Da Assisi un grido di pace: la guerra è follia
La marcia della pace straordinaria della pace da Perugia ad Assisi si è conclusa domenica scorsa e domenica 1^ maggio è terminata anche la ‘seconda settimana civica’ dedicata all’educazione alla pace con gli studenti delle scuole superiori, che ha come motto ‘Protagonisti, non spettatori’ “perché vuole promuovere la cultura della cura, dei diritti e della responsabilità che è indispensabile se vogliamo un mondo più giusto”, come ha specificato Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace.
Una marcia, che si è snodata lungo i 20 chilometri delle campagne umbre, conclusasi nella piazza della basilica di san Francesco, con molte persone, raggiunte, tra Bastiola e Ospedalicchio, dalle parole di papa Francesco al termine della recita del ‘Regina Coeli’:
“A tutti chiedo di accrescere la preghiera per la pace e di avere il coraggio di dire, di manifestare che la pace è possibile. I leader politici, per favore, ascoltino la voce della gente, che vuole la pace, non una escalation del conflitto. A questo proposito, saluto e ringrazio i partecipanti alla Marcia straordinaria Perugia-Assisi per la pace e la fraternità, che si svolge oggi; come pure quanti vi hanno aderito dando vita ad analoghe manifestazioni in altre città d’Italia”.
E da Assisi è partito un appello ai decisori politici, ai mass-media, all’opinione pubblica per fermare la guerra, che è una follia: “Fermare la guerra vuol dire negoziare subito, con determinazione, su tutto: il cessate il fuoco, i corridoi umanitari, la fine della guerra, la sicurezza per tutti, il disarmo, il rispetto dei diritti umani di tutti, comprese le minoranze. Tutte le strade vanno percorse. Bisogna dialogare con tutti.
E’ urgente l’apertura di un negoziato multilaterale serio, strutturato, concreto, onesto e coraggioso, sotto l’autorità delle Nazioni Unite. Il Segretario Generale dell’Onu, i responsabili dell’Unione Europea e della politica internazionale lo devono fare ora! Guardando al presente ma anche al futuro.
Per salvare la povera gente che è rimasta sotto le bombe. Per scongiurare la catastrofe atomica. Per impedire l’esplosione di una nuova devastante crisi sociale e ambientale. Non c’è obiettivo più importante!”
E’ una dichiarazione di solidarietà agli ucraini ed ai russi: “Siamo solidali con gli ucraini e con tutte le vittime di tutte le guerre dimenticate che continuano a insanguinare il mondo. Con i russi che si oppongono alla guerra, con chi è costretto a farla e con le vittime della persecuzione anti-russa. Con tutti i bambini e le bambine, le donne e gli uomini di ogni età che pagheranno le dure conseguenze della guerra, in Italia e nel resto del mondo”.
Mentre dalla piazza della basilica francescana il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, ha invitato i partecipanti ad ‘accrescere la preghiera per la pace’ nel ricordo di san Giovanni Paolo II: “Dentro l’invito alla preghiera c’è l’invito alla conversione di ciascuno di noi, ma anche delle nostre istituzioni e delle nostre politiche.
Noi cristiani siamo convinti (in sintonia con quanti esprimono la loro fede in modi diversi, come avvenne nella preghiera per la pace elevata qui da Giovanni Paolo II con i leaders religiosi del mondo il 27 ottobre 1986 e da noi rilanciata il 27 di ogni mese) che se non ritroviamo il senso di Dio come unico Signore della vita, di ogni vita, e come fondamento della nostra fraternità, non avremo abbastanza forza per riconoscere, anche come base delle nostre istituzioni nazionali e internazionali fino all’ONU, che nessuno di noi è padrone della vita, e nessuno può credersi in diritto di usare la forza per risolvere alla sua maniera i problemi del mondo”.
Ha ricordato che la piazza di Assisi è una grande scuola della diplomazia della pace, secondo l’insegnamento di san Francesco, invitando i partecipanti ad un minuto di silenzio:
“Vi chiedo un minuto di silenzio orante, in cui ciascuno di noi si faccia carico intimamente delle sofferenze di tanti fratelli che stanno morendo e soffrendo in questa guerra e in tutte le guerre del mondo. Un silenzio orante che sia anche un atto di umiltà, in cui ci riconosciamo tutti ‘custodi’ dei fratelli e delle sorelle, e facciamo arrivare un sentimento di fraternità persino a coloro che consideriamo nemici o che sono responsabili della guerra, chiedendo a Dio di toccare i loro cuori”.
Da qui il coordinatore del comitato organizzatore, Flavio Lotti, ha esortato a lavorare sempre per la pace: “Non dobbiamo rompere i ponti con nessuno, dobbiamo lavorare anche durante la guerra per costruire la pace. Non ci sono nemici, non abbiamo nemici, l’unico nemico è la guerra e tutti quelli che la alimentano, anche con la vendita delle armi. Oggi siamo qui a dire che c’è un altro modo di aiutare il popolo ucraino ed è quello di togliere la parola alle armi e darla alla politica”.
L’appello è arrivato il giorno dopo del convegno nel Sacro Convento della basilica assisate, al quale sono intervenuti il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, Stefania Proietti, sindaco di Assisi e presidente della Provincia di Perugia; fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento di San Francesco d’Assisi; Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; Cecilia Strada, responsabile comunicazione ResQ;
il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo Metropolita di Bologna; Bianca Pomeranzi, già membro del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Cedaw); Andrea De Domenico, vicedirettore dell’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite in Palestina (Ocha);
Laura Nota, direttrice del Laboratorio di ricerca e intervento per l’orientamento alle scelte dell’Università di Padova; p. Renato Kizito Sesana, fondatore della ‘Comunità di Koinonia’ (Nairobi); Giuseppe Giulietti, presidente FNSI, fondatore di ‘Articolo 21’; Marco Mascia, Centro di Ateneo per i Diritti Umani ‘Antonio Papisca’, Università di Padova; fra Giulio Cesareo, responsabile dell’Ufficio Comunicazione del Sacro Convento di San Francesco d’Assisi.
Salutando i presenti fra Marco Moroni ha ricordato che l’unità è superiore al conflitto, come è scritto nell’enciclica ‘Evangelii Gaudium’ con una ferma condanna dell’invasione dell’Ucraina, in quanto la vita è sacra:
“Di ogni vita: dell’aggredito e dell’aggressore, del civile e del soldato, senza alcuna distinzione, con la consapevolezza che, se ogni uomo è mio fratello, ogni guerra è un fratricidio, come ha scritto papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2020. Dal punto di vista strettamente cristiano tutto questo va di pari passo con l’insegnamento di Gesù, che sovverte la mentalità corrente arrivando a riconoscere come fratello anche chi è sentito o si dichiara nemico”.
La guerra, quindi, è il fallimento della ragione: “Ogni guerra, questa guerra tremenda alle porte dell’Europa e le altre in corso e semidimenticate, così come quelle del passato (e possiamo purtroppo immaginare anche del futuro) è un drammatico fallimento della diplomazia e della stessa ragione umana, ed è originata da una logica di paura, di dominio, di violenza e di contrapposizione, dove l’altro è visto necessariamente come un antagonista, dove perciò occorre aumentare gli arsenali, pronti a farne ricorso all’occorrenza. In questo senso ogni guerra non è una meteora che appare all’improvviso, ma ha una gestazione lunga, in cui è possibile riconoscere come tutte le parti in causa abbiano delle responsabilità, pur a livelli diversi”.
In collegamento p. Kizito Sesana ha narrato le guerre ‘non raccontate’ dell’Africa, a causa di una mancata identità: “In Africa gli stati non sono nati da dinamiche interne, ma sono stati importati, già bell’e pronti, dalle potenze coloniali. Dopo molti anni dall’indipendenza, al di là della retorica usata quando gli atleti di un paese vincono nelle competizioni internazionali, la domanda resta: che cos’è esattamente il Kenya?
O la Tanzania, o il Mozambico? L’identità singola (il cittadino) e l’identità collettiva (lo stato), sono i due elementi che dovrebbero esistere o essere costruiti prima che si possa parlare di soluzioni dei conflitti e di processo di pace. Fare la guerra è facile, ma per fare la pace bisogna sapere chi siamo noi e chi sono i nostri nemici”.
Quindi ha ribadito che la pace non è solamente ‘assenza di guerra’, ma la creazione di possibilità di redenzione come ha proposto ‘Koinonia’: “Davvero la pace non è assenza di guerra: la pace è la possibilità di tenere le redini della propria vita, nel rispetto e nella convivenza con gli altri.
Sin dagli inizi degli anni ‘90, Koinonia, una comunità cristiana di laici keniani, si è proposta di creare le condizioni per permettere ai più poveri e più emarginati, di riprendere il controllo delle proprie vite, di entrare a far parte dei processi decisionali. I poveri vogliono tornare a pensare alle risorse naturali del proprio paese non come a occasioni di guerra, ma come a una benedizione di Dio”.
In serata nella basilica inferiore il prefetto del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale, card. Michael Czerny, ha presieduto una veglia di preghiera per la pace, incentrata sull’enciclica ‘Fratelli tutti’: “La proposta di Gesù, senza mortificare le nostre giuste aspirazioni umane, ci invita a leggere tutto nella chiave dell’amore e della fraternità.
Di quell’amore che si offre, che non pensa solo al proprio interesse, che si compromette per il bene di tutti, che crea le condizioni perché si possa crescere tutti insieme, abbattendo i muri che ci separano. Ecco l’imperativo di Gesù: se vuoi essere davvero grande, mettiti al servizio di tutti e della felicità di tutti. Carissimi, mentre giungono a noi le orribili notizie delle guerra, questa Parola del Vangelo è una profezia che siamo chiamati ad accogliere e ad annunciare”.
Raccontando le sue missioni in Ucraina il card. Czerny ha lanciato l’invito a non essere indifferenti alla guerra: “Così, fratelli e sorelle, nessuno di noi può restare indifferente dinanzi agli orrori delle guerre, anche se ci sembrano geograficamente lontane e non toccano da vicino la nostra vita e quella delle persone che amiamo. Il nostro cuore di credenti, mentre eleviamo a Dio il nostro culto e la nostra preghiera, deve essere ricolmo di compassione per coloro che sono vittime innocenti dell’odio umano e dell’ubriacatura del potere”.
Però la compassione ha bisogno di segni concreti alla stregua del buon samaritano: “E questa compassione attende di diventare segno concreto e visibile, perché ciascuno di noi come il buon samaritano può fare qualcosa: fermiamoci anche noi come lui ai bordi della strada; cerchiamo di alleviare le sofferenze di chi soffre con i nostri gesti di carità che in tanti modi possiamo fare anche a distanza; denunciamo quanto sta accadendo a tante persone innocenti, diffondendo una cultura della pace insieme a piccoli gesti di riconciliazione nella vita quotidiana e nelle nostre relazioni”.