Da Gerusalemme un invito a vedere il mistero della Resurrezione

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“Possano israeliani, palestinesi e tutti gli abitanti della Città Santa, insieme con i pellegrini, sperimentare la bellezza della pace, vivere in fraternità e accedere con libertà ai Luoghi Santi nel rispetto reciproco dei diritti di ciascuno. Sia pace e riconciliazione per i popoli del Libano, della Siria e dell’Iraq, e in particolare per tutte le comunità cristiane che vivono in Medio Oriente”: questo è stato l’auspicio del papa durante la benedizione pasquale di oggi.

E da Gerusalemme il patriarca Pierbattista Pizzaballa ha annunciato che la morte è stata vinta da Gesù: “Oggi siamo di nuovo qui per celebrare finalmente il Suo trionfo sulla morte, e per annunciare ancora una volta a tutto il mondo che la morte e i suoi legacci non hanno più potere.

Ma vogliamo ora chiederci cosa abbiamo compreso e cosa ci hanno lasciato i tanti e significativi gesti che ci hanno accompagnato in questi giorni. Tutto ci parla di festa, di celebrazione, ci parla di qualcosa di diverso e particolare, gioioso e unico.

La Pasqua a Gerusalemme è anche questo, certo. E a Gerusalemme, come in qualunque altra parte del mondo, oggi viene posto davanti alla nostra coscienza il Mistero per eccellenza, il nocciolo della nostra fede: la Risurrezione”.

Ma cosa è la Resurrezione? Ha domandato il patriarca di Gerusalemme dei latini: “Forse ci siamo abituati all’idea della Risurrezione, al punto da non renderci conto di quanto sia sconvolgente il significato di questo Sepolcro vuoto. Eppure, se ci pensiamo bene, è una pazzia, secondo i parametri umani, credere che vi possa essere una risurrezione.

E non mancano nemmeno oggi i moderni areopaghi, i vari contesti dove noi cristiani siamo accolti, ascoltati e cercati, dove le nostre opere e i nostri servizi sono apprezzati e desiderati. Ma, allo stesso tempo, dove l’annuncio di Cristo risorto non è compreso né voluto, non interessa e forse suona anche fastidioso”.

La fede cristiana si fonda sulla visione di un annuncio di Mistero: “E’ un Mistero che la nostra mente non può comprendere né spiegare. ‘Vedere’ nel vangelo di Giovanni significa ‘fare esperienza’. E’ un vedere che coinvolge tutti i sensi, non solo la vista. Si vede anche con il cuore.

E con il cuore pieno di fiducia, piegando le ginocchia di fronte al mistero di questa Tomba vuota, insieme all’evangelista Marco, noi diciamo: ‘Credo, Signore, aiuta la mia incredulità!’. Qui affermiamo che, nonostante i nostri limiti e le nostre insicurezze, sì, noi crediamo!”

E la Pasqua è l’intervento di Dio che libera l’uomo dalla morte: “Crediamo che la Pasqua è l’ultimo, definitivo intervento di Dio, nella storia, per tutti. Il più inatteso e il più sorprendente. Crediamo che dopo averci salvato dal nulla, dalla schiavitù, dall’esilio, Dio doveva ancora salvarci da un ultimo nemico, che è la morte e cioè il peccato.

Noi crediamo e oggi annunciamo che la morte è ogni luogo in cui Dio è assente, dove l’uomo è rimasto senza la relazione con Lui: questo è il vero fallimento della vita.

La vita, infatti, non resta priva di senso quando ci manca qualcosa o quando sperimentiamo il dolore, ma quando ci manca il Signore, perché senza di Lui siamo soli. La morte si trova dove Dio non è più la Sorgente, dove non siamo capaci di fargli spazio”.

Però occorre la collaborazione con Dio per liberarsi dalla morte: “Pensiamo un attimo a tutte le situazioni di morte che ci avvolgono: basta guardarci attorno, infatti, e troviamo motivi per cui preoccuparci e sentirci sommersi dalla morte, dalle sue vittorie e dai suoi pungiglioni.

Pensiamo alle tremende condizioni in cui si trovano molte parti del mondo oggi: in Terra Santa, in Ucraina, nello Yemen, in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia… la vita che noi oggi qui celebriamo, altrove con cinismo e arroganza viene disprezzata e umiliata ogni giorno.

Ma anche in ciascuno di noi, nelle nostre relazioni, negli affetti, nelle nostre comunità, nel nostro vivere quotidiano, non manchiamo di fare esperienze di morte, di dolore, di solitudine. Pensiamo, inoltre, ai drammi che la pandemia ha lasciato dietro di sé”.

E’ un invito a cercare il ‘sapore’ di Dio: “Solo l’incontro con il Cristo Risorto ci può donare la risurrezione vera, una vita piena, che ci fa stare nel mondo con la passione e la forza di persone libere e redente. Nella seconda lettura di oggi della lettera ai Colossesi, al v. 2, vi è un’espressione che nella versione latina recita: quae sursum sunt sápite. Sápite! Abbiate il sapore delle cose di lassù.

Sta a significare che dobbiamo sì essere radicati qui in questa terra, immersi e incarnati completamente qui, amando appassionatamente questo mondo che Dio ci ha consegnato e l’uomo che lo abita, ma dobbiamo avere nello stesso tempo un sapore diverso: il sapore della Risurrezione, di chi non appartiene alla morte, ma ad una libertà che non gli può essere tolta, di chi appartiene al Padre della Vita, davanti al quale la morte è impotente”.

Nell’omelia della veglia pasquale il patriarca Pizzaballa ha invitato a non cercare Gesù tra i ‘morti’: “Siamo tentati di gridare al Maestro e supplicarlo di porre fine alla cultura della morte e della distruzione, all’odio, alle guerre, ai conflitti etnici, allo sradicamento di intere civiltà e alla condizione di milioni di immigrati sfollati. Di fronte a questa realtà la gioia della Pasqua sembra essere lontana. Eppure, Cristo è il Dio vivente!”

Questa è la realtà: “E’ una realtà che possiamo toccare, non un generico fondamento etico di valori politicamente corretti. Dal giorno di Pasqua, il Risorto è presente e operante nel mondo e laddove la fede viva ed ecclesiale dei discepoli lo accoglie, un mondo nuovo davvero incomincia, pur tra le contraddizioni del presente.

Davvero noi siamo ‘rabdomanti di vita e di speranza’: gente che cerca, sapendo che sotterraneamente ma realmente, scorre nel cuore del mondo un fiume di acqua viva. Dobbiamo ancora una volta imparare cercarlo, come le donne del Vangelo, come Pietro e Giovanni”.

I fedeli sono chiamati ad annunciare la speranza di Cristo: “Cristo è la speranza di chi lo cerca con fede e coraggio. E’ la speranza di coloro che non restano chiusi nella propria sicurezza, ma si avventurano per trovarlo in questo mondo travagliato. Questa è la strada che la Chiesa è chiamata a percorrere. Questa è la strada che siamo chiamati a fare insieme come comunità di fede”.

(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)

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