Il card. Zuppi invita la Chiesa a scelte coraggiose

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Aprendo la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente dei vescovi italiani a Roma il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, ha rilanciato l’appello rivolto a settembre da Matera ‘ai politici, ma per certi versi a tutti e che indicava alcune preoccupazioni che chiedono di trovare risposte certe, non provvisorie, precarie, sempre parziali’, attraverso un messaggio di speranza, che lascia l’inverno per immergersi nella primavera, invocando la protezione di san Giuseppe:

“In questa giornata la liturgia offre alla nostra meditazione e preghiera san Giuseppe. Mi pare provvidenziale farci guidare dalla sua figura. Il primo tratto che colpisce è la cura che prende di Maria e del Bambino Gesù. Li ama come richiesto dall’angelo, andando oltre la giustizia e superando il comprensibile timore.

Nell’incertezza, spesso faticosa, per molti terribile, dei passi del nostro vagare, comunque sempre contati da Dio, ascoltare e mettere in pratica la Parola permette di trovare il cammino, di scegliere la direzione, di prendersi cura degli altri, di vedere con gli occhi della fede le messi che già biondeggiano anche se mancano cinque mesi alla mietitura”.

San Giuseppe sa custodire: “San Giuseppe ci ricorda che siamo custoditi e dobbiamo custodire, specialmente nei momenti di crisi, nelle pandemie scatenate dal male. In esse ci scopriamo tutti vulnerabili e pellegrini su questa terra.

Giuseppe assume la responsabilità paterna: non è un consulente che presta la sua opera senza assumersi responsabilità. Custodire è far crescere Gesù, proteggerlo perché si riveli. Giuseppe non lo lega a sé, non lo possiede: lo custodisce perché ascolta e ama”.

Ritornando alla metafora iniziale il card. Zuppi ha invitato a riconoscere le difficoltà senza lo scoraggiamento: “Credo che questa sia la nostra prospettiva odierna: riconoscere con sincerità le difficoltà ecclesiali e sociali, credendo, però, che oggi ‘Tantum aurora est’, che siamo vicini ad una nuova primavera della Chiesa, aprendo nuove e coraggiose prospettive di futuro.

Per questo occorre passione, visione profetica, libertà evangelica e intelligenza della comunione, generosa responsabilità e gratuità nel servizio. La sinodalità è tutt’altro che rinuncia o omologazione al ribasso! Dobbiamo sapere riconoscere i tanti segni della sua predilezione e dei doni che ci sono affidati e accettare la vera sfida che è costruire comunità, case dove abiti il Signore Gesù e sua Madre, nostra Madre, la Chiesa”.

Ed ha evidenziato che durante la pandemia è stata potenziata una pastorale digitale: “Abbiamo capito con più vivezza che l’identità della comunità cristiana non si misura soltanto in base alla partecipazione alla liturgia domenicale.

La preghiera, personale e comunitaria, ha sempre un orizzonte molto più ampio, che rende la comunità cristiana quello che deve essere, una famiglia capace di fare sentire a casa, di raggiungere le persone nelle loro case perché non siano luoghi isolati o carceri di solitudine, tessendo i legami umani e affettivi comandati dall’amore cristiano.

La carità appartiene di diritto all’esperienza di fede di ogni cristiano e non può essere delegata solo ad alcuni, come non può mai essere scissa dalla dimensione spirituale. Amore e verità si nutrono l’uno dell’altra”.

E nella Chiesa si è avviato anche un cammino digitale: “La Chiesa del post-pandemia e del Cammino sinodale si configura sempre più chiaramente come una Chiesa missionaria, della chiamata e dell’invio di ognuno, che si misura con le domande, le sfide, con la necessità di diffondere una cultura cristiana come chiave per capire e consolare la tanta sofferenza.

La pandemia ha posto tutti bruscamente dinanzi ad alcune domande esistenziali fondamentali, come il senso della morte, il perché del dolore innocente, il valore tutto umano della vita dal suo inizio alla sua fine, l’importanza della gratuità, la fragilità.

Mi piace immaginare una Chiesa che si faccia carico di queste domande e offra luce e speranza per nuove motivazioni che affranchino dalla paura”.

Infine ha ricordato il decennale di papa Francesco: “Ha denunciato la ‘globalizzazione dell’indifferenza’ e si è mostrato attento a quanti sono costretti a migrare nella speranza di una vita migliore, rischiando e spesso purtroppo perdendo la vita stessa.

Ha sempre invitato a non accontentarsi del ‘si è sempre fatto così’ ed ha piuttosto spronato a realizzare una Chiesa in uscita, proiettata verso le periferie esistenziali.

Per questo ho detto che papa Francesco ha assunto alcuni tratti di San Giuseppe: vediamo in Lui la cura dell’altro, la custodia dei più deboli, la solidità della fede quotidiana e il coraggio di sognare la Chiesa di oggi e di domani”.

La prolusione si è chiusa con la on la preghiera con cui il papa ha concluso la lettera apostolica ‘Patris corde’: “Salve, custode del Redentore, e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen”.

(Foto: Cei)

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