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Luca Diotallevi spiega perché la Messa è sbiadita

“In questo tempo non una piccola porzione di cristiani, ma una larga maggioranza è consapevole che ‘il tempo si è fatto breve’… Oggi possiamo vederlo ancora più chiaramente questo kairos della fede, a condizione di saper affrontare con onestà la domanda con cui il Gesù del quarto Vangelo mise con le spalle al muro i discepoli inviatigli dal Battista, forse ancora un po’ appannati da un entusiasmo che ancora non sapevano essere nel loro interesse dismettere. ‘Cosa cercate?’ gli chiese Gesù poco prima delle quattro di quel pomeriggio”.

Così iniziava la prolusione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna del prof. Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università Roma Tre, autore del volume ‘La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019’, incontrato a Macerata, invitato dall’Azione Cattolica diocesana.

Durante l’incontro il prof. Luca Diotallevi, presidente diocesano dell’Azione Cattolica di Terni, ha sottolineato le possibili ‘cause’ della diminuzione della partecipazione dei fedeli alla messa domenicale: “Oltre a calare di volume ed a perdere di rilevanza extra-religiosa, l’appartenenza ecclesiale risente di una elevatissima e crescente frammentazione. A cause storiche ben note, di recente se ne è aggiunta una nuova.

Un vero e proprio consumismo religioso non solo è dilagato, ma è stato assecondato dall’azione pastorale. Dalle risposte raccolte l’arcipelago di gruppi, movimenti, santuari, feste patronali, modalità e luoghi di culto i più vari, viene giudicato un fattore di frammentazione del tessuto ecclesiale e una minaccia al regime di comunione. I criteri di discernimento delle aggregazioni ecclesiali che la Conferenza Episcopale Italiana aveva formulato negli anni ’90 sembrano essere ignorati, sino al punto di venire rimossi o tranquillamente contraddetti”.

Per il sociologo le iniziative proposte non offrono continuità e soffrono di frammentazione: “Cammini, gruppi, tecniche, movimenti, uffici pastorali, ed una quantità di iniziative e di eventi sui quali si investe nella speranza di trovarvi la soluzione al problema della nuova evangelizzazione o ‘primo annuncio’, nella larga maggioranza dei casi non favoriscono lo sviluppo di una maturità umana e cristiana, ecclesiale e civile.

Essi non appaiono in grado di garantire quello che per tanto tempo aveva garantito l’associazionismo ecclesiale e che ancora, seppur tra ostacoli e difficoltà anche pastorali, è capace di offrire (in particolare di Azione Cattolica secondo la definizione del punto 20 della decreto conciliare sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem”.

Ed il crollo della partecipazione alla messa domenicale è evidente: si è passati dal 37,3% della popolazione adulta nel 1993 al 23,7% del 2019. I giovani che dichiarano di frequentare sono l’8% e gli adolescenti il 12%. Nel 2019 le donne maggiorenni che dichiarano una pratica almeno settimanale sono ancora più degli uomini: il 28,7% delle prime contro il 18,3% dei secondi. Tuttavia il dato da evidenziare è che nel caso delle donne si è perso quasi il 40% del valore registrato nel 1993 e nel caso degli uomini poco più del 30%:

“Il declino alla frequenza al rito domenicale è dunque più veloce tra le donne che tra gli uomini, ed è evidente che questo gender factor ha consistenti e crescenti effetti tanto religiosi quanto extrareligiosi, e questo fattore nuovo produrrà ulteriori e profonde trasformazioni. La vita ordinaria delle parrocchie italiane è infatti composta prevalentemente da donne così come l’educazione religiosa dei figli nelle famiglie”.

Al termine dell’incontro abbiamo chiesto se a 25 anni dall’invito ai giovani, presenti a Roma nella Giornata Mondiale della Gioventù, a guardare in alto di san Giovanni Paolo II può considerarsi ancora valido: “E’ valido nel senso evangelico del termine, cioè dobbiamo saper porre una discontinuità nel nostro modo di fare le cose,fidandoci del Signore e cominciando a farle in modo diverso”.

Lei ha scritto il volume ‘La messa è sbiadita’: perché si è sbiadita?

“Probabilmente è diventata più uno spettacolo che una liturgia. Gli spettacoli sono anche gradevoli, ma dopo i quali la vita continua come prima; mentre la liturgia consiste nell’iniziare a vivere in un altro modo. Le nostre messe sono spettacoli, di cui ne fruiamo individualmente”.

Ma cosa sta succedendo?

“I processi religiosi, a differenza di quelli finanziari, hanno una forte inerzia: se cresce l’inflazione ce ne accorgiamo il giorno dopo, se cala la partecipazione alla messa occorrono decine di anni per osservare gli effetti. Il punto di rottura sono gli anni Sessanta, ma il calo lo abbiamo iniziato a vedere quando le generazioni di allora e quelle successive hanno iniziato a prendere la scena. Non è un caso, poi, che all’inizio degli anni Ottanta inizi a crescere anche l’età media del primo figlio e dell’ordinazione presbiterale. Tutti elementi che certificano il classico esempio di ritardo del passaggio all’età adulta da parte di coloro che hanno ‘fatto’ il Sessantotto”.

In questi anni come è cambiato il sentimento del popolo cattolico verso la fede?

“Ci si è convinti che ognuno si fa la fede sua. Le Sacre Scritture, il Magistero della Chiesa, la Tradizione non contano: entro in chiesa allo stesso modo in cui entro in un supermarket. Compro qualcosa e lascio qualcos’altro”.

Nel libro evidenzia che il calo dei laici è superiore alla crisi vocazionale dei sacerdoti:  da cosa dipende?

“Il carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di quelli ordinati negli anni ‘90 ma non c’è paragone con i laici che si recano in chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le strutture e ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti ancora ci sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte riduzione della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte significativa di quelli attuali è costituita da persone anziane”.

In un capitolo lei mette in confronto la partecipazione alla vita sociale della città con la partecipazione alla messa: esiste un rapporto?

“La partecipazione è in crisi in ogni ambito della società e non solo nell’ambito ecclesiale, in quanto siamo abituati a prendere i ‘prodotti’ finiti e non a partecipare alla loro costruzione. Non facciamo politica, non partecipiamo al sindacato, non mangiamo insieme ed anche alla messa prendiamo quello che serve. Quindi non sappiamo più partecipare”.

La sua indagine mostra che la partecipazione era ‘scarsa’ anche prima dell’effetto del Covid 19: per quale motivo non si è avuto il coraggio di riconoscere prima le dinamiche?

“Non si sono volute riconoscere prima queste dinamiche, perché se riconosco che una cosa non funziona sono costretto ad escogitare qualcosa per cercare di cambiare. Il Covid è riuscito a rilevare questo problema, fornendoci un grande alibi… Però dopo il Covid continua quello che c’era prima”.

Come poter fare comprendere che la messa è una verità ‘sinfonica’?

“Attraverso la partecipazione a quei gesti senza mettersi nascosti in un angolo, prendendo quello che serve. La messa, come tutte le prassi, è qualcosa che va capito ed approfondito. Non è una cosa semplice. Banalizzare serve solo a sbiadire”.

In tale contesto quale è il compito dell’Azione Cattolica?

“Formare il più possibile la coscienza, la volontà, l’intelletto e sperimentare l’amicizia nella Chiesa con grande libertà”.   

(Tratto da Aci Stampa)

Teresio Olivelli: un giovane meraviglioso,  la persona forse più intelligente che io abbia mai conosciuto

Il 25 dicembre 1944, giorno di Natale, nel lager di Hersbruck non si lavora. Vitto abbondante: ben cinque piccole patate, che Teresio divide tra i compagni. Proprio il giorno di Natale, come racconta un compagno di prigionia: ‘Teresio venne in infermeria ad augurarci buone feste, sollevando il nostro spirito depresso con parole di vivissima fede. Per noi fu una visione del cielo. Ma egli era entrato in infermeria arbitrariamente allo scopo di sollevare le nostre anime. Era proibito a tutti entrare. Ma a Teresio importava consolare i compagni di sventura. Nell’uscire fu picchiato, schiaffeggiato, preso a calci’.

Questo episodio ci illustra bene come Teresio Olivelli nel lager sia stato pienamente un ‘uomo per gli altri’, per usare un’immagine cara al grande martire di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer. Il Dio di Gesù Cristo, nel lager è pienamente anche per Olivelli, come lo era per Bonhoeffer, è il Dio dell’essere ‘per gli altri’, che cammina sulle strade degli uomini, che aiuta e serve, che condivide, che si schiera con i più svantaggiati e oltraggiati. Il Dio dunque che di fronte alle aberrazioni della storia non può non schierarsi dalla parte delle vittime.

Il 31 dicembre 1944, mentre tenta di difendere un giovane picchiato ferocemente da un kapò, Olivelli riceve un bestiale calcio allo stomaco. Su suo corpo martoriato, questa ennesima violenza produce un effetto devastante. Trasportato in infermeria, vi trascorre due settimane in agonia. Muore il 17 gennaio 1945. Aveva solo 29 anni.  

Il corpo di Teresio Olivelli finisce nel forno crematorio, poi le sue ceneri sono disperse. Di lui non c’è dunque nessuna tomba, nessuna stele che indichi il luogo del suo martirio, nessuna pietra sepolcrale, nessuna scritta che ricordi il suo sacrificio. Lo stesso destino di milioni di altre persone.

Il lager di Hersbruck è stato la tappa finale di un cammino di maturazione e di crescita: cresciuto in Azione cattolica, nella Fuci e nella San Vincenzo, il giovane Olivelli abbracciò il fascismo, nell’ingenua convinzione che fosse possibile una sua coniugazione con il cristianesimo, e partecipò alla seconda guerra mondiale sul fronte russo con gli alpini, dove comprese la follia della politica del regime.  

Tornato in Italia, nella frequentazione dell’Oratorio della Pace di Brescia maturò la sua definitiva fuoriuscita dal fascismo e dopo l’8 settembre 1943 divenne esponente di primo piano della Resistenza nelle file delle Fiamme Verdi, con il compito di tenere i contatti fra i vari gruppi e di contribuire alla realizzazione e diffusione della stampa clandestina, soprattutto del foglio ‘Il Ribelle’.

Arrestato a Milano il 27 aprile 1944 a seguito di una soffiata, Olivelli nei lager in cui si trovò detenuto giunse alla completa offerta di sé, vittima sacrificale della barbarie nazista, agnello immolato per i propri compagni di prigionia e, più in generale, per tutti coloro che si trovavano coinvolti nel dramma della guerra.

Teresio Olivelli, indicato da padre David Maria Turoldo come ‘una persona meravigliosa, uno degli uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto’, il 3 febbraio 2018 a Vigevano è stato beatificato. La Chiesa lo indica così come modello da imitare, come persona che nel sacrificio supremo ha compiuto il senso della sua vita, immolandosi per gli altri. La testimonianza di Teresio Olivelli è dunque quanto mai preziosa anche oggi, in un tempo in cui pare risuonare solamente il rumore assordante delle armi.

Dall’Azione Cattolica Italiana un invito ad essere ‘pellegrini di speranza’

“I punti di riferimento essenziali per l’Azione Cattolica si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”.

Con queste parole il presidente nazionale dell’A.C.I, prof. Giuseppe Notarstefano, ha chiuso a Sacrofano i lavori del Convegno nazionale dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle Delegazioni regionali di Azione cattolica, invitando i presidenti diocesani a guardare a questo inizio di triennio associativo come ‘Pellegrini di Speranza’:

“Il che vuol dire essere donne e uomini che sanno accogliere con speranza questo tempo attraversato da guerre, contrapposizioni violente e insopportabili disuguaglianze economiche e sociali. Impegnandosi a dare spazio a una credibile e generativa ‘cultura dell’abbraccio’, che si rigenera nella fraternità e nella condivisione. E pone in atto gesti e segni di autentica e credibile vita comunitaria.

Persone dunque capaci di animare in profondità la vita. Suscitando e accompagnando i fratelli e le sorelle con uno stile evangelico, di testimonianza e di impegno, che si mette in gioco in modo ordinario e quotidiano, nei diversi ambienti e condizioni di vita”.

Quella presente a Sacrofano è anche un’Ac che ricorda a sé stessa ciò che è, attraverso le voci dei presidenti diocesani e i delegati regionali: un’associazione di persone che sanno misurarsi con le grandi questioni del tempo sì, ma che sanno fare tesoro anche delle piccole relazioni tessute dal basso. Insomma, un’associazione che costudisce la democrazia ad ogni livello della sua struttura organizzativa, come ha sottolineato il presidente nazionale:

“L’Azione cattolica, il suo essere, il suo cammino, è paradigma perfetto del Cammino sinodale. Il cammino di una Chiesa che si interroga sul suo stare nel mondo… Le ‘traiettorie sinodali’ di cui si discute in questi giorni, sono le traiettorie di impegno dell’Ac da sempre, dalla sua nascita. Non lo diciamo per vanto, ma per dire ancora una volta che noi siamo nella Chiesa e per la Chiesa. Consapevoli che la strada intrapresa dal Sinodo è solo all’inizio. L’inizio di una scala in salita. Che noi intendiamo percorre tutta con fiducia e speranza”.

E all’apertura dei lavori l’assistente generale Ac, mons. Claudio Giuliodori, aveva richiamato nell’omelia le parole di Francesco, pronunciate nello scorso aprile con la citazione di san Giovanni della Croce a non inorgoglirsi: “Anche gli apostoli hanno pensato che il regno di cui parlava il Signore aprisse le porte a ruoli di comando e di potere per cui cercavano di accaparrarsi quelli migliori e di maggiore prestigio, alla destra e alla sinistra del Re. Ma la regalità a cui il Signore fa riferimento è radicalmente diversa da quella che gli apostoli potevano immaginare. L’insegnamento di Gesù e i suoi gesti non lasciano margini per interpretazioni diverse o addomesticate”.

Ed è stato molto evidente il collegamento del tema triennale con il messaggio della Giornata missionaria: “Uniti a lui, tutto diventa possibile, anche affrontare i momenti più di difficili e le prove più grandi… Confidando nel Signore e nella sua grazia potremo certamente rispondere in modo efficace al suo invito che abbiamo scelto come prospettiva sfidante per il triennio: ‘Voi stessi date loro da magiare’.

Non l’avevamo previsto, ma è una concomitanza provvidenziale che oggi si celebri la Giornata Missionaria Mondiale, il cui tema è: ‘Andate e invitate al banchetto tutti’. Evidente e significativo il collegamento tra il tema del triennio, oggetto di questo Convegno, e quello della Giornata. I due temi si illuminano e si chiariscono reciprocamente. Concludo pertanto con l’invito a leggere il Messaggio come parte integrante delle riflessioni di questi giorni”.

Per questo mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e presidente della Commissione Cei per il laicato, ha richiamato agli associati la necessità di vivere da laici: “La vocazione genera e propone, chiama ad un legame vivo, alla comunione che si genera e cresce per la vocazione, per la continua e sempre nuova apertura alla presenza dell’altro… La consapevolezza di essere dei chiamati ci libererà da ogni paura, e ci suggerirà al momento, in ogni occasione ed in ogni situazione del tempo degli uomini ‘ciò che bisogna dire’ e cosa o come poter fare per annunziare il Cristo, per condividere con i fratelli la carità, la grazia della vocazione.

Perciò, non abbiamo timore. Viviamo intensamente la consapevolezza di essere chiamati dal Signore a conoscere e vivere la sua misericordia e, come spezziamo e condividiamo il pane della vita, così il nostro vero apostolato sia il testimoniare e donare al mondo, ad ogni uomo e donna di questo tempo, la fiducia nella presenza del Dio che chiama a vivere con Lui”.

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

Sinodo e Azione Cattolica italiana, ne parla il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano

A metà settembre alla ‘Casa San Girolamo’ di Spello si sono svolte le ‘Conversazioni di Spello’ con il prof. Luigi Alici, docente emerito di ‘Filosofia morale’ e già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Lorenzo Zardi, vicepresidente nazionale per il settore Giovani di Azione Cattolica, la prof.ssa Pina De Simone, ordinaria di ‘Filosofia della religione’ e direttrice di ‘Dialoghi’, con gli intermezzi musicali del violinista Stefano Rimoldi, sul tema ‘Per una cultura del noi. Alle radici del fare cultura e del senso di comunità’, introdotti dal presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, prof. Giuseppe Notarstefano.

Durante l’incontro il prof. Alici ha invitato ad aprire gli ‘orizzonti relazionali’: “Il laico cristiano riconosce e testimonia che in ogni relazione filtra una luce infinita: c’è una mistica anche della vita attiva, che cerca l’unità nelle giunture, la comunione nelle differenze, la prossimità nella distanza; che incontra Dio anche nel cuore dell’uomo e dell’umanità, alla radice degli spazi vissuti e oltre le distanze temporali. Riconoscere e aprire infinitamente questi orizzonti relazionali disegna lo spazio di incontro e dialogo tra credenti e non credenti”.

Al termine dell’incontro con il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica, abbiamo riflettuto sulla necessità della cultura del ‘noi’: “Viviamo in un tempo in cui prevale un senso di individualismo, spesso portato fino all’eccesso, dovuto da tanti fattori, non ultimo da una cultura economicista, che ha pervaso la vita sociale con l’enfatizzazione dei valori dell’utilità e della competizione e mettendo in ombra i valori della cooperazione e dell’amicizia sociale.

Quindi quello della ricostruzione e del legame comunitario è un tema importante; però il ‘noi’ non può essere una chiusura nel gruppo, ma deve essere qualcosa di inclusivo ed aperto. In questo cammino aiuta l’esperienza ecclesiale, che ci fa vivere la comunità non come qualcosa di esclusivo e di chiusura, ma che cresce attraverso il dialogo con l’altro e nell’esperienza dell’accoglienza dell’altro. Questo è un’esperienza che si può vedere nella Chiesa sinodale e nel magistero di papa Francesco. Come associazione crediamo che occorre dare anche una mediazione culturale a quest’esperienza”.

Quindi quanta ‘sinodalità’ si sta sviluppando nella Chiesa?

“E’ un cammino. Credo che il Sinodo abbia introdotto stili e pratiche che, dal basso, stanno animando una  conversione pastorale: penso allo stile della conversione spirituale, che è un modo di ripensare il nostro incontrarci a partire da un ascolto sincero dell’altro. Dobbiamo imparare a costruire insieme le decisioni: questa è la sfida che abbiamo davanti; guardiamo con grande fiducia al cammino dei vescovi, ma guardiamo anche con grande fiducia al cammino delle Chiese italiane, perché le assemblee dei vescovi, che si terranno nel prossimo novembre ed a maggio del prossimo anno possano essere un’esperienza, dove tutti concorrono a scegliere insieme quelle questioni cruciali che riguardano la vita della Chiesa. E’ una sfida che deve essere affrontata con grande speranza, senza dimenticare il monito di papa Francesco, che afferma che questa deve essere soprattutto un’esperienza spirituale: insieme sotto la guida dello Spirito Santo”.

Secondo papa Francesco il processo sinodale è una delle ‘più preziose’ eredità del Concilio Vaticano II: c’è continuità tra queste due esperienze?

“Abbiamo da un lato una partecipazione al Sinodo dei vescovi che ha una prospettiva universale, una dinamica di coinvolgimento che prevede un ascolto dal basso e che mette a tema la Sinodalità come postura essenziale del cammino della Chiesa. Dall’altro tutto ciò si intreccia con il cammino voluto dallo stesso papa Francesco quando, al convegno di Firenze, ha chiesto a tutti di mettersi a servizio nella Chiesa italiana secondo quella conversione pastorale che aveva descritto in quel potentissimo strumento che è l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco, debitore dell’esortazione apostolica ‘Evangelii nuntiandi’ di papa san Paolo VI e che qualcuno ha definito una specie di ‘software di installazione’ del Concilio Vaticano II.

I punti di contatto tra la stagione del Sinodo e quella del Concilio sono molteplici: anzitutto direi la pastoralità voluta da papa san Giovanni XXIII, che aveva in mente un Concilio che non fosse soltanto dogmatico bensì un gesto di amore verso il Signore e verso l’uomo. L’altro aspetto è quello dell’universalità: un progetto ampio, che ci offre il senso di una Chiesa come un popolo che cammina nella storia e che ha una grande diffusione in tutte le parti del pianeta, con intensità e realtà diverse, e una comune dimensione universale”.

Ed in questo ‘tempo’ quali saranno le linee guida dell’Azione Cattolica Italiana?

“L’Azione Cattolica Italiana ha messo a tema per questo triennio la speranza, che è soprattutto giubilare. Quindi vorremmo sviluppare alcune linee di lavoro che riguardano un’associazione, che deve essere capace di aiutare le persone a rimettere al centro della propria vita l’esperienza cristiana attraverso uno stile sinodale. Questo stile si traduce anche nella vita sociale attraverso la costruzione di reti per perseguire impegni per il bene comune.

Abbiamo il desiderio di accompagnare le persone nelle sfide quotidiane, lavorando nel dialogo intergenerazionale e di prenderci cura degli ambienti di vita, quale l’università od il mondo del lavoro e delle professioni, che sono spazi in cui l’associazione è presente con i propri movimenti, che vogliamo rilanciare attraverso proposte per la formazione culturale e spirituale”.

(Tratto da Aci Stampa)

Azione Cattolica Italiana: gli abbracci cambiano la vita

“La bellezza è con noi, salva il mondo. La bellezza siamo noi, siete voi, sono i nostri ragazzi e i nostri giovani… Ci interessa la politica. Noi non dobbiamo pensare a una teoria della democrazia, ma pensiamo a una prassi della democrazia, perché la democrazia è lo stile e lo stile è la regola a servizio a tutela dei più deboli. Con la vita democratica noi pensiamo di tenere tutti insieme, cioè la comunità. Accettiamo questa dialettica democratica, accogliamola, e condividiamola come costruzione di vita democratica… Tanti grazie. Un grazie al Signore per le cose che sta facendo alla nostra associazione, a cominciare dalla canonizzazione di Pier Giorgio Frassati. Anche il riconoscimento del Presidente della Repubblica, dedicando il palazzo del Csm a Vittorio Bachelet, sono dei segni non scontati, non automatici”.

Questa è stata la conclusione del presidente nazionale, prof. Giuseppe Notarstefano alla XVIII Assemblea nazionale dell’Azione cattolica italiana, conclusasi domenica 28 aprile a Sacrofano, che ha eletto i membri del nuovo Consiglio nazionale dell’Associazione per il triennio 2024/2027 per il settore ‘adulti’: Paola Fratini. Dalila Ardito, Angela Paparella, Donatella Broccoli, Fabio Dovis, Enrico Michetti, Francesco Vedana; per il settore ‘giovani’: Emanuela Gitto, Silvia Orlandini, Sofia Livieri, Martina Sardo, Lorenzo Zardi, Giovanni Boriotti, Marco Pio D’Elia; e per l’ACR: Claudia D’Angelo, Valentina Fanella, Chiara Basei, Giuseppe Telesca, Alberto Macchiavello,  Lorenzo Felici, Michele Romano.

Un’assemblea nazionale con una media di età dei delegati intorno ai 50 anni, che ha vissuto la notizia della canonizzazione del beato Pier Giorgio Frassati nel Giubileo del 2025, dato dal prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, card. Marcello Semeraro: “Questa sera, da ultimo, vorrei ricordare in particolare il beato Piergiorgio Frassati, la cui canonizzazione ormai si profila per il prossimo anno giubilare. Nell’omelia per il rito della sua beatificazione, avvenuta il 20 maggio 1990, san Giovanni Paolo II lo chiamò uomo delle Beatitudini”.

Richiamando il ritratto del beato Frassati, tratteggiato da p. Antonio Maria Sicari, il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi lo ha additato quale ‘meraviglioso modello di vita cristiana’: “Nella sua santità, dice, c’è un valore di continuità con la tradizione della sua terra: egli, infatti, si è innestato nel lavoro di difesa della fede, attraverso la carità profusa nel campo dell’emarginazione, prodotta dall’allora nascente contesto industriale.

C’è pure, tuttavia, un elemento di novità ed è il fatto di avere cercato di confrontare il valore della fede con tutto l’arco dell’esperienza umana, operando caritatevolmente in ogni ambito: negli ambienti dell’università, del lavoro, della stampa (Pier Giorgio raccoglieva abbonamenti non per il quotidiano di suo padre, ma per quello cattolico), dell’impegno politico e partitico, e dovunque era necessario difendere le libertà sociali, cercando sempre di concepire e fomentare l’associazionismo, come amicizia cristiana destinata alla nascita di un cattolicesimo sociale”.

Praticamente un santo con le ‘braccia aperte’, come il presidente della Cei, card. Matteo Maria Zuppi, ha indicato agli associati di Azione Cattolica, che si lasciano al contempo anche abbracciare per diventare ‘lievito’: “L’identità non la troviamo o non la difendiamo ad intra ma sempre ad extra, la perdiamo smettendo di essere lievito, sale della terra, luce del mondo e mettendola sotto il moggio di un’affermazione chiusa, che ha paura di incontrare, di illuminare tutta la stanza e quindi chiunque entra. Cosa non è nostro? Tutto è nostro ma solo se noi siamo di Cristo.

Ecco il senso di ‘braccia aperte’ che si aprono se la mente e il cuore sono aperti. Attenzione: aperti perché li abbiamo e li abbiamo pieni dell’amore di Cristo. Se ci lasciamo abbracciare da Dio, pecore perdute che si devono sempre farsi sollevare dal pastore, o dal figlio che ritrova se stesso proprio perché abbracciato dal padre”.

Un abbraccia a ‘braccia aperte’ che rimanda all’incontro iniziale di giovedì 25 aprile con papa Francesco da parte degli 80.000 tesserati, ha sottolineato l’assistente nazionale, mons. Claudio Giuliodori, nella celebrazione eucaristica conclusiva: “Ma non eravamo soli. Come delegati, abbiamo portato nel cuore il ricordo vivo di tutti i nostri associati, con molti dei quali abbiamo vissuto un indimenticabile incontro con papa Francesco in piazza san Pietro giovedì scorso.

Quel grande abbraccio che abbiamo ricevuto e scambiato resterà impresso nei nostri cuori e nella storia dell’Associazione. Gli abbracci mancati che tanto feriscono la vita degli uomini, l’abbraccio salvifico del Padre misericordioso che ci viene donato in Gesù Cristo e gli abbracci che cambiano la vita sono anche la cifra di questa Assemblea e costituiscono il paradigma del cammino associativo che ci vedrà impegnati con le nostre comunità diocesane e parrocchiali. Abbiamo gli occhi e il cuore pieni di momenti belli e coinvolgenti che non possiamo però considerare solo una toccante esperienza umana ed ecclesiale”.

Un’apertura con papa Francesco avvenuta, non a caso, giovedì 25 aprile (festa della Liberazione), come ha sottolineato, aprendo i lavori congressuali, il presidente Notarstefano, ribadendo la bellezza della vita democratica: “In questo tempo pervaso da pulsioni disgregative ad ogni livello della vita sociale, il messaggio che si leva dalla nostra assiste assembleare è quello di voler immaginare una via concreta e possibile di abitare la pluralità che si presenta oggi nella nostra società complessa, individuando soluzioni comunitarie alternative al potenziale scontro ed alla logica rivendicativa di singoli o di gruppi radicali che sorgono proprio per rafforzare ragioni singolari e particolari”.

La ‘sfida’ che attende i tesserati di Azione Cattolica è quella della responsabilità di custodire la democrazia: “Custodire e praticare nella libertà e nella fraternità la vita democratica costituisce per tutti noi una sfida che abbiamo di fronte e che siamo incoraggiati ad affrontare guardando all’entusiasmo e alla serietà che ci mostrano i bambini, i ragazzi e gli adolescenti (giovanissimi e studenti)”.

Una democrazia, che deve partire da un abbraccio che ‘salva’, che è quello del Padre misericordioso, come ha detto papa Francesco agli aderenti festanti, che conduce alla pace; abbracci fisici testimoniati dai ragazzi, che hanno raccontato di amicizie di fraternità nelle zone di guerra, come in Ucraina ed in Terra Santa, secondo l’invito del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa con un videomessaggio: “La prima cosa da fare è pregare, poi è importante parlare della Terra Santa, non lasciare cadere l’attenzione su questo conflitto che sta lacerando la vita di questi popoli, ma sta anche lacerando la vita della società in tante altre parti del mondo; perché quando il cuore, e noi siamo il cuore della vita del mondo, quando il cuore soffre tutto il corpo soffre”.

E’ stato un invito ad evitare polarizzazioni e semplificazioni, e vedere la realtà, senza dimenticare la ‘potenza’ della preghiera: “La realtà è così complicata e bisogna pregare per questa realtà, essere vicini, parlarne e cercare sempre di costruire relazioni. Quello che è ferito qui è la fiducia nell’altro, le relazioni, c’è invece bisogno di costruire relazioni, non erigere barriere. Ne abbiamo già abbastanza di barriere qui, abbiamo bisogno che ci aiutiate a costruire. E poi non avere paura, ma il coraggio di venire qui, magari dei pellegrinaggi diversi, alternativi, che possono aiutarci a comprendere che c’è una realtà fuori di qui e che abbiamo bisogno anche noi di alzare lo sguardo”.

Ecco come è stata disegnata dai colori della pace la giornata iniziale dell’assemblea di Azione Cattolica, che, attraverso la narrazione di Neri Macorè, ha ricordato l’accoglienza di ebrei e partigiani da parte di famiglie, che mettevano a rischio la propria vita: questa è anche stata la Resistenza cattolica, capace di abbracciare, nascondendoli, chi era braccato e cercava salvezza dai persecutori nazisti e fascisti.

Un abbraccio reso affascinante dalla musica dei ‘Rulli Frulli’, band di 60 elementi con i suoi strumenti riciclati e la sua verve instancabile, che include anche portatori di handicap. E non poteva mancare un abbraccio con il creato con il monologo sulla cura del cantante Giovanni Caccamo che ha presentato il ‘Manifesto del cambiamento’:

“Il mio obiettivo è quello di cercare di direzionare il mio sguardo verso quella minoranza di giovani che hanno ancora una visione di futuro, che hanno ancora una luce nel cuore. Di fatto ce l’hanno tutti. Il problema è che c’è chi riesce ancora a vederla e invece chi non la vede più… Chiunque si trova in un momento di impasse può ritrovare la propria strada”.

(Tratto da Aci Stampa)

25 aprile: il contributo dei cattolici alla liberazione dell’Italia

Dopo l’8 settembre e fino al termine della guerra (e magari anche oltre, considerando gli strascichi di violenza successivi al 25 aprile), una scelta si impose a moltissimi italiani ‘servire’ nelle file della Repubblica sociale italiana (Rsi) oppure ‘passare’ in montagna; si impose a un grande numero di preti, sul se e sul come accettare e coprire le decisioni dei propri fedeli oppure ottemperare o meno alle esigenti richieste delle parti in campo; si impose ancora a molte donne e molte religiose, e in tal caso maturò un autentico volontariato resistenziale (o viceversa fascista repubblicano).

Alla luce delle nuove sensibilità e delle più recenti ricerche risulta elevato il numero dei cristiani che operarono per salvare tutti coloro che si trovavano in pericolo, senza badare troppo alle appartenenze religiose o politiche. Al panorama organizzativo e solidale già noto si sono aggiunti i recuperi di figure finora trascurate: da Odoardo Focherini a padre Placido Cortese e a Giovanni Palatucci (per citare solo tre tra le tante vittime cristiane della propria generosità verso i perseguitati), o di nuovi ‘Giusti tra le nazioni’ come l’ex podestà di Cagliari Vittorio Tredici.

Lo stesso Giuseppe Dossetti nell’immediato dopoguerra si rivolgerà al suo maestro di spiritualità, don Dino Torreggiani, contestandogli amichevolmente: ‘Ci avete fatto lavorare molto, ma non ci avete educato a capire il fascismo’. Anche Giuseppe Lazzati lasciò trasparire la sua critica temporalmente successiva verso chi ‘insegnava la indifferenza della chiesa per i regimi politici’.

Con la Resistenza i cattolici maturano un nuovo progetto democratico, che può essere sintetizzato nella solenne affermazione di Teresio Olivelli ne ‘Il ribelle’: “Siamo dei ribelli: la nostra è anzitutto una rivolta morale. Contro il putridume in cui è immersa l’Italia svirilizzata, asservita, sgovernata, depredata, straziata, prostituita nei suoi valori e nei suoi uomini… La nostra rivolta non data da questo a quel momento, non va contro questo o quell’uomo, non mira a questo o quest’altro punto del programma: è rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione del mondo. Mai ci sentimmo così liberi come quando ritrovammo nel fondo della nostra coscienza la capacità di ribellarci alla passiva accettazione del fatto brutale”.

L’apporto dei cattolici alla Resistenza è stato molto importante, come ha sottolineato lo storico Vittorio Emanuele Giuntella: “La presenza dei cattolici militanti nella Resistenza è… assai più frantumata e sfugge ad una rilevazione numerica, o a una sistematica classificazione, come si è tentato di fare da più parti, con intenti denigratori o apologetici, nella polemica successiva. Nella condizione storica e geografica della Resistenza non si avrà mai abbastanza attenzione alla casualità dell’adesione a una formazione, o all’altra, per la vicinanza topografica, il prestigio goduto, la omogeneità (ex alpini, paesani della stessa valle, ceti sociali identici), l’urgenza della scelta, prescindendo dall’assunzione o meno dell’ideologia, che ispirava la formazione nella quale si entrava”.

Quindi la rete capillare delle parrocchie fu fondamentale; ed i sacerdoti pagarono questo schierarsi: più di 200 furono uccisi dai nazifascisti, in rappresaglie ed in esecuzioni sommarie, per punire, in maniera esemplare, la loro collaborazione con i partigiani. Durante i mesi della Resistenza, pur nell’unità d’intenti per raggiungere l’obiettivo della fine della guerra e dell’oppressione nazifascista e lavorare per un futuro di progresso e di democrazia, emersero alcune fondamentali differenze tra i cattolici e i comunisti, sul comportamento durante la guerra ma anche sul dopo.

Per questo l’Azione Cattolica Italiana ha ‘lanciato’ nel 2020 un portale intitolato ‘Biografie Resistenti’, un progetto curato dall’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI. Il lavoro, in continua opera di aggiornamento, ha previsto una prima fase di censimento di soci, socie e assistenti di Azione cattolica che hanno partecipato attivamente e in vario modo alla lotta di liberazione nazionale e, successivamente, la schedatura dei nominativi individuati attraverso la descrizione dei dati biografici essenziali.

Come dimostrano cifre e testimonianze raccolte nella documentazione archivistica dell’Isacem, i tesserati dell’Azione Cattolica morti nella Resistenza (tra laici e ecclesiastici) furono 1.481: tra essi si contano 112 medaglie d’oro, 384 medaglie d’argento, 358 medaglie di bronzo, alle quali bisogna aggiungere un numero non definito di altre onorificenze militari e il titolo di ‘giusto fra le nazioni’. A questi vanno inoltre sommati tutti quelli che, pur non ottenendo un’onorificenza, parteciparono alla lotta contro l’occupante come combattenti, staffette, cappellani militari o membri dei Comitati di liberazione nazionale locali.

Sottolineando il contributo dei cattolici alla Resistenza il prof. Paolo Trionfini, direttore dell’Isacem e docente incaricato di Geopolitica contemporanea alla Lumsa di Roma, ha ribadito che l’incontro dei soci dell’Azione Cattolica con papa Francesco nel giorno della Liberazione è una data che invita a riflettere sul significato di Resistenza: “Come potevano i cattolici che avevano deciso di imbracciare un’arma sentirsi sicuri nella loro scelta, quando anche la condanna della violenza continuava a essere il tratto distintivo, tanto più che iniziava una guerra civile? In effetti, su questo punto, si aprì uno dei casi di coscienza più angoscianti e tormentati per i cattolici, perché chi era convinto della necessità e della giu­stezza della causa resistenziale rimaneva, tuttavia, perplesso sull’uso della violenza che necessariamente la guerra partigiana implicava.

Le risposte a tali interrogativi e dubbi non furono univoche all’interno del mondo resistenziale. Per rimanere a esponenti dell’Ac, Giuseppe Dossetti, ad esempio, fin dal settembre del 1943, si dichiarò personalmente contrario all’uso delle armi, senza per questo voler condizionare altri tipi di scelta. Il riminese Alberto Marvelli, beatificato nel 2004, fu contrario non solo alla violenza ma anche alla partecipazione alla Resistenza, prodigandosi per alleviare le sofferenze materiali e morali della popolazione. La maggior parte dei cattolici che fece la scelta dì militare nelle formazioni partigiane si convinse, comunque, dell’inevitabilità dell’uso delle armi, cercando, per quanto possibile, come avrebbe ricordato Ermanno Gorrieri, di umanizzare gli aspetti più crudi della guerra partigiana”.

Infine l’Associazione Nazionale Partigiani Cattolici ANPC) ha ricordato che la Costituzione Italiana nasce dalla Resistenza: “La Resistenza ha fondato la Costituzione, baluardo di diritti e di doveri per una nazione capace di autodeterminarsi e dedicare la propria sovranità per ripudiare la guerra e ogni discriminazione. L’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani è ancora qui e sempre ci sarà per continuare una battaglia pacifica a difesa dei valori della libertà e della democrazia e quindi contro ogni forma di razzismo, antisemitismo e apologia di regimi illiberali e criminali”.

Per tale associazione la Resistenza non potrà essere dimenticata dalla storia: “Esprimiamo solidarietà agli ebrei italiani e in particolare agli ebrei romani che continuano a essere offesi dopo le atrocità subite dal regime fascista delle leggi razziali. La ‘Resistenza ora è sempre’ è il manifesto di un impegno che non potrà mai venire meno e al quale educare le giovani generazioni che, lontane dai fatti storici, devono sentirsi protagoniste di un futuro costruito per dire mai più alla guerra.

Il 25 aprile 2024 è alla vigilia di una importante convocazione elettorale per eleggere il Parlamento europeo. I nostri martiri hanno combattuto e sognato patrie in pace in una Europa in pace: a loro forti del loro esempio e della loro eredità tocca il destino di dobbiamo essere non pacifisti ma operatori di pace”.

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

L’Azione Cattolica Italiana accoglie il papa ‘A braccia aperte’

Venerdì 19 aprile è stato presentato l’incontro dell’Azione Cattolica Italiana, che aprirà i lavori della XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’Ac, ‘Testimoni di tutte le cose da lui compiute’, con papa Francesco, che si svolgerà giovedì 25 aprile 2024 in piazza San Pietro alla presenza di 50.000 persone, provenienti da tutte le diocesi italiane con l’invito ‘A braccia aperte’ per una giornata di dialogo in seno alla Chiesa ma aperta alla partecipazione di tutti coloro che vorranno esserci per fare un’esperienza viva di Chiesa sinodale, come ha sottolineato  il presidente nazionale  dell’Azione cattolica italiana Giuseppe Notarstefano:

”Abbiamo voluto vivere questo incontro nella dimensione ordinaria, in un tempo in cui la questione della democrazia e delle sue sfide è sotto gli occhi di tutti. Lo viviamo come un’espressione di vita democratica che coinvolge soprattutto i ragazzi. Ricordo che i nostri responsabili sono frutto di un percorso di elezione democratica che vedrà il suo culmine nell’elezione dei nuovi organi durante l’Assemblea generale che seguirà l’incontro con il papa.

In questo tempo complicato e difficile per l’intera vita della Chiesa, noi guadiamo con grande fiducia all’impegno che tutti noi di Ac possiamo porre verso la comunità. Siamo molto preoccupati per la guerra, alla quale ci stiamo forse rassegnando. Noi di Ac vogliamo ribadire che la pace deve essere il nostro obiettivo e che occorre tessere quell’artigianato di pace di cui parla papa Francesco”.

Mentre l’Assistente ecclesiastico generale dell’Associazione, mons. Claudio Giuliodori, ha ricordato lo stretto legame dell’Azione Cattolica Italiana con i papi: “Questo evento è frutto di una consuetudine che lega l’Ac ai pontefici. Con papa Francesco la tradizione di legame con la Santa Sede si è consolidato attraverso tanti incontri; l’incontro per i 150 anni dell’Azione Cattolica. Siamo in attesa delle parole del papa perché sono sempre parole che stimolano e provocano.

Vogliamo esprimere la vicinanza al pontefice sui temi a cui lui tiene molto. Vogliamo affiancarlo nel cammino sinodale della Chiesa in Italia e lo slogan, A braccia aperte, vuole essere traduzione plastica di questo camminare insieme come comunità consapevole di dover procedere in maniera sinergica valorizzando le diversità e andando incontro a uomini e donne di questo tempo. L’enciclica ‘Fratelli Tutti’ è la piattaforma di questo evento di piazza con il papa”.

La vicinanza al papa è sottolineata anche dal messaggio dei vescovi italiani con l’invito a stare in ‘prima linea’: “Attendiamo da voi la testimonianza cristiana nell’ambito sociale e politico, ora tanto urgente. Ripercorrendo la storia dell’Azione Cattolica in Italia, molte conquiste sociali sono state ottenute proprio grazie ai vostri padri e alle vostre madri. Numerosi soci hanno lasciato una traccia umana e cristiana ancora valida per il nostro tempo. Basta ricordare la bellezza della vita del beato Pier Giorgio Frassati per capire che oggi bisogna coltivare la passione evangelica in ciascuno”.

E’ un invito ad uscire dalla mediocrità sull’esempio del beato Frassati: “La mediocrità non appartiene alla nostra fede. Frassati lascia questo messaggio forte: il Vangelo è vita in ciascuno di noi. Bisogna vivere la forza del lieto annuncio quotidianamente. Guardate alla sua testimonianza, mentre percorriamo la strada della sinodalità nelle nostre comunità. Siamo consapevoli del supporto che date al Cammino sinodale delle Chiese in Italia e di questo vi siamo grati, così come per la cura con cui accompagnate la formazione di un laicato maturo e responsabile, capace di assumere le sfide ecclesiali e sociali del nostro tempo. Riecheggiano, però, le parole del beato Frassati: vivere, non vivacchiare!”

Però l’incontro si svolgerà in una data simbolo dell’Italia democratica e per questo Neri Marcorè leggerà alcuni brani per ricordare la Resistenza dei cattolici, che hanno partecipato alla lotta partigiana contro il Nazifascismo e per la liberazione dell’Italia, come ha ribadito il presidente Notarstefano:

“La data del 25 aprile ci dà la possibilità di ricordare un progetto che è stato messo in campo dall’Associazione e in particolare dall’Istituto Paolo VI, in cui viene trattata la storia del movimento cattolico: ‘Biografie resistenti’ progetto curato da storici e studiosi, ma anche aperto agli iscritti  all’associazione. Sacerdoti e laici e soprattutto giovani di Ac come Tina Anselmi che dentro le sue fila hanno maturato scelte importanti che sono state a volte persino scelte di martirio come quella di Gino Pistoni”.

Durante la conferenza stampa, inoltre, sono stati presentati i dati del Bilancio di sostenibilità 2024, in cui è stato evidenziato che l’associazione è in crescita: dopo il calo di soci/e dovuto alla pandemia di Covid 19, per il secondo anno consecutivo si è registrato un + 3,7% di iscritti sull’anno precedente, superando quota 200.000 (221.598). I responsabili associativi sono 38.111 per un totale stimato di 5.000.000 di ore donate per l’associazione ogni anno. Gli educatori e gli animatori dei ragazzi e giovani di Ac sono circa 42.000, per un totale di 7.500.000 di ore donate.

Significativa anche la cifra dei soci impegnati nel volontariato (circa 20.000), nel sindacato e nelle associazioni (circa 1.500), in politica (circa 2.500) ed il numero degli assistenti ecclesiastici nelle diocesi e nei territori (6.900).

Per questo ad inizio aprile l’Azione Cattolica Italiana ha vinto il secondo premio del contest sui bilanci di sostenibilità promosso da ‘Buone Notizie’, l’inserto del Corriere che racconta le buone pratiche e il bene esistente in giro per il Paese, e da ‘NeXt – Nuova Economia per Tutti’, associazione nazionale di promozione sociale che ha l’ambiziosa mission di cambiare dal di dentro i modelli economici dominanti.

Sono state più di 250 le realtà iscritte alla terza edizione del premio (+49% al 2023), suddivise in varie categorie (grandi, medie, piccole aziende ed enti del Terzo Settore), a significare come il tema interessi sempre più realtà del Paese e come stia diventando importante raccontare e misurare il proprio impegno e i propri sforzi nell’azione non finanziaria. I pilastri della rendicontazione restano quelli ormai riconosciuti a livello internazionale, gli ESG, che delineano in maniera dettagliata il concetto di sostenibilità: l’attenzione verso l’ambiente (environmental), il sociale (social) e la governance.

Ritirando il premio, il vicepresidente nazionale per il settore adulti, Paolo Seghedoni, ha espresso soddisfazione per il traguardo raggiunto: “Siamo molto contenti perché l’Ac ha cominciato tempo fa questo percorso sulla strada della sostenibilità. Il miglioramento che c’è stato nel documento premiato quest’anno non riguarda solo la rendicontazione, ma soprattutto il dinamismo che ci ha portati ad uscire dalla nostra zona di comfort e che sta diventando sempre di più radicato nei territori in cui abitiamo e in cui viviamo”.

(Foto: Alessia Giuliani)

Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica: occorre prendersi cura della vita

Da un anno l’Azione Cattolica Italiana ha intrapreso il percorso verso la celebrazione della XVIII Assemblea nazionale, in programma a Roma dal 25 al 28 aprile, attraverso un processo sinodale di partecipazione da parte di tutti soci, ragazzi giovani e adulti, in quasi tutte le diocesi italiane e in oltre 4500 realtà parrocchiali e interparrocchiali. Un processo possibile grazie all’impegno quotidiano dei suoi oltre 38.000 responsabili associativi e dei circa 7000 assistenti presenti ad ogni livello della vita associativa:

“Un tessuto associativo fatto di volti che abbiamo incontrato da vicino, di storie che abbiamo accolto, di fatiche che abbiamo abbracciato, di interrogativi con cui ci siamo misurati, lo abbiamo fatto insieme a tutta la Presidenza nazionale nei tanti incontri avvenuti lungo tutto il Paese.

Sono state occasioni preziose in cui abbiamo contemplato con stupore la resilienza di una vita associativa che sa ripensarsi proprio come cura di persone e di relazioni, sfuggendo alla tentazione del funzionalismo e alla trappola di un efficientismo privo di anima e di prospettive”, ha sottolineato il presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, prof. Giuseppe Notarstefano, docente di statistica alla Lumsa di Roma, autore del libro ‘Verso noi. Prendersi cura della vita di tutti’.

L’invito del presidente nazionale è quello di vivere la complessità nella ‘logica comunitaria’ alla ricerca di soluzioni a sfide che sempre più accomunano: “La vita comunitaria richiede il riconoscimento della pluralità e della varietà come valore più che come problema, occorre pertanto ripensare meccanismi e dispositivi sociali che siano più in grado di sostenere la capacità di tenere insieme il pluralismo senza per questo rassegnarsi ad immaginare la vita in comune come composizione di differenze esposta alla violenza, alla barbarie, alla lotta per la sopravvivenza.

Il ben-vivere delle comunità è ordinato ad una regolazione condivisa all’accessibilità e alle risorse per poter vivere; ogni forma di concentrazione, sia delle risorse sia del potere di regolazione, diventa una minaccia per il buon vivere di tutti, creando disuguaglianze e mettendo sempre più in contrapposizione le persone. Tanto la tecnologia quanto la finanza sono indubbiamente dei dispositivi sociali che influiscono pesantemente nella produzione di disuguaglianze, divenendo sempre più determinanti di conflitti sociali”.

Perché il ‘ben-vivere’ ha bisogno della cura?

 “Il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo sollecita una profonda conversione spirituale globale, ecologica e pastorale. Siamo chiamati a uscire dalla crisi, affrontando insieme la sua complessità. La prospettiva sinodale rigenera pertanto la vita ecclesiale, ma anche quella sociale e civile. L’Azione Cattolica, incoraggiata da papa Francesco è chiamata a favorire un cammino sinodale non astratto né autoreferenziale, ma si propone come spazio di cura, di accompagnamento fraterno e di servizio nella gratuità.

L’Azione Cattolica è chiamata a sincronizzare vite sempre più frammentate ed ‘in movimento’; l’associazione è impegnata nella paziente e umile tessitura di un ‘noi più grande’, per una nuova cultura dell’alleanza. Allora, eccola davanti a noi la città che sale, che cresce e si espande, diventa attrattiva per ogni uomo e ogni donna di questo pianeta”.

In quale modo è possibile prendersi cura della vita di tutti?

“Bisogna riconoscere che il ‘noi’ rappresenta la bellezza della comunità. Il grande ‘sogno’ di Giorgio La Pira di ricostruire il cammino della famiglia umana; la bellezza di sentirsi ‘tutti fratelli’ intorno ad una grande mensa. In questo tempo, così frammentato, in cui prevale un senso individualistico del vivere, credo che sia importante ricominciare a lavorare per una nuova tessitura dei legami; una tessitura che sia fraterna e capace di includere tutte le persone e costruire relazioni significative di cura. Allora, prendersi cura significa avere a cuore la vita degli altri. Credo che questo sia anche il compito della nostra associazione”.

In quale modo l’Azione Cattolica Italiana può educare alla cura?

“La stessa Azione Cattolica è esperienza di fraternità, in quanto è un luogo dove si cresce vivendo insieme. Le riunioni od il fare gruppo sono alcune modalità in esprimiamo il desiderio di crescere e di vivere insieme. Questo è anche un modo per educarsi e prendersi cura attraverso esperienze vive, accompagnandosi nella vita di fede, nella vita della comunità; così nel passaggio dei momenti ‘difficili’ della vita, dall’adolescenza alla vita adulta, alla costruzione di una vita di famiglia. In questi passaggi l’associazione cerca di esserci e di farsi compagnia per le persone”.

I cattolici sono ‘attrezzati’ per prendersi cura?

“La cura di cui parliamo non è specialistica e tanto meno quella sanitaria. Questa cura nasce dalla condivisione; è una cura che ha come cuore l’Eucarestia, che corrisponde a ‘date voi stessi da mangiare’, che Gesù dice ai discepoli quando di fronte ai discepoli che si sentono senza risorse nel rispondere alla richiesta delle persone.

Cosa vuol dire questo episodio evangelico? Vuol dire di trovare il modo di condividere quello che avete e farlo diventare ricchezza per tutti. In questo senso penso che la cura sia la bellezza di una vita donata e condivisa, che nell’associazione si sperimenta attraverso una crescita di condivisione e di gratuità, dedicando tempo tra i ragazzi e tra gli adulti. E’ una storia di gratuità, che attraversa la fatica, diventando un’esperienza di gioia”.

Quale fede è necessaria per la vita quotidiana della cura?

“Credo che sia importante riscoprire il valore del tempo, perché la cura ha bisogno di tempo. In una società che corre velocemente dobbiamo saperci fermare per donarci del tempo. Del resto lo afferma la sapienza della Chiesa: l’anno liturgico è un’alternanza di momenti intensi e belli, in cui il Signore ci chiede di andare in disparte con Lui. Dobbiamo avere questa capacità in questo tempo così complicato di aiutare le persone a fermarsi per gustare la bellezza di rimanere con Lui e farlo dentro l’esperienza della comunità. Allora prendersi cura è dare del tempo, che significa scoprire la bellezza del tempo donato agli altri”.

(Tratto da Aci Stampa)

Dall’Azione Cattolica Italiana ‘la Chiesa che sogniamo’

E’ stato il presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Giuseppe Notarstefano, a tracciare un bilancio dell’Incontro nazionale delle presidenze diocesane dell’associazione, svoltosi a Castel Gandolfo nelle scorse settimane, sulla Chiesa sinodale ‘La Chiesa che sogniamo’, a cui hanno preso parte anche il presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, ed il segretario generale, mons. Giuseppe Baturi.

Papa Francesco invita a seguire l’esempio di Armida Barelli

“Beatissimo Padre, carissimo papa Francesco, è davvero grande la gioia di poterLa incontrare in questa giornata di ringraziamento per la beatificazione di Armida Barelli. Ed è con enorme emozione che Le porgo il saluto di tutti i presenti, giunti in migliaia da tutte le parti d’Italia (e non solo), segno dell’affetto e della devozione che ci lega alla beata, e che supera i confini nazionali.

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