Papa Francesco: la malattia è occasione di crescita

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Oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri della Pontificia Commissione Biblica, guidati dal card. Luis Ladaria che stanno riflettendo sul tema ‘La malattia e la sofferenza nella Bibbia’ nell’assemblea plenaria annuale, sottolineando che è un tema che riguarda tutti:

“La natura umana, infatti, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite, della fragilità e della morte. Questo tema risponde, inoltre, a una preoccupazione che ho particolarmente a cuore, e cioè che la malattia e la finitudine nel pensiero moderno vengono spesso considerate come una perdita, un non–valore, un fastidio che bisogna minimizzare, contrastare e annullare ad ogni costo.

Non ci si vuole porre la domanda sul loro significato, forse perché se ne temono le implicazioni morali ed esistenziali. Eppure nessuno può sottrarsi alla ricerca di tale perché”, come è stato sottolineato da san Giovanni Paolo II nella lettera apostolica ‘Salvifici doloris’.

Papa Francesco ha evidenziato che l’esperienza del dolore è una realtà che fa paura: “Anche il credente talvolta può vacillare di fronte all’esperienza del dolore. E’ una realtà che fa paura e che, quando irrompe e assale, può lasciare l’uomo sconvolto, fino ad incrinarne la fede.

La persona allora è posta di fronte a un bivio: può permettere alla sofferenza di portarla al ripiegamento su di sé, fino alla disperazione e alla ribellione; oppure può accoglierla come un’occasione di crescita e di discernimento su ciò che nella vita conta veramente, fino all’incontro con Dio. Quest’ultima è la visione di fede che troviamo nella Sacra Scrittura”.

Ed ha citato gli episodi evangelici in cui Gesù compie le guarigioni attraverso la misericordia: “Nel Nuovo Testamento irrompe l’evento Gesù: il Figlio che rivela l’amore del Padre, la sua misericordia, il suo perdono e la sua ricerca costante dell’uomo peccatore, smarrito e ferito.

Non a caso l’attività pubblica del Cristo è segnata in gran parte proprio dal contatto coi malati. Le guarigioni miracolose sono una delle caratteristiche principali del suo ministero: risana i lebbrosi e i paralitici; guarisce la suocera di Simone ed il servo del centurione; libera gli indemoniati e cura tutti i malati che si affidano a Lui”.

La caratteristica di Gesù è la compassione per il popolo, donandosi fino alla morte: “Proprio la sua compassione per loro e le numerose guarigioni che opera sono presentate come il segno che ‘Dio ha visitato il suo popolo’ e che il Regno dei cieli è vicino: esse rivelano la sua identità divina, la sua missione messianica e il suo amore per i deboli fino a identificarsi con loro, quando dice: ‘Ero malato e mi avete visitato’.

Il culmine di tale identificazione avviene nella Passione, così che la Croce di Cristo diventa il segno per eccellenza della solidarietà di Dio con noi e, nello stesso tempo, la possibilità per noi di unirci a Lui nell’opera salvifica. Anche dopo la Risurrezione, quando il Signore affida ai discepoli il mandato di continuare la sua opera, dice loro di curare i malati, imponendo le mani su di essi e benedicendoli nel suo nome”.

Per il papa la Bibbia non offre soluzioni per eliminare il dolore, ma la ‘vicinanza di Dio’: “La Bibbia non offre così una risposta banale e utopica alla domanda sulla malattia e sulla morte, né una risposta fatalistica, che giustifichi tutto attribuendolo ad un incomprensibile giudizio divino, o peggio a un destino inesorabile davanti al quale non resta che piegarsi senza comprendere.

L’uomo biblico si sente piuttosto invitato ad affrontare la condizione universale del dolore come luogo di incontro con la vicinanza e la compassione di Dio, Padre buono, che con infinita misericordia si fa carico delle sue creature ferite per curarle, risollevarle e salvarle”.

Insomma con Gesù il dolore si trasforma in redenzione: “Così in Cristo anche il patire si trasforma in amore e la fine delle cose di questo mondo diventa speranza di risurrezione e di salvezza, come ci ricorda l’autore del libro dell’Apocalisse. In sostanza per il cristiano anche l’infermità è un dono grande di comunione, con cui Dio lo rende partecipe della sua pienezza di bene proprio attraverso l’esperienza della sua debolezza”.

E’ questa la dimensione che evidenziava san Giovanni Paolo II: “In realtà, il modo in cui viviamo il dolore ci parla della nostra possibilità di amare e di lasciarci amare, della nostra capacità di dare senso alle vicende dell’esistenza nella luce della carità e della nostra disponibilità ad accogliere il limite come occasione di crescita e di redenzione. E’ ciò che sottolineava san Giovanni Paolo II quando, a partire dal suo vissuto personale, indicava il sentiero della sofferenza come via per aprirsi a un amore più grande”.

Infine la malattia è un invito alla solidarietà, come insegna la parabola del ‘buon Samaritano’: “Infine, un ultimo aspetto dell’esperienza della malattia che vorrei sottolineare è che essa ci insegna a vivere la solidarietà umana e cristiana, secondo lo stile di Dio che è vicinanza, compassione e tenerezza.

La parabola del buon Samaritano ci ricorda che chinarsi sul dolore degli altri non è per l’uomo una scelta opzionale, ma piuttosto una condizione irrinunciabile, sia per la sua piena realizzazione come persona sia per la costruzione di una società inclusiva e veramente orientata al bene comune”.

Mentre alla delegazione dell’Interfaith Leaders from Greater Manchester il papa ha evidenziato che occorre superare una cultura consumistica: “Occorre, in una parola, riconoscere che la crisi ambientale e quella sociale del nostro tempo non sono due crisi separate, ma un’unica crisi.

Certo, questo richiede la creazione di modelli economici nuovi e lungimiranti. Ma richiede anche determinazione per superare la cultura ‘usa e getta’, la cultura dello scarto, generata dal consumismo e da un’indifferenza globalizzata, che inibisce gli sforzi per affrontare questi problemi umani e sociali nella prospettiva del bene comune”.

(Foto: Santa Sede)

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