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Papa Francesco: una teologia aperta per tutti

“Sono contento di vedervi e di sapere che un numero così grande di docenti, ricercatori e decani, provenienti da ogni parte del mondo, si sono radunati per riflettere su come ereditare il grande patrimonio teologico delle generazioni passate e per immaginarne il futuro. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per questa iniziativa. E grazie di cuore a voi, care teologhe e cari teologi, per il lavoro che fate, spesso nascosto ma tanto necessario. Spero che il Congresso segni il primo passo di un fecondo cammino comune… Avanti, insieme!”

Con queste parole papa Francesco oggi ha salutato i partecipanti al Congresso Internazionale sul futuro della teologia a tema su ‘Eredità e immaginazione’ (promosso dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che si svolge oggi e domani presso la Pontificia Università Lateranense), il quale ha parlato di luce:

“Vorrei anzitutto dirvi che quando penso alla teologia mi viene in mente la luce. Infatti, grazie alla luce le cose emergono dall’oscurità, i volti rivelano i propri contorni, le forme e i colori del mondo finalmente appaiono. La luce è bella perché fa sì che le cose appaiano ma senza mettere in mostra sé stessa. Qualcuno di voi ha visto la luce? Ma vediamo ciò che fa la luce: fa apparire le cose”.

E la luce è grazia con l’invito a cercare la grazia di Cristo: “Adesso, qui, noi ammiriamo questa sala, vediamo i nostri volti, ma non scorgiamo la luce, perché essa è discreta, è gentile, umile e, perciò, rimane invisibile. E’gentile la luce. Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo.

Da questa osservazione deriva per voi una strada: cercare la grazia e restare nella grazia dell’amicizia con Cristo, luce vera venuta in questo mondo. Ogni teologia nasce dall’amicizia con Cristo e dall’amore per i suoi fratelli, le sue sorelle, il suo mondo; questo mondo, drammatico e magnifico insieme, pieno di dolore ma anche di commovente bellezza”.

Una serie di domanda per comprendere il ruolo della teologia nel mondo contemporaneo con un ‘rimando’ al Secondo libro dei Re: “E’ un cammino che siete chiamati a fare insieme, teologhe e teologi. Mi ricordo di quanto racconta il Secondo Libro dei Re. Durante il restauro del Tempio di Gerusalemme, viene ritrovato un testo; forse è la prima edizione del Deuteronomio, andata perduta.

Un sacerdote e alcuni studiosi lo leggono; anche il re lo studia; intuiscono qualcosa, ma non lo capiscono. Allora il re decide di consegnarlo a una donna, Culda, che immediatamente lo comprende e aiuta il gruppo di studiosi (tutti uomini) a intenderlo. Ci sono cose che solo le donne intuiscono e la teologia ha bisogno del loro contributo. Una teologia di soli uomini è una teologia a metà. Su questo c’è ancora parecchia strada da fare”.

Ecco il compito della teologia è fornire un nuovo modo di pensare: “La prima cosa da fare, per ripensare il pensiero, è guarire dalla semplificazione. Infatti, la realtà è complessa, le sfide sono variegate, la storia è abitata dalla bellezza e allo stesso tempo ferita dal male, e quando non si riesce o non si vuole reggere il dramma di questa complessità, allora si tende facilmente a semplificare. Ma la semplificazione vuole mutilare la realtà, partorisce pensieri sterili, pensieri univoci, genera polarizzazioni e frammentazioni. E così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide: uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Le ideologie appiattiscono tutto a una sola idea, che poi ripetono in modo ossessivo e strumentale, superficiale, come i pappagalli”.

Il desiderio del papa è quello di una teologia del fermento: “Si tratta di far ‘fermentare’ insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche. Far fermentare i saperi, perché essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro, secondo quanto dice anche l’apostolo Paolo: Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?”

Ed ha ricordato due ‘grandi’ teologi: “Quest’anno celebriamo il 750° anniversario della morte di due grandi teologi: Tommaso d’Aquino e Bonaventura. Tommaso ricorda che non abbiamo un senso solo, ma sensi molteplici e differenti, affinché non ci sfugga la realtà (De Anima, lib. 2, lect. 25). E Bonaventura afferma che nella misura in cui si ‘crede, spera e ama Gesù Cristo’ si ‘riacquista l’udito e la vista […], l’odorato, […] il gusto e il tatto’ (Itinerarium mentis in Deum, IV, 3). Contribuendo a ripensare il pensiero, la teologia ritornerà a brillare come merita, nella Chiesa e nelle culture, aiutando tutti e ciascuno nella ricerca della verità”.

Infine l’invito a rendere una teologia ‘accessibile’ a tutti: “Da qualche anno, in molte parti del mondo si segnala l’interesse degli adulti per la ripresa della propria formazione, anche accademica. Uomini e donne, soprattutto di mezza età, magari già laureati, desiderano approfondire la fede, vogliono fare un cammino, spesso si iscrivono a una facoltà universitaria…

! Per favore, se qualcuna di queste persone bussa alla porta della teologia, delle scuole di teologia, la trovi aperta. Fate in modo che queste donne e questi uomini trovino nella teologia una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora. Preparatevi a questo. Immaginate cose nuove nei programmi di studio perché la teologia sia accessibile a tutti”.

(Foto: Santa Sede)

Dall’Assemblea sinodale una Chiesa rinnovata dalla Pentecoste

Domenica scorsa si è chiusa presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma la prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, a cui hanno partecipato 943 persone di cui: 4 Cardinali, 170 Vescovi, 4 Padri Abati, 238 Sacerdoti, 6 Diaconi, 37 Religiose e Religiosi, 210 Laici, 274 Laiche. In totale 641 uomini e 302 donne e prima della chiusura dei lavori tutta l’assemblea sinodale ha inviato un messaggio di ringraziamento a papa Francesco, condividendo ‘le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi’: “Abbiamo colto soprattutto la vivacità, che continua ad abitare le comunità dei nostri territori. Abbiamo avuto cura di non dimenticare gli ultimi, quanti abitano nelle periferie esistenziali, i poveri dei quali oggi celebriamo la Giornata mondiale. Abbiamo pregato con loro e per loro”.

Dalla basilica in cui papa san Giovanni XXIII ha pronunciato il discorso di apertura del Concilio Vaticano II i partecipanti hanno affermato l’impegno di concretizzare la missione della Chiesa: “La nostra gratitudine diventa adesso impegno nel tradurre in decisioni e scelte concrete le riflessioni raccolte nelle fasi di ascolto e discernimento di questi anni di Cammino sinodale e dai lavori di queste giornate… Ci sentiamo in un momento di rinnovata Pentecoste.

E’ il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità, che aveva animato San Paolo. Il libro degli Atti racconta che i primi passi della sua missione sono avvenuti con altri apostoli e discepoli come Barnaba e Giovanni, prendendo letteralmente il largo per fondare e sostenere le comunità cristiane primitive. Sentiamo anche noi questa vocazione ad una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno”.

Mentre nella celebrazione eucaristica conclusiva il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha evidenziato la bellezza della comunione: “Nel giorno del Signore e attorno alla sua mensa, capiamo cosa significa ‘insieme’, essere una cosa sola tra noi, nonostante la nostra umanità, così parziale e contradditoria. Qui siamo come Dio vuole: non tutti la stessa cosa, ma tutti una cosa; non uguali, ma uniti. Con noi ci sono già quei ‘tutti’, la moltitudine, numero indefinito e mai chiuso, per i quali Gesù spezza il pane e versa il vino, e che ci chiede di cercare, di amare”.

Quello che si è aperto domenica scorsa è un cammino da compiere con i ‘compagni di strada’: “Troveremo i modi (alcuni formali, altri aperti e spontanei) per permettere ed esprimere il camminare insieme con i tanti mendicanti di vita che incontriamo, tutti fragili anche se lo dimentichiamo. E’ una fragilità da amare e non da giudicare, fuggire, nascondere, maledire. Da amare, perché diventi forza, ricordando, come l’Apostolo, che è quando siamo deboli che siamo forti”.

Nella particolare giornata dei poveri il cardinale di Bologna ha sottolineato che è possibile scoprire l’essenziale: “I poveri, in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull’altare dei beni materiali, ci insegnano che l’essenziale per la vita è ben altro. La loro preghiera insegna a pregare e viceversa. Non sono assolutamente due dimensioni indipendenti, anzi! Preghiera e amicizia con i poveri si nutrono a vicenda”.

Riprendendo il vangelo della giornata il presidente della Cei ha invitato ad essere persone di ‘speranza’: “Per chi si chiude nelle sicurezze o resta sul divano, questa descrizione può apparire lontana, impossibile, un fastidio per noi pigri e incoscienti. In realtà, ci aiuta a guardare la storia e i segni dei tempi. Siamo uomini di speranza proprio perché affrontiamo il male, il sole che si oscura, come quando si fa buio fuori e dentro il cuore. E quello dentro dura tantissimo”.

Quindi l’invito del card. Zuppi è stato quello di camminare con i poveri: “Ognuno di noi può essere un astro che si accende e dona luce nell’oscurità terribile della vita. Siamo noi la sua parola di amore che non passa, con legami fedeli, perché il Samaritano assicura di tornare, non si compiace di quello che ha fatto lui ma fa quello che serve per l’uomo mezzo morto. Ecco, se camminiamo insieme ai poveri, sapremo camminare tra noi, perché Gesù sarà in mezzo a noi e aiuteremo questa madre (la Chiesa), sempre lieta, che è di tutti, particolarmente dei poveri”.

L’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia è stata chiusa dall’intervento del presidente del comitato nazionale del cammino sinodale, mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, che ha ricordato i 1.700 anni della dedicazione della basilica di san Paolo, avvenuta il 18 novembre del 324:

“In questi tre giorni, ci siamo inseriti in una grande corrente: 17 secoli di ininterrotta vita cristiana che ha trovato qui, sotto la protezione di san Paolo, tutte le sue espressioni: celebrazioni liturgiche e sacramentali, annuncio, predicazione e catechesi, incontri personali e assemblee comunitarie, accoglienza dei poveri e ospitalità dei cercatori di speranza, presenza orante e ministero dei monaci benedettini. Sembra così di rivivere, in questi giorni e in questo luogo, l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, con le loro quattro perseveranze: nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”.

Ha evidenziato alcuni atteggiamenti emersi in questi anni di cammino sinodale: “Prima di tutto lo stile dell’ascolto, che con il metodo della ‘conversazione nello Spirito’ prende avvio dalla Parola di Dio, che dispone all’ascolto degli altri; uno stile che, adattato, potrà connotare il nostro convenire a tutti i livelli: dagli Organismi di partecipazione alle riunioni degli operatori pastorali; questo doppio ascolto all’inizio di ogni riunione permetterà di proseguire con maggiore scioltezza e concretezza nel confronto e nel dialogo tra i partecipanti”.

All’ascolto fa seguito il dialogo: “In secondo luogo, lo stile del dialogo, proposto in modo laboratoriale nei Cantieri di Betania, che sono stati e sono esperienze di incontro anche con i ‘mondi’ non sempre interagenti con quelli ecclesiali: le diverse povertà materiali, relazionali, spirituali; i mondi delle professioni e del lavoro, come artisti, imprenditori, agricoltori, giornalisti, docenti, operai e così via”.

Ed infine la partecipazione: “In terzo luogo, lo stile della partecipazione: in non pochi casi, le sintesi delle nostre Chiese locali hanno registrato la riattivazione dei Consigli pastorali parrocchiali, zonali e diocesani, che, dovendo corrispondere alle richieste provenienti dal Cammino sinodale, si sono nuovamente riuniti e in alcuni casi anche formati ex novo. Rinnovati secondo le indicazioni del Sinodo universale, sono strumenti importanti per la Chiesa sinodale in missione”.

Infine il card. Zuppi ha invitato a ‘gettare il seme’: “Già vediamo i frutti dello Spirito ma questo avviene solo dopo che abbiamo gettato abbondantemente nella terra degli uomini il seme della Parola, anche quando appare inutile. Non affanniamoci per quello che non vale e, pieni della forza del Signore, liberiamoci dalle misure avare, mediocri, suggerite dalla tiepidezza. Ebbrezza è la passione che permette di costruire umilmente relazioni intorno al Signore, case, comunità umane, relazioni di amore. Tutto inizia con il filo d’oro dell’amicizia che è possibile a tutti”.

Per questo ha riproposto la cultura del ‘noi’: “Insieme! Coltiviamo il culto del ‘noi’ in una generazione individualista che, alla fine pensa una soluzione con qualcuno che si imponga e risolva tutto, che non costruisce con pazienza. Costruiamo case dove si impara a pregare, a vivere la dimensione spirituale così importante e desiderata da molti, perché il materialismo pratico ottunde, confonde, dispera. Dialogare con tutti non è cedere al pensiero dominante o dare ragione a tutti, ma misurare la nostra fede, crescere nella comunicazione del Vangelo, spiegare le ragioni di sempre, arrivando al cuore, toccando il cuore”.

(Foto: Cei)

Con don Roberto Fiscer per camminare con Gesù

“L’anno scorso abbiamo cominciato a percorrere la via della speranza verso il Grande Giubileo riflettendo sull’espressione paolina ‘Lieti nella speranza’. Proprio per prepararci al pellegrinaggio giubilare del 2025, quest’anno ci lasciamo ispirare dal profeta Isaia, che afferma: ‘Quanti sperano nel Signore… camminano senza stancarsi’. Questa espressione è tratta dal cosiddetto Libro della consolazione, nel quale viene annunciata la fine dell’esilio di Israele in Babilonia e l’inizio di una nuova fase di speranza e di rinascita per il popolo di Dio, che può ritornare in patria grazie a una nuova ‘via’ che, nella storia, il Signore apre per i suoi figli”:

prendiamo spunto dall’inizio del messaggio, ‘Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi’, per la 39^ Giornata mondiale della Gioventù, in programma questa domenica nelle diocesi, per incontrare a Recanati don Roberto Fiscer, ex dj di professione e parroco a Genova, che su TikTok conta 560.000 follower, nonché autore di ‘Vita spiriculata’, con la prefazione Nando Bonini, chitarrista di Vasco Rossi.

Lui trasforma in chiave ‘cattolica’ le canzoni come questa: ‘Una vita in preghiera è la gioia più vera con il Regno che avanza e tutta la Chiesa che suona e che canta per un mondo diverso e che vinco se perdo è Gesù che ci rende migliori la gente che dice e che pensa sei fuori’. Perché lo fai?

“Nel mio testo c’è una doppia interpretazione. Da un lato quella motivazionale, per ricordare ai cristiani di non rischiare di cadere nell’abitudine: ‘Perché lo fai?’ Dall’altra parte, c’è l’interpretazione esortativa che ricorda che se sarai un vero cristiano e dedicherai la tua vita agli altri sarai ‘attaccato’ alla fede, mentre la gente dice e pensa che sei fuori”.

Come sei diventato dj?

“Da quando ero piccolo con la chitarra mi piaceva animare le feste dei coetanei: ho sempre avuto un’anima da dj… Forse perché, essendo un po’ timido, era il mio modo di stare con gli altri, altrimenti mi sarei isolato. Da lì il Signore, che scrive diritto sulle nostre righe storte, mi ha dato la possibilità di fare tante cose che altrimenti non avrei imparato”.

Come è avvenuto il passaggio da dj a sacerdote?

“Il passaggio si è realizzato attraverso una ‘chiamata’: era il 2000. Ero arrivato alla Giornata Mondiale della Gioventù carico di tante esperienze e di obiettivi raggiunti, ma appena giunto a Roma mi sono sentito nudo, come se valessi zero, perché era Dio che mi mancava”.

Allora, raccontaci un po’ la tua storia: “Facevo il dj di professione sulle navi. Per me a un certo punto c’è stata una svolta: prima che mi imbarcassi di nuovo su una nave, fui contattato da una parrocchia per organizzare una festa. E lì la mia console non era distante dalla gente come al solito, ma erano tutti lì intorno, che chiedevano e interagivano, mi sono sentito come in mezzo a una famiglia. Quando poi sono partito, ho sentito chiara la nostalgia per quella parrocchia, per quella sensazione che avevo percepito nel cuore. Poi, tornato, sono andato a una Giornata della Gioventù e lì ho incontrato alcuni sacerdoti carismatici e ho sentito una spinta inequivocabile. Così il mese dopo sono entrato in seminario.

Ciò non toglie che io continui ad amare, come ho sempre amato, Vasco Rossi, lo seguo da quando ero bambino: Vasco sa parlare e cantare tra le ferite che portiamo nel cuore, la sua musica è come un balsamo, almeno per me è stato così. La sua musica mi ha guidato, mi ha accompagnato negli anni, anche in quelli più difficili della mia adolescenza. Mi è sempre piaciuto Freddie Mercury, un altro personaggio fuori dal sistema, ma forse che non è controcorrente anche Dio?

Spesso leghiamo la figura di Dio a una figura che non sbaglia mai, ma Dio fa la sua Storia non certo con i migliori, semmai è poi lui che rende tutti migliori. In questi anni, in uno stabilimento balneare, ho fatto pure la Cristoteca, con musica cristiana alternata alle hit del momento. Non l’ho inventata io: in Sud America ce ne sono diverse e vanno fortissimo. Si crea una vera situazione di festa, un momento gioioso”.

Con tik tok quanti ‘mondi’ si scoprono?

“Tantissimi! I giovani ci sono ed ‘assorbono’ quello che viene proposto ed anche in tik tok possono incontrare, attraverso la Chiesa, la proposta del Vangelo”.

Per quale motivo c’è bisogno di una vita ‘spiricolata’?

“E’ importantissimo vivere una vita spirituale, che non si esaurisce nel divano. Lo spirito è divino; quindi nella Chiesa i ‘poltroni’ non possono trovare posto”.

Quindi la proposta è una vita in ‘preghiera’?

“Una persona senza preghiera è come una macchina senza rifornimento; facciamo ‘rifornimento’ nella preghiera. Una vita in preghiera è la gioia più vera con il Regno che avanza e tutta la Chiesa che suona e  che canta. Nel musical ‘Forza venite gente’ il padre diceva: Cosa fa mio figlio? Canta!”

Hai mai avuto problemi con la Curia genovese?

“No, assolutamente. Magari qualche cristiano dal palato fino, di quelli che guardano alla formalità e non ai contenuti, mi ha fatto qualche questione. I centralinisti della Curia mi dicono che li chiamano per avvisarli di quello che faccio, ma no, non ho mai ricevuto nessuna segnalazione ufficiale. Io cerco solo di spogliare la religiosità di quella serietà che non le compete, la religione è gioia. Certo ci sono delle regole che servono per il vivere civile, ma altre sono solo catene da cui bisogna liberarsi. Gesù stesso spezzava regole desuete e assurde. Questi ragazzi di oggi hanno bisogno di qualcuno che rispecchi la loro anima, altrimenti si sentiranno a disagio in una Chiesa con liturgie pompose, che non li capisce”.

Allora, come comunicare la fede ai giovani?

“Con un volto gioioso, perché la gioia della fede sia la ‘pubblicità’ più bella” .

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco: Maria è discepola dello Spirito Santo

“Tra i diversi mezzi con cui lo Spirito Santo attua la sua opera di santificazione nella Chiesa (Parola di Dio, Sacramenti, preghiera) ce n’è uno in particolare ed è la pietà mariana. Nella tradizione cattolica c’è questo motto, questo detto: ‘Ad Iesum per Mariam’, cioè ‘a Gesù per mezzo di Maria’. La Madonna ci fa vedere Gesù. Lei ci apre le porte, sempre! La Madonna è la mamma che ci porta per mano verso Gesù. Mai la Madonna indica sé stessa, la Madonna indica Gesù. E questa è la pietà mariana: a Gesù per le mani della Madonna”: continuando la catechesi sullo Spirito Santo nell’udienza generale odierna papa Francesco ha sottolineato il rapporto tra Esso e la Madre di Dio.

Il papa ha incentrato la meditazione prendendo spunto dalla lettura del brano dagli Atti degli Apostoli: “Maria, in quanto prima discepola e figura della Chiesa, è anch’essa una lettera scritta con lo Spirito del Dio vivente. Proprio per questo, ella può essere ‘conosciuta e letta da tutti gli uomini’, anche da chi non sa leggere libri di teologia, da quei ‘piccoli’ ai quali Gesù dice che sono rivelati i misteri del Regno, nascosti ai sapienti”.

Il ‘sì’ pronunciato dalla ragazza di Nazareth all’Angelo è un’offerta di ‘abbandono’ a Dio: “In quel tempo, si usava scrivere su tavolette incerate; oggi diremmo che Maria si offre come una pagina bianca su cui il Signore può scrivere ciò che vuole”.

Tale offerta diventa ‘strumento’ per la santità: “Ecco, dunque, come la Madre di Dio è strumento dello Spirito Santo nella sua opera di santificazione. In mezzo al profluvio interminabile di parole dette e scritte su Dio, sulla Chiesa e sulla santità (che pochissimi, o nessuno, è in grado di leggere e capire per intero) lei ci suggerisce due sole parole che tutti, anche i più semplici, possono pronunciare in ogni occasione: ‘Eccomi’ e ‘fiat’. Maria è colei che ha detto ‘sì’ al Signore e con il suo esempio e la sua intercessione ci spinge a dire anche noi il nostro ‘sì’ a Lui, ogni volta che ci troviamo dinanzi a una obbedienza da attuare o a una prova da superare”.

Ed anche oggi la Chiesa è chiamata a ripetere quel ‘sì’ di Maria: “In ogni epoca della sua storia, ma in particolare in questo momento, la Chiesa si trova nella situazione in cui la comunità cristiana era all’indomani dell’Ascensione di Gesù al cielo. Deve predicare il Vangelo a tutte le genti, ma è in attesa della ‘potenza dall’alto’ per poterlo fare. E non dimentichiamo che in quel momento, come si legge negli Atti degli Apostoli, i discepoli erano riuniti intorno a ‘Maria, la madre di Gesù’…

L’evangelista Luca volutamente mette in risalto la corrispondenza tra la venuta dello Spirito Santo su Maria nell’Annunciazione e la sua venuta sui discepoli a Pentecoste, usando alcune espressioni identiche nell’uno e nell’altro caso”.

Ecco il motivo per cui la Madonna è ‘discepola’ dello Spirito Santo: “Come tutte le immagini, anche questa di ‘sposa dello Spirito Santo’ non va assolutizzata, ma presa per quel tanto di verità che contiene, ed è una verità molto bella. Ella è la sposa, ma è, prima ancora, la discepola dello Spirito Santo.

Sposa e discepola. Impariamo da lei a essere docili alle ispirazioni dello Spirito, soprattutto quando Egli ci suggerisce di ‘alzarci in fretta’ e andare ad aiutare qualcuno che ha bisogno di noi, come fece lei subito dopo che l’angelo la lasciò”.

Prima dell’udienza generale papa Francesco aveva incontrato una delegazione del ‘Foyer Notre-Dame des Sans Abris’ e dell’associazione ‘des Amis de Gabriel Rosset’, chiamandoli ‘artigiani della misericordia: “Mi piace contemplare la Madonna dei Senzatetto come Vergine di Misericordia, che spalanca le braccia per accogliere tutti, perché tutti hanno un posto vicino a Maria, vicino a Cristo. Ella non ha paura di aprire il suo manto, per farne un riparo contro la pioggia e il fuoco cocente del sole. Dona il suo bene più prezioso, che è Gesù, lasciando che i poveri si avvicinino il più possibile a lei per ricevere dalle sue mani tese tenerezza e sollievo”.

E’ stato un invito a mettersi alla ‘scuola’ della Madre di Dio: “Mettetevi alla sua scuola. Maria è prima di tutto donna di vita interiore: medita e custodisce nel suo cuore la Parola di Dio che alimenta ogni sua azione. E’ anche una donna aperta, una donna disponibile alle sorprese di Dio. Per questo veglia e cammina. Maria risponde ai bisogni dei fratelli e delle sorelle vulnerabili, ma soprattutto anticipa i loro bisogni: come a Cana, dove sa che il vino è finito. Segue suo Figlio lungo la strada, fino al Calvario; non ha paura di toccare la sofferenza del mondo, quando lo accoglie tra le sue braccia ai piedi della croce”.

(Foto: Santa Sede)

Fabio Nardelli racconta un popolo missionario e sinodale per il cammino della Chiesa

“L’accostamento tra missione e sinodalità: un accostamento per così dire ‘sistematico’, messo in evidenza fin dal titolo. E questo perché missione e sinodalità non stanno l’una senza l’altra: si sostengono reciprocamente, crescono di pari passo e insieme concorrono a delineare il cammino della Chiesa nel Terzo Millennio. Di fronte all’annuncio di un Sinodo sulla sinodalità, qualcuno aveva paventato il pericolo di «introversione ecclesiale», per dirla con le parole di Evangelii Gaudium (n. 27), cioè di una specie di ripiegamento della Chiesa su se stessa e sui suoi meccanismi interni, in contraddizione con le esigenze di quella conversione missionaria cui l’ora presente chiama i credenti in tutto il mondo. Ma, in realtà, il cammino sinodale in corso non è che la coerente prosecuzione del ‘sogno’ missionario che papa Francesco illustrava così nello stesso paragrafo di quel documento”.

Così inizia la prefazione del card. segretario generale del Sinodo dei Vescovi, card. Mario Grech, al libro ‘Un popolo missionario e sinodale. Il cammino della Chiesa nel Terzo Millennio’ del frate minore, p. Fabio Nardelli, che nasce dalle ‘riflessioni che le Conferenze Episcopali, le Chiese Orientali Cattoliche e altre realtà ecclesiali internazionali hanno presentato oltre ai rapporti redatti dai parroci nella tre-giorni di lavoro dell’incontro Parroci per il Sinodo’.

Ed in occasione di questa seconda sessione della XVI Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre), il volume di p. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia all’Istituto Teologico di Assisi ed alla Pontificia Università ‘Antonianum’ di Roma, nonché assistente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense,‘Un popolo missionario e sinodale. Il cammino della Chiesa nel Terzo Millennio’, si presenta come uno strumento di natura teologico-pastorale che evidenzia un accostamento tra missione e sinodalità, particolarmente significativo nell’attuale contesto ecclesiale. La prefazione del card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, che arricchisce l’opera, ribadisce che l’aggettivo ‘missionario-sinodale’ concorre a delineare il cammino della Chiesa nell’attuale contesto.

Perché la Chiesa è un popolo missionario e sinodale?

“Nel corso della riflessione teologica, lungo i secoli, diverse sono state le categorie utilizzate per esprimere la realtà ecclesiale. Ma quella che sembra particolarmente adatta per correlare missione e sinodalità, è il ‘Popolo di Dio’. Chiamato da Dio, il popolo si mette in cammino vivendo ‘in uscita’ e nello stile della comunione. Questi due atteggiamenti caratterizzano l’essere della Chiesa nel Terzo Millennio, secondo quanto affermava papa Francesco, dicendo che ‘la sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione’”.

Quale correlazione esiste tra partecipazione e missione?

“Come afferma il card. Grech, nella prefazione del volume, ‘una Chiesa più capace di partecipazione e corresponsabilità è una Chiesa ultimamente più capace di missione’. In realtà, la dimensione partecipativa è già espressione della sua missionarietà in quanto ogni battezzato, in forza del ‘sensus fidei’, diventa un membro attivo della Chiesa realizzando concretamente nel suo contesto e con la forma della sua vita l’imperativo missionario del Risorto: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura’, come narrato nel vangelo di san Marco”.

Per quale motivo la Chiesa è pellegrina di speranza?

“La Chiesa ‘pellegrina di speranza’ è icona di ogni persona che, mettendosi in cammino nella fede, ha davanti a sé una meta e una direzione indicata dalla Parola. Come ripete papa Francesco, nella Bolla ‘Spes non confundit’: ‘mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita’ e, perciò, essa è chiamata a vivere da pellegrina per ricordare all’uomo contemporaneo che tutti sono in ‘cammino’ verso il Regno”.

In quale modo il cammino della Chiesa sinodale si fonda sulla Trinità?

“Essa si presenta come ‘soggetto’ della fede che come comunità e assemblea di credenti ha quale “oggetto” della sua fede il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questo è ciò che voleva mostrare anche il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa ‘Lumen gentium’, quando ha evidenziato l’azione ad extradella Trinità specificando il compito del Padre, il ruolo del Figlio e dello Spirito Santo. Il volume, infatti, mette in evidenza che il cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa sta facendo emergere una vera ‘ecclesiologia pneumatologica’, in cui lo Spirito unifica nella comunione e nel ministero diversi doni gerarchici e carismatici che operano in essa”.

Missione richiama la parola ‘evangelizzazione’: con quale stile?

“Naturalmente, quello della ‘partecipazione’, in quanto la missione è nel DNA del cristiano. Quindi nessuno può sentirsi escluso da una Chiesa tutta missionaria, in cui, nella diversità delle funzioni, ogni battezzato è chiamato a vivere in pienezza la sua identità. In verità, la riscoperta della radice battesimale ha liberato la Chiesa da un’eccessiva clericalizzazione dei laici e da un’impropria secolarizzazione dei pastori. Ed, in questo nuovo contesto, la sinodalità, intesa come ‘stile ecclesiale’, consente a tutti di cogliere meglio le caratteristiche e la funzione dei differenti protagonisti dell’evangelizzazione”.

(Tratto da Aci Stampa)

Presentata l’enciclica di Papa Francesco: il cuore di Gesù salva

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’ (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’ (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’ (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”: lo ha scritto nell’enciclica ‘Dilexit nos sull’amore umano e di divino del cuore di Gesù’ di papa Francesco, presentata oggi, dal teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da suor Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo.

Nell’introdurre l’enciclica mons. Forte ha ricordato l’origine dell’enciclica: “La Lettera Enciclica… nasce dall’esperienza spirituale di papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci”.

L’enciclica papale mette in evidenza l’amore di Dio per l’umanità: “E’ la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù”.

Ecco l’importanza del cuore: “Perciò è importante ritornare al cuore: è il cuore che unisce i frammenti della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade. Tutto ciò che viviamo è ‘unificato nel cuore’: le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne ‘piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile’ è segno di un mondo senza cuore”.

Ed ha spiegato il ruolo della Chiesa: “E’ qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa… In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra ‘nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola’, aiutandoci ad amare meglio e di più”.

In sintesi papa Francesco ha raccontato l’amore di Dio: “Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti”.

Sulla stessa sintonia l’intervento di sorella Antonella Fraccaro: “Papa Francesco ci ricorda che ‘io sono il mio cuore’; dunque, è decisivo che ‘tutte le azioni’ della mia vita ‘siano poste sotto il dominio politico del cuore’, cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare…

Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura”.

Ed infine un accenno al Giubileo: “Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con ‘la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri’. In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che ‘libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità’.

Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza (pellegrini di speranza), ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, ‘la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’.Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità”.

(Foto: Vatican News)

Papa Francesco: appello per l’unità tra i cristiani

“Io ho dato loro la stessa gloria che tu hai dato a me (Gv 17,22). Queste parole della preghiera di Gesù prima della Passione, si possono riferire in modo eminente ai martiri, glorificati per la testimonianza resa a Cristo. In questo luogo ricordiamo i Primi Martiri della Chiesa a Roma: sul loro sangue è stata costruita questa basilica, sul loro sangue è stata edificata la Chiesa. Possano questi Martiri rafforzare la nostra certezza che, avvicinandoci a Cristo, ci avviciniamo gli uni agli altri, sostenuti dalla preghiera di tutti i santi delle nostre Chiese, già perfettamente uniti dalla loro partecipazione al Mistero pasquale”.

Nella memoria liturgica di papa san Giovanni XXIII, che avviò il Concilio Vaticano II l’11 ottobre 1962, papa Francesco ha invitato all’unità tra le confessioni cristiane senza pronunciare quest’omelia, che è stata consegnata ai padri sinodali alla conclusione della veglia ecumenica animata dalla Comunità di Taizé nella piazza dei Protomartiri in Vaticano, insieme ai partecipanti al Sinodo ed ai fratelli e sorelle delle altre Chiese.

Ed ha ricordato che unità dei cristiani e sinodalità sono collegate: “In entrambi i processi, si tratta non tanto di costruire qualcosa quanto di accogliere e far fruttare il dono che già abbiamo ricevuto. E come si presenta il dono dell’unità? L’esperienza sinodale ci aiuta a scoprirne alcuni aspetti.

L’unità è una grazia, un dono imprevedibile. Il vero protagonista non siamo noi, ma lo Spirito Santo che ci guida verso una maggiore comunione. Come non sappiamo in anticipo quale sarà l’esito del Sinodo, così non sappiamo esattamente come sarà l’unità a cui siamo chiamati. Il Vangelo ci dice che Gesù, in quella sua grande preghiera, ‘alzò gli occhi al cielo’: l’unità non è innanzitutto un frutto della terra, ma del Cielo”.

Quindi per raggiungere l’unità è necessario un cammino, come è stato scritto nel decreto sull’ecumenismo ‘Unitatis Redintegratio’: “Un altro insegnamento che viene dal processo sinodale è che l’unità è un cammino: matura nel movimento, strada facendo. Cresce nel servizio reciproco, nel dialogo della vita, nella collaborazione di tutti i cristiani che ‘fa emergere più chiaramente il volto di Cristo servitore’.

Ma dobbiamo camminare secondo lo Spirito; o, come dice Sant’Ireneo, come tôn adelphôn synodía, ‘una carovana di fratelli’. L’unione tra i cristiani cresce e matura nel comune pellegrinaggio ‘al ritmo di Dio’, come i pellegrini di Emmaus accompagnati da Gesù risorto”.

Il terzo insegnamento riguarda l’unità come armonia: “Il Sinodo ci sta aiutando a riscoprire la bellezza della Chiesa nella varietà dei suoi volti. Così l’unità non è uniformità, né frutto di compromessi o di equilibrismi. L’unità dei cristiani è armonia nella diversità dei carismi suscitati dallo Spirito per l’edificazione di tutti i cristiani. L’armonia è la via dello Spirito, perché Egli stesso, come dice San Basilio, è armonia. Noi abbiamo bisogno di percorrere il sentiero dell’unità in virtù del nostro amore per Cristo e per tutte le persone che siamo chiamati a servire”.

Ma l’unità dei cristiani può essere ‘raggiunta’ attraverso la testimonianza: “Questa era la convinzione dei Padri conciliari nell’affermare che la nostra divisione ‘è di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura’. Il movimento ecumenico è nato dal desiderio di testimoniare insieme, con gli altri e non lontano gli uni dagli altri, o peggio ancora gli uni contro gli altri”.

Ed ha ricordato i martiri: “In questo luogo i Protomartiri ci ricordano che oggi, in molte parti del mondo, cristiani di diverse tradizioni danno la vita insieme per la fede in Gesù Cristo, vivendo l’ecumenismo del sangue. La loro testimonianza è più forte di qualsiasi parola, perché l’unità viene dalla Croce del Signore”.

Infine ha ricordato lo ‘scandalo’ della divisione tra i cristiani: “Oggi esprimiamo anche la vergogna per lo scandalo della divisione dei cristiani, lo scandalo di non dare insieme testimonianza al Signore Gesù. Questo Sinodo è un’opportunità per fare meglio, superando i muri che ancora esistono tra noi.

Concentriamoci sul terreno comune del nostro comune Battesimo, che ci spinge a diventare discepoli missionari di Cristo, con una comune missione. Il mondo ha bisogno di una testimonianza comune, il mondo ha bisogno che siamo fedeli alla nostra comune missione”.

(Foto: Santa Sede)

Al Sinodo dei vescovi sono iniziati i lavori di gruppo

In occasione delle due iniziative per la pace per domenica 6 ottobre e lunedì 7 ottobre (recita del santo Rosario a Santa Maria Maggiore alle ore 17.00 e Giornata di digiuno e preghiera), indette da papa Francesco, nella conferenza stampa i relatori hanno invitato tutti i partecipanti al Sinodo alla recita del Rosario di domenica, mentre lunedì i lavori saranno vissuti in un contesto di sobrietà.

In apertura dei lavori sinodali è stato pregato per la pace, riprendendo le parole di papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa: ‘Si faccia di tutto per fermare la violenza e aprire cammini di pace’. Mentre p. Giacomo Costa, dal canto suo, ha ripetuto le parole del papa, (‘il Sinodo non è un’assemblea parlamentare, ma un luogo di ascolto e di comunione), quindi non è ‘un’indicazione retorica, ma un’esperienza vissuta’, in un clima ‘molto gioioso, c’è il piacere di rincontrarsi, con una grande capacità di andare in profondità nel dibattito’. 

Soffermandosi sui Gruppi di lavoro, il gesuita ha esortato a guardare ad essi come a ‘laboratori di vita sinodale’, che devono essere sostenuti da tutti i fedeli, attraverso contributi che potranno pervenire loro fino al giugno del prossimo anno: “Non sono quindi commissioni ‘chiuse’, bensì gruppi aperti, occasioni in cui si impara a lavorare insieme come Chiesa partecipata, ‘compagni di strada’ per compiere un ‘mini’ processo sinodale su alcuni temi collegati ma non coincidenti, con l’Instrumentum Laboris”.

Intanto ieri il card. Jean-Claude Hollerich, relatore generale, in apertura dei lavori ha ricordato che l’attenzione si sarebbe focalizzata sui ‘Fondamenti: “Nella struttura dell’Instrumentum laboris questa Sezione ha uno statuto diverso dalle tre parti che seguono. Senza avere l’ambizione di essere un trattato di ecclesiologia sinodale, ‘cerca di delineare i fondamenti della visione di una Chiesa sinodale missionaria, invitandoci ad approfondire la comprensione del mistero della Chiesa’. Raccoglie la consapevolezza che in questi anni si è andata consolidando e in particolare le convergenze che lo scorso anno abbiamo riconosciuto ed espresso nella Relazione di Sintesi”.

Il segretario speciale, mons. Riccardo Battocchio, ha sottolineato l’apporto sinodale della teologia: “i teologi che hanno lavorato dalla fese preparatoria, avranno ora maggiore visibilità perché il loro servizio è importante nel riflettere sui contributi che sono arrivati e saranno preziosi per un ascolto attento, una operazione di intelligenza teologica su quanto emergerà per poi arrivare a stendere il testo finale”.

Mentre suor Maria de los Dolores Palencia Gómez ha risposto ad alcune domande sul ruolo della donna nella Chiesa, sempre più sinodale per “aprirsi a nuove esperienze, a nuove proposte per scoprire e per approfondire ancora di più il ruolo femminile… Spetta anche a noi liberarci da uno stile di clericalismo… Io credo che l’esperienza di quest’anno abbia mostrato che siamo in cammino e come questo cammino stia dando frutto, il ruolo delle donne è riconosciuto sempre più in una chiesa sinodale, ci si potrà aprire a nuove esperienze per andare in profondità”.

Anche il prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, il card. Victor Manuel Fernández, è intervenuto sulle ‘forme ministeriali’, concentrandosi sulla ‘pressante questione della partecipazione delle donne alla vita e alla leadership della Chiesa’: “Conosciamo la posizione pubblica del Pontefice che non considera la questione matura; nella mente del Santo Padre ci sono altri temi ancora da approfondire e risolvere prima di affrettarsi a parlare di un eventuale diaconato per alcune donne”, con il prosieguo del lavoro di approfondimento.

Inoltre il card.  Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, ha raccontato “la situazione drammatica di questi giorni: bombe, carri armati che distruggono in maniera drammatica non solo le persone ma anche le speranze delle Chiese orientali cattoliche nelle aree di guerra, in pericolo di scomparire; la loro perdita sarebbe irreparabile per la Chiesa”.

(Foto: Vatican News)

Giornata del Migrante: Dio si fa migrante

“L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di riscoprire la propria natura itinerante, di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo ‘migrante’ verso il Regno dei cieli (‘Lumen gentium’, 49). Viene spontaneo il riferimento alla narrazione biblica dell’Esodo, che presenta il popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa: un lungo viaggio dalla schiavitù alla libertà che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore. Allo stesso modo, è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna”.

Attingendo dalla parte iniziale del messaggio (‘Dio cammina con il suo popolo’) di papa Francesco per la 110^ Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 29 settembre, abbiamo domandato al missionario scalabriniano e presidente dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS), prof. Gioacchino Campese, docente  di ‘Teologia della mobilità umana’ alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, di narrarci il motivo per cui Dio cammina con il suo popolo:

“ Il messaggio della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno è fondamentale, perché affermando che ‘Dio cammina con il suo popolo’ ci parla della natura stessa di Dio. Dio cammina con l’umanità migrante, Dio si fa migrante, perché Dio è amore, bontà e compassione infinite e quindi accompagnare il suo popolo non è altro che l’espressione della sua stessa natura. Il messaggio di papa Francesco cita diversi passaggi biblici che spiegano che Dio non abbandona mai l’umanità e, in particolare, non fa mai mancare la sua protezione e grazia alle persone più vulnerabili, al punto da identificarsi con queste persone come il brano di Matteo (‘Giudizio universale’: 25, 31-46) illustra chiaramente. La sua presenza con e nel suo popolo migrante è semplicemente una costante della rivelazione biblica”.

Per quale motivo i migranti possono un ‘segno dei tempi’?

“I migranti e i rifugiati sono sempre stati un segno dei tempi. In altre parole, i migranti e i rifugiati non sono solo un segno dei ‘nostri’ tempi, ma un segno di ‘tutti’ i tempi, un segno di una delle costanti antropologiche dell’umanità, cioè le migrazioni, la mobilità umana. Qui è bene citare san Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905) il quale alla fine del XIX secolo affermava che ‘L’emigrazione…è legge di natura. Il mondo fisico come il mondo umano soggiacciono a questa forza arcana che agita e mescola, senza distruggere, gli elementi della vita…’. I migranti sono un segno dei tempi perché ci ricordano l’essenza migrante del cosmo e dell’essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio. I migranti sono un segno dei tempi perché rappresentano l’abbondante e preziosa diversità con la quale Dio vuole arricchire l’esistenza e l’esperienza di ogni persona”. 

In quale modo i migranti aprono all’incontro con Dio?

“Incontrare i migranti e i rifugiati vuol dire incontrare persone che rappresentano con la loro esistenza una delle dimensioni principali della natura umana e, di conseguenza, ci rimandano al Dio creatore, al Dio migrante; al Dio che ha creato il cosmo e l’umanità nella sua incredibilmente ricca diversità; al Dio che bussa alla nostra porta nei migranti e rifugiati per chiedere accoglienza, comprensione, compagnia, comunità; al Dio che ci ricorda che siamo e dobbiamo vivere come un’unica famiglia umana”.

Fino a quale punto il Giudizio finale narrato nel Vangelo di Matteo è punto importante per i cristiani?

“Il racconto del giudizio universale in Matteo 25 non è solo importante, ma fondamentale per tutti i cristiani. E’ uno dei brani evangelici che meglio descrive chi è il Dio di Gesù Cristo il quale, come osserva giustamente papa Francesco nel suo messaggio, continua ad incarnarsi nelle persone più vulnerabili, tra i quali ci sono anche i migranti e i rifugiati; allo stesso tempo questo passaggio esprime palesemente una delle sfide essenziali per la vita dei cristiani: riconoscere nelle persone vulnerabili (i migranti, i carcerati, gli affamati, gli ammalati…) la sua presenza e rispondere agendo di conseguenza a seconda delle loro necessità. E’ in questo incontro che sfida le nostre paure, pregiudizi, egoismi, e pigrizie, che avviene la salvezza, come Matteo 25 afferma senza mezzi termini”.

In quale modo la Chiesa può fare sinodo con il migrante?

“Un sinodo senza i migranti non può chiamarsi sinodo, perché se sinodo vuol dire camminare insieme come chiesa, l’assenza dei migranti ridurrebbe questo evento ad una semplice assemblea tra persone che credono di avere un certificato di appartenenza esclusiva alla chiesa. Purtroppo, spesso i migranti e i rifugiati cattolici e cristiani si sentono esclusi dalla chiesa perché parlano una lingua differente, perché hanno usi e costumi culturali differenti, perché pregano e celebrano in modo differente.

Non bisogna dimenticare un elemento essenziale in questo discorso, elemento che spesso viene dimenticato: la chiesa deve e può fare sinodo con i migranti e i rifugiati prima di tutto perché essi sono la chiesa e la provocano continuamente ad essere veramente cattolica, cioè una chiesa formata da tutti i popoli della terra; e anche quando non sono cristiani essi richiamano la chiesa ad essere fedele alla sua vocazione fondamentale: essere il ‘segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’, secondo la Costituzione dogmatica sulla Chiesa ‘Lumen gentium’ n. 1.. E’ la sfida della fraternità universale nella quale la chiesa deve essere sempre in prima linea”.

Quali sono gli ambiti di intervento di ASCS?

“La filosofia di intervento dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS) si manifesta nell’atteggiamento e la pratica di ‘essere con’ i migranti, i rifugiati, e le comunità locali in Italia e nel mondo. L’ASCS si ispira al carisma di san Giovanni Battista Scalabrini, uno dei pionieri della pastorale con i migranti nella chiesa cattolica, e ai quattro verbi che papa Francesco ha proposto a tutta la chiesa come i pilastri di una pastorale integrale con i migranti e i rifugiati: accogliere, proteggere, promuove e integrare. Sulla scia di queste ispirazioni le tre aree di intervento principali dell’ASCS sono: accoglienza integrale, animazione interculturale e cooperazione allo sviluppo. Per ulteriori informazioni sulla visione, missione e attività dell’ASCS si può consultare il sito www.ascs.it”.

(Foto: ASCS)

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