce molti giovani verso un mondo di solitudine e di auto-invenzione, fino a sperimentare la mancanza di radici”.
Per questo l’arcidiocesi è in cammino per non deludere i giovani: “Non possiamo deludere i giovani, sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire. E’ bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale. Ma è triste vedere giovani privi di speranza, quando un venti per cento non studia e non lavora; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia”.
Non deludere i giovani con le illusioni: “L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti di violenza nei confronti degli altri e di sé stessi.
Per questo il Giubileo sia nella Chiesa occasione di slancio nei loro confronti: con una rinnovata passione prendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo! Questo ci ha ricordato il compianto papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo. Tutti siamo chiamati a prenderci cura delle nuove generazioni: famiglia, scuola, istituzioni, tutti”.
Infine ha invocato la protezione di san Ciriaco per non far morire la speranza: “San Ciriaco ci aiuti, lui che ci fa capire con la sua testimonianza che prendere la croce di Cristo è abbracciare il giogo dell’amore. Sostituiamo la parola croce con amore. Ed ecco: se qualcuno vuole venire con me, dice Gesù, prenda su di sé il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui è capace, e mi segua… Oggi siamo raccolti in questa cattedrale di san Ciriaco per ricevere ancora una volta la consegna della croce che abbraccia cielo e terra, nord e sud, est ed ovest, tutti.
Essa è profezia, e in tempi di paura come i nostri, abbiamo bisogno di profezia che ci porta avanti nella speranza. Essa è la nostra unica speranza. Essa ci viene consegnata nelle mani perché porti linfa nuova per costruire anche oggi quella civiltà dell’amore che san Ciriaco ha testimoniato. Noi siamo chiamati a edificare questa nostra città, non più con le pietre ma con le persone, con uomini e donne che sanno raccogliersi e unirsi per edificare un futuro migliore per sé e per tutti. San Ciriaco ci protegga e ci benedica”.
(Foto: arcidiocesi di Ancona-Osimo)
Novendiali: papa Francesco artefice di unità

Da mercoledì 7 maggio i cardinali elettori si riuniranno nella Cappella Sistina, immersi nella bellezza degli affreschi michelangioleschi, mentre continuano i preparativi, sia un punto di vista logistico, sia soprattutto per ragionare intorno alle questioni che il 266^ successore di Pietro dovrà affrontare in comunione con tutta la Chiesa. Intanto sul tetto della Cappella Sistina è stato montato il comignolo, mentre i cardinali hanno parlato di evangelizzazione e di Chiese orientali, di testimonianza dell’unità, ma anche dell’importanza del Codice di Diritto canonico, dell’ermeneutica della continuità negli ultimi tre pontificati, della liturgia e della sinodalità.
Nel frattempo proseguono le cerimonie dei Novendiali, nei quali il card. Claudio Gugerotti, già Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha sottolineato la fede nella resurrezione: “La risurrezione, infatti, come ci ricorda la prima Lettura, non è un fenomeno intrinseco alla natura umana. E’ Dio che ci fa risorgere, mediante il suo Spirito. Dalle acque del Battesimo noi siamo emersi come nuove creature, familiari di Dio, suoi intimi o, come dice San Paolo, figli adottivi e non più schiavi…
A questo grido si associa la creazione intera che, nelle doglie del parto, aspetta la sua guarigione. Sembrano avere così poco valore oggi il creato e la persona umana. Eppure tra noi ci sono cardinali, come quelli provenienti dall’Africa, che sentono spontaneamente la bellezza del frutto di queste doglie, perché una nuova vita è per i loro popoli un valore inestimabile”.
Nella resurrezione la creazione prende nuova forza: “Intorno a noi non facciamo altro che percepire il grido della creazione e in essa quello di chi è destinato alla gloria ed è la finalità per la quale la creazione è stata voluta: la persona umana. Grida la terra ma soprattutto grida una umanità travolta dall’odio, a sua volta frutto di una profonda svalutazione del valore della vita che, come abbiamo sentito, per noi cristiani è partecipazione alla famiglia di Dio, fino alla concorporeità e consanguineità con il Cristo Signore, che stiamo celebrando in questo sacramento dell’Eucaristia”.
Infatti nell’omelia il card. Gugerotti ha sottolineato il valore della vita: “Chi ama la sua vita la perderà, ci ricorda il Vangelo secondo Giovanni, e chi odia la propria vita la troverà. In questa frase così estrema il Signore esprime la nostra specificità di cristiani, considerati dal mondo seguaci di un perdente, di uno sconfitto della vita, che attraverso la morte, e non attraverso l’edificazione di un regno terreno, ha salvato il mondo e redento ciascuno di noi”.
Tale vangelo della vita è sempre stato insegnato da papa Francesco: “Papa Francesco ci ha insegnato a raccogliere il grido della vita violata, ad assumerlo e presentarlo al Padre, ma anche ad operare per alleviare concretamente il dolore che suscita questo grido, a qualsiasi latitudine e negli infiniti modi con cui il male ci indebolisce e ci distrugge”.
Nonostante le incomprensioni del passato oggi la Chiesa sta ritornando a respirare con due polmoni: “Papa Francesco, che ci ha insegnato ad amare la diversità e la ricchezza dell’espressione di tutto ciò che è umano, oggi credo esulti al vederci insieme per la preghiera per lui e per l’intercessione di lui. E noi ancora una volta ci impegniamo, mentre molti di loro sono costretti a lasciare le loro antiche terre, che furono Terra Santa, per salvare la vita e vedere un mondo migliore, a sensibilizzarci, come aveva voluto il nostro papa, per accoglierli e aiutarli nelle nostre terre a conservare la specificità del loro apporto cristiano, che è parte integrante del nostro essere Chiesa cattolica”.
E le liturgie orientali sono ricche di bellezza: “La loro liturgia è tutta intessuta di questo stupore. E così, ad esempio, in questo tempo liturgico, la tradizione bizantina ripete senza fine questa esperienza ineffabile, dicendo, cantando e comunicando agli altri: ‘Cristo è risorto dai morti, calpestando con la morte la morte, e ai morti dei sepolcri ha elargito la vita’. E lo ripetono costantemente, come per farlo entrare nel cuore proprio e degli altri.
Questo stesso stupore esprime anche la liturgia armena, nel pregare con le parole di quel san Gregorio di Narek che proprio Papa Francesco volle ascrivere tra i Dottori della Chiesa e che la tradizione ha reso parte integrante dell’eucologia eucaristica… Ecco solo due esempi della forza vibrante con cui l’emozione del cuore si mescola in oriente alla lucidità della mente per descrivere la nostra immensa povertà salvata dall’infinità dell’amore di Dio”.
Mentre nel sesto giorno dei Novendiali il card. Víctor Manuel Fernández, già Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha evidenziato la tenerezza di papa Francesco nell’annunciare Cristo: “Papa Francesco è di Cristo, appartiene a Lui, e ora che ha lasciato questa terra è pienamente di Cristo. Il Signore ha preso Jorge Bergoglio con se sin dal suo battesimo, e lungo tutta la sua esistenza. Lui è di Cristo, che ha promesso per lui la pienezza della vita.
Sapete con quanta tenerezza parlava di Cristo papa Francesco, come godeva il dolce nome di Gesù, come buon gesuita. Lui sapeva bene di essere suo, e sicuramente Cristo non l´ha lasciato, non l´ha perso. Questa è la nostra speranza che celebriamo con gioia pasquale sotto la luce preziosa di questo Vangelo di oggi. Non possiamo ignorare che stiamo celebrando pure la giornata dei lavoratori, che stavano tanto a cuore a papa Francesco”.
E’ stato un ricordo particolare nella giornata della festa del lavoro: “Ma permettetemi presentare pure papa Francesco come un lavoratore. Lui non solo parlava del valore del lavoro, ma tutta la sua vita è stato uno che viveva la sua missione con grande sforzo, passione e compromesso. Per me è stato sempre un mistero capire come poteva sopportare, anche essendo un uomo grande e con diverse malattie, un ritmo di lavoro così tanto esigente. Lui non solo lavorava al mattino con diverse riunioni, udienze, celebrazioni ed incontri, ma anche tutto il pomeriggio. E mi è sembrato veramente eroico che con le pochissime forze che aveva nei suoi ultimi giorni si è fatto forte per visitare un carcere”.
Al termine ha ricordato la particolare devozione del papa a san Giuseppe: “Infine, fatemi ricordare l’amore di Papa Francesco verso san Giuseppe, quel forte e umile lavoratore, quel falegname di un piccolo paese dimenticato, che col suo lavoro si prendeva cura de Maria e di Gesù. E ricordiamo pure che quando Papa Francesco aveva un grosso problema, metteva un pezzetto di carta con una supplica sotto l’immagine di san Giuseppe”.
(Foto: Santa Sede)
Il card. Sandri ringrazia papa Francesco per il servizio

“Cristo è Risorto! Con ancora più emozione entro una celebrazione di suffragio quale è quella dei Novendiali, cantiamo l’Alleluia Pasquale, quel canto che è risuonato dalla voce del diacono ‘Nuntio vobis gaudium magnum quod est Alleluia’, anche in questa Basilica che pochi istanti prima della Veglia era stata visitata dal Santo Padre Francesco. In modo pensiamo inconsapevole egli si preparava ad attraversare un altro Mar Rosso, un’altra notte che la Resurrezione di Cristo ci consente di chiamare beata, la notte di cui è detto ‘et nox sicut dies illuminabitur’. Tra pochi giorni, il Cardinale Proto Diacono utilizzerà una formula simile, annunciando alla Chiesa e al mondo il gaudium magnum di avere un nuovo Papa: è a partire dall’esperienza pasquale di Cristo che trova senso il ministero del Successore di Pietro, chiamato in ogni tempo a vivere le parole appena ascoltate nel vangelo”.
L’omelia del card. Leonardo Sandri, vice decano del Collegio cardinalizio, nel quinto giorno dei novendiali è orientata al significato di servizio: “Uno dei titoli che la tradizione attribuisce al Vescovo di Roma infatti è quello di ‘Servus Servorum Dei’, amato da san Gregorio Magno sin da quando era soltanto diacono, a ricordare questa costante verità: la liturgia ce lo ricorda nei segni esteriori, quando nelle celebrazioni più solenni indossiamo sotto la casula la tunicella, ricordo del nostro dover sempre rimanere diaconi, cioè servitori”.
Tale servizio è stato applicato dal papa: “Lo ha vissuto Papa Francesco, scegliendo diversi luoghi di sofferenza e solitudine per compiere la lavanda dei piedi durante la Santa Messa in Coena Domini, ma anche mettendosi in ginocchio e baciando i piedi dei leader del Sud Sudan, implorando il dono della pace, con quello stesso stile per molti ritenuto scandaloso, ma fortemente evangelico, con il quale san Paolo VI il 4 dicembre di cinquant’anni fa in cappella Sistina si mise in ginocchio baciando i piedi di Melitone, Metropolita di Calcedonia.
La tradizione della Chiesa cari confratelli cardinali ci suddivide in tre ordini: vescovi, presbiteri e diaconi, ma tutti siamo chiamati comunque a servire, testimoniando il Vangelo usque ad effusionem sanguinis¸ come abbiamo giurato il giorno della creazione cardinalizia ed è significato dalla porpora che indossiamo, offrendo noi stessi, collegialmente e come singoli, come primi collaboratori del Successore del beato apostolo Pietro”.
Per questo il card. Sandri ha sottolineato il passaggio di Gesù a Gerusalemme: “Dopo il vertice della Trasfigurazione, il cammino verso la realizzazione delle profezie nella Pasqua a Gerusalemme; dopo la Pasqua l’attesa dello Spirito a Pentecoste, con la pienezza del dono dello Spirito l’inizio della Chiesa. Noi viviamo il passaggio tra la conclusione della vita del Successore di Pietro, Papa Francesco e il compimento della promessa affinchè con la nuova effusione dello Spirito la Chiesa di Cristo possa continuare il suo cammino tra gli uomini con un nuovo Pastore…
In qualche modo Papa Francesco lascia questa parola anche al Collegio Cardinalizio, composto di giovani e di più anziani, in cui tutti possano lasciarsi ammaestrare da Dio, intuire il sogno che Egli ha sulla sua Chiesa e cercare di realizzarlo con giovane e rinnovato entusiasmo”.
Per questo ‘sogno’ Pax Christi ha ringraziato papa Francesco: “Ti diciamo … GRAZIE! per aver indicato a questa Chiesa, nei tuoi 12 anni di servizio come Pietro, le strade della luce della fede, della gioia del Vangelo, della lode a Dio-Creatore, della bellezza della fraternità, della gioia dell’amore nuziale, dell’amore di Cristo per noi e di aver spalancato le porte della Speranza!
Ti diciamo …GRAZIE! per aver quasi spinto questa Chiesa sulle strade non facili dell’incontro con il mondo, mettendola in guardia dal cedere alla mondanità materiale o spirituale, con uno sguardo di amore per gli ultimi, per i poveri, per gli scartati, per gli emarginati, per i sofferenti e, come ospedale da campo, ad accogliere e a prendersene cura con dolcezza e tenerezza.
Ti diciamo …GRAZIE! per aver provocato questa Chiesa ad incamminarsi ‘sui sentieri di Isaia’ e a scalare il monte delle Beatitudini con le vette della mitezza, della nonviolenza e dell’artigianato della pace. Hai denunciato l’ipocrisia, la stupidità e la violenza di una politica e di una economia che ‘aliene da razionalità’ producono e vendono armi che generano guerre, morti, devastazioni e criminali profitti”.
Un ringraziamento per l’accoglienza e l’incoraggiamento: “Ti diciamo …un ultimo GRAZIE! per quell’indimenticabile 12 gennaio 2019 quando ci hai accolti, incontrati, come Consiglio Nazionale di Pax Christi, e incoraggiati a continuare ad essere educatori e costruttori di pace. Ti ascoltammo con molta attenzione e ci confidasti la tua ostinazione nel condannare le armi nucleari, (‘anche se non mi ascoltano’) ricordandoci che non solo l’uso ma anche il possesso è immorale!”
Anche l’ong Aifo ha ringraziato il papa perché ha riportato al centro le periferie: “Ha scritto quattro encicliche, tutte importanti, nella ‘Laudato sì’ ci chiama alla responsabilità verso il creato, ma nella “Fratelli tutti” ci ha concretamente mostrato il suo pensiero, che incarna l’amore di Dio per l’uomo.
E’ il Papa della pace, del dialogo con tutti, in particolare con i non credenti, e con tutte le religioni, un dialogo improntato sull’umanità, sul rifiuto della forza e delle armi, sulla condanna costante della guerra, del terrore, della disumanità di atti che purtroppo continuano ad uccidere e ad offendere la dignità dell’essere persona. Ci ha lasciato come ha sempre vissuto, ieri era fra la gente, con la sua voce flebile e tutta la sua sofferenza, senza risparmiarsi, senza pensare a sé stesso, ma al bisogno di tutti di saperlo tra noi”.
A proposito del prossimo conclave il presidente dell’associazione Ospitalità Religiosa Italiana, Fabio Rocchi, ha monitorato la situazione della città di Roma, in attesa del conclave: “In questi giorni di preparazione all’elezione del nuovo pontefice, non ci sono solo cardinali e media a centrare la loro attenzione sul Vaticano.
L’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, che promuove le case religiose e non-profit di ospitalità, sta infatti registrando un picco di richieste di accoglienze su Roma con arrivi il 7 maggio, giorno previsto per le prime ‘fumate’ dalla Cappella Sistina. Dal portale ospitalitareligiosa.it transitano ogni giorno centinaia di richieste e la data fatidica spicca su tutte le altre.
Il dato consente anche di capire l’orientamento dei pellegrini, che ‘scommettono’ su di un Conclave abbastanza breve, con una durata media della permanenza in città di 2/3 giorni. Ma c’è chi si sta già organizzando anche per il dopo-Conclave. Una grande quantità di richieste si concentra sulle settimane successive, nelle quali evidentemente i pellegrini già programmano di venire a Roma per “conoscere” da subito il nuovo Papa. Due dati, quindi, che consentono di percepire il positivo clima di attesa tra i fedeli”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: santa Lucia educhi alla tenerezza

“Ho appreso con gioia che la Chiesa siracusana celebra l’Anno Luciano, dedicato alla Vergine e Martire Lucia, vostra concittadina. L’affetto che vi lega a Santa Lucia vi ha ricondotti, così, a una delle più antiche consapevolezze cristiane: ‘Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna»’… Nel giorno della festa della vostra Patrona scrivo a te, caro Fratello, e all’intera comunità arcidiocesana, perché queste parole di salvezza orientino anche oggi il vostro cammino e rinnovino nello spirito del Vangelo i legami familiari, ecclesiali e sociali di cui è intessuta la vostra bella città”: con queste parole papa Francesco inizia la lettera indirizzata a mons. Francesco Lomanto, arcivescovo di Siracusa, in occasione della Traslazione temporanea del corpo di santa Lucia.
Ed il pensiero va all’imminente avvio del giubileo con l’apertura della Porta Santa: “Il mese di dicembre culminerà quest’anno nell’avvio del Giubileo che ci vuole ‘Pellegrini di speranza’, ma è segnato per voi da un altro pellegrinaggio, quello di Santa Lucia da Venezia a Siracusa, cioè dalla città che da otto secoli custodisce il suo corpo a quella in cui la sua testimonianza è inizialmente brillata, diffondendo luce in tutto il mondo”.
La traslazione del suo corpo è un avvenimento particolare che unisce Siracusa e Venezia: “Santa Lucia viene da voi, perché voi stessi siate uomini e donne del primo passo, figlie e figli di un Dio che si fa incontro. La comunione fra due Chiese particolari, che ha reso possibile questa traslazione temporanea, indica a sua volta un modo di abitare il mondo che può vincere le tenebre che ci circondano: c’è luce dove ci si scambiano doni, dove il tesoro di uno è ricchezza per l’altro. La menzogna che distrugge la fraternità e devasta il creato suggerisce, invece, il contrario: che l’altro sia un antagonista e la sua fortuna una minaccia. Troppo spesso gli esseri umani si vedono così”.
E’ stato un invito a guardare ‘lontano’ con lo sguardo femminile: “Il simulacro della vostra Patrona, se lo osservate bene, esprime vigorosamente la dignità e la capacità di guardare lontano, che le donne cristiane portano anche oggi al centro della vita sociale, non lasciando che alcun potere mondano rinchiuda la loro testimonianza nell’invisibilità e nel silenzio.
Abbiamo bisogno del lavoro e della parola femminile in una Chiesa in uscita, che sia lievito e luce nella cultura e nella convivenza. E questo ancora di più nel cuore del Mediterraneo, culla di civiltà e di umanesimo, tragicamente al centro di ingiustizie e squilibri che sin dal mio primo viaggio apostolico, a Lampedusa, ho suggerito di trasformare da cultura dello scarto in cultura dell’incontro”.
Ecco le virtù a cui il papa esorta: “Il martirio di Santa Lucia ci educhi al pianto, alla compassione e alla tenerezza: sono virtù confermate dalle Lacrime della Madonna a Siracusa. Sono virtù non solo cristiane, ma anche politiche. Rappresentano la vera forza che edifica la città. Ci ridanno occhi per vedere, quella vista che l’insensibilità ci fa perdere drammaticamente. E come è importante pregare perché guariscano i nostri occhi!”
Quindi ha invitato a non essere ‘tranquilli’: “Stringersi attorno a una Santa (e penso all’immensa folla che a Siracusa circonda Santa Lucia) significa avere visto la vita manifestarsi e scegliere ormai la parte della luce. Essere persone limpide, trasparenti, sincere; comunicare con gli altri in modo aperto, chiaro, rispettoso; uscire dalle ambiguità di vita e dalle connivenze criminali; non temere le difficoltà. Mai stanchiamoci di educare bambine e bambini, adolescenti e adulti (a cominciare da noi stessi) ad ascoltare il cuore, a riconoscere i testimoni, a coltivare il senso critico, a obbedire alla coscienza”.
E nella lettera di Avvento mons. Lomanto ha invitato i fedeli a prepararsi ad accogliere Gesù: “Iniziamo il tempo forte dell’Avvento per prepararci ad accogliere Gesù che porta al mondo la luce di Dio e disponiamoci a vivere contestualmente, con intensa spiritualità, i giorni della presenza del Corpo di Santa Lucia a Siracusa che segnerà la conclusione dell’Anno luciano e il passaggio al tempo di grazia del Giubileo Santo dell’Anno 2025“.
L’arcivescovo di Siracusa evidenzia che “la presenza del Corpo di Santa Lucia, che porta nel suo nome il segno della luce di Gesù, sostiene il nostro cammino di fede, consolida l’impegno della santità e della carità, facendoci testimoni veraci della morte e della risurrezione del Signore“.
E quindi “come Santa Lucia aneliamo alla santità per essere, innanzitutto, discepoli del Signore, trasparenza viva della sua presenza. Inseriamoci pienamente in Cristo per crescere nella santità di vita e per illuminare la vita degli altri con la luce divina che dà senso e valore, che indica la giusta direzione del cammino, che ravviva la speranza nel cuore dei credenti”.
L’anno luciano, appena concluso, ed il giubileo, di prossima apertura, sono segni evidenti per accrescere la fede: “Questi eventi che segnano il cammino della Chiesa ci vedano impegnati, prima di tutto e al di sopra di tutto, a crescere nella luce della fede e nelle altre virtù della nostra Santa Patrona, per realizzare la conformità a Cristo nella quotidianità, l’ascolto e la messa in pratica della Parola di Dio, la testimonianza nella carità fraterna, il carisma dell’amore perfetto, e così crescere nella santità di vita ed essere profeti di speranza e costruttori della civiltà dell’amore“.
La concreta tenerezza di Gesù: riflettendo con don Luigi Maria Epicoco

Don Luigi Maria Epicoco, in particolare, si sofferma a considerare la narrazione che riguarda la meravigliosa e struggente vicenda concernente la donna colta in adulterio, condotta dagli scribi e dai farisei dinnanzi a Gesù. E’ significativo notare, anzitutto, come questa donna venga immediatamente, ingiustamente e dolorosamente identificata con il proprio peccato: è una donna adultera. Non sappiamo niente riguardo al suo vissuto, non conosciamo il suo nome o la sua provenienza geografica.
La modalità mediante la quale quest’ultima viene definita, costituisce un’immensa e preziosa fonte di riflessione: quante volte, infatti, identifichiamo gli altri o noi stessi con le loro – o le nostre! – fragilità e cadute? Come se il male commesso annichilisse e definisse irreversibilmente e tragicamente la nostra persona e la nostra storia.
Eppure, il Signore in questa tenera e brillante pagina del Vangelo ci dice ed indica esattamente il contrario, ponendosi in radicale antitesi alla degenerante e letale mentalità e postura farisaica, così frequente e diffusa in una società individualistica e giudicante come quella attuale. Non è forse il medesimo atteggiamento sprezzante che sovente gli adulti incarnano nei confronti dei giovani?
Risulta appunto, molto più semplice ed immediato giudicarli impietosamente piuttosto che illuminarli, ascoltarli, accoglierli, guidarli e educarli, come peraltro emerge mestamente dal moltiplicarsi delle desolate e desolanti pagine di cronaca, ricordando a tutti ed a ciascuno che noi non siamo le nostre fragilità e le nostre cadute, non importa quanto siano ingenti.
Tu non sei il tuo peccato: non sei l’adulterio che hai commesso, non sei la menzogna che hai proferito, il furto che hai compiuto, non sei neppure l’omicidio di cui ti sei macchiato, non sei gli atti orribili che hai che hai espletato lo scorso anno, la scorsa settimana, stanotte o appena pochi instanti fa ma appartieni a tua Madre, appartieni a tuo Padre.
Sei tutto ciò che è scritto in modalità cristallina nel cuore di Dio e nel suo benedicente e paterno sguardo che riscrive e trasforma la tua biografia, conferendoti una nuova identità. In questo contesto Gesù ci mostra e dimostra chiaramente che la tenerezza è l’opposto della violenza. E’ una disposizione interiore ed esteriore che viene pragmaticamente incarnata degli occhi, delle mani, del tono di voce, dai vocaboli che rivolgiamo, della nostra modalità di ascoltare, mediante la nostra corporeità. Il Signore ci insegna che tenerezza è accogliere l’altro, mentre il giudizio opprime, allontana, chiude ed annichilisce.
Qual è la prima e significativa reazione di Gesù? E’ un atto di una delicatezza e sapienza inusitata: non la guarda negli occhi per non metterla in imbarazzo, poiché è già ostaggio degli sguardi tirannici e giudicanti della folla, ma scrive delicatamente sulla sabbia. Come la sapienza classica ha sempre sostenuto, espresso ed insegnato, infatti, gli occhi sono lo specchio dell’anima.
La prima tenerezza che Gesù adopera, quindi, è proprio la tenerezza del suo sguardo. Si accorge della sofferenza, si accorge di coloro che hanno bisogno, si accorge di chi si sente umiliato ed è capace di scrutare nel profondo oppure di astenersi dallo sguardo a seconda delle circostanze, la sua è una tenerezza autentica, concreta e benevola poiché sottopone ad uno sguardo e ad una narrazione profetica positiva persino e soprattutto l’errore più drammatico e doloroso, poiché è proprio in quei momenti abbiamo più bisogno di Lui e quindi di esperire il suo amore ed il suo perdono gratuito.
6^ Domenica Tempo Ordinario: la compassione e tenerezza del cuore di Cristo Gesù

Oggi di scena nel brano del Vangelo la guarigione miracolosa di un lebbroso: una persona disperata, che aveva perduto tutto: lavoro, famiglia, amici, dignità, tale era considerato un ammalato di lebbra. Un uomo rifiutato da Dio e dalla società, costretto dalla legge a vivere ai margini della società con il divieto di avvicinare o di essere avvicinato d’alcuno. Nell’Antico Testamento la labbra era sinonimo di peccato; il lebbroso era considerato un vero appestato; Mosè ne aveva descritto l’impurità e, come tale, doveva essere allontanato e segregato dalla casa e dal popolo.
Giornata del Malato: curare nelle relazioni

Il messaggio per la 32^ Giornata Mondiale del Malato, che si celebra oggi, si intitola: ‘Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato curando le relazioni’, ispirandosi al capitolo 2 del libro della Genesi (Gen 2,18), come ha specificato papa Francesco: “Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento.
Papa Francesco incoraggia a scoprire la bellezza della preghiera

Giornata intensa quella di oggi per papa Francesco, che, ricevendo tre delegazioni, ha sviluppato un filo conduttore della preghiera mariana nella famiglia o nelle associazioni religiose, come ha detto ai membri della delegazione delle ‘Sentinelle della Santa Famiglia’, che è una rete impegnata nella recita del rosario:
Papa Francesco ai rabbini: dialogo e giustizia edificano la pace

Questa mattina papa Francesco ha incontrato una delegazione della Conference of European Rabbis, che riunisce circa 700 rabbini ortodossi in tutta Europa, salutandoli personalmente, ma non leggendo loro il discorso, in quanto non stava bene di salute. Nel discorso consegnato papa Francesco ha ribadito la condanna all’antisemitismo con la preoccupazione a ciò che sta avvenendo in Terra Santa: