La diocesi di Arezzo prepara il cammino sinodale

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“E’ vero, anche nella comunità ecclesiale può esserci la paura di cambiare. Ma la Chiesa ha bisogno di una lungimirante capacità di rinnovamento, uscendo dalle logiche del disfattismo e dell’immobilismo che sono le tentazioni di oggi”: così l’arcivescovo della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana, ha lanciato il ‘nostro cammino sinodale’, riunendo un’assemblea di 500 delegati che erano stati il fulcro del Sinodo diocesano indetto nel 2016 e terminato nel 2019.

E per fare ciò nelle settimane scorse mons. Fontana ha fatto dialogare la diocesi con il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, nella basilica di san Domenico, sotto il Crocifisso di Cimabue:

“E’ la prima Chiesa che incontro come segretario generale del Sinodo. Sento infatti una grande responsabilità di mettermi in ascolto delle Chiese particolari. Di tutte le Chiese, ovvio, ma in particolare di quelle che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze significative, che possono essere di esempio anche per le altre”.

La sua riflessione ha guardato al Sinodo dei vescovi ‘dal basso’, riformato da papa Francesco che vedrà all’inizio il coinvolgimento delle diocesi; poi toccherà alle Conferenze episcopali nazionali e ai continenti; infine il raduno dei presuli in Vaticano previsto per l’ottobre 2023:

“Per una singolare coincidenza i due cammini vanno a sovrapporsi. Possono confliggere o possono felicemente intrecciarsi: dipende da noi, dalla nostra saggezza.

A ben vedere, da una partecipazione vera e consapevole alla prima fase del cammino sinodale della Chiesa universale, la Chiesa italiana potrà sperimentare la sinodalità e sperimentarsi nel cammino sinodale che sta decidendo”.

Il card. Grech  ha sottolineato il valore della sinodalità: “A ben vedere, da una partecipazione vera e consapevole alla prima fase del cammino sinodale della Chiesa universale, la Chiesa italiana potrà sperimentare la sinodalità e sperimentarsi nel cammino sinodale che sta decidendo”.

Il sinodo non è un evento, ma un processo: “Fino ad allora, il Sinodo era un’assemblea di vescovi chiamati a consigliare il papa. Era quanto aveva deciso Paolo VI già durante l’ultima sessione del concilio Vaticano II.

Durante i lavori del concilio era stato richiesto con insistenza che i vescovi partecipassero a quella funzione di sollecitudine per la Chiesa universale, che appartiene al successore di Pietro in ragione del suo ufficio.

Il papa, per rispondere a queste richieste, istituì, con il motu proprio ‘Apostolica sollicitudo’, il Sinodo dei Vescovi come organismo centrale della Chiesa universale che, rappresentando l’episcopato, che fosse per sua natura permanente e perpetuo, ma che agisce in modo occasionale, cioè quando lo convoca il papa per un determinato atto”.

Nel breve excursus sinodale il segretario generale del Sinodo dei Vescovi ha sottolineato il nuovo ‘slancio’, datogli da papa Francesco: “Più di qualcuno vide nella pubblicazione dell’esortazione Evangelii gaudium di papa Francesco l’annuncio della fine del Sinodo: egli infatti, pur citando qualche conclusione del sinodo sulla nuova evangelizzazione, celebrato nel 2012, poco prima dell’atto di rinuncia di papa Benedetto XVI, non qualificava la sua esortazione apostolica come post-sinodale”.

Inoltre ha puntualizzato l’ironia di molti sui sinodi convocati da papa Francesco: “Invece, come sapete, nel 2014 ha convocato il primo sinodo sulla famiglia (un’assemblea straordinaria) e nel 2015 un’altra assemblea, questa volta ordinaria, sempre sul tema della famiglia.

Più di qualcuno ha ironizzato su questa scelta, non comprendendo che il papa con quella scelta metteva la Chiesa in stato di sinodo: la sua parola più insistente, mentre molti si agitavano a fare precisazioni e distinzioni, era di ascoltarsi, ascoltarsi, ascoltarsi!!! Alla fine della prima assemblea conclude chiedendo per tutti il dono dell’ascolto, perché da quello dipendeva la possibilità di conoscere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa”.

Quindi ha spiegato il significato del ‘sensus fidei’: “Quella forma di conoscenza per intuizione, per “fiuto” che hanno i cristiani, in ragione della loro fede… Nessuno come questo papa ha parlato del sensus fidei del Popolo di Dio. E nessuno ha chiesto che fosse tenuto nel debito conto…

Il papa lo dice: il processo sinodale inizia nelle Chiese particolari, ascoltando il Popolo di Dio; continua nelle istanze intermedie di collegialità, attraverso il discernimento delle Conferenze episcopali; continua a livello della Chiesa universale, con l’assemblea sinodale”.

In questo processo sinodale riveste notevole importanza il cammino sinodale diocesano: “Se dunque la diocesi è realmente una Chiesa particolare, la Chiesa è ‘il corpo delle Chiese’, come dice ancora il Concilio Vaticano II…

Ecco, questa è la ‘mutua interiorità’: senza le Chiese particolari, la Chiesa universale sarebbe (lo diceva de Lubac) un’astrazione, un’idea senza corpo; separata dalla Chiesa universale, dalla comunione delle Chiese, una Chiesa particolare sarebbe una setta, o se preferite, un tralcio reciso, un fiore colto”.

Ed infine ha illustrato il principio di ‘fecondità’: “Nel rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari sta il principio di fecondità della Chiesa. Perché insisto su questa visione di Chiesa?

Perché questa ‘mutua interiorità’, come avete intuito, sta al fondamento di tutto il processo sinodale: dalle Chiese particolari alla Chiesa universale, con la fase della consultazione e del discernimento; dalla Chiesa universale alle Chiese particolari, con la restituzione dei risultati di un discernimento che avrà coinvolto tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa”.

(Foto: wikipedia)

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