Qohelet guida la giornata di dialogo tra ebrei e cattolici
Oggi si celebra la 32ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che si ispira alla Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”.
L’iniziativa prese vita nel 1989, per volere della Conferenza episcopale italiana e fu fissata il 17 gennaio, il giorno prima dell’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema della Giornata di quest’anno è il libro del Qohelet, che conclude una riflessione comune sulle Meghil-lot, in ebraico ‘i rotoli’, nome che identifica cinque libri della Bibbia: Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Qohelet ed Ester.
Infatti in quell’anno mons. Sergio Goretti, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e presidente del Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo, così scriveva: “Il significato di questa iniziativa, che si tiene alla vigilia della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, non sembra essere da tutti ancora adeguatamente compreso.
Ciò accade soprattutto perché si pensa, erroneamente, che essa abbia senso solo in quei luoghi in cui vive una comunità ebraica… La giornata del dialogo ebraicocristiano è infatti segno di una Chiesa che sa di essere inviata in una storia che essa riconosce come storia di salvezza dell’unico Dio.
Per questo, nulla togliendo alla propria coscienza di verità, dialoga e lavora con tutti gli uomini, senza considerare come barriere invalicabili le diversità di culture, di radici storiche, di fedi religiose. In tal modo, la giornata diviene anche un fatto culturale, l’espressione di uno stile di vita”.
Sul sito ecumenismo.chiesacattolica. it è disponibile un sussidio curato dalla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, prefato dal suo presidente, il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, mosn. Ambrogio Spreafico, che fa anche il punto sulle iniziative comuni tra ebrei e cattolici nell’anno passato e in quello che si è aperto, e con due commenti: uno di rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo della Comunità ebraica di Genova, l’altro di don Luca Mazzinghi, teologo dell’arcidiocesi di Firenze e ordinario di esegesi dell’Antico Testamento presso la Pontificia Università Gregoriana.
Nell’introduzione mons. Spreafico prende spunto dagli interrogativi posti dal Qohelet sul dolore: “La pandemia ci ha afflitto ponendoci di fronte alla morte e alla fragilità dell’essere umano, che si è trovato a fronteggiare un male inatteso, mostrandosi impreparato e privo dei mezzi necessari per sconfiggerlo alla radice, nonostante i progressi della scienza.
Quel sapere, che sembrava renderci padroni assoluti del creato, ha faticato e fatica ancora a opporsi a questo virus. Mentre speriamo che presto vengano trovati un vaccino o una cura adeguata per contrastare il virus, sentiamo la responsabilità personale, nei comportamenti e nei pensieri, di far sì che la pandemia si fermi e che i suoi risvolti negativi sulla vita sociale e economica non si aggravino.
Abbiamo capito meglio che non saranno i muri a salvarci, ma il remare insieme, come ha detto papa Francesco, nella stessa barca che affronta questa tempesta. Da soli non ce la facciamo”.
Ed ha proposto un percorso per costruire nuovi linguaggi: “Insieme siamo chiamati a condannare i reciproci stereotipi legati alle nostre religioni, che trovano nella libertà della rete la possibilità di divulgazione esponenziale. Insieme dobbiamo proporre nuove strade e ponti per il dialogo anche virtuali.
Insieme dobbiamo costruire un nuovo linguaggio che ci aiuti a raggiungere le nuove generazioni per crescerle insieme nel rispetto dell’altro. La pandemia ci ha dato l’opportunità di riflettere sul pericolo dell’infodemia: cogliamola insieme”.
Infatti un rapporto dell’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) relativo al primo trimestre del 2020, che enumera ben 79 atti di antisemitismo contro i 63 dello stesso periodo del 2019 e i 37 del 2018.
Il rav Giuseppe Momigliano mette in evidenza il valore dell’inclusione: “Il significato dell’inclusione di Qohelet nella Bibbia, malgrado questo testo ci appaia così distante dai valori espressi negli altri libri sacri, può allora essere individuato in una sorta di dimostrazione per assurdo, l’autore ci conduce alla conclusione che un mondo privo di un saldo legame con il Signore rende la vita priva significato…
La presenza di Qohelet nella Bibbia ci dice che anche questo stato d’animo fa parte dell’esperienza possibile dell’uomo religioso, anche questa estenuante ricerca di un senso, di un significato assoluto che alla fine sfugge, rimane irraggiungibile, anche questa, nel modo in cui Qohelet ce la rappresenta, è una via della fede.
Proprio l’esperienza della solitudine rende questo testo particolarmente coinvolgente per l’uomo contemporaneo, dal momento che questo stato d’animo rappresenta il sentire diffuso di tanti che, pur pienamente partecipi di un contesto sociale, sperimentano tuttavia un senso profondo di estraniamento, sentono di aver smarrito determinati legami un tempo coltivati soprattutto nella famiglia e nella comunità religiosa di appartenenza;
è quindi importante che nella Bibbia sia dato spazio e riconoscimento alla possibilità di formulare con lucidità di pensiero e con l’angoscia della solitudine esistenziale gli interrogativi di Qohelet, e di mostrare come questo disorientamento non significhi necessariamente il venir meno della fede”.
Don Mazzinghi sottolinea che è un libro ‘intricante’: “Il Qohelet non descrive Dio come una divinità assente, ingiusta e persino crudele. Dio è semplicemente al di là di ogni umana comprensione; l’assurdità del male e la vita effimera sono una forte dimostrazione dell’incapacità umana di decifrare il volere di Dio.
Certamente esiste nel libro del Qohelet una tensione irrisolta tra l’esperienza della vita, che conduce il nostro saggio a riflettere sulla assurdità della vita stessa, e la fede nel Dio della Bibbia.
Ciò che rende il libro del Qohelet ancora appassionante e per molti aspetti attuale è il suo essere riuscito a mantenere un forte equilibrio tra due estremi: da un lato l’esperienza concreta della vita umana e dall’altro il temere Dio, ovvero la fede in Colui che permette agli esseri umani di godere delle piccole gioie della vita quotidiana, un segno limitato, ma reale della sua presenza”.
Quindi per Qohelet la vita è degna di essere vissuta: “il Qohelet si propone come una sorta di sentinella che toglie ogni pretesa di poter racchiudere Dio nei nostri schemi, fossero pur quelli di una tradizione venerabile. Nel Nuovo Testamento, anche Gesù avrà lo stesso atteggiamento critico verso la tradizione e, come il Qohelet, anch’egli si propone come un maestro che invita a comprendere il senso della vita alla luce della fede in Dio”.