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Alla vigilia del Sinodo papa Francesco chiede perdono
“La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori”: con queste parole papa Francesco ha iniziato la riflessione che ha concluso la Veglia Penitenziale in chiusura del Ritiro spirituale dei Vescovi in preparazione alla Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltasi nella basilica di san Pietro gremita di fedeli.
Papa Francesco ha incentrato la riflessione sul peccato, che è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle… La Chiesa è nella sua essenza di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare una Chiesa sinodale”.
Ed ha chiesto ai vescovi di essere credibili, oltreché credenti, soffermandosi a riflettere sul racconto del fariseo e pubblicano al Tempio, narrato dall’evangelista Luca: “Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?”.
Nella riflessione papa Francesco ha sollecitato i sinodali a rispondere ad alcune domande: “Per essere in relazione con Dio non è possibile dare spazio al proprio ‘io’… Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti?”.
E’ una meditazione sulla presenza della Chiesa: “Noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio. Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature”.
La riflessione è stata una meditazione sulla confessione: “Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene… Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare”.
All’inizio della celebrazione e dopo le testimonianze i vescovi hanno chiesto perdono come il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, che ha chiesto perdono per il “peccato di mancanza di coraggio, del coraggio necessario alla ricerca di pace tra i popoli e le nazioni, nel riconoscimento dell’infinita dignità di ogni vita umana in tutte le sue fasi”. Mentre il card. Seán Patrick O’ Malley, arcivescovo emerito di Boston, ha chiesto perdono per gli ‘abusi di coscienza, abusi di potere, e abusi sessuali’.
Il card. Kevin Joseph Farrel, prefetto del dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ha chiesto perdono per “tutte le volte che non abbiamo riconosciuto e difeso la dignità delle donne, per quando le abbiamo rese mute e succubi, e non poche volte sfruttate, specie nella condizione della vita consacrata e per tutte le volte che abbiamo rubato la speranza e l’amore alle giovani generazioni”.
Infine il card. Cristóbal López Romero ha chiesto perdono per non aver denunciato le sopraffazioni: “Chiedo perdono a nome di tutti nella Chiesa, provando vergogna per quando abbiamo girato la testa dall’altra parte di fronte al sacramento del povero, preferendo adornare noi stessi e l’altare di colpevoli preziosità che sottraggono il pane all’affamato”.
In questa seconda giornata p. Timothy Radcliffe ha meditato sulla Resurrezione, soprattutto nel dialogo tra Gesù e Pietro: “La conversazione a colazione è forse la più sottile e delicata della Bibbia. La vergogna del rinnegamento di Pietro è nell’aria, ma nulla viene detto esplicitamente. Con gentilezza e forse anche con un sorriso, Gesù apre lo spazio a Pietro per ritrattare tre volte il suo triplice rinnegamento. Stuzzichiamo le persone con la follia di ciò che hanno detto o fatto? O apriamo loro delicatamente uno spazio per andare avanti?”
E dopo il tradimento Pietro ribadisce il proprio ‘amore’ per Gesù: “Notare la dolce ironia: Pietro dice, ‘Tu mi conosci’. In quella triste notte aveva negato di conoscere Gesù, ma Gesù conosce lui. Secondo la leggenda antica, avrebbe fallito di nuovo durante la persecuzione neroniana. Fuggendo da Roma, incontrò Cristo che andava nella Città. Chiede al suo Signore: dove stai andando? Quo Vadis? ‘A morire di nuovo’. E’ lì che Pietro mostra il più grande di tutti gli amori che aveva professato e negato due volte. E’ lì, alla fine della sua vita, che è fedele al suo voto d’amore. Questo dà coraggio a tutti noi nei nostri fallimenti”.
Questo dialogo significa la fiducia di Gesù: “Gesù si è fidato di Pietro e gli ha affidato il gregge, anche se finora non era stato degno di fiducia. La Chiesa è fondata sulla roccia della fiducia immeritata di Dio in Simon Pietro. Oseremo fidarci l’uno dell’altro, nonostante alcuni fallimenti? Il Sinodo dipende da questo”.
Inoltre p. Rdcliffe pone fiducia alla responsabilità della persona: “Solo un esempio: non è un segreto che la dichiarazione ‘Fiducia Supplicans’ abbia provocato angoscia e rabbia tra molti vescovi in tutto il mondo. Alcuni membri di questo Sinodo si sono sentiti traditi. Ma la Chiesa diventerà una comunità affidabile solo se ci assumiamo il rischio, come il Signore, di fidarci l’uno dell’altro, anche se siamo stati feriti.
Il Signore si affida nelle nostre mani ancora e ancora, in ogni Eucaristia, anche se lo tradiamo in continuazione. La crisi degli abusi sessuali ci ha insegnato dolorosamente che questa non può essere una fiducia irresponsabile che mette a rischio gli altri, specialmente i minori, ma una fiducia che abbraccia il nostro rischio di essere feriti”.
E’ stato l’invito a non perdere la speranza nella Provvidenza: “Dobbiamo avere il coraggio di confidare nel fatto che la Divina Provvidenza benedirà questo sinodo abbondantemente, ‘una buona misura, pigiata, scossa insieme, traboccante, vi sarà versata nel grembo’. Non siamo qui per un pasto magro, ma per la haute cuisine del Regno, se lo desideriamo abbastanza”.
Nella pesca miracolosa avviene l’attrazione: “Gesù disse: ‘Quando sarò elevato, attirerò tutti a me’. Ora vediamo Pietro che attira (è la stessa parola in greco) la rete piena di pesci grassi verso di sé e la rete non si rompe. Questo non è dovuto alla sua forza, ma alla sua cooperazione con l’attrazione del Signore, la forza magnetica del Signore Risorto. E’ l’attrattiva del Signore che tira a riva la rete intatta. Il ministero petrino dell’unità non sta sorvegliando i figli ribelli di Dio. Sta rivelando l’attrattività del Signore, che ci attira insieme”.
In apertura di giornata madre Angelini ha meditato sul valor del silenzio: “Lo è invece il silenzio prezioso di chi sa togliersi dal palcoscenico, e vive una sorta di solitudine feconda e aperta all’alterità, nell’ascolto della parola di Dio, del grido dei poveri e dei gemiti della creazione. Silenzio è lotta contro la banalità, è ricerca di verità, è accoglienza del mistero che si nasconde in ogni persona e in ciascun essere vivente. Non spiega la sofferenza ma la attraversa. Il silenzio può farci ritrovare il vero e autentico ritmo del dialogo sinodale”.
Il silenzio ‘evangelico’ è necessario nella vita cristiana: “Ebbene, proprio questo silenzio viene oggi evocato nel Vangelo: l’inizio del “grande viaggio”. Un Vangelo intriso di silenzio, con quel volto di Gesù che (orientandosi al Golgota) nella ferma decisione si fa saldo come pietra. La liturgia che questa sera celebreremo a conclusione del ritiro, trae senso e respiro dalla luce silenziosa di quel Volto. L’arte ‘sinodale’ di Gesù offerta all’assemblea sinodale: per camminare, oltre a imparare lo sguardo che scopre le nuove misure del mondo (la silenziosa narrazione), è necessario anche apprendere l’arte di relazioni gratuite, senza presa per il Divisore”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco in Belgio: una vergogna gli abusi della Chiesa
In Belgio papa Francesco è stato accolto dai reali e dalle autorità civili, non dimenticando il dramma degli ‘abusi’ elogiando la centralità del Paese nella storia europea: “Quando si pensa a questo Paese, si evoca contemporaneamente qualcosa di piccolo e di grande, un Paese occidentale e al tempo stesso centrale, come se fosse il cuore pulsante di un gigantesco organismo”.
Ed ha definito il Belgio un ‘ponte’ per l’Europa: “Per il fatto di essere sulla linea di faglia tra mondo germanico e mondo latino, confinante con Francia e Germania, che più avevano incarnato le antitesi nazionalistiche alla base del conflitto, esso apparve come luogo ideale, quasi una sintesi dell’Europa, da cui ripartire per la sua ricostruzione, fisica, morale e spirituale”.
Un ‘ponte’ indispensabile per la pace: “Si direbbe che il Belgio sia un ponte: tra il continente e le isole britanniche, tra l’area di matrice germanica e quella francofona, tra il sud e il nord dell’Europa. Un ponte, per permettere alla concordia di espandersi e di far indietreggiare le controversie. Un ponte dove ciascuno, con la sua lingua, la sua mentalità e le sue convinzioni, incontra l’altro e sceglie la parola, il dialogo, la condivisione come mezzi per relazionarsi.
Un luogo dove si impara a fare della propria identità non un idolo o una barriera, ma uno spazio ospitale da cui partire e a cui ritornare, dove promuovere validi interscambi e cercare insieme nuovi equilibri, costruire nuove sintesi. Il Belgio è un ponte che favorisce i commerci, mette in comunicazione e fa dialogare le civiltà. Un ponte dunque indispensabile per costruire la pace e ripudiare la guerra”.
Ed ha spiegato il motivo per cui il Belgio è necessario per l’Europa: “L’Europa ha bisogno del Belgio per portare avanti il cammino di pace e di fraternità tra i popoli che la compongono. Questo Paese ricorda a tutti gli altri che, quando (sulla base delle più varie e insostenibili scuse) si comincia a non rispettare più confini e trattati e si lascia alle armi il diritto di creare il diritto, sovvertendo quello vigente, si scoperchia il vaso di Pandora e tutti i venti incominciano a soffiare violenti, squassando la casa e minacciando di distruggerla. In questo momento storico credo che il Belgio ha un ruolo molto importante. Siamo vicini a una guerra quasi mondiale”.
Ed ha sottolineato che la pace è una missione: “La concordia e la pace, infatti, non sono una conquista che si ottiene una volta per tutte, bensì un compito e una missione – la concordia e la pace sono un compito e una missione -, una missione incessante da coltivare, da curare con tenacia e pazienza. L’essere umano, infatti, quando smette di fare memoria del passato e di lasciarsene istruire, possiede la sconcertante capacità di tornare a cadere anche dopo che si era finalmente rialzato, dimenticando le sofferenze e i costi spaventosi pagati dalle generazioni precedenti. In questo la memoria non funziona, è curioso, sono altre forze, sia nella società sia nelle persone, che ci fanno cadere sempre nelle stesse cose”.
Per questo è necessaria la memoria: “In questo senso il Belgio è quanto mai prezioso per la memoria del continente europeo. Essa infatti mette a disposizione argomenti inoppugnabili per sviluppare un’azione culturale, sociale e politica costante e tempestiva, coraggiosa e insieme prudente, che escluda un futuro in cui nuovamente l’idea e la prassi della guerra diventino un’opzione percorribile, con conseguenze catastrofiche”.
Ed in questa ‘memoria’ storica si inserisce la Chiesa: “La Chiesa Cattolica vuole essere una presenza che, testimoniando la propria fede in Cristo Risorto, offre alle persone, alle famiglie, alle società e alle Nazioni una speranza antica e sempre nuova; una presenza che aiuta tutti ad affrontare le sfide e le prove, senza facili entusiasmi né cupi pessimismi, ma con la certezza che l’essere umano, amato da Dio, ha una vocazione eterna di pace e di bene e non è destinato alla dissoluzione e al nulla”.
Ed ha ricordato che la Chiesa è ‘santa e peccatrice’: “In questa perenne coesistenza fra santità e peccato, di luce e ombra vive la Chiesa, con esiti spesso di grande generosità e splendida dedizione, e a volte purtroppo con l’emergere di dolorose contro-testimonianze. Penso alle drammatiche vicende degli abusi sui minori (alle quali si sono riferiti il Re e il Primo Ministro), una piaga che la Chiesa sta affrontando con decisione e fermezza, ascoltando e accompagnando le persone ferite e attuando in tutto il mondo un capillare programma di prevenzione”.
Ed a proposito di abusi il papa ha detto che essi sono una vergogna: “Fratelli e sorelle, questa è la vergogna! La vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono e risolvere il problema: la vergogna degli abusi, degli abusi sui minori. Noi pensiamo al tempo dei santi Innocenti… ma oggi nella Chiesa c’è questo crimine; la Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana. E mettere tutte le condizioni perché questo non succeda più.. Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo; gli altri chiedano perdono per la loro parte. Questa è la nostra vergogna e la nostra umiliazione”.
Un altro scandalo sottolineato è stato quello delle ‘adozioni forzate’: “Sono stato rattristato da un altro fenomeno: le ‘adozioni forzate’, avvenute anche qui in Belgio tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso… Spesso la famiglia e altri attori sociali, compresa la Chiesa, hanno pensato che per togliere lo stigma negativo, che purtroppo a quei tempi colpiva la madre non sposata, fosse preferibile per il bene di entrambi, madre e bambino, che quest’ultimo venisse adottato. Ci furono persino casi nei quali ad alcune donne non venne data la possibilità di scegliere se tenere il bambino o darlo in adozione. E questo succede oggi in alcune culture, in qualche Paese”.
Concludendo il discorso papa Francesco si è soffermato a riflettere sul motto del viaggio, ‘In cammino, con speranza’: “Mi fa riflettere il fatto che Espérance sia scritto con la maiuscola: mi dice che la speranza non è una cosa, che durante il cammino si porta nello zaino; no, la speranza è un dono di Dio, forse è la virtù più umile (diceva lo scrittore) ma è quella che non fallisce mai, non delude mai. La speranza è un dono di Dio e si porta nel cuore! Ed allora voglio lasciare questo augurio a voi e a tutti gli uomini e le donne che vivono in Belgio: possiate sempre chiedere e accogliere questo dono dallo Spirito Santo, la speranza, per camminare insieme con Speranza nella strada della vita e della storia”.
(Foto: Santa Sede)
Dichiarazione ‘Fiducia supplicans’: meditazioni giuridico-teologiche sullo stupore suscitato in tutto il mondo
Scusa Francesco (Sorry Frank) sono tutti i santi giorni sempre in aula, il discorso è serio ed impegnativo eci tengo ad interloquire in merito con una persona come te. Volevo effettuare un’analisi multidisciplinare (come tu fai nel trattare qualsiasi tematica di cui hai cognizioni) della ‘Dichiarazione Fiducia Supplicans’ ma adesso non ce l’ho fatta per il motivo di cui sopra. Le info che ho risalgono ad un servizio che ho ascoltato al tg di tv2000 , in cui si chiariva che con tale dichiarazione non si intendeva per nulla confondere il sacramento del matrimonio con la benedizione proposta nelle situazioni proposte di situazioni irregolari o unioni tra persone dello stesso sesso.
Stabilendo non un rito o un luogo che possa assimilare tale atto come riconoscere un’equipollenza al sacramento. quindi fin qua tutto come da tradizione. il problema nasce dall’ estensione del concetto di benedizione facendola uscire dall’ambito ritualistico per includerlo come pratica pastorale, ed in questo siamo nell’alveo di papa Francesco, di accogliere tutte quelle persone che in situazioni particolari si trovano fuori dai canoni semplici stabiliti. il problema mi nasce davanti a due dello stesso sesso che convintamente vogliono unirsi e che non intendono recedere perchè quella è la loro unione “ naturale”. A questo punto la benedizione dovrebbe essere fatta con l’auspicio che lo Spirito Santo possa illuminare le coscienze di entrambi e agire consapevolmente di conseguenza. Ti faccio un paragone S. Paolo prima della folgorazione/conversione sulla via di Damasco era fermamente convinto ed in buona fede di essere nel giusto in quello che faceva anzi ne ha vantato le sue origini e il suo operato.
NELLA LETTERA AI FILIPPESI PAOLO VANTA LE SUE ORIGINI: “CIRCONCISO ALL’ETÀ DI OTTO GIORNI, DELLA STIRPE D’ISRAELE, DELLA TRIBÙ DI BENIAMINO, EBREO FIGLIO DI EBREI; QUANTO ALLA LEGGE, FARISEO; QUANTO A ZELO, PERSECUTORE DELLA CHIESA; QUANTO ALLA GIUSTIZIA CHE DERIVA DALL’OSSERVANZA DELLA LEGGE, IRREPRENSIBILE” (FIL 3,5-6). IN GAL 1,13-14 EVIDENZIA LA PROPRIA INTRANSIGENZA COME PERSECUTORE: “VOI AVETE CERTAMENTE SENTITO PARLARE DELLA MIA CONDOTTA DI UN TEMPO NEL GIUDAISMO: PERSEGUITAVO FEROCEMENTE LA CHIESA DI DIO E LA DEVASTAVO; SUPERANDO NEL GIUDAISMO LA MAGGIOR PARTE DEI MIEI COETANEI E CONNAZIONALI, ACCANITO COM’ERO NEL SOSTENERE LE TRADIZIONI DEI PADRI”.
L’apparizione di Gesù sulla via di Damasco costringe Paolo a ristrutturare tutto il suo mondo interiore. In quanto fariseo credeva nella risurrezione. Ora Gesù, vivo, si fa riconoscere da lui come colui che Dio Padre ha glorificato e che, nello stesso tempo, manifesta la sua vita Risorta nella Chiesa creando con essa una nuova storia. Non solo: dalla Risurrezione risulta confermato quanto Gesù diceva di sé, di essere venuto e di donare se stesso per la salvezza di tutti gli uomini. Pertanto, in Paolo l’attitudine di difensore della tradizione di Israele si rovescia nell’impegno di mettere tutti a contatto vivente, per mezzo della tradizione della comunità, con l’intenzione salvifica del Cristo Risorto.
In questo modo Paolo riconosce che la Legge non può liberare dal peccato, se il Figlio di Dio è dovuto morire per espiare i peccati; anzi, se la Legge ha fornito le ragioni ad alcuni Israeliti per condannare il Figlio di Dio, quel modo di interpretarla non ha più valore, si deve abbandonare. Da questo parallelo mi auguro che la benedizione sia un auspicio affinchè lo Spirito illumini le coscienze, la Chiesa, che è Madre, accoglie senza discriminare appunto come una madre farebbe e fa in queste situazioni nei confronti di propri figli che si trovano in queste situazioni. ti parlo per fatti di mia conoscenza vissute da miei amici e cugini di fede cattolica provata. e l’atteggiamento costante è stato l’accoglienza.
Fraternamente penso ciò, mi rendo conto che però avere un corpo e un cervello che non corrispondono a quello che è la norma che osserviamo nei grandi numeri in natura, non deve essere facile. Ecco perchè la pressione di fare apparire normali queste situazioni, e richiedere garanzie di diritti che in passato non ci sono stati…. il problema sai qualè nella società contemporanea: che una coppia sposata regolarmente fra uomo e donna che mettono al mondo dei figli per formare una famiglia , rischia di trovarsi svantaggiata rispetto alle nuove realtà emergenziali o di fatto che si sono create naturalmente o spinte da una pressione di lobby che alimenta una comunicazione discriminatoria al contrario.
Mio figlio ( che ha tutti gli attributi…) fa il ….. , lavora a …… nel campo della comunicazione rivolto ad imprese, ha approcciato all’inizio il settore della moda, e mi dice “papà in quel mondo se vuoi andare avanti , non conta la tua professionalità, ma devi essere di un certo tipo e disponibile alle avances da parte di persone che hanno il potere in materia e ti vorrebbero selezionare sulla base di altre prestazioni…..”.
Per cui sulla base di questo stato di fatto , questo mondo non è sempre compatibile col il sistema di valori che ha fatto suo e che ha respirato in famiglia. Rispetto reciproco, non prevaricazione. Scusami se mi sono dilungato, ma so che l’argomento è divisivo. Papa Francesco stesso ci dice che la Chiesa è stata da sempre percorsa da discussioni e Pietro garantisce l’unità , quindi preghiamo per Pietro così come egli da subito ha richiesto e non credo tanto per la sua salute , ma piuttosto per onorare al meglio il suo ministero. e preghiamo intensamente lo Spirito Santo al fine di discernere al meglio le situazioni grigie ed ingarbugliate. E proprio con questo spirito Papa Francesco ha indetto il sinodo da svolgersi in tre anni sul tema della sinodalità, che non significa tifoserie contrapposte , ma armonia nella diversità, speranzosi nello Spirito che possa armonizzare alla fine le varie sintesi dei diversi tavoli che hanno raccolto le varie proposte da tutte le realtà di comunità sparse nel mondo.
Qui vorrei ricordarmi del concetto caro a papa Francesco il tempo supera lo spazio https://it.aleteia.org/2016/05/26/ (perche-papa-francesco-dire-tempo-essere-superiore-spazio/). Questo di cui parliamo è un’applicazione pratica di come affrontare questi temi spinosi. Un abbraccio affettuoso, un augurio di buon anno, un caro saluto a te ed auguri per il compleanno ed onomastico di tua moglie Marcella Varia, insieme operate simbioticamente per glorificare la SS. Trinità e la Madre di Dio ( come mi hai già spiegato, conosce bene l’ambiente “de quo” in quanto per decenni ha svolto una brillante attività professionale in Italia ed all’estero, in contatto lavorativo anche con apprezzati/e, ottimi/e colleghi/e pure da te conosciuti/e, di cui si occupa per la prima volta in modo innovativo il nuovo documento magisteriale “Fiducia Supplicans”).
Ciao caro Francescooooo.. (mon cher Francois) Auguri a te e Marcella
Io, come tu sai, docente di religione ed operatore pastorale il card. Sarah l’ho sempre stimato, come l’hanno sempre stimato tutti i pontefici da Giovanni Paolo II a Francesco. Per quel che concerne la sua lettera che ho letto sul sito dell’Espresso, chiarisce quei punti, grazie anche al magistero del nostro caro pontefice Francesco, che forse alcune interpretazioni legate ad una stampa poco oculata hanno dato. In questo periodo per alcuni documenti si va molto ad interpretazione, quella dettata dalla tradizione e dal magistero penso che sia la più corretta. Grazie.
Percorso a tappe sul libro ‘L’arte di rovinare i matrimoni’. Parte 1: il fidanzamento
Quando ho scritto ‘L’arte di rovinare i matrimoni. La missione di un giovane apprendista diavolo’ (Mimep Docete, 2023) avevo in mente volti e nomi concreti, di persone a cui, purtroppo, è stata rubata la gioia coniugale, di persone sposate a cui è finito il vino sulla tavola e ora si ritrovano con un pugno di cenere in mano, dopo essersi procurate, nella coppia, ferite profondissime.
Pensavo anche a tutte le volte che io stessa mi lascio rubare dal Nemico la capacità di essere una sposa salda, amorevole, proprio come accade, d’altro canto, a mio marito, perché il peccato è il più grande ostacolo alla comunione sponsale. Oggi vorrei iniziare un breve itinerario a tappe, per riflettere con voi su alcuni aspetti della vita matrimoniale, sulle sue gioie e sulle sue fatiche.
Infatti, mi sono resa conto che tanti fallimenti avvengono perché non si hanno gli strumenti adeguati, perché non si è consapevoli di cosa significhi avventurarsi in un progetto di vita definitivo, che punti al per sempre. Spesso non si è capito che occorre essere anzitutto ‘persone risolte affettivamente’, che non elemosinano attenzioni e affetto, ma al contrario sono libere di dire dei no al momento giusto e capaci di dono gratuito di sé. Solo così è possibile tirare insieme i remi di una barca impegnativa come la famiglia.
Non è facile vivere come coppia, ma non è neppure una questione di fortuna. Si tratta di aver capito come funziona un matrimonio e di aver acquisito le armi per abbattere i nemici interni ed esterni alla nostra relazione; si tratta di sapere che il male è sempre pronto ad intaccare la nostra famiglia per distruggerla, poco alla volta. Eppure, possiamo vincere, se abbiamo le consapevolezze necessarie.
Dunque, oggi, prendendo spunto dal romanzo che utilizza come espediente narrativo una scuola ambientata all’inferno (dove dei demoni si specializzano per rovinare più matrimoni possibili), affronteremo il primo punto per costruire una relazione solida: un buon fidanzamento, che è, in fondo, la prima pietra della casa che costruiremo sopra. Come abbiamo vissuto/stiamo vivendo il nostro fidanzamento? Questa è una domanda di vitale importanza.
Alice e Luca, protagonisti del mio libro, si fidanzano con le idee molto chiare su ciò che vogliono dalla vita e su dove investire le loro migliori energie. Vivono il fidanzamento in modo sano, fruttuoso. Alcuni esempi? Sono missionari insieme, sono una coppia disponibile all’incontro con gli altri, fanno parte di una bella comunità, non si isolano, hanno imparato a dialogare e a chiedersi scusa. Hanno rispetto del corpo dell’uno e dell’altra, non lo vedono come un oggetto da cui trarre piacere, ma come tempio sacro di un’anima immortale. Tutto questo li porta a dire un ‘sì’ maturo davanti all’altare.
Proprio ieri mi è capitato di discutere con una persona che sosteneva come la convivenza prematrimoniale sia essenziale per conoscere bene una persona e garantire, così, che la storia funzioni. Eppure, è sotto agli occhi di tutti il fatto che vivere sotto lo stesso tetto per un tot di mesi o di anni, di per sé, non è garanzia di un futuro prospero.
Nella mia esperienza e in quella di tanti amici, posso dire che il vero nodo della questione è individuare eventuali nuclei di morte della relazione e lavorarci. E’ imparare a parlare sul serio, a comunicare ciò che si ha nel profondo dell’anima, a fare pace davvero, dopo un litigio; è imparare a capire il punto di vista dell’altro, senza pretendere di avere sempre ragione. E’ creare un’intimità di cuore, che nasca dal mettere a nudo i propri sentimenti, prima che il proprio corpo; è rispettare l’altro non solo a parole, ma nei fatti; è guardarlo nella sua interezza e non ridurlo a una parte del suo aspetto fisico.
Il primo mattone di un matrimonio solido, dunque, è un fidanzamento vissuto responsabilmente, facendo cioè un buon discernimento. Voi lo state facendo? Avete capito quanto importante sia questa fase della relazione? Non puoi diventare medico senza una laurea, frutto di studio e sacrificio. Non puoi guidare l’auto senza la patente, segno che ti sei fatto insegnare da qualcun altro come si sta in strada.
E chi ti sta insegnando a stare in una relazione d’amore? Chi ti ha mostrato cosa sia realmente un matrimonio? Da quale scuola stai imparando ad amare l’altro? Come vedremo nei prossimi appuntamenti, aver impostato bene il fidanzamento non basta, ma di certo è il primo passo!
P. Giovanni Cavalcoli: ‘Fiducia supplicans’ è documento sostanzialmente pastorale
“Le benedizioni possono essere considerate tra i sacramentali più diffusi e in continua evoluzione. Esse, infatti, conducono a cogliere la presenza di Dio in tutte le vicende della vita e ricordano che, anche nell’utilizzo delle cose create, l’essere umano è invitato a cercare Dio, ad amarlo e a servirlo fedelmente. Per questo motivo, le benedizioni hanno per destinatari persone, oggetti di culto e di devozione, immagini sacre, luoghi di vita, di lavoro e di sofferenza, frutti della terra e della fatica umana, e tutte le realtà create che rimandano al Creatore, le quali, con la loro bellezza, lo lodano e lo benedicono”.
Nella presentazione all’inizio del documento, il prefetto del suddetto Dicastero, card. Víctor Fernández, ha ribadito che tale documento ‘deve favorire, insieme alla comprensione della dottrina perenne della Chiesa, la ricezione dell’insegnamento del Santo Padre’, attraverso una precisazione, in cui si dichiara: “resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione”.
Per tale motivo p. Giovanni Cavalcoli, docente emerito di teologia dogmatica nella facoltà teologica dell’Emilia-Romagna e di metafisica nello Studio Filosofico Domenicano di Bologna, ha messo in evidenza la natura del documento:
“La Dichiarazione ‘Fiducia supplicans’ del Dicastero per la Dottrina della fede è un documento sostanzialmente pastorale, che però mette in gioco, ribadisce e chiarisce verità di fede concernenti la volontà di Dio nei confronti della sessualità umana e quindi la concezione cristiana dell’uomo con particolare riferimento alla dignità della sessualità così come risulta dal piano divino protologico-genesiaco, redentivo-salvifico ed escatologico-glorifico”.
Allora, per quale motivo la dichiarazione ‘Fiducia supplicans’ ha provocato tante reazioni?
“Per il fatto che può dare l’impressione di benedire il peccato; ma ad un attento esame si dimostra che tale impressione è infondata, per cui la dichiarazione ha bisogno di essere chiarita nei seguenti modi. Innanzitutto occorre tener presente che il linguaggio del documento è un linguaggio sfumato ed allusivo, in quanto intende essere una forma di riguardo alle persone. Non va interpretato come un linguaggio ambiguo e furbesco, che dia spazio ad una forma di lassismo tale da cedere al genderismo, ma va interpretato come una forma di delicatezza, appunto considerando la problematica psicologica del peccato.
Quindi una reazione comprensibile e anche legittima può essere quella di certi Pastori in certi Paesi, come per esempio in Africa, i quali si trovano in un ambiente dove l’omosessualità è perseguitata anche a norma di legge. Nella popolazione c’è un diffuso istintivo rifiuto nei confronti di queste coppie, dettato da una visione tradizionale e approssimativa, troppo severa verso questo comportamento. Inoltre, è frequente la convinzione, presso fedeli impreparati, che queste coppie irregolari si trovino in uno stato permanente di peccato mortale. Da qui lo scandalo di una benedizione che ai loro occhi sembra un avallo della cattiva volontà della coppia.
E’ cioè ignorata la possibilità, della quale parla già papa Francesco nell’esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’, di attenuanti di colpa e dello stato di grazia della coppia o di uno dei due. Inoltre si ignora la possibilità della conversione della coppia, in un cammino che avviene gradatamente e che può durare tutta la vita. Infine, c’è da considerare il timore che la dichiarazione possa in qualche modo favorire i genderisti, per il fatto che il linguaggio dei due documenti, dettato da quei riguardi di cui sopra, può sembrare non del tutto chiaro e prestarsi alla strumentalizzazione”.
Un chiarimento è necessario: in generale a chi possono essere date le benedizioni?
“A singole persone od a gruppi od a coppie, intenzionati a progredire nella virtù e a combattere il vizio, affinchè possano ricevere protezione e aiuto da parte di Dio. Queste persone possono avere intenzioni o bisogni diversi, come per esempio una persona che deve affrontare una prova difficile, oppure in occasione di qualche anniversario, oppure può trattarsi di benedizioni di rito impartite dal sacerdote per esempio alla fine della Messa o in occasione delle nozze, oppure può essere la benedizione del cappellano militare per le truppe, oppure può trattarsi della rituale benedizione pasquale delle case o di una salma, e così via”.
Gli oggetti possono essere benedetti?
“Qualunque oggetto può essere benedetto, purché non abbia intrinsecamente un significato o scopo peccaminoso, come per esempio un amuleto, un idolo o un preservativo”.
Una benedizione implica il proposito di non commettere più il peccato?
“Bisogna anzitutto distinguere le benedizioni liturgiche o rituali da quelle pastorali o popolari o spontanee. In generale è chiaro che il soggetto o i soggetti devono avere almeno implicitamente la volontà di non peccare più. Inoltre occorre ricordare che ogni benedizione comunica una grazia attuale, ossia una grazia che stimola o incentiva la buona volontà.
Tuttavia dobbiamo distinguere: un conto è la condizione interiore richiesta per ricevere la benedizione liturgica o rituale e un conto è quella sufficiente per la benedizione pastorale o popolare. Infatti si suppone che nel primo caso il soggetto abbia una forte volontà di non peccare e di camminare verso il Signore.
La grazia che viene conferita in questo caso non è una grazia santificante, come quella che viene conferita dai Sacramenti, grazia che agisce per la stessa opera operata dal sacerdote (ex opere operato), ma è la grazia dei cosiddetti ‘sacramentali’, la quale è una grazia attuale, che agisce in forza del fervore di chi riceve la benedizione (ex opere operantis).
Invece, per quanto riguarda il secondo caso, si può supporre che la volontà di non peccare sia ancora timida, incerta e debole o anche dubbiosa. In questo caso la benedizione pastorale, o popolare, o spontanea dona sempre una grazia attuale, che serve indubbiamente a chiarire le incertezze, a rafforzare l’odio per il peccato, ad amare la vita di grazia e ad assumere un atteggiamento più deciso sulla via del bene”.
Allora, per quale ragione benedire le coppie ‘irregolari’?
“Perchè esse, in quanto persone battezzate e dotate da Dio di qualità loro proprie, sviluppino i lati positivi della loro unione impegnandosi ad un tempo in un cammino di purificazione dai loro peccati”.
Ma quale valore dottrinale ha tale dichiarazione?
“Cito solo tre punti, che mi sembrano importanti sottolineare: essa ribadisce ed arricchisce la dottrina della benedizione; ribadisce la condanna dell’adulterio e della sodomia; fa meglio comprendere l’estensione dell’azione misericordiosa di Dio in ordine alla salvezza delle anime”.
Infine ha spiegato il ‘compito’ di chi impartisce una benedizione: “Come raccomanda il documento del Dicastero, deve verificare e vagliare con massima attenzione la situazione spirituale, le idee, le intenzioni, gli intendimenti, i desideri od i propositi di una coppia irregolare che eventualmente chiedesse di essere benedetta, per non prestarsi ad avallare con una benedizione inopportuna ed inefficace, la loro eventuale convinzione che possa essere benedetta una condotta peccaminosa, che essi non hanno intenzione di abbandonare o correggere.
Se il ministro sospetta che ci sua questo equivoco, farà bene, come ordina la Dichiarazione, a chiarire che egli benedice l’aspetto di onestà della loro unione e che la benedizione, per essere efficace, suppone in loro la volontà di correggersi dal loro peccato”.
6^ Domenica Tempo Ordinario: la compassione e tenerezza del cuore di Cristo Gesù
Oggi di scena nel brano del Vangelo la guarigione miracolosa di un lebbroso: una persona disperata, che aveva perduto tutto: lavoro, famiglia, amici, dignità, tale era considerato un ammalato di lebbra. Un uomo rifiutato da Dio e dalla società, costretto dalla legge a vivere ai margini della società con il divieto di avvicinare o di essere avvicinato d’alcuno. Nell’Antico Testamento la labbra era sinonimo di peccato; il lebbroso era considerato un vero appestato; Mosè ne aveva descritto l’impurità e, come tale, doveva essere allontanato e segregato dalla casa e dal popolo.
Papa Francesco: il vizio della ‘gola’ è un peccato sociale
Continuando le udienze generali, nell’aula ‘Paolo VI’, sui vizi capitali papa Francesco ha esaminato il peccato di gola, che è il più pericoloso, ricordando però che nei Vangeli molto spesso Gesù è descritto a tavola con i commensali, cosa che suscita scandalo nella casta sacerdotale, perché perdona i peccatori: “Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: Egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo.
San Nicola da Tolentino, il perdono una festa di Dio
Il 10 settembre a Tolentino si festeggia san Nicola ed il sabato successivo alla festa del Santo chi si reca nel Cappellone del Santuario può ‘prendere’ l’indulgenza plenaria concessa da papa Bonifacio IX con la Bolla papale ‘Splendor paternae gloriae’ del 1 gennaio 1390, come è riportato dalle cronache di Gaetano Moroni nel ‘Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica: da S. Pietro sino ai nostri giorni’, edito nel 1856:
Per non dimenticare Capaci
“Non possiamo nascondere che il clientelismo se non persino la corruzione o il solo cattivo funzionamento nella amministrazione pubblica costituiscono una piaga, che impedisce di fatto alla comunità civile di vivere in pace. Papa Francesco ha più volte sottolineato la gravità dei ‘peccati sociali’. Al contempo, apprezziamo e sosteniamo l’impegno di quanti svolgono il proprio dovere istituzionale con rigore e, a volte, con grande sacrificio personale. I recenti successi dello Stato nei confronti delle mafie sono da salutare con grande compiacimento”.