Don Mattia Ferrari: nessuno si salva da solo

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“Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un ‘noi’ aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune”.

Partiamo da questa frase che papa Francesco ha scritto nel messaggio per la 56^ Giornata mondiale della Pace, ‘Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace’,  per un dialogo con don Mattia Ferrari, vicario parrocchiale di Nonantola, Rubbiara e Redù nella diocesi di Modena-Nonantola, assistente diocesano dell’ACR e cappellano di ‘Mediterranea Saving Humans’, che illustra per quale motivo nessuno si può salvare da solo:

“Per la nostra stessa natura di esseri umani. Siamo creati così, indispensabili gli uni agli altri. A salvare la vita è l’amore. Lo sperimentiamo tutti: quando siamo soli, siamo tristi. Lo dico con le parole del card. Matteo Zuppi: ‘La vita è degna quando siamo vicini gli uni agli altri. La dignità vera si chiama noi.

La vita è tenersi per mano, dalla nascita, quando veniamo accolti tra le braccia di qualcuno, alla morte. Questo è il sogno di Dio, che realizza il desiderio e la nostalgia del cuore dell’uomo. Per questo la solitudine è l’inferno. Aiutiamoci a rivestire la vita di amore e a difenderla, sempre’. Cerchiamo la felicità per gli altri e troveremo la nostra vita”.

Nel messaggio il papa invita a lasciarsi cambiare il cuore dall’emergenza: in quale modo?

“Lasciarsi cambiare il cuore significa accogliere questo dato costitutivo: la fraternità universale, che deve diventare carne nei nostri corpi. E liberarsi dal consumismo per guardare il mondo con gli occhi puri di chi vede prima di tutto la bellezza di ogni essere umano e del creato, da custodire e da promuovere con amore, anziché da sfruttare per il nostro benessere materiale o da scartare”.

Per quale motivo ha deciso di stare accanto ai migranti?

“Non ho scelto io: sono stati loro a entrare nella mia vita, quando ero seminarista. Prestavo servizio pastorale presso la parrocchia di Sant’Antonio in Cittadella a Modena. Il 22 maggio 2016 un giovane richiedente asilo si presentò in parrocchia, chiedeva di poter frequentare la comunità.

Da lì, grazie ad alcune compagne straordinarie che erano in quella parrocchia, abbiamo iniziato una lunga avventura accanto ai migranti, nell’accoglienza, nel sostegno alle loro lotte per i diritti, nella costruzione con loro della fraternità universale.

Grazie ai migranti e alla comune fraternità verso di loro abbiamo conosciuto realtà meravigliose, tra cui i centri sociali bolognesi Tpo e Labas, che sono stati tra i fondatori di Mediterranea e mi hanno chiesto di entrare con loro in questa missione”.

E’ possibile tacere le ingiustizie?

“Lo dico con le parole di due grandi vescovi. Il card. Lercaro, davanti alla guerra, ha detto: ‘La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga. La sua via non è la neutralità, ma la profezia’. L’arcivescovo di Palermo, mons. Lorefice, davanti alle ingiustizie del neocolonialismo e dei respingimenti, ha affermato:

‘Di fronte a tutto questo la Chiesa non può restare in silenzio, io non posso restare in silenzio. Perché la Chiesa non ha alternative. Essa è stata collocata dal suo Signore accanto ai poveri e ai derelitti della storia, e tutte le volte che è uscita da quel posto per mettersi accanto ai forti, ai ricchi, ai potenti, ha perso il senso stesso del suo essere’”.

Cosa significa salvare la vita?

“Per noi significa letteralmente salvare le persone dal naufragio e dal respingimento. Ma significa anche restituire a una persona la sua dignità e ciò si fa con l’amore. Ognuno può fare questa esperienza. Quante persone vediamo che si stavano perdendo perché sole si sono salvate perché si sono sentite amate. E la cosa bella dell’amore è che non salva solo chi viene amato, ma anche chi ama.

Me lo mostrano tantissime persone, nelle parrocchie, nei centri sociali e in altre realtà: chi ama, per usare i termini del Vangelo potremmo dire chi ama visceralmente, cioè chi ama come Gesù, cioè donando se stesso a chi è scartato o oppresso, lottando per la giustizia, mettendo in gioco il proprio corpo, trova la gioia vera, si salva”.

Lei ha scritto insieme a Nello Scavo un libro intitolato’Pescatori di uomini’, che racconta  l’esperienza come sacerdote di bordo su una nave della ong Mediterranea: come si diventa ‘pescatori di uomini’?

“Si viene costituiti tali. Per me a costituirci tali è Gesù, per altri miei compagni che non professano la fede cristiana a costituirci tali è l’amore. In ogni caso ‘pescatori di uomini’ si diventa, perché senti nel tuo cuore un amore viscerale che ti spinge a metterti in gioco.

E’ così che Gesù ama; il Vangelo ce lo mostra. Ed è così che i tanti miei compagni e compagne, cristiani o di altre religioni o di nessuna religione, in Mediterranea, nelle parrocchie, nei centri sociali o in altre realtà, amano”.

La cura chiama in causa soprattutto la malattia: come approcciarsi con chi la sperimenta?

“Alcuni tra i miei migliori amici da sempre sono disabili. Mi sento di dire che chi vive questa situazione è a contatto in modo particolare con l’umanità più profonda. Le nostre comunità hanno tanto da imparare dalle persone disabili e dalle loro famiglie. Tante volte perdiamo di vista il vero senso della vita.

Le persone disabili e le loro famiglie, così come le persone migranti e tutte le altre persone che hanno questi particolari vissuti, hanno un senso profondo di umanità e conoscono meglio il senso della vita. Non a caso Gesù considera tutte queste persone i Suoi fratelli più piccoli. Dall’ascolto e dalla condivisione con loro possiamo imparare meglio il Vangelo e conoscere meglio Gesù”.

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