Catanzaro in festa per le loro beate
Domenica 3 ottobre è stata festa per l’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace a seguito della beatificazione di due laiche: Mariantonia Samà e Gaetana Tolomeo detta Nuccia, con la celebrazione eucaristica presieduta dal card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Colpita da ragazza da una grave malattia, Mariantonia Samà rimase paralizzata, per 60 anni. Il parroco di Sant’Andrea Jonio (Catanzaro), dove è nata il 2 marzo 1875 e morta il 27 maggio 1953, scrisse, sull’atto di morte, ‘morta in concetto di santità’. Orfana di padre sin da piccolissima, visse una vita disagiata anche economicamente in una casupola composta da un solo vano, priva di servizi e di luce solare.
E’ invece originaria di Catanzaro Gaetana ‘Nuccia’ Tolomeo, nata il 19 aprile del 1936, che fin dalla nascita ebbe difficoltà motorie: non camminava bene a causa di un male allora pressoché sconosciuto. Il padre non accettò questa situazione.
Aiutata e sostenuta dalla mamma, dalle suore, dai sacerdoti, contemplando il Crocefisso, Nuccia iniziò un percorso di fede che durò tutta la vita con momenti di ‘angoscia e di mestizia’ e, a volte, di disperazione. Tante le persone che le telefonavano o le scrivevano da tutta Italia. Una folta corrispondenza la tenne con i detenuti fino alla morte, il 24 gennaio 1997.
Nell’omelia il card. Semeraro ha sottolineato la loro imitazione di Cristo: “Considerando la figura delle due beate (Maria Antonia Samà e Nuccia Tolomeo) non ci è difficile riconoscere, nel cuore della loro imitatio Christi, un elemento comune, che ha un nome difficile, terribile: sofferenza.
Vi sono entrate in modo diverso –in forme addirittura inquietanti, la beata Maria Antonia, e con un doloroso sviluppo naturale l’altra – ma ambedue in forma progressiva, in continua crescita sì da diventare, l’una e l’altra, somiglianti a Cristo, vir dolorum et sciens infirmitatem”.
Il prefetto ha sottolineato il modo in cui Maria Antonia Samà si è ‘confermata’ a Cristo: “Conformandosi in tutto alla divina volontà, ella amava ripetere: ‘Tutto per amore di Dio’. E accadde che proprio la sua sofferenza offerta per amore produsse in quanti la conoscevano un potente impulso di carità sicché attorno a lei esplose l’amore.
Lei accoglieva con gioia e umiltà chiunque volesse entrare nella sua casa e d’altra parte l’intero paese si mobilitava per soccorrerla e accudirla. Ci fu così un meraviglioso scambio di doni e questo perché l’amore fa nascere amore”.
Ugualmente Gaetana Tolomeo affidò la sua malattia a Dio: “Con lei c’è la beata Gaetana Tolomeo, da tutti conosciuta come Nuccia. Anche la sua fu una vita colma di sofferenza, ma fu pure una vita ricolmata e ricolma d’amore. Segnata come fu sin dai primi anni di vita da una paralisi progressiva e deformante, per amore di Cristo ella trasformò la sua disabilità in apostolato per la redenzione dell’uomo.
Ripetendo: Ti ringrazio Gesù di avermi crocifissa per amore, divenne ella stessa un esempio di gratitudine per la vita ricevuta. In effetti la sua vita terrena fu ricca non di eventi e opere grandiose, ma di grazia e di adesione totale al volere di Dio nella semplicità quotidiana”.
Ripetendo le parole dell’esortazione apostolica ‘Gaudete et Exsultate’ il card. Semeraro ha sottolineato la potenza di Dio che opera nella debolezza: “Quella della santità, infatti, è la storia della forza di Dio nella debolezza umana. Così è stato per la Vergine Maria: ‘Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente’; così per tutti. La santità è, come insegna papa Francesco, proprio l’incontro della debolezza umana con la forza della grazia”.
Nel saluto iniziale l’arcivescovo di Crotone – Santa Severina ed amministratore apostolico dell’arcidiocesi Catanzaro ‐ Squillace, mons. Angelo Raffaele Panzetta, ha sottolineato che la santità delle due beate si colloca nella coerente sequela a Gesù:
“In questa luce possiamo dire che Nuccia e Mariantonia hanno annunciato e testimoniato un Dio che esce dai nostri schemi, si sporca le mani con la nostra umanità malata, che si fida e scommette su di noi. Un Dio che ci stupisce ed investe sulle nostre fragilità per farle diventare risorse e splendido ornamento.
Questo Dio continua a stupirci oggi perché ha scelto queste sue due umili serve per manifestarsi e rendersi presente. Si tratta di due donne straordinarie, accomunate dalla sofferenza, dalla malattia, dalle prove e dal sacrificio:
esse, con una serenità costante ed eroica, per 60 anni hanno forgiato nella fragilità della loro immobilità la loro fedeltà alla volontà di Dio, diventando progressivamente un’offerta d’amore per l’umanità.
Tale risultato è stato raggiunto attraverso il nutrimento dell’Eucaristia, nella luce costante della Parola di salvezza e nella compagnia della devozione mariana”.
(Foto: diocesi di Catanzaro-Squillace)