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Il cardinal Makrickas a Tolentino: il pane è necessario per camminare verso il Regno di Dio

I ‘panini benedetti’ sono un segno particolare della devozione a san Nicola da Tolentino, legati ad un episodio della sua vita, in quanto, gravemente malato, ottenne la grazia della guarigione per intervento della Vergine Maria, che, apparsa in visione, gli aveva assicurato: ‘Chiedi in carità, in nome di mio Figlio, un pane. Quando lo avrai ricevuto, tu lo mangerai dopo averlo intinto nell’acqua, e grazie alla mia intercessione riacquisterai la salute’. Il santo non esitò a mangiare il pane ricevuto in carità da una donna di Tolentino, riacquistando così la salute. Da quel giorno san Nicola prese a distribuire il pane benedetto ai malati che visitava, esortandoli a confidare nella protezione della Vergine Maria per ottenere la guarigione dalla malattia e la liberazione dal peccato.
La Chiesa ha approvato l’istituzione e l’uso dei Panini nella quarta domenica di quaresima, prescrivendo un rito speciale per la loro benedizione, analogo a quello della benedizione delle palme, ma riservato all’Ordine Agostiniano. Mentre se ne fa la distribuzione ai fedeli, è cantato un inno che esalta i prodigi compiuti dai ‘panini benedetti’ Il rito si chiude con una preghiera al santo tolentinate nella quale si invoca il suo patrocinio su la Chiesa e su quanti lo pregano.
I ‘panini benedetti’ di san Nicola sono confezionati presso il Santuario con farina di grano ed acqua, senza lievito, cotti al forno. Sono un segno sacramentale della Chiesa, come lo è per esempio l’acqua santa, ed operano grazie nella vita in misura della fede nel Signore. Per tale occasione, invitato dagli agostiniani e dall’Unione Montana dei Monti Azzurri, il card. Rolandas Makrickas, arciprete coadiutore della basilica di Santa Maria Maggiore, ha concelebrato la santa Messa, al termine della quale abbiamo chiesto di spiegarci quanto sono importanti i ‘panini’ di san Nicola per la Chiesa:
“Sono venuto a conoscenza di questa storia dei panini di san Nicola, quando ho ricevuto dai padri agostiniani l’invito a venire a Tolentino per celebrare la quarta domenica di quaresima. La simbologia del pane è sempre molto suggestiva, in quanto esso è il nostro cibo quotidiano, ma anche un segno per pensare al cibo per la nostra anima. Il miracolo di san Nicola da Tolentino invita a pensare a questo significato di cercare, noi cristiani, a cercare il pane che sazia non solo il nostro corpo, ma soprattutto il pane ‘celeste’, che nutre la nostra anima per essere più vicini a Dio”.
Nella stessa domenica si è svolto anche il Giubileo dei Missionari della Misericordia: quanto è importante la misericordia di Dio?
“Nella Chiesa ci sono due pilastri principali: il sacramento della riconciliazione ed il sacramento dell’eucarestia. Per questo è importante ricordare la misericordia di Dio, che purifica la nostra anima per vivere meglio la vita cristiana. E’ molto importante ricordare queste persone, che a nome di Gesù, portano il perdono ai fedeli. I sacerdoti che si dedicano al sacramento della confessione sono i missionari della misericordia; per questo celebrare questa domenica e ricordare non soltanto il sacramento, ma anche le persone che celebrano questo sacramento avvicinandoci a Cristo attraverso il sacramento”.
Come vivere questo periodo verso la Pasqua nella misericordia?
“Questo periodo quaresimale ci ricorda che siamo in cammino continuo di conversione. Siamo chiamati durante la Quaresima a camminare attraverso un pellegrinaggio di conversione, sperimentando la misericordia di Dio e vivendola in modo pieno con la consapevolezza che c’è un Padre misericordioso che accoglie tutti”.
Per quale motivo anche in Lituania è venerato san Nicola da Tolentino?
“Da noi san Nicola da Tolentino è venerato soprattutto per la sua profonda spiritualità di pregare per le anime dei defunti, perché la vita umana continua nell’eternità. Da noi è molto sentita la preghiera a favore dei defunti, affinchè possano vedere il volto di Dio. Questa spiritualità di san Nicola da Tolentino era spesso ricordata nella mia famiglia”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco: nella malattia Dio non ci lascia soli

“Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della donna colta in adulterio. Mentre gli scribi e i farisei vogliono lapidarla, Gesù restituisce a questa donna la bellezza perduta: lei è caduta nella polvere; Gesù su quella polvere passa il suo dito e scrive per lei una storia nuova: è il ‘dito di Dio’, che salva i suoi figli e li libera dal male”: mentre mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione, sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, leggeva le prime parole dell’Angelus scritte da papa Francesco, egli è apparso in piazza san Pietro salutando i presenti al giubileo dei malati e della sanità, ringraziando per le preghiere.
Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato la cura che si deve agli ammalati: “Carissimi, come durante il ricovero, anche ora nella convalescenza sento il ‘dito di Dio’ e sperimento la sua carezza premurosa. Nel giorno del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, chiedo al Signore che questo tocco del suo amore raggiunga coloro che soffrono e incoraggi chi si prende cura di loro”.
Inoltre ha chiesto di pregare per tutti coloro che lavorano nella sanità: “E prego per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che non sempre sono aiutati a lavorare in condizioni adeguate e, talvolta, sono perfino vittime di aggressioni. La loro missione non è facile e va sostenuta e rispettata. Auspico che si investano le risorse necessarie per le cure e per la ricerca, perché i sistemi sanitari siano inclusivi e attenti ai più fragili e ai più poveri”.
Infine ha pregato per la pace nel mondo: “Continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, colpita da attacchi che provocano molte vittime civili, tra cui tanti bambini. E lo stesso accade a Gaza, dove le persone sono ridotte a vivere in condizioni inimmaginabili, senza tetto, senza cibo, senza acqua pulita. Tacciano le armi e si riprenda il dialogo; siano liberati tutti gli ostaggi e si soccorra la popolazione.
Preghiamo per la pace in tutto il Medio Oriente; in Sudan e Sud Sudan; nella Repubblica Democratica del Congo; in Myanmar, duramente provato anche dal terremoto; e ad Haiti, dove infuria la violenza, che alcuni giorni fa ha ucciso due religiose”.
Nella celebrazione eucaristica l’omelia del papa, letta da mons. Fisichella, è stato sottolineato la novità di Dio: “Sono le parole che Dio, attraverso il profeta Isaia, rivolge al popolo d’Israele in esilio a Babilonia. Per gli Israeliti è un momento difficile, sembra che tutto sia andato perduto. Gerusalemme è stata conquistata e devastata dai soldati del re Nabucodonosor II e al popolo, deportato, non è rimasto nulla. L’orizzonte appare chiuso, il futuro oscuro, ogni speranza vanificata. Tutto potrebbe indurre gli esuli a lasciarsi andare, a rassegnarsi amaramente, a sentirsi non più benedetti da Dio”.
In tale situazione c’è l’invito a vedere la novità: “Eppure, proprio in questo contesto, l’invito del Signore è a cogliere qualcosa di nuovo che sta nascendo. Non una cosa che avverrà in futuro, ma che già accade, che sta spuntando come un germoglio. Di che si tratta? Cosa può nascere, anzi cosa può essere già germogliato in un panorama desolato e disperato come questo?”
E’ la nascita di un popolo: “Quello che sta nascendo è un popolo nuovo. Un popolo che, crollate le false sicurezze del passato, ha scoperto ciò che è essenziale: restare uniti e camminare insieme nella luce del Signore. Un popolo che potrà ricostruire Gerusalemme perché, lontano dalla Città santa, con il tempio ormai distrutto, senza più poter celebrare solenni liturgie, ha imparato a incontrare il Signore in un altro modo: nella conversione del cuore, nel praticare il diritto e la giustizia, nel prendersi cura di chi è povero e bisognoso, nelle opere di misericordia”.
Ugualmente avviene nel Vangelo: “Pure qui c’è una persona, una donna, la cui vita è distrutta: non da un esilio geografico, ma da una condanna morale. E’ una peccatrice, e perciò lontana dalla legge e condannata all’ostracismo e alla morte. Anche per lei sembra non ci sia più speranza. Ma Dio non l’abbandona. Anzi, proprio quando già i suoi aguzzini stringono le pietre nelle mani, proprio lì, Gesù entra nella sua vita, la difende e la sottrae alla loro violenza, dandole la possibilità di cominciare un’esistenza nuova”.
Quindi le letture di questa domenica quaresimale indicano la necessità di porre la fiducia in Dio: “Con questi racconti drammatici e commoventi, la liturgia ci invita oggi a rinnovare, nel cammino Quaresimale, la fiducia in Dio, che è sempre presente vicino a noi per salvarci. Non c’è esilio, né violenza, né peccato, né alcun’altra realtà della vita che possa impedirgli di stare alla nostra porta e di bussare, pronto ad entrare non appena glielo permettiamo. Anzi, specialmente quando le prove si fanno più dure, la sua grazia e il suo amore ci stringono ancora più forte per risollevarci”.
Questo è vero anche nei momenti di malattia: “Sorelle e fratelli, noi leggiamo questi testi mentre celebriamo il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, e certamente la malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili. Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro.
Ma non è così. Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza. Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza e sa bene che cos’è il patire. Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”.
E la malattia si può trasformare in un ‘luogo santo’: “Ma non solo. Nel suo amore fiducioso, infatti, Egli ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, ‘angeli’, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un ‘luogo santo’ di salvezza e di redenzione”.
Poi si è rivolto ai medici ringraziando per le cure offerte ai malati: “Cari medici, infermieri e membri del personale sanitario, mentre vi prendete cura dei vostri pazienti, specialmente dei più fragili, il Signore vi offre l’opportunità di rinnovare continuamente la vostra vita, nutrendola di gratitudine, di misericordia, di speranza.
Vi chiama a illuminarla con l’umile consapevolezza che nulla è scontato e che tutto è dono di Dio; ad alimentarla con quell’umanità che si sperimenta quando, lasciate cadere le apparenze, resta ciò che conta: i piccoli e grandi gesti dell’amore. Permettete che la presenza dei malati entri come un dono nella vostra esistenza, per guarire il vostro cuore, purificandolo da tutto ciò che non è carità e riscaldandolo con il fuoco ardente e dolce della compassione”.
Un ultimo pensiero è stato rivolto agli ammalati, che possono sperimentare la misericordia di Dio: “Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno. Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire.
La camera dell’ospedale e il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore che dice anche a noi: ‘Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?’ E così rinnovare e rafforzare la fede”.
L’omelia è stata conclusa con un pensiero di papa Benedetto XVI, che ha sperimentato la malattia: “Benedetto XVI (che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia) ha scritto che ‘la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza’ e che ‘una società che non riesce ad accettare i sofferenti… è una società crudele e disumana’. E’ vero: affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità”.
(Foto: Vatican Media)
Giornata mondiale dell’acqua: l’intervento di ‘Azione contro la fame’ per garantire acqua potabile

L’acqua è vita, ma per milioni di persone nel mondo resta un lusso inaccessibile. Oggi, una persona su 4 non ha accesso all’acqua potabile. In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, ‘Azione Contro la Fame’ riporta storie di chi ogni giorno affronta questa emergenza nel mondo: senza acqua non c’è futuro.
I raccolti appassiscono, il bestiame muore, il cibo diventa un lusso. Queste alcune delle disastrose conseguenze della mancanza di acqua, l’ingrediente invisibile di ogni pasto che nutre il suolo, regola il clima e mantiene in vita gli ecosistemi. Quando il cibo scarseggia, i prezzi salgono, lasciando milioni di persone, soprattutto bambini, senza un pasto garantito.
Tra le cause principali di questa situazione ci sono i cambiamenti climatici, che alterano i modelli di precipitazioni e accrescono la frequenza di siccità e alluvioni. Inoltre, la scarsità d’acqua potabile è aggravata dai conflitti armati, che distruggono le infrastrutture idriche, e dall’inquinamento ambientale.
Il 27% dei decessi di bambini di età inferiore ai cinque anni è direttamente collegato a gravi malattie prevenibili trasmesse dall’acqua contaminata. In zone di conflitto, i bambini hanno una probabilità 20 volte maggiore di morire a causa di malattie legate all’acqua non sicura rispetto alle violenze dirette della guerra. Colera, dissenteria e infezioni intestinali non solo mettono in pericolo la vita, ma impediscono al corpo di assorbire i nutrienti, portando a uno stato di malnutrizione acuta.
L’impatto delle carenze idriche non si limita alla salute. In molte regioni del mondo, sono le donne e le bambine a farsi carico della raccolta dell’acqua, percorrendo chilometri ogni giorno per raggiungere fonti spesso contaminate. Questo significa meno tempo per studiare, meno opportunità di lavorare, più fatica fisica e più rischi. Inoltre, la mancanza di bagni adeguati e acqua nelle scuole costringe molte ragazze a interrompere la frequenza scolastica dopo l’arrivo del ciclo mestruale. Un ostacolo in più, ancora del tutto reale, in molti paesi del mondo.
‘Azione Contro la Fame’ è attiva in situazioni di emergenza, come conflitti e disastri naturali, dove interviene rapidamente per alleviare le sofferenze, fornendo nutrizione, acqua potabile e assistenza sanitaria. Parallelamente, l’organizzazione implementa progetti di sviluppo che puntano a rafforzare le capacità locali e a garantire la sostenibilità, contribuendo alla ricostruzione e al miglioramento delle condizioni di vita a lungo termine delle comunità.
Per quanto riguarda l’acqua, le principali attività includono: riabilitazione e manutenzione delle fonti d’acqua: decontaminazione delle fonti non sicure e installazione di infrastrutture per garantire l’accesso all’acqua potabile; promozione dell’igiene: distribuzione di kit igienici e costruzione di latrine e stazioni per il lavaggio delle mani in comunità, scuole e centri sanitari; educazione sanitaria: formazione sull’igiene, fornendo informazioni ai genitori per prevenire le recidive della malnutrizione; coinvolgimento comunitario: organizzazione di team sanitari locali e comitati per l’acqua, composti da membri eletti della comunità, per promuovere la collaborazione locale.
Inoltre ‘Azione Contro la Fame’ ha fornito aiuto ad oltre 1.000.000 di persone a Gaza ed in Cisgiordania attraverso interventi emergenziali, distribuendo pasti e acqua potabile, sostenendo agricoltori e piccole imprese, incentivando la produzione locale di cibo e verdure fresche e garantendo la rimozione dei rifiuti solidi. Tuttavia, l’accesso all’acqua potabile rimane critico: il 62% della popolazione di Gaza, pari a 1.400.000 persone, dispone di meno di 6 litri d’acqua al giorno per persona, una quantità drammaticamente inferiore rispetto ai 75-90 litri utilizzati in una doccia di cinque minuti.
Oltre alla grave malnutrizione, la popolazione da più di un anno non ha accesso a cibo fresco e ad altri beni essenziali. La crisi idrica è aggravata dalla distruzione o dal danneggiamento del 67% delle strutture idriche e igienico-sanitarie. La maggior parte dei palestinesi consuma acqua inquinata e non sicura, mettendo a rischio la propria salute.
Nel Corno d’Africa si sta manifestando la peggiore siccità degli ultimi 70 anni. In Kenya più di 5 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e oltre 1 milione di bambini soffre di malnutrizione acuta. Habiba, madre di tre figli, ogni giorno era costretta a svegliarsi molto presto e a camminare per chilometri per raggiungere la fonte più vicina. A causa della difficoltà di accedere a cibo e ad acqua pulita, i suoi tre bambini si trovavano sull’orlo della malnutrizione.
E la situazione si ripete in tutto il Kenya. La vita di Habiba è cambiata da quando, nei pressi della sua abitazione, ‘Azione Contro la Fame’ ha installato un distributore automatico di acqua che funziona ad energia solare: lo Smart Water Tap. Il sistema sfrutta l’energia solare per purificare l’acqua, incanalarla dal sottosuolo e immagazzinarla in un serbatoio. La gestione è data interamente alla comunità, in modo da promuoverne l’autonomia.
Ernest Bikorimana Desire, 29 anni, è fuggito dal Burundi in seguito ai disordini civili e ha attraversato il confine con la Tanzania a piedi insieme ai suoi due figli, Mukunzi di quattro anni e Asiimwe di due. Arrivato in Uganda, si è stabilito nell’insediamento di rifugiati di Nakivale e ha iniziato a lavorare la terra per sopravvivere. Inizialmente, coltivava solo quanto bastava per sfamare la sua famiglia e arrotondava con lavori occasionali per la comunità ospitante, ma non era sufficiente: ‘Spesso ho lottato con la fame. Mi ero sposato da poco e guadagnavo a malapena per sfamare la mia famiglia’, racconta Ernest.
La svolta è arrivata quando si è unito a un’iniziativa agricola di ‘Azione Contro la Fame’ basata sul modello di utilizzo ottimizzato del terreno (Optimized Land Use Model – OLUM), che promuove l’uso efficiente delle risorse idriche per adattarsi ai cambiamenti climatici e migliorare la qualità delle coltivazioni. Grazie a un migliore sistema di irrigazione e alla raccolta dell’acqua piovana, Ernest ha iniziato a coltivare pomodori e cipolle. Alla fine dell’anno, il raccolto è stato abbondante: circa 3 tonnellate di cipolle per un guadagno di $ 1.350 e 1,1 tonnellate di pomodori, che gli hanno fruttato oltre 3.250 dollari.
Grazie a questi profitti, ha potuto acquistare una moto-taxi per spostarsi più velocemente e guadagnare qualcosa in più trasportando persone, mentre sua moglie ha aperto un piccolo negozio. Il suo prossimo obiettivo è comprare un tuk-tuk per facilitare la vendita dei prodotti agricoli. L’iniziativa di ‘Azione Contro la Fame’ ha trasformato la sua vita: oltre a garantirgli un reddito stabile, gli ha restituito speranza per il futuro.
La Giordania è il secondo paese al mondo per stress idrico. Il rapido aumento della popolazione e l’afflusso di rifugiati siriani hanno aggravato la crisi, facendo sì che la domanda di acqua superasse di gran lunga l’offerta. Azione Contro la Fame lavora per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati e delle comunità ospitanti, promuovendo pratiche di conservazione dell’acqua e garantendo l’accesso ai servizi igienico-sanitari.
Nel campo profughi di Azraq, che ospita oltre 41.500 rifugiati siriani, la mancanza di acqua potabile è un’emergenza quotidiana, soprattutto nei mesi estivi, quando le temperature diventano insostenibili. Ikram, rifugiata siriana e volontaria comunitaria per ‘Azione Contro la Fame’, sensibilizza le donne del campo sull’importanza della conservazione dell’acqua e delle pratiche igieniche.
‘Azione Contro la Fame’ è un’organizzazione umanitaria internazionale impegnata a garantire a ogni persona il diritto a una vita libera dalla fame. Specialisti da 46 anni, prevediamo fame e malnutrizione, ne curiamo gli effetti e ne preveniamo le cause. Siamo in prima linea in 56 paesi del mondo per salvare la vita dei bambini malnutriti e rafforzare la resilienza delle famiglie con cibo, acqua, salute e formazione. Guidiamo con determinazione la lotta globale contro la fame, introducendo innovazioni che promuovono il progresso, lavorando in collaborazione con le comunità locali e mobilitando persone e governi per realizzare un cambiamento sostenibile. Ogni anno aiutiamo 21 milioni di persone.
Azione contro la Fame | www.azionecontrolafame.it
La sofferenza, il dolore, la morte come affrontarle da cristiani

I temi del dolore, della malattia e della morte sono racchiusi in un libro di don Francesco Scanziani, docente di antropologia teologia ed escatologia alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e della psicologa Cecilia Pirrone, docente di psicologia dello sviluppo alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, dal titolo ‘Vorrei starti vicino’, presentato al monastero ‘Santa Teresa’ delle Carmelitane Scalze di Tolentino nell’incontro ‘Accompagnare bambini ed adolescenti di fronte a sofferenza, malattia e morte’.
I relatori si sono interrogati su ‘cosa genera la sofferenza in un bambino, in un ragazzo o in un adolescente? Come stare loro accanto nella dura stagione della malattia? E’ possibile affrontare la morte, con parole di speranza?’ Domande essenziali per gli adulti, che diventano fondamentali nella vita di un bambino e bambina ed essenziali per ragazze e ragazzi,per cui i relatori hanno messo in evidenza che a nessuno ‘piace’ soffrire: “Nemmeno a Dio piace la sofferenza. Gesù sapeva piangere e arrabbiarsi, si prendeva cura dei malati e ha resuscitato Lazzaro. Egli stesso è passato attraverso la sofferenza e al morte, vincendola con la Resurrezione”.
Al termine dell’incontro abbiamo incontrato don Francesco Scanziani partendo dal messaggio della XXXIII Giornata mondiale del Malato: “Il messaggio di questa Giornata mondiale del Malato si colloca all’interno dell’anno giubilare, che ha come motto: ‘Pellegrini di speranza’. La stretta relazione tra malattia e speranza viene evocata nella riflessione dell’Apostolo ai Romani, rileggendo la condizione umana alla luce dell’evento pasquale di Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto. Il tema di questa Giornata ripropone a tutti i credenti la forza della speranza nel mistero pasquale di Gesù Cristo. In esso si coglie la pienezza dell’annuncio cristiano. Il tempo presente è caratterizzato dalle prove e dalle tribolazioni che segnano l’esistenza dei singoli e delle comunità. Il rischio più grande è rappresentato dalla mistificazione operata dei ‘falsi profeti’ e dalle loro illusorie speranze”.
Cosa significa ‘avere il limite’ come orizzonte cristiano?
“Innanzitutto significa riconoscere anzitutto quello che noi siamo: la nostra identità e la nostra natura. Ma non guardarle con uno sguardo pessimistico. Abbiamo voluto osservarla con quella provocazione di Baricco in ‘Oceano’, in cui dice che la natura ha le sue perfezioni proprio perché è limitata e fa il paragone di dove finiscono i giorni e le notti: lì esplode lo spettacolo, l’alba ed il tramonto. Allora, conoscere i limiti vuol dire scoprire qualcosa di profondo di noi stessi. Nella visione cristiana la notizia più sconvolgente è quella di Dio che è infinito si è incarnato, cioè si è fatto limitato. Il finito è un luogo dove Dio si è rivelato”.
Perché la società contemporanea evita temi come la sofferenza e il dolore?
“Rimuove il confronto con questi argomenti perché li ostenta; in questo modo la nostra cultura, che si vanta di aver superato tabù ancestrali, ne ha creato uno insuperabile. La paura della morte. Succede sempre di più anche in famiglia, certamente nel sincero desiderio di proteggere i figli. Il rischio, però, è che i figli si troveranno soli e impreparati, quando sofferenza e morte busseranno inevitabilmente alla loro porta”.
Che consigli offrite a tal proposito ai genitori, che debbono affrontare tali temi con i figli?
“La sofferenza fa parte della vita, la morte è l’altra faccia della vita. La nostra cultura esorcizza e allontana questi temi, poiché sembrano il fallimento della medicina o della tecnologia. E’ importante educare al tema del limite. E’ un discorso realista, non pessimista. Occorre avvicinarsi a chi soffre entrando in colloquio diretto con lui, oppure accompagnando chi è più piccolo per avvicinarlo gradualmente alla malattia con verità rassicuranti”.
Per quale motivo la Chiesa dedica una giornata al malato?
“La Chiesa mette al centro la persona. La malattia è un tratto della vita ed è l’occasione per dire che ognuno è persona anche nella malattia. Per valorizzare l’atteggiamento di Gesù, che ha dedicato tantissima parte della sua vita a stare accanto, ad ascoltare, ad entrare in contatto con il malato ed addirittura nel capitolo 25 dell’evangelista Matteo si è addirittura identificato con coloro che avevano fame e sete, con gli ammalati ed i carcerati. Più vicino di così si muore, verrebbe da dire. Gesù ha fatto anche quello: è morto per noi”.
Come si pone la fede di fronte alle pagine dolorose della vita?
“Il cristiano non ha soluzioni da offrire; tanto meno parole consolanti che pretendono di rispondere ai ‘perché’ drammatici della vita. Ha solo una storia da narrare quella di Gesù. Come scriveva lo scrittore francese Paul Claudel: Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla della sua presenza”.
Esiste un nesso tra il significato della morte ed il significato della vita?
“La prima cosa è domandarsi se hanno un senso il male, la sofferenza o la morte. Forse dovremmo accettare la durezza di esperienze che non hanno un senso. La Pasqua ci aiuta a capire che il male è il nemico dell’uomo e di Dio. Gesù è venuto nel mondo per combattere questo male, riempiendolo del Suo senso, cioè l’Amore. Nella Pasqua scopriamo la rivelazione di Dio ed il senso della vita”.
Quindi è più ‘facile’ rimettere i peccati o dire ‘alzati e cammina’?
“Solo Gesù può fare questo e soprattutto ci ha mostrato che Lui non ‘lega’ la malattia al peccato, ma mostra che sono tutte e due ‘nemici’ dell’uomo e di Dio. Quello che ci consola è che Dio è sempre in lotta contro il male in ogni sua forma: il peccato, la sofferenza e la morte”.
Quale è la ‘genesi di questo libro?
“Questo libro è nato dalla conoscenza e dalla stima reciproca maturata nell’esperienza parrocchiale e affinata dal lavoro comune nell’equipe dei coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, pedagogisti lecchesi, noti per un approccio sistematico, ma anche dalla ricchezza di uno sguardo che unisse il taglia femminile a quello maschile, lo sguardo di una donna, moglie e madre confrontato con quello di un prete, la competenza psicologica e quella teologica. E’ uno stile che aiuta entrambi a crescere, arricchente per le proprie ricerche, ma anche uno stimolante stile di chiesa. Questo libro è nata dalle domande, spesso tacitate delle persone che incontriamo di fronte al dolore della morte e al dramma della sofferenza, accentuate in modo unico con l’esplosione della pandemia. Il desiderio non è dare soluzioni, ma accompagnare con rispetto le persone”.
(Tratto da Aci Stampa)
Giornata del Malato: la speranza rende forti nella tribolazione

“Celebriamo la XXXIII Giornata Mondiale del Malato nell’Anno Giubilare 2025, in cui la Chiesa ci invita a farci ‘pellegrini di speranza’. In questo ci accompagna la Parola di Dio che, attraverso San Paolo, ci dona un messaggio di grande incoraggiamento: ‘La speranza non delude’, anzi, ci rende forti nella tribolazione”: alcuni giorni fa è stato reso noto il messaggio di papa Francesco, redatto in occasione della XXXIII Giornata Mondiale del Malato, che si celebra martedì 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, con il titolo tratto dalla lettera di san Paolo ai Romani: ‘La speranza non delude e ci rende forti nella tribolazione’.
Però per l’Anno Giubilare la celebrazione di questa Giornata a livello mondiale si terrà il prossimo anno al Santuario Mariano della Virgen de Chapi, di Arequipa, in Perù, mentre il Giubileo degli Ammalati e del Mondo della Sanità, si svolgerà sabato 5 e domenica 6 aprile, ed il Giubileo delle Persone con Disabilità avrà luogo lunedì 28 e martedì 29 aprile.
Le parole dell’Apostolo delle Genti sono ‘consolanti’ che però nel malato possono generare alcune domande: “Ad esempio: come rimanere forti, quando siamo toccati nella carne da malattie gravi, invalidanti, che magari richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci? In tutte queste circostanze sentiamo il bisogno di un sostegno più grande di noi: ci serve l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua Provvidenza, di quella forza che è dono del suo Spirito”.
Il messaggio è un invito “a riflettere sulla presenza di Dio vicino a chi soffre, in particolare sotto tre aspetti che la caratterizzano: l’incontro, il dono e la condivisione”.
Quindi la prima parola consiste nell’incontro con i malati; anche per loro Gesù ha mandato i discepoli: “Gesù, quando invia in missione i settantadue discepoli, li esorta a dire ai malati: ‘E’ vicino a voi il regno di Dio’. Chiede, cioè, di aiutare a cogliere anche nell’infermità, per quanto dolorosa e difficile da comprendere, un’opportunità d’incontro con il Signore.
Nel tempo della malattia, infatti, se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature (fisica, psicologica e spirituale), dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze. Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato”.
In questo caso la malattia può diventare un’esperienza di consolazione: “La malattia allora diventa l’occasione di un incontro che ci cambia, la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita: un’esperienza che, pur nel sacrificio, ci rende più forti, perché più consapevoli di non essere soli. Per questo si dice che il dolore porta sempre con sé un mistero di salvezza, perché fa sperimentare vicina e reale la consolazione che viene da Dio”.
L’altro punto importante riguarda il dono, richiamando alla ‘definizione’ data da Madeleine Delbrêl, che si realizza nella Resurrezione: “Mai come nella sofferenza, infatti, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore, e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare, rimanendo ‘fedeli alla fedeltà di Dio’, secondo la bella espressione di Madeleine Delbrêl.
Non solo, ma il Risorto cammina anche con noi, facendosi nostro compagno di viaggio, come per i discepoli di Emmaus. Come loro, anche noi possiamo condividere con Lui il nostro smarrimento, le nostre preoccupazioni e le nostre delusioni, possiamo ascoltare la sua Parola che ci illumina e infiamma il cuore e riconoscerlo presente nello spezzare del Pane, cogliendo nel suo stare con noi, pur nei limiti del presente, quell’ ‘oltre’ che facendosi vicino ci ridona coraggio e fiducia”.
Quindi dalla speranza e dal dono nasce la condivisione: “I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore! Ci si rende conto, cioè, di essere ‘angeli’ di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche”.
E’ un invito ad apprezzare la bellezza di un gesto, che può rendere ‘diversa’ la vita: “Ed è importante saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli: conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo e premuroso di un dottore o di un volontario, quello pieno di attesa e di trepidazione di un coniuge, di un figlio, di un nipote, o di un amico caro. Sono tutte luci di cui fare tesoro che, pur nel buio della prova, non solo danno forza, ma insegnano il gusto vero della vita, nell’amore e nella prossimità”.
Affidando i malati alla protezione di Maria, papa Francesco ha ringraziato, oltre ai malati, anche chi è al fianco di chi sta male per tale testimonianza: “Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, ‘un inno alla dignità umana, un canto di speranza’, la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando ed incoraggiando nella carità ‘la coralità della società intera’, in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno.
Tutta la Chiesa vi ringrazia per questo! Anch’io lo faccio e prego per voi affidandovi a Maria, Salute degli infermi, attraverso le parole con cui tanti fratelli e sorelle si sono rivolti a Lei nel bisogno: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
Assisi ricorda il Cantico delle Creature

Sabato scorso al Santuario di San Damiano di Assisi si è aperto ufficialmente l’VIII Centenario del Cantico delle creature’ alla presenza dei ministri generali del Primo Ordine e quelli del Terz’Ordine Regolare e Secolare, insieme alla Presidente della Conferenza delle Suore Francescane, presieduto da fra Francesco Piloni, Ministro Provinciale dei Frati Minori di Umbria e Sardegna. E’ seguita la lettura del testo ‘Compilazione di Assisi’ sulla composizione del Cantico al santuario di san Damiano.
La celebrazione è proseguita al Santuario della Spogliazione, dove fra Simone Calvarese, ministro provinciale dei Frati Minori cappuccini del Centro Italia ha guidato la seconda parte della preghiera con la lettura di due stralci della ‘Compilazione di Assisi’ inerenti alle ultime due strofe del Cantico, sul perdono e sulla morte.
E dopo la proclamazione del Cantico delle Creature da parte di Isabella Giovagnoli e fr. Luigi Giacometti, accompagnata dal clarinetto, i ministri Generali hanno commentato i passi del Cantico attraverso le creature che compongono la lode per cui fr. Mssimo Fusarelli, ha invitato a riflettere sulla prima creatura ‘su cui Francesco posa lo sguardo’ sul sole che ‘è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significazione’: “In queste parole troviamo una chiave di lettura che serve a capire tutto il Cantico: il sole e tutte le creature sono segno di Dio, di lui ‘portano significatione’, di lui ci parlano, se sappiamo guardarle con gli occhi giusti, illuminati dalla fede e fissi su Gesù Cristo, che è il sole di giustizia che sorge dall’alto”.
Poi fr. Tibor Kauser, ministro generale OFS ha posto l’accento su ‘sora Acqua’: la prima cosa che viene menzionata nel libro della Genesi, ancora prima della luce: quanto è preziosa, essendo stata scelta per dare spazio in alto allo Spirito di Dio! Questo stesso Spirito di Dio ha scelto noi non solo per librarsi sopra, ma per abitare in noi. Quanto sarebbe bello se potessimo correre insieme a lei e dare la vita”.
Fr. Carlos Alberto Trovarelli, ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali, ha avuto il compito di ricordare ‘ciò che sta sotto il cielo’: “L’aria, l’acqua, la madre terra e il fuoco. Francesco vede nella creazione e nelle creature l’immagine stessa del Creatore. ‘Altissimo, onnipotente, bon Signore’, aiutaci a essere sensibili al respiro della Madre Terra, ai suoi cicli vitali, all’equilibrio tra consumismo e sobrietà. Concedici di riconciliarci, come fratelli e sorelle minori, con Dio e con le creature”.
Suor Frances Marie Duncan, presidente della Conferenza francescana internazionale dei fratelli e delle sorelle del Terzo Ordine regolare, ha offerto una riflessione sulla Madre Terra “della quale Francesco ci dice che è, insieme, sorella e madre: sorella come ogni altra creatura, ma anche madre perché ella ci nutre, producendo ‘diversi frutti con coloriti flori et herba’. Lo sguardo alla terra ci richiama ai problemi della distribuzione equa di quel cibo che la terra produce. Oggi viviamo ancora in situazioni di disuguaglianza che, invece di diminuire, continuano a crescere, con i molti poveri che diventano sempre più poveri e i pochi ricchi che diventano sempre più ricchi”.
Fra Amando Trujillo Cano, ministro generale del Terz’Ordine regolare, ha introdotto la tematica del perdono: “Il Cantico non parla solo della bellezza della Natura, ma anche delle difficoltà della storia umana: se c’è una lode per il perdono, vuol dire che ci sono colpe da perdonare, come pure infermità e tribolazioni”.
Il vicario dei Frati minori Cappuccini, fra Silvio do Socorro de Almeida Pereira, ha infine gettato lo sguardo sulla realtà ultima e per noi definitiva: la morte: “Perfino per la morte Francesco può dire ‘Laudato si’ mi’ Signore’. Che cosa spiega questa attitudine di Francesco, che riesce a lodare sempre? il suo segreto è la fede in un Dio che è ‘il bene, ogni bene, il sommo bene, che solo è buono’: solo tale fede può spiegare questa lode costante, che riconosce che da Dio tutto proviene e che a Lui restituisce ogni bene, nel rendimento di grazie e nella lode”.
Infine il vescovo di Assisi – Nocera Umbra e Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino ha concluso la celebrazione ricordando che le due ultime strofe del Cantico siano state concepite in Episcopio dove Francesco era ospite del vescovo Guido II: “La fatica del perdono: comandamento difficile ma sotto lo sguardo di Francesco, avviene il miracolo. Un vescovo e un podestà che sono in lite, spingendo la città stessa ad una ennesima guerra intestina, si riabbracciano: la grazia di Dio, propiziata da Francesco, fa cose davvero straordinarie. Questo miracolo di pace è anche il grande messaggio che ispira l’intero cantico”.
Commentando la giornata di sabato scorso il ministro della Provincia dei Frati Minori di Umbria e Sardegna, fra Francesco Piloni, ha sottolineato che nel cantico francescano tutto è grazia: “Talvolta nel parlare del Cantico ci dimentichiamo di un dettaglio importantissimo ma che sta alla genesi dello scritto, e che ne svela la potenza: Francesco è cieco quando lo compone. Già malato, la sua vista esteriore ormai è scomparsa, ma la luce interiore gli fa vedere tutto come presenza, come traccia di Dio, e tutto gli rimanda il significato della presenza dell’Altissimo. Francesco vede tutto con gli occhi di Dio”.
E’ stato un invito ad essere figli della lode: “Ogni cristiano che celebra la liturgia delle ore inizia la sua preghiera con le lodi. La preghiera di lode è la preghiera di chi vuole prima di tutto riconoscere la positività della vita, il valore che va oltre ogni afflizione che ci può soffocare. La lode ci ricorda che tutto è un dono, tutto è grazia, tutto è possibilità.
Francesco ce lo dice da una condizione di infermo, in una notte tribolata, in una notte travagliata: lui passa dal travaglio alla lode, perché la lode è la potenza di una relazione da figli di Dio, certi di avere un Padre che è dalla nostra parte, ormai distanti dal veleno della negatività.
La lode ci sintonizza in modo corretto dandoci le giuste coordinate dentro il quale porci. Francesco fino all’ultimo, con tutte le fatiche degli ultimi suoi sei anni, ci racconta che noi siamo i figli della lode, che nasciamo da un Dio che quando ci guarda vede che tutto è molto buono, e loda per quelle creature che sono nate dal suo cuore innamorato”.
(Foto: OFM)
‘Raccontami di Carlo’: un libro per scoprire come Carlo Acutis interpella proprio te!

I santi non sono supereroi, sono persone che hanno bussato al cuore di Dio. E alle quali è stato aperto. A cosa serve parlare di santi o pregarli? Non ci basta Gesù? Da tempo mi occupo di raccogliere storie e testimonianze di persone che hanno seguito Cristo, le racconto nei miei libri, perché credo che faccia bene leggerle. Una persona, una volta, mi ha detto che facendo questo potrei ‘distogliere la mia attenzione’ da Dio e condurre altri in questa ‘distrazione’.
Ho risposto che scrivo di loro non perché essi siano la destinazione, ma perché ci aiutano, come dei cartelli stradali quando cerchiamo di raggiungere un luogo. Non sono la luce, ma indicano la luce.
Scrivo di loro perché sono dei compagni in un viaggio comune. È bello pensare a un Dio che ama vederci camminare insieme. È affascinante che fa giungere la sua Provvidenza attraverso le relazioni che viviamo. Gesù stesso, nel nascere, non è venuto al mondo da solo, scendendo da una nube, ma attraverso un grembo, ovvero attraverso un’altra persona.
E se in Dio la morte non esiste più (perché l’ha vinta con la Risurrezione), come non pensare che la comunione e l’aiuto reciproco continuano anche con chi abita già in Cielo? Uno degli amici santi che merita di essere conosciuto è Carlo Acutis, giovane milanese morto nel 2006. A lui ho dedicato due romanzi, un libro per bambini, una parte in uno dei diari della felicità e, ora, è stato appena pubblicato un testo biografico con l’aggiunta di testimonianze di persone che Carlo lo hanno conosciuto, dal vivo o dopo la sua nascita in Cielo.
Il libro, edito con Punto famiglia Editrice, si intitola ‘Raccontami di Carlo’. Nel testo trovate la storia di Davide e Adriana, due genitori che hanno dovuto salutare il loro figlioletto Michele di soli sette anni e che tramite Carlo hanno ricevuto la grazia della serenità. “Andrà tutto bene”, queste le parole che Adriana aveva sentito nel suo cuore, prima ancora di sapere che il figlio fosse malato, quando aveva pregato davanti a una reliquia del giovane Acutis, che fino a quel momento non conosceva se non per sentito dire.
Da quel momento, è iniziato il doloroso iter della malattia, ma insieme a quel calvario è arrivata la grazia non solo per sopportare il peso, ma anche per diventare testimoni della resurrezione. Poi c’è la storia di Ludovica, che grazie a Carlo trova la forza di vivere gesti concreti di carità, proprio sull’esempio di questo giovane, che si è sempre spogliato dei beni e dell’egoismo, per donare agli altri.
Tra le altre storie, anche quella di Donata, a cui Carlo è stato sempre antipatico per la ‘troppa perfezione’, finché non ha capito che quell’invidia era segno che doveva coltivare di più il suo rapporto con Gesù… Oggi con Carlo condivide l’amore autentico per l’Eucaristia.
Nel testo, oltre alle testimonianze, trovate un itinerario per approfondire la spiritualità di Carlo e conoscere il suo segreto per una vita piena. E voi conoscete la storia di questo giovane che verrà dichiarato santo nel Giubileo del 2025? Cosa dice a voi la storia di Carlo Acutis? Siete disposti a lasciarvi scomodare da questo ragazzino semplice, profondo, pieno di doni e soprattutto umile?
Siete disposti a seguire la strada che lui ha seguito? Siete disposti ad essere tutti di Gesù?
Per approfondire: RACCONTAMI DI CARLO… | Libreria Francescana
Papa Francesco: prendersi cura per combattere la cultura dello scarto

Oggi, ricevendo in udienza i partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica, che riflettono sul tema della sofferenza e della malattia nella Bibbia, papa Francesco ha sottolineato che il tema interpella tutte le persone, in quanto il dolore è parte della vita: “E’ una ricerca che riguarda ogni essere umano, in quanto soggetto all’infermità, alla fragilità, alla morte. La nostra natura ferita, infatti, porta inscritta in sé anche le realtà del limite e della finitudine, e patisce le contraddizioni del male e del dolore”.
Infatti il dolore e la malattia sono argomenti che non si devono rimuovere dai ragionamenti: “Il tema mi sta molto a cuore: la sofferenza e la malattia sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano, diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare, magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione. Tutti vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione”.
Ed ha offerto due riflessioni alla luce della fede, che invita a prendersi cura del malato: “Sappiamo, anche per la testimonianza di tanti fratelli e sorelle, che il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione: il ‘setaccio della sofferenza’ permette infatti di discernere ciò che è essenziale da ciò che non lo è.
Ma è soprattutto l’esempio di Gesù a indicare la via. Egli ci esorta a prenderci cura di chi vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto. Concretamente, la nostra visione di fede mi ha suggerito di proporvi qualche spunto di riflessione attorno a due parole decisive: compassione e inclusione”.
Quindi per comprendere la malattia è necessaria la compassione: “La prima, la compassione,indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra. Vedendo i volti di tanta gente, pecore senza pastore che faticano a orientarsi nella vita, Gesù si commuove. Ha compassione della folla affamata e sfinita e accoglie senza stancarsi gli ammalati, di cui ascolta le richieste: pensiamo ai ciechi che lo supplicano e ai tanti infermi che chiedono guarigione; è preso da ‘grande compassione’ (dice il Vangelo) per la vedova che accompagna al sepolcro l’unico figlio”.
Sono episodi che rivelano la vicinanza di Gesù per la gente: “Tutto ciò rivela un aspetto importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti. Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare. La Sacra Scrittura è illuminante in questo senso: non ci lascia un prontuario di parole buone o un ricettario di sentimenti, ma ci mostra volti, incontri, storie concrete…
Così, chi assimila la Sacra Scrittura purifica l’immaginario religioso da atteggiamenti sbagliati, imparando a seguire il tragitto indicato da Gesù: toccare con mano la sofferenza umana, con umiltà, mitezza, serenità, per portare, in nome del Dio incarnato, la vicinanza di un sostegno salvifico e concreto. Toccare con mano, non teoricamente, con mano”.
Ed ecco il secondo atteggiamento, l’inclusione: “Anche se non è un vocabolo biblico, questa parola esprime bene un tratto saliente dello stile di Gesù: il suo andare in cerca del peccatore, dello smarrito, dell’emarginato, dello stigmatizzato, perché siano accolti nella casa del Padre. Pensiamo ai lebbrosi: per Gesù nessuno deve essere escluso dalla salvezza di Dio”.
Infatti l’inclusione crea la condivisione: “Questa prospettiva di inclusione ci porta ad atteggiamenti di condivisione: Cristo, che è passato in mezzo alla gente facendo del bene e curando gli infermi, ha comandato ai suoi discepoli di aver cura dei malati e di benedirli nel suo nome, condividendo con loro la sua missione di consolazione. Dunque, attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza”.
Ugualmente ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che riflettono sul tema: ‘Disability and the human condition’, il papa ha evidenziato il bisogno di una cultura della cura: “In tempi recenti la comunità internazionale ha compiuto notevoli passi in avanti nel campo dei diritti delle persone con disabilità. Molti Paesi si stanno muovendo in questa direzione. In altri, invece, tale riconoscimento è ancora parziale e precario. Tuttavia, là dove questo percorso è stato intrapreso, tra luci e ombre vediamo fiorire le persone e i germogli di una società più giusta e più solidale”.
Tale ‘progresso’ si è compiuto attraverso l’ascolto: “Ascoltando la voce degli uomini e delle donne con disabilità, siamo diventati più consapevoli del fatto che la loro vita è condizionata, oltre che dalle limitazioni funzionali, anche da fattori culturali, giuridici, economici e sociali, i quali possono ostacolarne le attività e la partecipazione sociale… La vulnerabilità e la fragilità appartengono alla condizione umana e non sono proprie solo delle persone con disabilità”.
E’ stato un invito a combattere la cultura dello scarto: “Combattere la cultura dello scarto significa promuovere la cultura dell’inclusione (vanno uniti), creando e rafforzando i legami di appartenenza alla società. Gli attori protagonisti di questa azione solidaristica sono coloro che, sentendosi corresponsabili del bene di ciascuno, si adoperano per una maggiore giustizia sociale e per rimuovere le barriere di vario genere che impediscono a tanti di godere dei diritti e delle libertà fondamentali”.
(Foto: Santa Sede)
La storia di Sophia

Sophia è morta di tumore cerebrale all’età di 8 anni. I genitori non si aspettavano una cosa del genere. Prima pensavano si trattasse di una influenza perché, appena si svegliava e si sedeva sul letto, la bambina vomitava sempre. La sua malattia toglieva i sentimenti dal cuore, a detta della madre, Maria. Dopo aver affrontato diversi ricoveri all’ospedale Bambin Gesù di Roma, i medici avevano prospettato una possibile cefalea infantile.
Pasqua: Aiutami a superare il lutto. Con uno sguardo alla Resurrezione

Perché Dio permette la morte? Come superare la perdita di un figlio o la vedovanza? E se l’aldilà ci fa paura? In un mondo, quello occidentale, che spesso tende a rimuovere la condizione della morte dall’esperienza umana, in una sorta di invincibilità che la allontana, oppure spingendoci a nasconderci e vergognarci del dolore legato al lutto, le monache agostiniane del Monastero Santa Rita da Cascia – con il coraggio di chi è sempre attento e vicino ai bisogni umani- vogliono invece accompagnare coloro che vivono il vuoto della perdita.
Hanno, infatti, appena pubblicato il loro ultimo libriccino ‘Aiutami a superare il lutto’, il secondo volume della collana tascabile ‘Rita quotidiana’, curata da Tau editrice, in cui, in questo tempo di Pasqua, invitano a elaborare la mancanza, guardando alla Resurrezione, che porta tutti – credenti o meno – a fare i conti con la morte e con la possibilità di andare oltre e rinascere, come fatto da Rita stessa dopo aver perso il marito e i due figli.
Con questo volume, disponibile [U1] nelle librerie d’Italia, presso il Santuario e online anche su shop.santaritadacascia.org, dopo il primo dedicato alla maternità, continua così il primo innovativo progetto editoriale del monastero, con cui le claustrali, a partire da storie vere, vogliono essere presenti nella vita dei devoti e non solo – per non lasciarli soli – attraverso i dolori e le gioie che sono parte della vita di tutti i giorni. Lo fanno in qualità di amiche, prendendo esempio da Santa Rita, considerata una “guida del cuore”, facendosi così depositarie del suo messaggio.
Il volume, appena pubblicato, contiene la prefazione di p. Giuseppe Caruso, preside dell’Istituto Patristico ‘Augustinianum’, e l’introduzione di suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero. Nel testo si prova a rispondere agli interrogativi dolorosi riguardanti la morte, avendo come riferimento costante il Vangelo e l’insegnamento che, sebbene il cristiano non conosca alcuna strada che aggiri il dolore, conosce però una strada per attraversarlo, insieme al Signore.
“Nel titolo abbiamo voluto usare il termine ‘superare’, che significa passare oltre – ha dichiarato la Priora – un termine che quindi ha in sé il valore del passaggio a qualcosa di altro e non del fermarsi a qualcosa che è la fine. Ed è proprio sul superare che noi proviamo ad agire, sul guidare oltre il dolore chi affronta il lutto, per arrivare insieme a una rinnovata serenità. Con il suo beatissimo Transito, che è un vero e proprio passaggio dalla vita terrena a quella celeste, Santa Rita stessa ci stimola a guardare a Gesù Crocifisso e ci chiede, in questo tempo di Pasqua, di non fermarci al Venerdì Santo e alla Passione, perché l’esistenza dell’uomo non finisce con la sua morte terrena ma è la strada per la Vita Nuova”.
“Rita ha conosciuto fino in fondo il senso di solitudine e di vuoto che il lutto scatena nell’animo umano – scrive Padre Caruso nell’introduzione – però, anche in quel momento, si è rivolta a Cristo: nel suo Signore, che per amore dell’umanità ha sperimentato la croce e l’abbandono, ha trovato l’amico al quale confidare la sua pena e la certezza di non essere mai sola”.
La collana vuole essere un percorso al fianco di ogni persona[U2] , rimanendo al passo con la società e le sue trasformazioni. Il prossimo volume, che sarà pubblicato entro il 2024, sarà dedicato alla preghiera, a conclusione stessa dell’Anno della Preghiera, voluto da Papa Francesco, che la considera “il respiro della fede”, in preparazione al Giubileo del 2025. Saranno quindi affrontati, a seguire, temi quali famiglia, carità, malattia, solitudine.[U3]
E’ invece dedicato alla maternità il primo volume della collana, dal titolo ‘Aiutami ad essere madre’. Il suo intento è quello di accompagnare le madri e coloro che vogliono diventarlo, ricordando che “le mamme non sono eroine di una storia, sono fragili, insicure, umane e va bene così. Il mestiere della mamma non è cosa facile, ma neppure cosa impossibile”.
Chiunque desideri condividere la propria testimonianza per le future pubblicazioni è invitato a scrivere a redazione@santaritadacascia.org
Di fianco il qr code per ordinare [U4] il libro su shop.santaritadacascia.org
