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Il papa dei semplici, oltre la tempesta la vita
Papa Paolo VI, nato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, (Concesio, 26 settembre 1897 – Castel Gandolfo, 6 agosto 1978), fu beatificato nel 2014 e proclamato santo il 14 ottobre 2018 da papa Francesco. Papa Montini nacque il 26 settembre 1897 in un piccolo paese a nord di Brescia. Era il secondogenito dell’avvocato Giorgio Montini e della giovane della piccola nobiltà rurale Giuditta Alghisi. Nacque nella casa per le vacanze estive dei genitori. Venne battezzato il 30 settembre 1897, giorno in cui morì Santa Teresa di Lisieux, nella chiesa parrocchiale di Concesio (dove ancora oggi è conservato il fonte battesimale originario). Fu battezzato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini.
I suoi fratelli erano l’avvocato, deputato e senatore della Repubblica Lodovico (1896- 1990) e il medico Francesco(1900 – 1971). Il padre, al momento della nascita del futuro pontefice, era giornalista e dirigeva il quotidiano cattolico Il Cittadino di Brescia. Nel 1903, a causa della salute cagionevole, venne iscritto come studente esterno nel collegio Cesare Arici di Brescia, retto dai padri Gesuiti. Frequentò la stessa scuola fino al liceo classico, partecipando attivamente ai gruppi giovanili degli oratoriani di Santa Maria della Pace. Nel 1907 compì il suo primo viaggio con la famiglia a Roma, in occasione di un’udienza privata di papa Pio X. Nel giugno dello stesso anno ricevette la prima comunione e la cresima. Nel 1916 ottenne la licenza presso il liceo statale Arnaldo da Brescia e nell’ottobre dello stesso anno entrò, come studente esterno, nel seminario della sua città. Dal 1918 collaborò con il periodico studentesco La Fionda, pubblicando articoli di notevole spessore. Nel 1919 entrò nella FUCI. Il 29 maggio 1920 ricevette l’ordinazione sacerdotale nella
cattedrale di Brescia. il giorno successivo celebrò la sua prima messa nel Santuario di Santa Maria delle Grazie di Brescia, concludendo i suoi studi in quello stesso anno a Milano con il dottorato in diritto canonico. Nel novembre dello stesso anno si trasferì a Roma e studiò Diritto civile, Diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Frequentò i corsi di Lettere e filosofia all’Università statale ed entrò nell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici. Nel 1923, iniziò gli studi diplomatici presso la Pontificia accademia ecclesiastica. Su richiesta di papa Pio XI, iniziò così la sua collaborazione con la Segreteria di Stato, rinunciando per sempre all’esperienza parrocchiale da lui desiderata. Nel 1923, fu inviato a Varsavia da giugno alla nunziatura apostolica. Continuò a finanziare anche a distanza le opere della Biblioteca Morcelliana di Brescia, il cui obiettivo principale era una ‘cultura cristiana ispirata’ per tutti.
Quella di Varsavia fu l’unica esperienza di diplomazia estera di Montini. Come Achille Ratti prima di lui, Montini dovette confrontarsi con il problema del nazionalismo locale che trattava gli ‘stranieri’ come nemici, in particolare quelli con cui lo stato aveva ‘frontiere comuni, quasi che uno’ cercasse ‘l’espansione del proprio paese a spese degli immediati vicini’. La gente cresceva provando ciò e la pace diventava ‘un compromesso di transizione tra le guerre’. Quando venne richiamato a Roma, Montini ne fu lieto e disse: ‘Questo conclude un episodio della mia vita, utile certo, ma non una delle esperienze più felici che io abbia mai provato’. A differenza di Giovanni Paolo II, Montini non tornò più in Polonia, nemmeno quando chiese il permesso come papa per un pellegrinaggio mariano. Tale permesso gli venne negato dal governo comunista dell’epoca perché non era nemmeno natio di quella terra, come nel caso di Giovanni Paolo II.
Rientrato in Italia nel 1924, Montini conseguì le lauree in filosofia, diritto canonico e diritto civile. Nell’ottobre 1925, diventò assistente ecclesiastico nazionale della FUCI. Collaborò con il presidente nazionale, Igino Righetti, nonostante un’iniziale diffidenza tra i due. Tra studenti che vedevano con sospetto la nuova dirigenza imposta forzatamente dalle gerarchie, i due riuscirono a migliorare il loro rapporto. Montini sperimentò ben presto le resistenze opposte da alcuni ambienti della Chiesa, come i Gesuiti, i quali resero difficile il suo compito e lo portarono a dare le dimissioni in meno di otto anni.
Le problematiche originavano da divisioni ecclesiastiche sul comportamento da tenere nei confronti del fascismo e sugli atteggiamenti culturali e le scelte educative. Nel 1931, durante il suo lavoro nella FUCI, Montini fu inviato in Germania e Svizzera, per organizzare la diffusione dell’enciclica Non abbiamo bisogno, nella quale Pio XI condannava lo scioglimento delle organizzazioni cattoliche da parte del regime fascista. Nel 1933, concluse il suo impegno come assistente ecclesiastico nazionale della FUCI.
Il 13 dicembre 1937, Montini fu nominato sostituto della Segreteria di Stato. Iniziò a lavorare strettamente con il cardinale segretario di Stato Eugenio Pacelli. Il 10 febbraio 1939, alle soglie della seconda guerra mondiale, morì papà Pio XI a causa di un improvviso attacco cardiaco. Successiva mente, Pacelli venne eletto pontefice con il nome di Pio XII. Poche settimane dopo, Montini collaborò alla stesura del radiomessaggio di papa Pacelli, andato in onda il 24 agosto, nella speranza di scongiurare la guerra. Durante tutto il periodo bellico, egli svolse un’intensa attività nell’Ufficio informazioni del Vaticano, occupandosi dello scambio di informazioni sui prigionieri di guerra, civili e militari.
In questo periodo fu l’interlocutore principale delle autonome iniziative segrete intentate dalla principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, contattare gli americani e firmare una pace separata, seppur senza successo. Il 19 luglio 1943, Montini accompagnò Pio XII nella visita al quartiere di san Lorenzo, colpito dai bombardamenti alleati. A guerra finita, ci furono violentissime polemiche sul ruolo della
Chiesa, in particolare di Pio XII, il quale fu accusato di non aver preso posizione contro il nazismo, in quanto collaborazionista. Montini fu colpito relativamente, nonostante la vicinanza al Papa, in quanto quando i nazisti occuparono Roma era il Segretario di Stato Luigi Maglione ad intrattenere relazioni con la diplomazia tedesca. Inoltre, Montini si occupò più volte, a vario titolo, dell’assistenza che la Chiesa forniva ai rifugiati e agli ebrei. Distribuì spesso provvidenze economiche a nome di Pio XII. La chiesa, proprio perché non collaborazionista con gli invasori, riuscì anche a salvare oltre 4 000 ebrei romani dalle deportazioni. Nel1944, dopo la liberazione di Roma, morì il cardinale Maglione e Montini assunse la carica di Pro-segretario di Stato, insieme a Domenico Tardini (futuro segretario di Stato di Giovanni XXIII). Questo lavoro lo porto a collaborare ulteriormente con Pio XII.
Dopo la guerra, Montini cercò di salvaguardare il mondo cattolico dalla diffusione delle idee marxiste in modo meno aggressivo rispetto a molti altri delle stesse idee. Nelle elezioni amministrative appoggiò Alcide De Gasperi, politico che stimava. Il 29 novembre 1952, Pio XII suddivise le funzioni dei due pro-segretari di Stato e affidò a Montini gli affari ordinari. Il 1º novembre 1954, morì dopo Alfredo Ildefonso Schuster. Pio XII nominò Montini arcivescovo di Milano. Questo provocò diverse discussioni sulle motivazioni del papa al riguardo che, però, non sono ancora state del tutto chiarite.
Montini divenne vescovo il 12 dicembre e il 6 gennaio 1955 prese possesso dell’arcidiocesi, sapendo risollevare le precarie sorti della Chiesa lombarda nonostante i problemi economici della ricostruzione, l’immigrazione dal sud, il diffondersi dell’ateismo e del marxismo. Nei primi mesi del suo episcopato, Montini mostrò grande interesse per le condizioni dei lavoratori e contattò personalmente unioni e associazioni e tenne conferenze e relazioni sul tema.
A Milano disse più volte di considerarsi un liberale, chiedendo ai cattolici di non amare solo chi condivideva la loro fede, ma anche gli scismatici, i protestanti, gli anglicani, gli indifferenti, i musulmani, i pagani, gli atei ecc., iniziando lui stesso ad avere rapporti con un gruppo di chierici anglicani in visita alla cattedrale milanese e con Geoffrey Francis Fisher, arcivescovo di Canterbury.
Fece in modo che le riforme liturgiche volute da Pio XII fossero portate a compimento anche a livello locale utilizzando anche grandi manifesti affissi per le vie di Milano e provincia che annunciavano la cosiddetta ‘Grande missione di Milano’. Organizzò incontri per predicare in 302 sedi: chiese, fabbriche, case, cortili, scuole, uffici, caserme, ospedali, alberghi… Arrivò a La Scala, la Borsa, il Rotary e il Circolo della Stampa. Tra le sue parole ci furono: ‘Se solo noi potessimo dire Padre Nostro sapendo cosa significhi, noi capiremmo dunque la fede cristiana’.
A ottobre del 1957, Pio XII convocò a Roma Montini perché questi gli riferisse di tale sua nuova attività. in quella occasione presentò al pontefice il Secondo Congresso Mondiale per l’Apostolato Laico. Dopo la morte di Pio XII, venne eletto Giovanni XXIII, il quale stimava da sempre Montini e lo nominò cardinale il 15 dicembre 1958. Angelo Giuseppe Roncalli, nuovo papa, prima di essere pontefice, scherzando con i familiari, disse: ‘Ora resterebbe solo il papato, ma il prossimo papa sarà l’arcivescovo di Milano’. Alla vigilia del conclave che lo avrebbe eletto, Roncalli disse al suo segretario :‘Se ci fosse stato Montini, non avrei avuto una sola esitazione, il mio voto sarebbe stato per lui’. Così iniziarono i viaggi del futuro papa. Nel 1960, visitò Brasile, Stati Uniti (come New York, Washington, Chicago, l’Università di Notre Dame in Indiana, Boston, Filadelfia e Baltimora).
Nel 1962 andò in Africa dove visitò il Ghana, il Sudan, il Kenya, il Congo, la Rhodesia, il Sudafrica e la Nigeria. Di ritorno da questa esperienza, Giovanni XXIII gli diede udienza privata pe avere un resoconto della situazione da lui vista personalmente. Durante il pontificato di Roncalli, Montini fu membro attivo della commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, aperto con una solenne celebrazione l’11 ottobre 1962. Il Concilio però si interruppe il 3 giugno 1963 per la morte del papa. A questo punto, Montini era visto come possibile pontefice per via dei suoi stretti legami con i due papi precedenti e sue particolari abilità.
A differenza di Giovanni XXIII, che era giunto al Vaticano all’età di 76 anni, nonostante si sentisse sempre fuori posto negli ambienti professionali della Curia romana del tempo, il sessantacinquenne Montini, conosceva bene i lavori interni all’amministrazione della curia, avendovi preso parte. Montini era visto come buon candidato anche perché non era considerato né di sinistra né di destra, ma non era neanche un riformatore radicale, a differenza di altri cardinali papabili. Era la persona più adatta a concludere il Concilio Vaticano II. Montini fu eletto papa al sesto ballottaggio del conclave, il 21 giugno, e scelse il nome di Paolo VI.
Quando il decano del Collegio dei Cardinali Eugène Tisserant gli chiese se accettasse o meno la sua elezione, Montini accettò dicendo ‘Accepto, in nomine Domini’ (“Accetto, in nome del Signore”). Nonostante il conclave avesse avuto delle problematiche tanto da smuovere il cardinale Testa che calmò i detrattori di Montini, tutto andò bene: la fumata bianca apparve alle 11:22, il cardinale Alfredo Ottaviani- Protodiacono- annunciò l’elezione di Montini. Il nuovo papa apparve alla loggia centrale della Basilica di San Pietro, impartendo la tradizionale benedizione Urbi et Orbi.
L’incoronazione si svolse in piazza San Pietro la sera di domenica 30 giugno. Due giorni dopo la sua elezione, ricevette la visita di John Fitzgerald Kennedy, il primo presidente cattolico degli Stati Uniti, che stava effettuando un viaggio nelle capitali europee. Il colloquio nella biblioteca privata si svolse completamente in inglese. Paolo VI incontrò subito i sacerdoti della sua nuova diocesi e spiegò loro come a Milano egli avesse iniziato il dialogo con il mondo moderno e chiese loro di proseguire questa opera. Sei giorni dopo la sua elezione egli annunciò per questo scopo la riapertura del concilio, prevista già per il 29 settembre 1963.
In un messaggio radio al mondo, Paolo VI richiamò alcune delle virtù dei suoi predecessori: la forza di Pio XI, la saggezza e l’intelligenza di Pio XII e l’amore di Giovanni XXIII. Tra gli obiettivi di Paolo VI per dialogare con il mondo vi furono: la riforma del diritto canonico, il miglioramento della pace sociale e della giustizia nel mondo. L’unità della cristianità fu uno dei suoi principali impegni come pontefice. Uomo mite e riservato, dotato colto e con una intensa vita spirituale, segui il percorso innovativo iniziato da Giovanni XXIII, concludendo il Concilio Vaticano II. Mentre la società tendeva a separarsi dalla spiritualità instaurando un difficile rapporto Chiesa-mondo, Paolo VI indicò la fede e l’umanità come strade per la solidarietà e il bene comune.
A tal proposito, a soli venti giorni dall’elezione, diede avvio alla missione dell’Associazione Femminile Medico-Missionaria a Chirundu, in Africa. Un anno prima si era recato personalmente sul posto per stabilire la costruzione di un ospedale missionario che, oggi, porta il suo nome. Continuò a tenere unita la chiesa, nonostante venisse ancora accusato dagli ultratradizionalisti di aperture eccessive, se non addirittura di modernismo. Gli ecclesiastici più vicini al socialismo, invece, lo incolpavano di immobilismo. Nel 1964, rinunciò all’uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare i più bisognosi. Il cardinale Francis Joseph Spellman, arcivescovo di New York, la acquistò con una sottoscrizione che superò il milione di dollari, e da allora è conservata nella basilica dell’Immacolata Concezione di Washington.
Nel 1964, il papà andò per la prima volta in Terra Santa. Per la prima volta un pontefice viaggiò in aereo e tornava nei luoghi della vita di Cristo. Durante il viaggio indossò la Croce pettorale di San Gregorio Magno, conservata nel Duomo di Monza. In occasione di questa visita Montini abbracciò il patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora I, recatosi anch’egli in Palestina appositamente per questo incontro. Inoltre, Paolo VI decise di continuare il Concilio Vaticano II e lo portò a compimento nel 1965. Lo guidò con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica e aprendolo ai temi del Terzo mondo e della pace. Durante il Concilio Vaticano II, i padri conciliari e quanti seguirono le mosse del cardinale Augustin Bea, presidente del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, ottennero il pieno supporto di Paolo VI.
Questo nel tentativo di assicurare che il linguaggio del Concilio fosse amichevole e sensibile anche per confessioni religiose cristiane non cattoliche (protestanti o gli ortodossi), che, seguendo l’esempio di papa Giovanni XXIII, invitò in rappresentanza a ogni sessione. Il cardinale Bea venne coinvolto anche nel passaggio del Nostra aetate, che regolò le relazioni tra Chiesa e religione ebraica. Con la riapertura del Concilio nella seconda sessione, il 29 settembre 1963, Paolo VI disse che una migliore comprensione della Chiesa cattolica,riforme della Chiesa, avanzamento nell’unità della cristianità e dialogo con il mondo erano le quattro priorità da considerare.
Il Papa ricordò ai padri conciliari l’enciclica di Pio XII, Mystici Corporis Christi e chiese loro di spiegare con parole semplici come la Chiesa vedesse sé stessa. Ricordò che alcuni vescovi orientali non potevano partecipare agli incontri perché non avevano ottenuto il permesso dai loro stati di appartenenza. Domandò perdono alle altre chiese non cattoliche e chiese per le divisioni createsi nei secoli a causa dei cattolici. Quando il Concilio discusse del ruolo dei vescovi nel papato, Paolo VI inviò una Nota Praevia confermando il primato del papato sui vescovi, ma alcuni dissero che fosse un’interferenza nei lavori del Concilio e vescovi americani fecero pressione per la libertà religiosa. Paolo VI ribadì queste condizioni per un perfetto ecumenismo. Il papa concluse la sessione il 21 novembre 1964, con il pronunciamento formale di Maria come Madre della Chiesa.
Secondo Paolo VI, ‘il più importante e rappresentativo dei proponimenti del Concilio’ era la chiamata universale alla santità, perché ‘tutti i fedeli in Cristo di qualsiasi rango o status’, erano ‘chiamati alla pienezza della vita cristiana ed alla perfezione della carità; con questo la santità può essere promossa nella società della terra’. Il 27 marzo 1965, Paolo VI, in presenza di mons. Angelo Dell’Acqua, lesse il contenuto di una busta sigillata, che in seguito rinviò all’Archivio del Sant’Uffizio con la decisione di non pubblicarne il contenuto.
Questa lettera conteneva il Terzo Segreto di Fatima.Il 14 settembre 1965, Paolo VI annunciò la convocazione del Sinodo dei vescovi, come istituzione permanente della chiesa e corpo consigliante del pontefice. Vennero tenuti subito diversi incontri come il Sinodo dei vescovi per l’evangelizzazione del mondo moderno, (1974). Tra la terza e la quarta sessione, il papa annunciò delle riforme imminenti nelle aree della curia romana, una revisione del diritto canonico, la regolamentazione dei matrimoni tra diverse fedi e il controllo delle nascite.
Aprì l’ultima sessione del concilio concelebrando con i vescovi provenienti dai paesi dove la Chiesa era ancora perseguitata. Durante l’ultima fase del Concilio, Paolo VI annunciò anche l’apertura dei processi di canonizzazione di papa Pio XII e papa Giovanni XXIII. Il 7 dicembre 1965, nell’ambito del Concilio Vaticano II, venne letta la Dichiarazione comune cattolico-ortodossa che revocava le reciproche scomuniche tra le due confessioni, al fine di una riconciliare la Chiesa romana e quella ortodossa. Il concilio si chiuse l’8 dicembre 1965. A Concilio concluso, i contrasti socio politici coinvolsero anche la chiesa fino a sfociare nell’esasperazione delle ideologie nel sessantotto.
Il papà disse: ‘Aspettavamo la primavera, ed è venuta la tempesta’. Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, l’indice dei libri proibiti. Nel 1967, annunciò l’istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta il 1º gennaio 1968. Trattò il tema del celibato sacerdotale nell’enciclica Sacerdotalis Caelibatus del 24 giugno 1967. Paolo VI rivoluzionò le elezioni papali e stabilì che a 80 anni i cardinali perdessero il diritto di voto nei conclavi.
Nell’Ecclesiae Sanctae, il suo motu proprio del 6 agosto 1966, invitò tutti i vescovi a considerare la possibilità del pensionamento dopo il compimento del settantacinquesimo anno di età. Invitò a fare altrettanto anche tutti i cardinali della Chiesa cattolica il 21 novembre 1970. Negli anni successivi rinnovò l’intera curia, riducendo la burocrazia. Nel 1968, col motu proprio Pontificalis Domus, abolì molte delle vecchie funzioni della nobiltà romana alla corte papale, con l’eccezione dei ruoli dei principi assistenti al Soglio pontificio. Abolì anche la Guardia Palatina e la Guardia nobile.
La Guardia Svizzera restò l’unico corpo militare in Vaticano. Papa Montini dichiarò di non aver mai sentito così pesanti gli oneri del suo alto ufficio come per la causa anti contraccezione. Se la parte laica avesse vinto, si sarebbe impedito alla vita coniugale la finalità della procreazione. Questa e altre questioni di tale importanza vennero trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968,che fu la sua ultima enciclica. Essa creò un dibattito che divise il mondo cattolico diviso tra chi si avvicinava al laicismo e i tradizionalisti. Nonostante si dicesse che la Chiesa non potesse giudicare certi argomenti, il papa cercò di approfondire in tutti i modi la cosa per
arrivare alle conclusioni. La commissione di studio convocata dal papa si divise: una parte accettò la ‘pillola cattolica’ (come venne soprannominata), l’altra disse che l’utilizzo degli anticoncezionali violava la legge morale perché, utilizzandoli, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa. Papa Montini appoggiò questo gruppo,nonostante le critiche, e riconfermando quanto aveva scritto papa Pio XI nell’enciclica Casti Connubii. Paolo VI. si occupò anche di alcune riforme della liturgia e nella costituzione conciliare Sacrosanctum, Concilium.
Il Concilio Vaticano II aveva chiesto al Papa di rivedere le norme e i testi liturgici del rito romano. Fra le revisioni effettuate dal papa vi furono quelle apportate ai riti dell’ordinazione di un diacono, un sacerdote e un vescovo del 18 giugno 1968, al Calendario romano generale, apportata il 14 febbraio 1969 e quelle del 15 maggio dello stesso anno circa il battesimo dei bambini. Il 27 novembre 1970, appena atterrato all’aeroporto di Manila, capitale delle Filippine, il pontefice fu vittima di un attentato da parte del pittore boliviano Benjamín Mendoza y Amor Flores.
Egli si scagliò contro Paolo VI brandendo un kriss e riuscì a ferirlo al costato ma, subito dopo, fu bloccato dal pronto intervento del segretario personale Pasquale Macchi. La maglietta insanguinata indossata dal papa è conservata in un reliquiario realizzato dalla scuola di arte sacra Beato Angelico di Milano ed è stata esposta durante la cerimonia della sua beatificazione. Il 4 ottobre 1970, Paolo VI proclamò dottore della Chiesa santa Caterina da Siena, prima donna nella storia della Chiesa a ricevere questo titolo. Il 16 settembre del 1972, il pontefice fece una breve visita pastorale a Venezia ed incontrò l’allora patriarca Albino Luciani. Insieme celebrarono la messa.
Come testimoniano parecchie fotografie, al termine della funzione Montini si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e, davanti alla piazza, la mise sulle spalle di Luciani, che rimase imbarazzato. Il 24 dicembre 1974 Paolo VI inaugurò l’Anno santo del 1975, dedicato al Rinnovamento e Riconciliazione. La cerimonia di apertura della porta santa fu l’ultima a prevedere l’abbattimento fisico del muro di chiusura, simbolicamente praticato dal pontefice mediante un piccone. Nel corso della manovra, dall’architrave si staccarono pesanti calcinacci, che caddero a poca distanza dal papa così, già nella cerimonia di chiusura, venne eliminato il rito della suggellatura con cazzuola, calce e mattoni.
Paolo VI chiuse a chiave i due battenti. Dal Giubileo straordinario del 1983, la demolizione del muro venne praticata prima dell’apertura dei battenti. Alla chiusura dell’Anno santo, papa Montini continuò a mostrarsi umile e a favorire l’unità dei cristiani baciando i piedi del capo della delegazione del patriarcato di Costantinopoli.
Paolo VI rimosse la maggior parte degli ornamenti che contraddistinguevano i fasti del papato. Nel 1975, semplificò e modificò sostanzialmente il protocollo dell’incoronazione papale. Il suo successore, Giovanni Paolo I, la abolì lasciando solo la messa di inizio pontificato. Montini fu l’ultimo papa a essere incoronato di fronte ai fedeli.
Il 29 dicembre 1975, la Congregazione per la dottrina della fede, con il documento della Persona Humana, dichiarava contrarie all’etica della fede l’omosessualità e altre pratiche sessuali. Tale atto suscitò la protesta dello scrittore Roger Peyrefitte, cristiano ma apertamente omosessuale che si vendicò dichiarando al settimanale Tempo che il papa fosse ipocrita in quanto persone nobili il cui nome rimaneva segreto, affermavano che Paolo VI, quando era ancora arcivescovo di Milano, avrebbe avuto una relazione omosessuale con un giovane attore cinematografico.
Durante l’Angelus della Domenica delle Palme, Paolo VI smentì pubblicamente tali affermazioni definendole” cose calunniose e orribili che sono state dette sulla Nostra santa persona”. In tutto il mondo furono organizzate veglie di preghiera per il papà, ma la situazione si gonfiò. Ulteriormente. Il 17 settembre 1977, Paolo VI si recò nella città di Pescara in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale. Fu una delle sue ultime visite fuori dal territorio romano, ma rimase impressa perché proprio poco prima che la messa cominciasse, la pioggia battente fu sostituita da un cielo limpido e dall’arcobaleno. Questo fu preso come un segno molto particolare. Durante il sequestro Moro il papa implorò personalmente e pubblicamente, con una lettera diffusa su tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile, la liberazione ‘senza condizioni’ dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito delle Brigate Rosse.
A nulla valsero le sue parole e il pontefice, suo malgrado, fu costretto a partecipare al funerale dal suo amico. Nonostante le critiche, Montini,provato dall’evento, recitò un’omelia ritenuta da alcuni una delle migliori della Chiesa moderna. Infatti, nonostante esprimesse un profondo rammarico, la predica del papa mostrava un grande atto di affidamento al Signore. Tra la primavera e l’estate del 1978, la salute del papa peggiorò progressivamente. Paolo VI si spense alle 21:40 del 6 agosto 1978, nella residenza di Castel Gandolfo, a causa di un edema polmonare. Aveva 80 anni, ma lasciò un testamento scritto il 30 giugno 1965, con due successive lievi aggiunte. Esso fu reso noto cinque giorni dopo la morte. In esso egli il raccontò sé stesso e ringraziò per la vita al servizio della chiesa e di Dio. Un ultimo pensiero fu lasciato anche per i poveri, i giovani e i cercatori di giustizia, unendo sincerità e di amore.
«Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara. […] Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? […] E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore […] ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore».
Così finì il pontificato di un grande uomo che, pur appoggiando il rinnovamento della chiesa, continuava a battersi per la ‘tutela della fede’ e la ‘difesa della vita umana’. Montini si dimostrò umile anche nelle richieste circa il funerale e la sepoltura: «[…] i funerali: siano pii e semplici […] La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.» La salma, rivestita senza sfarzo, fu esposta per tre giorni all’omaggio dei fedeli dinnanzi al baldacchino di San Pietro, come da indicazioni testamentarie.
La salma di Montini, ricomposta causa decomposizione causata da vari eventi tra cui la calura estiva, riposa in una bara semplicissima,che fu deposta a terra sul sagrato. Sopra di essa venne posto un Vangelo aperto. Terminata la cerimonia, la cassa, inserita in altre due casse di zinco e legno, fu tumulata nelle Grotte Vaticane. Montini ottenne varie onorificenze italiane e straniere quali la medaglia d’argento al merito della Croce Rossa Italiana «Per l’opera di soccorso svolta durante la seconda guerra mondiale». Ricevette riconoscimenti accademici quali la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall’Università di Notre Dame, South Bend in Indiana (Stati Uniti d’America).
Vittorio Bachelet nel ricordo di Sergio Mattarella
Nei giorni scorsi il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, è intervenuto alla cerimonia per l’intitolazione a Vittorio Bachelet, ucciso nel 1980 dalle Brigate Rosse, della sede del Consiglio Superiore della Magistratura, esortando a mantenere vivo “il ricordo del suo servizio nelle istituzioni e per rinnovare la riconoscenza per il suo impegno. Bachelet, anche quale Vicepresidente del Consiglio Superiore, è stato testimone autentico dei valori della nostra Costituzione. Si adoperava costantemente per la ricerca di prospettive condivise anche in considerazione delle fratture ideologiche che attraversavano il nostro Paese”.
Ed ha sottolineato che era per il dialogo: “Essere ‘uomo del dialogo’ è stata, sin dall’inizio, la caratteristica della sua attività politica e sociale. Già nel 1946, a vent’anni, da studente, dirigente della Fuci, ricercava sempre il confronto dialettico con le altre componenti universitarie in vista della ricostruzione dell’Italia democratica”:
Infatti, ha ricordato il presidente Mattarella, che lui invitava a non essere ‘pigri’ nel dialogare con tutti: “Il dialogo è stato sempre un tratto distintivo del suo impegno nella società profuso lungo l’intero arco della sua vita, nelle organizzazioni cattoliche, nell’insegnamento nelle aule dell’università, nel Consiglio superiore della magistratura, in ogni altra attività pubblica. Il dialogo rappresentava per lui, più che un metodo, l’essenza della democrazia”.
Anche negli anni del terrorismo invitava a non abbandonare la strada della democrazia: “In quegli anni drammatici, Vittorio Bachelet esprimeva la convinzione che il rafforzamento delle istituzioni democratiche si realizzasse non attraverso lo scontro, ma con scelte, per quanto possibile condivise, di piena e coerente attuazione dei principi della nostra Costituzione.
La sera prima del brutale assassinio, accompagnando a casa l’amico Achille Ardigò, aveva con lui discusso della minaccia terroristica, giungendo alla conclusione, condivisa, che il terrorismo andasse combattuto senza rinunciare ai principi della legalità democratica, nel rispetto delle regole costituzionali, senza ricorrere all’arbitrio, in quanto la Repubblica dispone delle risorse capaci di far prevalere i valori della Costituzione anche nei momenti più critici”.
Ed ha ricordato la sua fede: “Da Presidente dell’Azione cattolica, aveva vissuto intensamente gli anni del Concilio, le speranze e le aperture verso la società che cambiava e nei confronti di una generazione che sognava una società sempre migliore. E’ stato protagonista della scelta religiosa di quella organizzazione, che (come ripeteva) non fu mai intesa come una rinuncia, un abbandono dell’impegno pubblico, ma come un ritorno sincero e umile alle origini, una nuova e coinvolgente riproposizione dei valori essenziali.
Vittorio Bachelet non ha mai ostentato la sua fede, anche se ben nota a tutti, ma l’ha tradotta in un’autentica, laica, testimonianza umana e istituzionale in ogni ruolo in cui è stato chiamato a svolgere funzioni pubbliche di alta responsabilità. I valori della collaborazione e della lealtà istituzionale erano evidenti nel suo stile di ascolto e nella sua visione autenticamente aperta al confronto, al punto di vista altrui”.
Per questo fu un uomo dell’unità: “In quel momento della storia repubblicana fu un segno di unità perché, senza rinunciare alle proprie convinzioni, il loro rapporto inalterato assunse un valore cruciale per la salvaguardia di questa istituzione, per il suo funzionamento, la sua credibilità.
Con questo spirito, Vittorio Bachelet ha guidato l’organo di governo autonomo della Magistratura, coniugando fermezza di principi e disponibilità al dialogo nella ricerca di convergenza tra prospettive diverse”.
Fu assassinato perché era ‘sostenitore’ della ricomposizioni delle divisioni: “Nella logica criminale dei suoi assassini, Bachelet rappresentava le istituzioni che contrastavano con determinazione la violenza terroristica utilizzando soltanto gli strumenti costituzionali e, insieme, esprimeva un profondo senso della comunità e della coesione sociale. Questi due elementi (la Costituzione e il senso di comunità per la coesione sociale) hanno sempre sconfitto i tentativi di lacerazione della società e di disarticolazione delle sue istituzioni”.
(Foto: Quirinale)
Don Luigi Taliani: una vita per l’Azione Cattolica e per l’informazione
Nella scorsa settimana nella diocesi di Macerata è deceduto è deceduto don Luigi Taliani, vicario parrocchiale nella chiesa dell’Immacolata di Macerata e per anni direttore della redazione del settimanale ‘Emmaus’ e di ‘Radio Nuova Macerata’, oltre che responsabile della comunicazioni sociali diocesane ed insegnante di religione cattolica.
Maestri di bene come pietre d’inciampo: ecco la lezione di Carlo Bianchi
“Educare significa inserire le persone in un popolo in cammino. Non è una responsabilità verso un individuo: è chiamare le persone per nome, è chiamarle a far parte di un popolo, perché il deserto non si può attraversare da soli. E in questa appartenenza si apprende il criterio per distinguere il bene dal male”.



























