Fabio Cittadini e la ‘Teologia del gioco’

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“Nel Novecento l’interesse per il tema del simbolo, tanto in filosofia quanto in teologia, si è abbastanza diffuso. Tuttavia esso appare abbastanza confuso e fatto valere in termini che potremmo dire apologetici; è, infatti, interesse per molta parte alimentato dalla crisi dell’ideale scientifico e oggettivante del pensiero, ma non sorretto da un’adeguata indagine sul simbolo. In teologia, in particolar modo, sembra mancare un’appropriata metodologia che faccia emergere la qualità simbolica corrispondente a quella libera e, quindi, pratica del rapporto tra coscienza e verità”.

Così inizia il nuovo libro, ‘Teologia del gioco’, del teologo Fabio Cittadini, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a cui abbiamo chiesto di spiegarci il motivo del titolo: “Beh ad un libro bisogna dare un titolo, anche se è sempre difficile. ‘Teologia del gioco’ perché lo sguardo, il taglio è principalmente teologico. Principalmente … in quanto è un libro dal forte carattere interdisciplinare. Si va dall’antropologia alla sociologia, dalla psicologia alla filosofia. Insomma si cerca di dimostrare come i confini tra discipline si possano abbattere e la teologia consente un dialogo superando l’autoreferenzialità di ciascun ambito. Pertanto è un’opera che può essere letta da tutti”.

Quale funzione ha il gioco nella Bibbia?

“Andando oltre la ricorrenza del termine gioco o del verbo giocare (se un termine non ricorre non vuol dire che di quel fenomeno non se ne parla) e facendo riferimento ai diversi giochi che sono descritti nella Bibbia, documento nella mia opera come il fenomeno ludico compaia in luoghi strategici, propiziando un’esegesi del testo biblico inedita. Un esempio, che purtroppo non trova ancora del tutto concordi gli esegeti: accanto a Dio che crea c’è la sapienza che gioca. Questo fatto impone di rileggere il testo biblico in un’altra ottica tanto più che in quella sapienza i primi cristiani ci vedranno Cristo”.

Come la teologia ha affrontato il tema del gioco?

“La teologia ha affrontato il fenomeno ludico o alludendovi esplicitamente o implicitamente perché in duemila anni di storia c’è chi ha pensato che il gioco fosse qualcosa di non serio. Oggi come duemila anni fa si fa fatica a comprendere che il fenomeno ludico è un fenomeno articolato e presenta diverse forme. Ma, al di là di questo, è nel Novecento che si impone il tema ed essi sono Moltmann, Rahner e Hemmerle. Ognuno, secondo la propria concezione del gioco, ha elaborato una teologia ludica che presenta aspetti positivi e aspetti critici che nel libro cerco di documentare”.

Ma quale è il gioco di Dio in Gesù?

“Ho cercato nell’opera di dimostrare la tonalità ludica dell’evento cristologico facendo riferimento alla diverse forme del fenomeno ludico che conosciamo. In particolar modo Gesù ha attuato un gioco mimetico, cioè ha mostrato il volto del Padre. Come un bimbo quando è piccolo imita i gesti e le parole del padre o della madre, così Gesù ha imitato in tutto e per tutto nella sua vita il Padre mostrando il suo volto misericordioso. Inoltre nella sua Pasqua, Gesù, stando al testo evangelico, ha partecipato a tutti gli effetti ad un gioco agonistico e ne è uscito vincitore: è il Risorto!”

In quale modo nella Chiesa il gioco è simbolo di speranza?

“Penso che la Chiesa sia simbolo di speranza perché in essa, come dico più volte nel mio libro, ogni battezzato può giocare: ognuno a suo modo e ognuno secondo le sue capacità. Se tutti giocano nella Chiesa allo stesso gioco ognuno per la sua parte, essa realizza la sua natura di essere sacramento del genere umano. E questo è motivo di speranza perché, a differenza del gioco del mondo che mette fuori gioco tante uomini e donne, nella Chiesa a nessuno può capitare una cosa simile: essa per essere seme del Regno che viene ha bisogno del gioco di tutti, tanto del papa regnante quanto dell’ultimo battezzato che c’è sulla faccia della terra”.

(Tratto da Aci Stampa)

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