Maestri di bene come pietre d’inciampo: ecco la lezione di Carlo Bianchi

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“Educare significa inserire le persone in un popolo in cammino. Non è una responsabilità verso un individuo: è chiamare le persone per nome, è chiamarle a far parte di un popolo, perché il deserto non si può attraversare da soli. E in questa appartenenza si apprende il criterio per distinguere il bene dal male”.

Così l’arcivescovo Mario Delpini ha richiamato la figura e l’attualità di Bianchi intervenendo all’incontro online ‘Dalla Resistenza al futuro, il compito di educare’ organizzato dalla Fondazione Ambrosianeum con l’arcidiocesi di Milano, il Servizio per la Pastorale giovanile, l’Ac ambrosiana, le Acli, al Fuci e l’Associazione Fiamme Verdi.

L’arcivescovo di Milano ha invitato a non dimenticare il ricordo: “Vorrei parlare di quello che non è scontato: che gli errori non si ripetano, che le tragedie vissute insegnino a non provocare altre tragedie, che l’infelicità inferta e provata eviti di far soffrire e di soffrire. Non è scontato che la storia sia maestra di vita e questo si applica alla responsabilità e alla proposta educativa che non è detto che abbia risultati garantiti”.

Per mons. Delpini la memoria è la base dell’educazione: “Educare non è affidare le parole al vento perché le porti dove vuole, e non è portare al supermercato dove ciascuno sceglie secondo i propri gusti e tutto vale uguale: educare è essere presenza in cui si inciampa, e dice che c’è qualcosa che ha la durezza della pietra, e chiama per nome a far parte di un popolo in cammino”.

Il convegno era stato aperto da Marco Garzonio, presidente di Ambrosianeum, restituendo tratti, volti, nomi della Resistenza cattolica a Milano: fra quei nomi, c’è mons. Giovanni Barbareschi: “Stiamo realizzando un docufilm dedicato a lui e quando sarà pronto vorremmo lavorare non solo con la Pastorale giovanile, l’Ac, le Acli, ma anche con le scuole per portarlo ai giovani e rilanciare l’insegnamento secondo cui non esistono liberatori, esistono popoli che si liberano”.

La prima testimonianza è stata di Pia Majno Ucelli di Nemi, 99 anni, staffetta delle Fiamme Verdi, che con parola commossa e incalzante racconta Milano che ha detto no alla barbarie nazifascista, ricordando Carlo Bianchi e di Teresio Olivelli, che sono state ‘vere pietre d’inciampo che hanno segnato la mia giovinezza e la mia vita’. Il saggista Anselmo Palini ha ricordato Carlo Bianchi, che aderì subito all’Azione Cattolica ed alla Fuci.

Mons. Delpini ha messo in risalto soprattutto l’aspetto educativo di Bianchi: “Una cultura che abbia un’interpretazione della convivenza della gente come vocazione a una fraternità, condizione irrinunciabile alla libertà con la ricerca e la difesa della giustizia, con la pratica generosa della carità e la formazione di una coscienza sociale.

Quindi un programma di vita che non era uno scritto, ma una prassi che Carlo Bianchi ha messo in atto anche prima, e a prescindere dall’oppressione fascista e dal momento drammatico della guerra e di quella civile, avviando quella che si è chiamata la carità dell’Arcivescovo, cioè un luogo di cura e di attenzione medico e giuridica a coloro che non potevano accedere alle cure mediche e all’assistenza giuridica”.

Carlo Bianchi è stato una figura esemplare di cattolico ambrosiano. Un giovane ingegnere, marito e padre, che nella bufera della seconda guerra mondiale si è esposto in prima persona per aiutare i più deboli, attraverso la profetica istituzione della ‘Carità dell’arcivescovo’, lottando contro l’oppressione nazifascista per creare una società diversa e un’Italia libera e democratica, fino a pagare con la sua vita questa scelta coraggiosa.

Carlo Bianchi nacque a Milano il 22 marzo 1912. Il padre Mario era titolare di una cartotecnica con annessa tipografia che dava lavoro a un centinaio di persone, tra operai e impiegati. Del personale si occupava la madre, Amalia Pomè, che in diverse occasioni fece assumere giovani in difficoltà e ragazze madri. La famiglia era profondamente religiosa, molto impegnata nella parrocchia dei Santi Nazaro e Celso alla Barona, soprattutto nell’ambito dell’assistenza ai più disagiati.

Iscrittosi alla facoltà di Ingegneria di Milano, sia per sua inclinazione, sia per andare incontro ai desideri dei genitori che in lui vedevano il continuatore dell’azienda di famiglia, Carlo Bianchi, che già partecipava attivamente all’Azione cattolica, entrò a far parte della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), portando il suo fattivo contributo ai vari convegni regionali e nazionali tra il 1931 e il 1935.

In quegli anni, lo studente milanese ebbe anche occasione di trascorrere lunghi soggiorni in Germania, potendo così osservare personalmente il propagarsi del nazismo, tanto che già prima dello scoppio della seconda guerra mondiale aveva ‘profetizzato’ agli amici la catastrofe in cui sarebbero sprofondati l’Europa e il mondo.

In risposta a un accorato appello dell’arcivescovo di Milano, nel dicembre del 1943 Bianchi propose un’iniziativa caritativa e sociale che ebbe l’immediata approvazione e il sostegno del card. Schuster, al punto che prese il nome di ‘Carità dell’arcivescovo’.

Il programma prevedeva l’apertura di un centro di assistenza medica e legale per i più poveri, situato inizialmente in via San Tommaso (sede della Fuci), al quale si aggiunse un pensionato per studenti universitari e un gruppo di sostegno scolastico, ma anche un centro culturale dove confrontarsi su temi d’attualità, alla luce del magistero ecclesiale.

Il 9 giugno 1944 Bianchi e Olivelli, insieme ad altri detenuti, vennero trasferiti nel campo di prigionia di Fossoli, vicino a Carpi: un centro di smistamento verso i lager nazisti, dove gli ebrei e i prigionieri politici erano sotto la giurisdizione tedesca.

Carlo riuscì a fare arrivare messaggi ai famigliari, dove chiedeva scusa per aver procurato loro quella sofferenza, esortandoli tuttavia a stare “calmi e sereni come lo sono io: sono fiero di essere qui perché sento che soffro per il domani dei miei figli che non è fatto solo di pane e di moneta, ma innanzitutto di giustizia e libertà”.

L’11 luglio 1944 venne annunciato il trasferimento dei prigionieri: in realtà furono portati nel vicino poligono di Cisbeno e fucilati. Gettati in una fossa comune, i corpi di Carlo Bianchi e degli altri 66 martiri di Fossoli vennero riesumati dopo la Liberazione. Le solenni onoranze funebri furono celebrate dal card. Schuster il 24 maggio 1945.

(Foto: diocesi di Milano)

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