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Quinta domenica di Pasqua: amare è il comandamento nuovo

Dove c’è amore, là c’è Dio.  Da questo, dice Gesù, sapranno che siete miei discepoli: se   avete amore gli uni per gli altri. E’ questa la Chiesa che siamo chiamati a portare avanti: una Chiesa santa che si costruisce, come faceva Paolo, evangelizzando, organizzando la comunità, ritenendosi tutti veri strumenti di Dio. In essa non c’è posto per i ‘Giuda’: se siamo Giuda, Gesù non può restare in mezzo a noi; ciò che conta davanti a Dio è solo l’amore perché Dio è amore. Gesù dirà: ‘Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri’.

Questo è un comandamento nuovo: nuovo perché proclamato mentre viene sancita la Nuova Alleanza tra Dio e l’umanità nel sangue di Cristo Gesù; non è l’amare la novità ma amarsi gli uni e gli altri come Lui ci ha amati. Gesù si è fatto esempio e misura di questo amore. Prima di Gesù esisteva il comandamento dell’amore; ora Gesù si è fatto esempio di amore e perdono. Amare allora in nome e sul modello del suo amore. La novità sta in questo: amare come Cristo ci ha amati.

Questo è il metro, la misura dell’amore voluto da Dio. L’amore non è un distintivo, una etichetta, un certificato, una divisa che ci contraddistingue come veri cristiani. La Chiesa, il popolo di Dio non si costruisce con le critiche o con le armi; si costruisce solo annunciando la Parola di Dio e testimoniando la verità con le parole e le opere. Questo amore ci fa essere uomini nuovi, fratelli e sorelle nel Signore, nuovo popolo di Dio. Questo amore ci permette di amare anche i nostri nemici, perdonare le offese e pregare Dio: ‘Padre, perdona a noi come noi perdoniamo ai nostri debitori’.

L’amore non è poesia ma è la realtà nuova  che costituisce cieli nuovi e terre nuove. Viviamo purtroppo in una terra dove cresce l’ottimo grano e la zizania; un grande mare che racchiude in sè pesci buoni e pesci cattivi; ma la nostra vera patria è il cielo, quella realtà spirituale che è luce ed amore. Da qui l’Eucaristia che riceviamo nella Messa acquista un significato particolare  perché conferisce quella forza, quel dinamismo che unisce ed affratella; dirà infatti sant’Agostino: come diversi chicchi di grano formano l’ostia, come diversi acini di uva formano il vivo  che diventa corpo e  sangue di Gesù, così gente diversa per cultura, mentalità, talenti, nutrita dalla stessa Eucaristia, costituisce la chiesa, il popolo santo di Dio.

Da qui la missione affidata da Gesù alla sua Chiesa: ‘Come il Padre ha mandato me, io mando voi’; questa missione è servire, amare come Cristo Gesù ci ha amati. Vuoi sapere se uno ti ama? Non credere alle sue parole; non fidarti delle sue premure, ma mettilo alla prova se è capace di sacrificare qualcosa per te; se è capace, allora ti ama, se non è capace allora è solo un opportunista: ama se stesso, non ama te.

Talvolta siamo così ipocriti  che nascondiamo il nostro egoismo sotto l’etichetta dell’amore; caduta l’etichetta, viene fuori il nostro egoismo e la sua sete insaziabile. L’amore è qualcosa di veramente serio perchè è divino. Maria, regina della Chiesa, madre di Gesù e nostra, ci aiuti ad accogliere da Gesù il comando dell’amore, lo Spirito Santo ci dia la forza e la luce di attuarlo per assicurare a noi un posto nella Gerusalemme celeste.

Papa Francesco nel cuore dell’Azione Cattolica

“Con il ritornello del salmo responsoriale ‘la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo’ abbiamo fatto risuonare in modo intenso e solenne l’espressione ascoltata nel brano degli Atti degli Apostoli. San Pietro usa questa citazione veterotestamentaria per spiegare la figura e l’opera di Gesù davanti alle autorità religiose, ai capi del popolo e agli anziani che lo interrogavano sulla guarigione di un uomo infermo e sulla predicazione con cui annunciava che il Signore Gesù, da loro condannato e messo a morte, era risorto”: è l’inizio dell’omelia di mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana, nel giorno precedente al funerale di papa Francesco con 170.000 fedeli, che hanno reso omaggio a papa Francesco.

Nell’omelia l’assistente dell’Azione Cattolica Italiana ha sottolineato il valore della ‘pietra scartata’: “Lo facciamo anche pensando alla figura di papa Francesco mentre gli rivolgiamo l’ultimo saluto e ci prepariamo alle esequie che saranno celebrate domani. Il suo pontificato infatti può essere letto, sotto diversi aspetti, proprio nella prospettiva della ‘pietra scartata’ che diviene ‘pietra d’angolo’. In primo luogo, con il suo incisivo e ricco Magistero ci ha ricordato che la fede cristiana è radicata sulla persona di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, che per salvarci non ha usato le armi del potere, del dominio e della sopraffazione”.

La pietra scartata è una pietra di scandalo: “Gesù ci ha insegnato invece la via della misericordia, del servizio e della carità che si nutre di dialogo, perdono incondizionato e arriva fino all’amore dei nemici. Un Messia scomodo e fuori di ogni logica mondana che per questo è stato scartato e sentito come pericoloso in quanto ‘sasso d’inciampo e pietra di scandalo’.

Ma proprio attraverso di lui, buon samaritano, pastore premuroso, che ci ha chiesto di imitarlo nella lavanda dei piedi e di fare memoria del dono della Sua vita nell’Eucaristia, abbiamo capito che la Chiesa è edificata sulla ‘pietra scartata’ e che non esiste nessun’altra architettura altrettanto solida e sicura per edificare la Chiesa e diffondere la civiltà dell’amore”.

Una pietra angolare che è stata base del pontificato di papa Francesco, che ha promosso un rinnovamento della Chiesa: “Rimarranno certamente come elementi fondamentali di questa ‘riedificazione’ dal forte afflato conciliare: la sua visione di una ‘Chiesa in uscita’ ed ‘ospedale da campo’ capace di assumere un coraggioso profilo missionario e di avventurarsi su territori socio-culturali nuovi e impervi; ancora, la sua determinazione nel condurre la Chiesa sulle frontiere più avanzate delle sfide epocali che il mondo sta affrontando (riportare le periferie al centro, lo sviluppo sostenibile, la fratellanza umana, la pace e la concordia tra i popoli) proponendo in modo instancabile e a tutti parole e azioni davvero evangeliche; inoltre, il suo desiderio di rinnovare il volto della Chiesa rendendolo più trasparente, più essenziale, più a misura dei poveri e degli emarginati, appunto di tutti coloro che sono ‘scartati’ dal mondo mentre, secondo l’insegnamento e la testimonianza del Signore, sono il paradigma e il tesoro della vita della Chiesa”.

Quindi è stato un papa che avviato processi: “La testimonianza, nello stesso tempo scomoda e coraggiosa, di Papa Francesco, anche alla luce del grande impatto mediatico, appare molto più incisiva, ossia vera ‘pietra angolare’, di quanto si potesse immaginare sia nella capacità di entrare nel cuore della gente, soprattutto la più semplice e umile, sia nello scuotere la coscienza dei potenti, che stanno accorrendo numerosi per le esequie.

Forse non hanno recepito gli appelli e i reiterati inviti a coltivare la pace e ad assumere come paradigma politico l’attenzione agli ultimi, ma certamente ne hanno apprezzato l’alto profilo spirituale e il rigore morale. Chissà che questo seme gettato in terra come pietra scartata, non possa produrre il frutto sperato e divenire davvero “pietra d’angolo” anche sugli odierni scenari politici e culturali”.

Infine ha ricordato l’incontro degli aderenti dell’Azione Cattolica con il papa esattamente un anno fa: “Il Signore continua ad essere in mezzo a noi e ad offrirci il pane spezzato, rassicurandoci che gettando le reti sulla Sua Parola la pesca non potrà che essere abbondante. In questi giorni tristi del distacco dal successore di Pietro, papa Francesco, che ha guidato la Chiesa negli ultimi dodici anni, ci conforta e ci sostiene la certezza che nello splendore della luce pasquale, il Risorto continua ad effondere lo Spirito Santo che saprà certamente illuminare i cardinali chiamati ad eleggere il nuovo pontefice. La nostra preghiera sale pertanto a Dio perché accolga e ricompensi Papa Francesco per il bene fatto alla Chiesa e all’umanità e ci prepari ad accogliere il nuovo successore di Pietro che Dio vorrà donarci”.

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

Un Decreto per la trasparenza delle offerte nelle messe

“L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”: nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ papa Francesco scriveva che la Chiesa è una casa; partendo da questa sollecitazione il Dicastero per il Clero ha emanato un decreto sull’amministrazione dei sacramenti.

Quindi il papa ha firmato tale decreto che a 34 anni dalla disciplina in materia indicata dal ‘Mos iugiter’ sottolinea come si ‘gestiscono’ le offerte per le messe: “Coscienti di questa grazia, i fedeli per mezzo dell’offerta vogliono unirsi più strettamente al Sacrificio Eucaristico aggiungendovi un sacrificio proprio e collaborando alle necessità della Chiesa e, in particolare, contribuendo al mantenimento dei suoi sacri ministri.

In questo modo i fedeli si uniscono più intimamente a Cristo che offre sé stesso e sono, in un certo senso, ancor più profondamente inseriti nella comunione con Lui. Quest’uso non solo è approvato dalla Chiesa, ma da essa è anche promosso”.

Il decreto traccia una linea storica iniziata dalle lettere di san Paolo: “L’apostolo Paolo scrive che quanti servono l’altare hanno anche diritto di vivere dell’altare. Le norme raccolte nei primi secoli informano circa doni offerti volontariamente nella celebrazione dell’Eucaristia. Di essi una parte era destinata ai poveri, una parte alla mensa episcopalis e a coloro ai quali il Vescovo offriva ospitalità, una parte al culto e una parte ai chierici celebranti o assistenti, secondo un criterio di distribuzione prestabilito”.

Tali offerte erano considerate elemosine e non ‘prezzo’: “Quanti facevano offerte erano, in tal modo, coinvolti in maniera speciale nel Sacrificio Eucaristico. I doni offerti durante l’Eucaristia, e successivamente anche al di fuori, erano considerati come una ricompensa a un benefattore, come un dono in occasione del servizio (occasione servitii) compiuto dal sacerdote, come un’elemosina e mai come ‘prezzo di vendita’ per qualcosa di santo; ciò infatti diventerebbe un atto simoniaco”.

Era una consuetudine: “La consuetudine secolare e la disciplina della Chiesa insiste perché a ciascuna singola offerta corrisponda la distinta applicazione, da parte del sacerdote, di una Messa da lui celebrata. La dottrina cattolica, inoltre, manifestata anche dal sensus fidelium, insegna il beneficio spirituale e l’utilità, nell’economia della grazia, per le persone e i fini per i quali il sacerdote applica le Messe che celebra, nonché, in questa stessa prospettiva, il valore dell’applicazione reiterata per le stesse persone o finalità”.

Una consuetudine con regole precise: “Quanto poi all’applicazione in rapporto alla quale è stata ricevuta, nel senso suesposto, un’offerta, è stato più volte espresso il divieto di applicare una sola Messa per più intenzioni, per le quali sono state accettate rispettivamente più offerte. Tale prassi, come anche la mancata applicazione di una Messa in rapporto all’offerta accettata, sono state giudicate contrarie alla giustizia, come viene ripetutamente espresso nei documenti ecclesiastici”.

Il decreto sottolinea soprattutto la differenza tra messa per un’intenzione o semplice ricordo nel corso di una celebrazione della Parola di Dio od in alcuni momenti della celebrazione eucaristica, e anche dalla messa per una intenzione o per una intenzione collettiva.

Comunque i donatori devono essere informati se le messe sono fatte celebrare ‘in missione’ per aiutare una comunità, in quanto le offerte hanno lo scopo di aiutare chi ne ha bisogno. Ma la cosa da evitare soprattutto è il rischio del ‘commercio sacro’ per cui anche per la celebrazione dei Sacramenti non ci devono essere ‘tariffe’ per evitare che ‘i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà’.

Paolo Trianni: leggere Teilhard de Chardin per abbracciare il mondo

Il 10 aprile 1955 moriva a New York il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, teologo e scienziato tra i più discussi e amati del Novecento, che è stato anche uno dei più influenti esponenti di quella ‘Nouvelle théologie’ che ha poi condotto la Chiesa al Concilio Vaticano II.

A 70 anni dalla morte, l’editrice Queriniana ha dedicato un saggio collettaneo, ‘Rileggere Teilhard de Chardin. Una teologia promettente per il domani’, curato dal prof. Paolo Trianni, docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e professore associato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, a questo autore che tanto ha dato alla speculazione teologica novecentesca e molto ha ancora da dare alla Chiesa e alla teologia del futuro.

La persuasione comune che accompagna gli specialisti coinvolti nel saggio, infatti, è che la visione teilhardiana sia ancora largamente attuale, in quanto molte delle sue intuizioni aiutano a leggere criticamente la contemporaneità, e forniscono spunti e indicazioni illuminanti su quello che può essere lo sviluppo del cristianesimo nel suo terzo millennio, come sottolinea il prof. Paolo Trianni:

“Il cardine della teologia teilhardiana è stato l’evoluzionismo. Egli, cioè, leggeva la storia del cosmo come un cammino proteso verso un estuario finale che denominava Punto Omega. Uno dei termini chiave del suo tipico lessico, è appunto ‘muovere verso’. Tale avanzamento era da lui scandito in tre successive fasi che denominava cosmogenesi, noogenesi e cristogenesi.

Essenzialmente, infatti, vedeva attuarsi nel cosmo una spiritualizzazione della materia che egli leggeva come una fase preliminare a cui sarebbe seguita una cristificazione dello Spirito. Ciò lo si può affermare perché la visione teologico-religiosa da lui espressa risulta innovativa non soltanto per quanto riguarda il rapporto tra fede e scienza (in particolare la sua rilettura dei racconti genesiaci alla luce dell’evoluzionismo), ma anche su molti altri ambiti della dottrina cristiana”.

Per quale motivo la teologia di Teilhard de Chardin è promettente per il domani?

“Teilhard de Chardin non è solo attuale, è ancora, potremmo dire, persino ‘avanti’. Non c’è infatti ambito teologico che egli non abbia pensato in termini innovativi, ed è comunque uno dei pochissimi che si sia, da scienziato, confrontato con la tecnica e la scienza. Tra i vari aspetti teologici che lo rendono attuale si potrebbero ricordare la sacramentaria (soprattutto l’eucarestia), il rapporto con le religioni, la sinodalità nella chiesa il ruolo della donna e la spiritualità.

La teologia di questo gesuita francese è dunque promettente per il domani, perché offre spunti, argomenti, prospettive e finestre per pensare il mondo del futuro e la chiesa del futuro. Soprattutto la teologia di Teilhard è promettente perché mostra un neocristianesimo ed una spiritualità originale. In un’epoca di secolarizzazione penso che il suo modo di concepire il cattolicesimo sia quello che serva per rievangelizzare e rendere più credibile ed operativa la fede”.

Quale visione teologica aveva Teilhard de Chardin?

“Teilhard si sorprendeva e si rammaricava di essere il solo ‘ad aver visto’. Ciò, tuttavia, non deve sorprendere. Se la sua visione teologica è innovativa oggi, figuriamoci quanto lo poteva sembrare negli anni Trenta o Quaranta. Sintetizzarla non è semplice. Il suo punto di partenza si può individuare nell’evoluzionismo. Credere nell’evoluzione suppone che il cosmo non sia statico, ma proiettato verso l’ ‘alto’ e l’ ‘avanti’, verso quello che lui denominava Omega. In questo cammino cosmico verso la divinizzazione l’uomo è un attore attivo, ed è chiamato a coltivare i valori terreni che conducono simbolicamente a Dio.

L’incarnazione (e la sua continuazione nell’eucarestia) rappresentano la forza motrice di questa evoluzione che si può anche leggere come un ritorno del mondo a Dio. Il cosmo, nella sua ottica, cessa di essere il regno del peccato, e diventa piuttosto un “ambiente divino” che non è da disprezzare ma da attraversare. L’evoluzione, però, in quanto spiritualizzazione, anche per lui rimane un processo di distacco e di liberazione”.

Quanto è stato importante l’evoluzionismo teilhardiano per la Chiesa?

“E’ importante da vari punti di vista. In primo luogo attraverso la sua comprensione teologica dell’evoluzionismo la chiesa si è riconciliata con una scoperta scientifica della massima rilevanza. Secondariamente essa ha permesso, ed anzi provocato, tutta una serie di considerazioni teologiche fondamentali per quanto concerne il peccato originale, il peccato, il male e il senso della vita cosmica. E’ attraverso di esso che ha concepito in modo nuovo la vita spirituale come attraversamento, il compito della chiesa nel mondo e il senso mistico dei sacramenti. Tutto diventa finalizzato all’unificazione e alla divinizzazione, o meglio alla cristificazione o cristogenesi, per usare un suo termine”.

Come vedeva la Chiesa in dialogo con il mondo?

“Teilhard de Chardin è uno dei fondatori dell’incarnazionismo. Al suo tempo era ancora presente e viva la stagione antimodernista con la sua critica al mondo moderno. Questa frattura si è riconciliata solo con il concilio Vaticano II e la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ‘Gaudium et Spes’. Il suo cristianesimo, invece, è strutturalmente e da sempre intimamente connesso col mondo. L’incarnazione, per lui, comportava la necessità dell’impegno nella storia e l’immersione attiva nelle vicende terrene. La spiritualità teilhardiana, da questo di vista, si distingue nettamente da quella fuga acosmica dei monaci che viene denominata escatologismo, che è nettamente più critica nei confronti del mondo. Essere cristiani, per questo gesuita, significava costruire il Regno di Dio, senza disprezzare la dimensione terrena, ma sublimandola”.

Cosa resta a 70 anni dalla morte della sua visone teologica sul mondo?

“In realtà ho l’impressione che solo adesso il pensiero teologico di Teilhard de Chardin si cominci ad affermare. Le recenti e ripetute citazioni che papa Francesco gli ha dedicato lo stanno a dimostrare. La nostra società è caratterizzata dallo sviluppo tecnico-scientifico, dalla pluralità religiosa e dalla responsabilità nei confronti della storia e dell’ambiente. In queste tre tematiche la sua riflessione è del tutto innovativa. Egli per primo ha aperto un ponte con lo sviluppo tecnico, senza con questo abbracciarlo in modo acritico. Per quanto riguarda le religioni, è stato un teologo delle religioni inclusivista che da un lato riconosceva ad esse legittimità, e dall’altro le vedeva convergere (o meglio evolvere) verso il cristianesimo. Per quanto riguarda la responsabilità storica, finalizzava l’impegno cristiano alla costruzione del Regno di Dio, che considerava il vertice ultimo della storia. Chiaramente Omega, questo il termine sinonimo, è legato ai valori dell’amorizzazione, del diritto e della pace”.

‘Vorrei morire il giorno della Risurrezione’: cosa era la Pasqua per il teologo francese?

“Teilhard ha più volte affermato che il centro della sua fede era la trasfigurazione. Per un teologo come lui che valorizzava il cosmo e la persona, nulla era più lontano dal nichilismo e dall’impersonalismo delle religioni orientale, che però riteneva potessero rinnovare positivamente il cristianesimo. La trasfigurazione, che si può collegare alla risurrezione, sta ad indicare che la soggettività, e persino la corporeità, non vanno assolutizzate nella loro condizione terrena, ma vanno comunque valorizzate nella loro funzione simbolica.

Il mondo, per Teilhard, non è reale, ma lo diventa, non è santo ma si santifica. Ciò si realizza grazie alla grazia dell’Incarnazione e al dono dello Spirito. In virtù della presenza di Cristo, le culture, le religioni, assumano una forma cristiana. A suo avviso, diviene così possibile raggiungere quella divinizzazione o completezza e quel superamento del limite della morte di cui la Pasqua e la Trasfigurazione sono espressione. Ci sono in genere due sensibilità cristiane: quella legata al venerdì santo e quella legata alla domenica di Pasqua. Questo gesuita francese appartiene alla seconda. Morire il giorno della vita, significa credere nella trasfigurazione dell’essere e nella sua eternità”.

(Tratto da Aci Stampa)

Quarta domenica di Quaresima: Dio Padre della misericordia

Questa è la domenica detta ‘lastre’, domenica della gioia; in essa si scopre l’amore misericordioso di Dio, vero Padre che si prende cura di ciascuno di noi. Davanti a Dio non ci sono figli buoni e figli cattivi; ci sono solo figli che Dio ama  e, come ha liberato il popolo d’Israele dalla schiavitù e l’ha condotto nella terra promessa, così ama ciascuno di noi per i quali il Verbo eterno si è incarnato, ha accettato la passione e morte, ha istituto l‘Eucaristia, vero farmaco dell’immortalità.

La parabola del figlio prodigo è assai eloquente: Dio ha creato l’uomo libero e responsabile delle sue azioni; l’uomo ama la sua libertà e Dio la rispetta, ma il cuore di Dio è sempre pronto ad abbracciare il figlio che, disancorato dal Padre, si butta nell’ebbrezza della vita, dimentico che vivere è amare, e l’amore è giustizia e servizio. Nella parabola, dove Gesù si rivolge agli scribi e ai farisei che mormoravano accusandolo di ‘accogliere i peccatori e mangiare con loro’, si evidenziano questi effetti fondamentali: emerge la figura del Padre sempre pronto a perdonare e che spera contro ogni speranza; questo Padre ha due figli diversi, che ama di amore profondo.

L’amore spinge il Padre ad attendere il figlio minore anche  se volle andare via, sperperò tutto il patrimonio e si ridusse a guardiano di porci. Quando questo figlio pensò di ritornare pentito dal Padre, questi gli va incontro, lo abbraccia, lo invita ad entrare ed organizza una festa dicendo: ‘Questo figlio era morto ed è risuscitato; era perduto ed è stato ritrovato’. Con queste parole Gesù chiarisce agli avversari cosa significa amare: amare è perdono, è dimenticare, è sapere voltare pagina.

Lo stesso atteggiamento il padre riserva al figlio maggiore, che era rimasto sempre in casa, ma ora si dimostra indignato per l’agire del Padre e non condivide l’amore paterno per il figlio che ha sbagliato; il padre gli va incontro, lo invita ad entrare: ‘Quello che è mio  è tuo; ma questi è tuo fratello, che era morto ed è risuscitato; era perduto ed è stato ritrovato’. Davanti a Dio siamo tutti uguali, tutti figli e il cuore del padre è per tutti misericordia infinità. La parabola, come vedi, vuole farci comprendere ciò che Dio si aspetta da noi : capire che  credere in Dio  non significa solo obbedire a norme e regole, ma ci rivela il volto misericordioso di Dio.

La misericordia di Dio non è solo ricompensa per i meritevoli, ma è speranza per i perduti e pentiti. Davanti a Dio siamo tutti uguali, tutti figli e il cuore del Padre è per tutti misericordia infinita.  La parabola di Gesù è un invito a levarci ed andare da Lui chiedendo perdono dei peccati: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro Te’; lo stesso Padre ricorda al figlio maggiore di non essere superbo, orgoglioso ma di amare e perdonare: ‘Entra in casa, questo è tuo fratello perduto e ritrovato, morto e risuscitato’.

E’ il momento, amico che ascolti, di prendere vera coscienza dell’amore infinito di Dio, un amore che non si può misurare con la logica terrena ma solo  con la logica divina perché Dio è amore. Da qui la domenica della gioia: il Signore è sempre vicino a chi lo cerca. Ormai a metà dell’itinerario quaresimale nasce spontanea la domanda: vuoi guarire?, siamo disposti a lasciarci guarire da Gesù? O preferiamo rimanere affezionati ala nostra malattia, debolezza  e fragilità?

E’ necessario riscoprire che la Chiesa  è una comunità, una grande famiglia dove non esiste una gerarchia ma la ‘diaconia’ e se un membro soffre, tutto l’organismo ne risente. Il confessore non è un giudice ma il padre, il medico, l’amico dello sposo. In questa chiave prepariamoci alla Pasqua di risurrezione. Allora ‘mi alzerò ed andrò da mio padre’ come il figlio prodigo, perché il Signore è vicino a chi lo cerca. La Vergine santa, la Madonna delle grazie ci accompagni e ci conduca all’abbraccio con Dio grande e misericordioso.

Liturgia virale per vivere l’Eucarestia

Negli ultimi anni, la pandemia ha scosso le fondamenta della nostra società, mettendo alla prova non solo la salute pubblica, ma anche la dimensione spirituale delle nostre vite. In particolare, il modo in cui viviamo la liturgia ha subito trasformazioni drastiche, ponendo interrogativi profondi sul suo ruolo in tempi di emergenza. Il libro Liturgia Virale di don Enrico Finotti affronta proprio questi temi, proponendo una riflessione lucida e documentata sulle difficoltà incontrate e sulle risposte che la Chiesa ha cercato di dare.

Quale posto ha la liturgia nelle nostre vite? Possiamo davvero celebrare l’Eucaristia senza il popolo? La Messa trasmessa online è una soluzione sufficiente? Quali conseguenze ha avuto la pratica della Comunione nelle mani? E soprattutto: cosa ci ha insegnato questo periodo sulla centralità della liturgia nella vita cristiana?

Liturgia Virale ripercorre le problematiche liturgiche emerse durante la pandemia, offrendo risposte chiare e fondate sulla Tradizione della Chiesa. Un testo che non solo aiuta a comprendere il passato recente, ma che diventa un monito per il futuro, affinché la celebrazione dei Sacramenti non venga mai più relegata a semplice optional nella vita dei fedeli.

Il libro si struttura in una serie di capitoli che affrontano, con precisione e rigore, questioni di grande attualità: la Messa senza il popolo: riflessioni sulla sua legittimità e sul valore della celebrazione comunitaria. Il diritto liturgico: quali sono le norme fondamentali che regolano la celebrazione dei Sacramenti? La sanificazione delle chiese e la santificazione delle anime: un confronto tra sicurezza sanitaria e necessità spirituali.

Gli audiovisivi nella liturgia: un’opportunità o un rischio di desacralizzazione? La crisi dei novissimi: perché la pandemia ha fatto emergere una crisi profonda nella predicazione su morte, giudizio, inferno e paradiso?

Don Enrico Finotti non si limita a un’analisi teorica, ma invita il lettore a interrogarsi sulla propria vita spirituale. La liturgia non è un semplice rituale, ma il cuore pulsante della fede cristiana. Come possiamo riscoprirne il valore autentico?

In tempi di crisi, la tentazione è quella di trovare soluzioni pratiche immediate, ma senza una vera riflessione sul significato profondo della liturgia. Liturgia Virale ci aiuta a prendere coscienza di quanto sia importante custodire e vivere con fedeltà il culto divino, indipendentemente dalle difficoltà contingenti.

Un libro per tutti i fedeli e gli operatori pastorali; per chi vuole comprendere meglio le sfide liturgiche emerse durante la pandemia; per sacerdoti e catechisti che desiderano approfondire il diritto liturgico e la pastorale sacramentale; per i fedeli che si chiedono quale sia il vero posto della liturgia nella loro vita e come affrontare le crisi con una fede più salda.

Con la presentazione di Aurelio Porfiri, ‘Liturgia Virale’ si propone come un testo di grande valore per chi desidera capire e difendere il vero significato della liturgia in tempi difficili. Un libro che non solo illumina il passato recente, ma che offre anche strumenti concreti per affrontare il futuro con una fede più consapevole e radicata.

Papa Francesco ai diaconi: perdono essenziale nella vita

“Cari fratelli Diaconi, voi vi dedicate all’annuncio della Parola e al servizio della carità; svolgete il vostro ministero nella Chiesa con parole e opere, portando l’amore e la misericordia di Dio a tutti. Vi esorto a continuare con gioia il vostro apostolato e, come ci suggerisce il Vangelo di oggi, ad essere segno di un amore che abbraccia tutti, che trasforma il male in bene e genera un mondo fraterno. Non abbiate paura di rischiare l’amore!”: anche oggi è stato pubblicato il testo preparato da papa Francesco per l’Angelus di questa domenica, al termine della celebrazione eucaristica del Giubileo dei Diaconi.

Nel testo papa Francesco ha ringraziato per l’affetto ricevuto in questi giorni di ricovero: “Da parte mia, proseguo fiducioso il ricovero al Policlinico Gemelli, portando avanti le cure necessarie; e anche il riposo fa parte della terapia! Ringrazio di cuore i medici e gli operatori sanitari di questo Ospedale per l’attenzione che mi stanno dimostrando e per la dedizione con cui svolgono il loro servizio tra le persone malate…

In questi giorni mi sono giunti tanti messaggi di affetto e mi hanno particolarmente colpito le lettere e i disegni dei bambini. Grazie per questa vicinanza e per le preghiere di conforto che ho ricevuto da tutto il mondo! Affido tutti all’intercessione di Maria e vi chiedo di pregare per me”.

Ed infine ha chiesto di pregare per la pace nei Paesi in guerra: “Si compie domani il terzo anniversario della guerra su larga scala contro l’Ucraina: una ricorrenza dolorosa e vergognosa per l’intera umanità! Mentre rinnovo la mia vicinanza al martoriato popolo ucraino, vi invito a ricordare le vittime di tutti i conflitti armati e a pregare per il dono della pace in Palestina, in Israele e in tutto il Medio Oriente, in Myanmar, nel Kivu e in Sudan”.

Nella celebrazione eucaristica per il giubileo dei diaconi il Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, mons. Rino Fisichella, ha letto l’omelia del papa, basata su servizio disinteressato, comunione e perdono:

“L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana… Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo.

Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere (ed ad insegnare agli altri a vedere) in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto”.

L’altro punto riguarda il servizio diaconale: “Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: ‘Fate del bene e prestate senza sperarne nulla’. Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, ‘scultore’ e ‘pittore’ del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità”.

E’ stato un invito ad accogliere con la carità: “Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra… Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio”.

Ed infine l’invito ad essere fonte di comunione: “Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: ‘Ecco i nostri tesori!’

E’ così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, colle parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: ‘per noi tu sei importante’, ‘ti vogliamo bene’, ‘ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita’. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete”.

Intanto dopo la crisi di ieri, che sembra superata, il bollettino medico dice che stamattina il papa, pure essendo vigile, è in uno stato maggiore di sofferenza, ma solo i risultati delle analisi e dei controlli diranno come sta davvero.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: le opere di carità sono il frutto dell’Eucarestia

A termine delle udienze previste questa mattina, papa Francesco è stato ricoverato al Policlinico Agostino Gemelli ‘per alcuni necessari accertamenti diagnostici e per proseguire in ambiente ospedaliero le cure per la bronchite tutt’ora in corso’, come ha riferito la Sala Stampa Vaticana. Le udienze odierne si sono svolte regolarmente nell’ufficio privato del papa in Casa Santa Marta, incontrando il card. Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, Robert Fico, primo ministro della Repubblica Slovacca, Mark Thompson, presidente e amministratore delegato della CNN, e i membri della Fondazione ‘Gaudium et Spes’, con un ringraziamento per le opere di sostegno svolte:

“Con gioia vi ricevo oggi in questo anno giubilare che abbiamo appena iniziato e che fa di noi tutti ‘pellegrini della speranza’. Desidero ringraziarvi per il compito che svolgete, specialmente a favore dei più poveri, seguendo gli insegnamenti della costituzione conciliare da cui avete preso il nome e che onorate con le vostre azioni”.

Proprio tali attività si concretizzano secondo uno spirito ecclesiale: “In tal senso, la Fondazione e le sue opere rendono attuale questo documento, che coincide con lo spirito sinodale della Chiesa, dove tutti siamo uniti in Cristo, formando una fratellanza universale, come membri del suo Corpo. Questa unione si realizza per mezzo dello Spirito Santo, che è Amore, e si manifesta nella solidarietà, specialmente verso quanti più soffrono”.

Tale ‘amicizia’ è resa possibile dall’Eucarestia: “Questo rimanere in Cristo ci rende famiglia, fratelli, con la stessa dignità. E il nutrimento di questa famiglia che si riunisce per mangiare insieme la domenica nella Messa, è l’Eucarestia. Formiamo un solo corpo, perché mangiamo lo stesso pane. E’ il cibo spirituale che si serve a tutti in egual misura, e ci fa vivere in comunione con Dio e con i nostri fratelli”.

Ed ha concluso l’incontro con un ringraziamento: “Questa forza dello Spirito Santo ci porta a essere strumenti dell’amore di Dio che vuole giungere a tutti gli uomini, senza distinzione. Perciò, in questo Anno Santo, desidero ringraziarvi perché siete motivo di speranza per tante persone che soffrono e sono scoraggiate, persone che, attraverso le vostre opere, sentono che Dio le accarezza e le consola nelle sofferenze”.

Dopo le udienze il ricovero al Policlinico ‘Gemelli’ e di conseguenza è stato riprogrammato il calendario degli impegni previsti per i prossimi giorni: l’udienza giubilare di sabato 15 febbraio è stata annullata e la Messa in occasione del Giubileo degli Artisti e del Mondo della cultura, di domenica 16 febbraio, sarà presieduta dal card. Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, mentre l’incontro con gli artisti, previsto per lunedì 17 a Cinecittà, è annullato per l’impossibilità del papa alla presenza.

Verso la canonizzazione di Carlo Acutis: Milano, Busto Arsizio e Gallarate dedicano tre momenti

Da Assisi a Milano nel nome di Carlo Acutis. Mercoledì 12 febbraio, il Vescovo di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, sarà nella Diocesi ambrosiana per ricordare la figura del giovane scomparso nel 2006 a soli 15 anni a causa di una leucemia fulminante, che sarà proclamato santo il 27 aprile durante il Giubileo degli adolescenti.

Un legame profondo, quello tra Acutis e la città di Assisi, che si è consolidato nei periodi trascorsi dal giovane nella località umbra, dove ha potuto respirare la spiritualità di San Francesco. È proprio ad Assisi che il 10 ottobre 2020 Carlo è stato beatificato e dove ora riposa nel Santuario della Spogliazione, meta di pellegrinaggio da parte di fedeli di tutto il mondo.

La giornata di mons. Sorrentino inizierà alle 10.30 con un incontro che si svolgerà nella chiesa di Santa Maria Segreta (piazza Nicolò Tommaseo), quella che Carlo frequentava quotidianamente: con lui interverranno don Giuseppe Como, Vicario episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della fede e per la Pastorale scolastica della Diocesi di Milano, suor Monica Ceroni, ex insegnante di Carlo all’Istituto Marcelline Tommaseo, e Claudio Cogliati, presidente della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, che rappresenterà l’ospedale in cui Acutis ha trascorso i suoi ultimi giorni.

Durante l’incontro sarà presentato ‘Carlo Acutis sulle orme di Francesco e Chiara d’Assisi – Originali non fotocopie’ (Edizioni Francescane italiane), il libro di mons. Sorrentino dedicato al beato ambrosiano e al suo legame ideale con Francesco e Chiara di Assisi: tre giovani che, seppure con esperienze di vita molto diverse, sono stati accomunati da un cammino di spogliazione e sacrificio. A moderare il dibattito sarà Catia Caramelli, giornalista di Radio24. All’evento sono invitati gli studenti delle tre scuole frequentate dal futuro santo: il Collegio arcivescovile San Carlo, l’Istituto Marcelline Tommaseo e il Leone XIII, dei gesuiti.

Nel pomeriggio, dopo un incontro privato con l’Arcivescovo di Milano, mons. Delpini, alle ore 16.00 mons. Sorrentino farà visita alla Casa circondariale di Busto Arsizio (via per Cassano Magnago 102), dove, dopo un momento di preghiera con i detenuti, consegnerà una reliquia del beato Acutis.

In serata, alle ore 21.00, nella Basilica di Santa Maria Assunta a Gallarate, dopo la preghiera del vespro, il Vescovo consegnerà un’altra reliquia di Carlo nell’ambito della ‘Staffetta di preghiera’, un’iniziativa promossa dalla FOM (Fondazione Oratori Milanesi).

Il progetto, avviato in ottobre, prevede che la reliquia venga portata nelle parrocchie della Diocesi che ne fanno richiesta: nell’occasione ogni parrocchia promuove momenti di meditazione e attività per avvicinare i giovani alla figura di Carlo e per far conoscere la sua testimonianza di fede.

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