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Papa Francesco ai comunicatori: comunicare è saggezza

“Nelle mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora, con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura. Io darò questo al Prefetto. Che sia lui a comunicarlo a voi. Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!”: questo è stato il breve saluto di papa Francesco ai giornalisti ed agli operatori della comunicazione in occasione del giubileo della comunicazione.

Prima della consegna del discorso il papa ha lanciato l’invito a comunicare ‘cose divine’: “Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. ‘Padre, io sempre dico le cose vere…’ – ‘Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?’ E’ una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento”.

Nel discorso consegnato il papa ha ricordato i giornalisti deceduti per aver raccontato la realtà: “Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente. Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra. Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti. Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue”.

Ma anche coloro che sono stati arrestati, compresi anche i fotografi e gli operatori: “Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti!

Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una ‘porta’ attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi”.

A differenza di molti che bistrattano i giornalisti, tentando di mettere un ‘bavaglio’, il papa ha ribadito la necessità della libertà di stampa: “Chiedo (come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori) che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati.

Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità”.

Ha invocato la libertà perché il giornalismo è una ‘missione’: “Quella del giornalista è più che una professione. E’ una vocazione e una missione. Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate. Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà”.

Quindi come ogni missione il giornalismo è anche responsabilità: “La vostra è una responsabilità peculiare. Il vostro è un compito prezioso. I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini. Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere (nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda) il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate”.

E per fare il giornalismo occorre coraggio: “Con la parola coraggio possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio che porta la data di ieri: ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore.

In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione. Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro ‘appello’ che ci riguarda tutti: quello per la “liberazione” della forza interiore del cuore. Di ogni cuore! Raccogliere l’appello non spetta ad altri che a noi”.

Però il coraggio si basa sulla libertà: “La libertà è il coraggio di scegliere. Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire. Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella ‘putrefazione cerebrale’ causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno. Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani?”

L’informazione libera educa al pensiero critico per narrare la bellezza della comunicazione: “Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati”.

Una scelta fatta propria da san Paolo: “Un cuore così è stato quello di San Paolo. La Chiesa celebra proprio oggi la sua conversione. Il cambiamento avvenuto in quest’uomo è stato così decisivo da segnare non solo la sua storia personale ma quella di tutta la Chiesa. E la metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro a tu per tu con Gesù risorto e vivo. La forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo è generata sempre dalla comunicazione diretta tra le persone. Pensate a quanta forza di cambiamento si nasconde potenzialmente nel vostro lavoro ogni volta che mettete in contatto realtà che (per ignoranza o per pregiudizio) si contrappongono!”

Ha concluso il discorso con l’invito al racconto: “In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza”.

(Foto: Santa Sede)

La legge che ci salva dai nostri egoismi: quella dell’amore

A volte si invoca l’esistenza di una legge come garanzia di un bene pressoché assoluto. ‘C’è una legge che tutela questa azione, quindi è giusta’: a molti basta per acquietare la coscienza su tematiche che restano controverse. Eppure, se non abbiamo una ‘stella polare’, ovvero la ‘legge dell’amore’, che indichi il bene e ci metta in guardia dal male, senza compromessi, le legislazioni umane possono, talvolta, essere realizzate ad immagine e somiglianza della nostra ‘durezza di cuore’.

Pensiamo alle leggi raziali. Erano, a tutti gli effetti, delle norme, che rendevano legale l’esclusione sociale e persino la persecuzione (fino all’uccisione)- di determinate categorie di persone: chissà che, al tempo, molti, non abbiano visto legittimato il proprio odio verso gli ebrei proprio in virtù di queste leggi. Pensiamo alla legge mosaica. Ha preceduto l’insegnamento di Gesù e rendeva ‘legale’ lapidare una donna se colta in adulterio; lo stesso, però, non valeva per l’uomo.

C’era una legge. Quindi era giusto? Pensiamo alla legge islamica. Oggi (per fare un esempio tristemente attuale) ha fatto sì che la nostra connazionale e giornalista, Cecilia Sala, fosse detenuta in un carcere iraniano senza che (dal suo e nostro punto di vista) avesse alcuna colpa!

Le leggi non sono buone automaticamente, ‘ipso facto’. Piuttosto, dal momento che le stabiliamo noi, altro non sono che lo specchio del nostro grado di civiltà, come popoli e come nazioni. E le leggi di noi occidentali, europei, italiani del 2025… salvaguardano e rispettano la vita di tutte e di tutti?

Non intendo qui dare una risposta, mi interessa di più lasciarvi la domanda, ricordando che per noi cristiani, la legge umana deve essere conforme alla legge dell’amore. Gesù ci insegna che una legge è eticamente buona se non cade nel tranello del compromesso utilitaristico. In Lui comprendiamo che una legge è veramente equa e sana se rispetta ogni vita, se nessuno è sacrificato sull’altare del presunto ‘male minore’, se al più forte non è permesso di schiacciare il più debole.

Eppure, non ci è chiesto di fare sommosse, Gesù non l’ha fatto. Possiamo, però, anzi dobbiamo dare testimonianza della speranza che è in noi, cercando il bene autentico nella nostra quotidianità e rinunciando ad essere automi; i quali, di solito, sono ingranaggi perfetti dei sistemi di morte.

Papa Francesco richiama l’attenzione sull’Intelligenza Artificiale: cuore e comunità sono necessari

“Il tema dell’incontro annuale di quest’anno del World Economic Forum, ‘Collaborazione per l’era intelligente’, offre una buona opportunità per riflettere sull’intelligenza artificiale come strumento non solo per la cooperazione, ma anche per unire i popoli”: così inizia il messaggio di papa Francesco inviato a Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, per il raduno annuale a Davos, in Svizzera.

Nel messaggio il papa ha sottolineato che l’intelligenza è un ‘dono’ essenziale: “La tradizione cristiana considera il dono dell’intelligenza come un aspetto essenziale della persona umana creata ‘a immagine di Dio’… L’IA è destinata a imitare l’intelligenza umana che l’ha progettata, ponendo così una serie unica di domande e sfide”.

Ed ha chiesto attenzione nell’uso, in quanto potrebbe minare la nozione di ‘libertà’: “A differenza di molte altre invenzioni umane, l’IA è addestrata sui risultati della creatività umana, che le consente di generare nuovi artefatti con un livello di abilità e una velocità che spesso rivaleggiano o superano le capacità umane, sollevando preoccupazioni critiche sul suo impatto sul ruolo dell’umanità nel mondo. Inoltre, i risultati che l’IA può produrre sono quasi indistinguibili da quelli degli esseri umani, sollevando interrogativi sul suo effetto sulla crescente crisi di verità nel forum pubblico.

Inoltre, questa tecnologia è progettata per apprendere e fare determinate scelte in modo autonomo, adattandosi a nuove situazioni e fornendo risposte non previste dai suoi programmatori, sollevando così questioni fondamentali sulla responsabilità etica, sulla sicurezza umana e sulle implicazioni più ampie di questi sviluppi per la società”.

Per questo è necessaria la comunità: “I progressi segnati dall’alba dell’IA richiedono una riscoperta dell’importanza della comunità e un rinnovato impegno per la cura della casa comune affidataci da Dio. Per orientarsi nelle complessità dell’IA, governi e aziende devono esercitare la dovuta diligenza e vigilanza. Devono valutare criticamente le singole applicazioni dell’IA in contesti particolari per determinare se il suo utilizzo promuove la dignità umana, la vocazione della persona umana e il bene comune…

Oggi, ci sono sfide e opportunità significative quando l’IA viene inserita in un quadro di intelligenza relazionale, in cui tutti condividono la responsabilità del benessere integrale degli altri. Con questi sentimenti, porgo i miei migliori auguri di preghiera per i lavori del Forum e invoco volentieri su tutti i partecipanti l’abbondanza delle benedizioni divine”.

Mentre negli incontri odierni papa Francesco ha ricevuto i direttori della Federazione Automobile Club d’Italia con l’invito a mettersi in pellegrinaggio: “Il pellegrinaggio comporta il rischio di sbagliare strada, di trovarci in difficoltà o di sentirci perduti. Il Giubileo può essere allora per ciascuno l’occasione di una ripartenza, il momento giusto per ricalcolare il percorso della propria vita, individuando le tappe fondamentali da non perdere e quelle che invece potrebbero diventare un ostacolo per il raggiungimento della meta.

C’è una verità: noi non siamo fatti per stare fermi, ma siamo sempre in ricerca, in cammino verso la destinazione. E quello che rimane fermo, il cuore fermo, fa come succede con l’acqua: l’acqua ferma è la prima a imputridirsi”.

Per questo ha invitato a riflettere sulla relazione tra ambiente ed educazione: “C’è bisogno di una cultura del rispetto e della sicurezza stradale, a partire dalle scuole… Assumere comportamenti responsabili, rispettare le norme, essere consapevoli dei rischi aiuta la convivenza civile e il raggiungimento dell’obiettivo ‘zero vittime sulle strade’. Questo è un obiettivo chiaro, ed è un programma ma prima di tutto un dovere. Viaggiare fa rima con imparare, incontrare e non con soffrire, piangere o, addirittura, morire”.

Ad educazione si collega la parola ambiente per una maggiore qualità della vita: “Per questo è urgente lavorare per affrontare tali sfide con serietà e determinazione, anche attraverso la creazione di alleanze per incentivare la sostenibilità. In questo settore, la tecnologia offre già rilevanti opportunità e diversi strumenti, altri certamente verranno messi a disposizione. Occorre assumere una visione ampia, cercando (come già fate) collaborazioni e azioni comuni che vadano a vantaggio di tutti, rendendo la mobilità davvero sostenibile e accessibile”.

Proseguendo negli incontri della giornata il papa ha invitato i membri della ‘Fondazione Rete Mondiale di Preghiera del Papa’ ad approfondire l’enciclica ‘Dilexit Nos’: “In essa trovate il nutrimento sostanzioso che alimenta la spiritualità del vostro lavoro, del vostro apostolato. Mi piace che questa spiritualità voi la chiamiate ‘cammino del Cuore’. E vorrei leggere questa espressione in un duplice senso: è il cammino di Gesù, del suo Cuore sacro, attraverso il mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione; ed è anche il cammino del nostro cuore, ferito dal peccato, che si lascia conquistare e trasformare dall’amore… Non dimenticare questa parola: custodire. Questo è opera dello Spirito Santo: non c’è cammino del cuore con Cristo senza l’acqua viva dello Spirito Santo”.

Ugualmente ai dirigenti ed al personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza ‘Vaticano’ ha rivolto un invito ad attraversare la Porta Santa: “Vi invito ad approfittare della Porta Santa aperta nella notte di Natale nella Basilica di San Pietro, come pure di quelle aperte successivamente nelle altre Basiliche Papali di Roma. Attraversare la Porta Santa non è un atto magico; è un simbolo, un simbolo cristiano (Gesù stesso dice: ‘Io sono la porta’), un segno che esprime il desiderio di ricominciare, e questa è una bella saggezza: ricominciare, ogni giorno ricominciare”.

E’ stato un ringraziamento per il lavoro svolto: “Si tratta di un compito, il vostro, sempre esigente – lo so –, che necessita di prontezza e coraggio e che il più delle volte si svolge nella discrezione, senza essere notati, ma che presuppone abnegazione, cura di ogni dettaglio, pazienza e disponibilità al sacrificio. La sicurezza infatti è un bene invisibile della cui importanza ci accorgiamo proprio quando, per qualche ragione, essa viene meno, e che si costruisce nel continuo e intelligente impegno di sorveglianza, notte e giorno, per ogni giorno dell’anno”.

(Foto: Santa Sede)

Mons. Boccardo: il patrono san Ponziano dia un cuore ‘dilatato’ per vivere la speranza

“Noi ti benediciamo Signore, Padre buono, che hai dato al popolo di Spoleto il giovane Ponziano come testimone eroico del Vangelo di Gesù. L’esempio della sua vita costituisce per noi un prezioso patrimonio da custodire ed imitare. Accogli la preghiera fiduciosa che per sua intercessione ti rivolgiamo: donaci una fede ferma e gioiosa, una speranza salda, una carità sincera; conferma le nostre famiglie nell’amore e nella fedeltà; liberaci dai mali del corpo e dello spirito; guidaci nella costruzione della civiltà dell’amore, perché possiamo un giorno essere accolti nella tua casa e cantare per sempre la tua lode. Amen”: questa è la preghiera composta da mons. Renato Boccardo, vescovo della diocesi di Spoleto-Norcia, per il 1850° anniversario del martirio del patrono san Ponziano.

Ed in occasione della festa, celebratasi martedì 14 gennaio, mons. Boccardo ha inviato un messaggio alla città, invitando a non dimenticare l’identità ‘spoletina’: “In un’epoca di secolarizzazione spinta come quella che stiamo vivendo e nella quale sembrano venir meno i segni identitari, il Patrono è per tutti il ‘simbolo fondatore’ della memoria della comunità, la cui storia si è svolta tra passioni e lotte, tra ferite e vittorie, in un territorio che ha una sua propria identità ad un tempo civile e religiosa. Il civis (il cittadino) non è definito solo per l’uguaglianza dei diritti, ma anche e soprattutto per la diversità delle sue radici, che sono differenti tra Foligno, Terni, Perugia e Spoleto.

Spoleto è san Ponziano e san Ponziano è Spoleto. Con tutte le vicende che la storia ha visto scorrere in questi 1850 anni. Perciò bisogna parlare della ‘identità spoletina’ (qualcuno la definisce ‘spoletinità’), perché chi dimentica le radici perde il futuro. Un territorio è se stesso anche in virtù delle sue tradizioni e delle sue memorie: appunto perché non dimentica quello che è sempre stato, può affermare la sua tipicità e la sua consistenza pur nel continuo mutare delle forme politiche e sociali e delle condizioni di vita. Se non vogliamo perdere la nostra ricchezza umana e cristiana, cadendo in sterili campanilismi che dividono, dobbiamo ricuperare un’identità ricca capace di parlare agli altri. Parlare di san Ponziano, allora, è dire della memoria della nostra città e della nostra diocesi”.

Ed ha ricordato cosa significa ‘patrono’: “Il patrono è colui che ‘intercede’, cioè che ‘sta in mezzo’ e ‘cammina in mezzo’ al suo popolo, si prende cura della sua vita spirituale, ne sostiene la speranza, ne diffonde la carità, lo difende nel momento del pericolo, lo rincuora nel tempo della prova, lo sprona nel tempo delle passioni tristi”.

Mentre nell’omelia ha ricordato che la croce è la via della salvezza: “La croce è la chiave di volta della storia di salvezza e Gesù non può proporre altro; per questo pronuncia la parabola del chicco di grano che deve morire: il seme è Gesù che, con la sua morte di croce porterà frutto abbondante donando la vita a tutti gli uomini. Nasce da qui l’invito alla sequela: ‘Dove sono io, là sarà anche il mio servitore’.

San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, dice che quella comunità, suscitata dalla sua predicazione e dalla sua testimonianza, costituisce la sua vera lettera di presentazione, scritta con lo Spirito del Dio vivente. La lettera della Chiesa di Spoleto-Norcia è il martirio di san Ponziano, che l’ha battezzata nel sangue”.

E’ stato un invito a guardare alla vita del patrono: “Alla luce di questi insegnamenti, noi guardiamo oggi al giovane Ponziano come al discepolo che ha reso a Cristo la propria testimonianza pacifica con amore e inermità accettando il martirio…Con il suo sacrificio San Ponziano ci dice il primato assoluto di Cristo e del Vangelo; ci dice che solo nella croce si attua la piena liberazione dal male”.

E tutti possono vivere il martirio: “Non a tutti è dato il martirio di sangue, però a tutti i suoi discepoli Gesù chiede di donare la vita per amore del Padre e la salvezza dell’umanità. E’ dunque una forma di martirio anche la vita del discepolo che, accogliendo la legge della croce, si impegna a vincere ogni giorno il male con il bene, per annientarlo con il fuoco dell’amore e del perdono.

Tutti possiamo vivere così, in grazia del battesimo e della cresima che abbiamo ricevuto, lasciandoci raggiungere quotidianamente dalla luce del Vangelo e dal mistero dell’amore infinito della Trinità santa. E dall’Eucarestia possiamo attingere la forza e il nutrimento per ravvivare in noi e nelle nostre comunità questo mistero ineffabile che ci sospinge a fare della vita cristiana un dono per il mondo intero”.

Infine ha invitato a ‘coltivare’ un cuore ‘dilatato’ per generare speranza: “Oggi, anzi, ci dice una cosa nuova: se le nostre comunità vogliono guardare con fiducia e fierezza verso il futuro, lo potranno fare, anche in un tempo dove comunità religiosa e civile non si sovrappongono più, solo se sapranno farsi carico di tutti, se sapranno cioè custodire e coltivare quello che vorrei definire ‘un cuore dilatato’: dilatato per lo sguardo sulla vita delle persone e sui temi della convivenza civile; dilatato per la passione che promuove nuovi legami sociali;

dilatato per la cura del bene comune contro ogni particolarismo; dilatato per lo spirito di pace e di tolleranza; dilatato per il compito dell’educazione e del futuro dei giovani; dilatato per la carità rivolta verso tutti senza distinzione di provenienza, religione e appartenenze; dilatato per la condivisione del destino della città e del territorio; dilatato per il ‘supplemento d’anima’ di cui questo tempo, pieno di mezzi e povero di significati, ha estremamente bisogno non solo per star bene, ma per vivere bene.

Dobbiamo fare tutti insieme uno sforzo per rendere le nostre città e i nostri paesi belli, accoglienti, generosi e creativi. E così potranno ‘generare speranza’ anche in questo anno del Giubileo, attingendola alla certezza che ha sostenuto Ponziano nelle torture e nel martirio”.

(Foto: Diocesi Spoleto-Norcia)

Papa Francesco ribadisce la necessità della pace

Questa notte si è rinnovato il mistero che non cessa di stupirci e di commuoverci: la Vergine Maria ha dato alla luce Gesù, il Figlio di Dio, lo ha avvolto in fasce e lo ha deposto in una mangiatoia. Così lo hanno trovato i pastori di Betlemme, pieni di gioia, mentre gli angeli cantavano: ‘Gloria a Dio e pace agli uomini’. Pace agli uomini”: nella benedizione natalizia ‘Urbi et Orbi’ papa Francesco ha di nuovo sottolineato la necessità di riconciliazione e di pace, dopo aver aperto, ieri, la Porta santa.

Lo ha fatto ribadendo la necessità del perdono, che si rinnova grazie alla nascita di Gesù: “Sì, questo avvenimento, accaduto più di duemila anni fa, si rinnova per opera dello Spirito Santo, lo stesso Spirito d’Amore e di Vita che fecondò il grembo di Maria e dalla sua carne umana formò Gesù. E così oggi, nel travaglio di questo nostro tempo, si incarna nuovamente e realmente la Parola eterna di salvezza, che dice ad ogni uomo e ogni donna, che dice al mondo intero (questo è il messaggio): ‘Io ti amo, io ti perdono, ritorna a me, la porta del mio cuore è aperta per te!’

Sorelle, fratelli, la porta del cuore di Dio è sempre aperta, ritorniamo a Lui! Ritorniamo al cuore che ci ama e ci perdona! Lasciamoci perdonare da Lui, lasciamoci riconciliare con Lui! Dio perdona sempre! Dio perdona tutto. Lasciamoci perdonare da Lui”.

L’appello è stato quello di non avere paura, quello stesso che ad inizio pontificato ‘gridò’ san Giovanni Paolo II: “Questo significa la Porta Santa del Giubileo, che ieri sera ho aperto qui a San Pietro: rappresenta Gesù, Porta di salvezza aperta per tutti. Gesù è la Porta; è la Porta che il Padre misericordioso ha aperto in mezzo al mondo, in mezzo alla storia, perché tutti possiamo ritornare a Lui. Tutti siamo come pecore smarrite e abbiamo bisogno di un Pastore e di una Porta per ritornare alla casa del Padre. Gesù è il Pastore, Gesù è la Porta. Fratelli, sorelle, non abbiate paura!”

E’ stato un invito a ‘lasciarsi’ riconciliare: “La Porta è aperta, la Porta è spalancata! Non è necessario bussare alla Porta. E’ aperta. Venite! Lasciamoci riconciliare con Dio, e allora saremo riconciliati con noi stessi e potremo riconciliarci tra di noi, anche con i nostri nemici. La misericordia di Dio può tutto, scioglie ogni nodo, abbatte ogni muro di divisione, la misericordia di Dio dissolve l’odio e lo spirito di vendetta. Venite! Gesù è la Porta della pace”.

Chiaramente è stato invito alla pace: “Spesso noi ci fermiamo solo sulla soglia; non abbiamo il coraggio di oltrepassarla, perché ci mette in discussione. Entrare per la Porta richiede il sacrificio di fare un passo (piccolo sacrificio; fare un passo per una cosa così grande), richiede di lasciarsi alle spalle contese e divisioni, per abbandonarsi alle braccia aperte del Bambino che è il Principe della pace. In questo Natale, inizio dell’Anno giubilare, invito ogni persona, ogni popolo e nazione ad avere il coraggio di varcare la Porta, a farsi pellegrini di speranza, a far tacere le armi e a superare le divisioni!”

Ed ha chiesto pace per quei luoghi martoriati dall guerra: “Tacciano le armi nella martoriata Ucraina! Si abbia l’audacia di aprire la porta al negoziato e a gesti di dialogo e d’incontro, per arrivare a una pace giusta e duratura. Tacciano le armi in Medio Oriente! Con gli occhi fissi sulla culla di Betlemme, rivolgo il pensiero alle comunità cristiane in Palestina e in Israele, e in particolare alla cara comunità di Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima”.

Dopo le inutili polemiche dei giorni scorsi papa Francesco ha ribadito la linea del Vaticano per la pace in Medio Oriente, ricordando anche la ‘dimenticata’ Libia: “Cessi il fuoco, si liberino gli ostaggi e si aiuti la popolazione stremata dalla fame e dalla guerra. Sono vicino anche alla comunità cristiana in Libano, soprattutto al sud, e a quella di Siria, in questo momento così delicato. Si aprano le porte del dialogo e della pace in tutta la regione, lacerata dal conflitto. E voglio ricordare qui anche il popolo libico, incoraggiando a cercare soluzioni che consentano la riconciliazione nazionale”.

Ed ha chiesto pace nel continente africano, sempre più terra depredata: “Possa la nascita del Salvatore portare un tempo di speranza alle famiglie di migliaia di bambini che stanno morendo per un’epidemia di morbillo nella Repubblica Democratica del Congo, come pure alle popolazioni dell’Est di quel Paese e a quelle del Burkina Faso, del Mali, del Niger e del Mozambico. La crisi umanitaria che le colpisce è causata principalmente dai conflitti armati e dalla piaga del terrorismo ed è aggravata dagli effetti devastanti del cambiamento climatico, che provocano la perdita di vite umane e lo sfollamento di milioni di persone.

Penso pure alle popolazioni dei Paesi del Corno d’Africa per le quali imploro i doni della pace, della concordia e della fratellanza. Il Figlio dell’Altissimo sostenga l’impegno della comunità internazionale nel favorire l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione civile del Sudan e nell’avviare nuovi negoziati in vista di un cessate-il-fuoco”.

Ha chiesto che si arrivi a soluzione di pace e di giustizia anche nel Myanmar e nell’America centrale: “L’annuncio del Natale rechi conforto agli abitanti del Myanmar, che, a causa dei continui scontri armati, patiscono gravi sofferenze e sono costretti a fuggire dalle proprie case. Il Bambino Gesù ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, affinché si trovino al più presto soluzioni efficaci nella verità e nella giustizia, per promuovere l’armonia sociale, in particolare penso ad Haiti, in Venezuela, Colombia e Nicaragua, e ci si adoperi, specialmente in quest’Anno giubilare, per edificare il bene comune e riscoprire la dignità di ogni persona, superando le divisioni politiche”.

Ha auspicato che il Giubileo possa essere occasione per abbattere i troppi muri ancora esistenti: “Il Giubileo sia l’occasione per abbattere tutti i muri di separazione: quelli ideologici, che tante volte segnano la vita politica, e anche quelli fisici, come la divisione che interessa da ormai 50 anni l’isola di Cipro e che ne ha lacerato il tessuto umano e sociale. Auspico che si possa giungere a una soluzione condivisa, una soluzione che ponga fine alla divisione nel pieno rispetto dei diritti e della dignità di tutte le comunità cipriote”.

Quindi ha ribadito la sacralità della vita con un pensiero ai bambini: “Gesù, il Verbo eterno di Dio fatto uomo, è la Porta spalancata; è la Porta spalancata che siamo invitati ad attraversare per riscoprire il senso della nostra esistenza e la sacralità di ogni vita (ogni vita è sacra), e per recuperare i valori fondanti della famiglia umana. Egli ci attende sulla soglia.

Attende ciascuno di noi, specialmente i più fragili: attende i bambini, tutti i bambini che soffrono per la guerra e soffrono per la fame; attende gli anziani, costretti spesso a vivere in condizioni di solitudine e abbandono; attende quanti hanno perso la propria casa o fuggono dalla propria terra, nel tentativo di trovare un rifugio sicuro; attende quanti hanno perso o non trovano un lavoro; attende i carcerati che, nonostante tutto, rimangono figli di Dio, sempre figli di Dio; attende quanti sono perseguitati per la propria fede. Ce ne sono tanti”.

Inoltre ha ricordato gli operatori della pace: “In questo giorno di festa, non manchi la nostra gratitudine verso chi si prodiga per il bene in modo silenzioso e fedele: penso ai genitori, agli educatori, agli insegnanti, che hanno la grande responsabilità di formare le generazioni future; penso agli operatori sanitari, alle forze dell’ordine, a quanti sono impegnati in opere di carità, specialmente ai missionari sparsi nel mondo, che portano luce e conforto a tante persone in difficoltà. A tutti loro vogliamo dire: grazie!”

Infine ha chiesto la remissione dei debiti: “Fratelli e sorelle, il Giubileo sia l’occasione per rimettere i debiti, specialmente quelli che gravano sui Paesi più poveri. Ciascuno è chiamato a perdonare le offese ricevute, perché il Figlio di Dio, che è nato nel freddo e nel buio della notte, rimette ogni nostro debito. Egli è venuto per guarirci e perdonarci. Pellegrini di speranza, andiamogli incontro! Apriamogli le porte del nostro cuore. Apriamogli le porte del nostro cuore, come Lui ci ha spalancato la porta del suo Cuore”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: lo Spirito Santo consente di comprendere il Vangelo

“E’ interessante vedere come è cresciuto il numero dei pellegrini verso Santiago in questi ultimi trent’anni. E tra questi ci sono stati anche i miei predecessori San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i quali hanno voluto visitare quel Santuario, soprattutto per il suo grande rilievo nella storia cristiana dell’Europa”: nella Basilica Vaticana papa Francesco ha ricevuto in Udienza i Pellegrini italiani del Cammino di Santiago curati dall’Opera Don Guanella.

Il discorso del papa è stato un invito a riscoprire il pellegrinaggio attraverso alcuni segni: “Il pellegrinaggio cristiano alle Tombe degli Apostoli lo possiamo riconoscere da tre segni. Il primo è il silenzio. Il cammino vissuto nel silenzio permette di ascoltare, di ascoltare con il cuore, e di trovare così, mentre si cammina, attraverso la fatica, le risposte che il cuore cerca, perché il cuore fa delle domande. In effetti, Dio parla nel silenzio, come una brezza leggera: ricordiamo la storia di Elia”.

Un altro segno è il Vangelo: “In secondo luogo, il Vangelo: avere sempre in tasca il Vangelo. Questo mi raccomando, compratene uno piccolino, tascabile e mettetelo in tasca, e tutti i giorni leggete qualcosa; apritelo così e leggete. E’ un bel modo di pregare. Un Vangelo tascabile, non costa niente, ma se qualcuno non può pagarlo lo pago io, chiedetelo a me! E’ importante portare il Vangelo in tasca. Il pellegrinaggio si fa rileggendo il cammino che ha fatto Gesù, fino al dono estremo di Sé. Il cammino è tanto più vero, tanto più cristiano, quanto più conduce a uscire da sé stessi e a darsi gratuitamente, nel servizio al prossimo”.

Lo Spirito Santo permette il ‘disvelamento’ del Vangelo: “E questo lo fa lo Spirito Santo quando noi leggiamo ogni giorno il Vangelo. Perché succede qualcosa, ve lo spiego. Noi possiamo leggere un romanzo, bello, ci fa bene forse; possiamo leggere le notizie di tutti i giorni, alcune ci fanno piangere, ma possiamo leggere. Ma quando si legge il Vangelo c’è Uno accanto a noi. Quando leggiamo le notizie no, ma quando si legge il Vangelo c’è Uno accanto a noi. E’ lo Spirito Santo. E’ Lui a farci capire bene quello che dice il Vangelo. E lo fa Lui, lo Spirito Santo”.

L’ultimo elemento sottolineato dal papa è stato chiamato ‘protocollo Matteo 25’, che consiste nel fare ‘a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’: “Silenzio, Vangelo e fare del bene alle persone più piccole, le persone più disagiate. Sempre fare del bene. Lungo la strada, essere attenti agli altri, specialmente chi fa più fatica, chi è caduto, chi ha bisogno… San Luigi Guanella diceva che lo scopo della vita di chi crede è fare in modo che nessuno sia lasciato indietro”.

E’ stato un incoraggiamento: “Cari amici del Cammino di Santiago, vi incoraggio in questo vostro apostolato di evangelizzazione e di cura. Gli antichi pellegrini ci insegnano che dai pellegrinaggi cristiani si ritorna come apostoli! Io faccio il pellegrinaggio e ritorno come un apostolo per annunciare Gesù. La Santa Famiglia di Nazaret, pellegrina in terra di Palestina, ci sia di esempio in questo tempo di attesa. Grazie di essere venuti! A me piace e vi ringrazio tanto, e questo ve lo dico dal cuore”.

Poi ha incontrato un gruppo di vietnamiti residenti negli Stati Uniti, benefattori della Pontificia Opera Missionaria in pellegrinaggio a Roma, parlando del giubileo: “Auspico che questo tempo consenta a tutti i fedeli di vivere un incontro autentico e personale con il Signore Gesù Cristo, che dobbiamo annunciare sempre, ovunque e a tutti come nostra speranza. Il vostro impegno nel sostenere le opere missionarie e caritative della Chiesa universale è un’espressione concreta di questo annuncio e contribuirà a portare la speranza nata dal Vangelo a molti nostri fratelli e sorelle, in varie parti del mondo”.

Infine ha sottolineato l’importanza della solidarietà: “La vostra solidarietà con i poveri e con coloro che vivono ai margini della società risponde al comando del Signore di prendersi cura degli ultimi tra noi; e, come ci ricorda san Paolo, è importante che questa assistenza sia data con cuore gioioso, col sorriso. Il Signore vi conceda di offrire sempre la vostra elemosina con spirito lieto, e che i vostri sacrifici portino frutto nella vita dei fratelli e delle sorelle, i quali potranno così sperimentare l’amore tenero e compassionevole di Cristo”.

Questo è un ‘segno distintivo’ del popolo vietnamita migrato in America: “Un segno distintivo di molti cattolici che sono immigrati dal Vietnam negli Stati Uniti è la fede robusta che hanno portato con sé. Sono certo che essa ispiri il vostro desiderio di aiutare le comunità cristiane in terre lontane dalla vostra. Con questi sentimenti, vi auguro una fruttuosa visita a Roma, che da quasi due millenni accoglie i fedeli che vengono presso le tombe degli Apostoli e gli altri luoghi santi. Possa questo viaggio rinnovarvi nella fede e rafforzarvi nella carità”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: senza il cuore si perde la dignità

Oggi presso l’Auditorium della Tecnica a Roma si è svolta la terza edizione dell’evento ‘LaborDì’, la giornata dedicata ai giovani e al mondo del lavoro promossa dalle ACLI di Roma e provincia con il patrocinio di Diocesi di Roma, Regione Lazio, Città metropolitana di Roma Capitale, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma, Unindustria e ManagerItalia Lazio con i partner dell’evento Eni, Gruppo Fs Italiane, Risorse per Roma, Enel, Würth, Vittoria Assicurazioni e Tecne – Autostrade per l’Italia e la media partnership di Rai Radio3.All’iniziativa partecipa la Regione Lazio attraverso i fondi europei FSE+ 2021-2027.

Protagonisti dell’iniziativa sono stati oltre 1600 ragazze e ragazzi da 17 anni in poi provenienti da 22 istituti di formazione superiore di Roma e provincia che vivranno una giornata di incontro, orientamento e formazione con 45 aziende ed enti e 70 recruiter professionisti per un totale di 560 ore di colloqui, e in parallelo durante la giornata si terranno oltre 80 workshop.

Durante la giornata sono stati organizzati seminari tematici e di orientamento, con un focus speciale sull’innovazione tecnologica illustrando le novità nel campo dell’intelligenza artificiale e della realtà estesa applicata al mondo del lavoro. Utilizzata anche una piattaforma informatica per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, specificamente realizzata per il LaborDì e organizzati colloqui con i dirigenti della gestione delle risorse umane delle realtà nazionali e internazionali, presenti. Inoltre allestita anche una mostra di sensibilizzazione per il contrasto del bullismo e cyberbullismo, denominata ‘The AI.D’, realizzata grazie all’intelligenza artificiale a partire dalle storie di ragazzi vittime di violenze e bullismo.

A questo convegno papa Francesco ha inviato un messaggio per sottolineare che il lavoro è per tutti: “Forse il lavoro vi è apparso fino a oggi come un problema degli adulti. Da anziano Vescovo di Roma vorrei dirvi: non è così! Voi avete già lavorato parecchio, sapete? Quanto impegno e quanta energia sono stati necessari alla vostra crescita? Certamente, molto è ciò che avete ricevuto, ma a nulla sarebbero valsi gli sforzi di genitori, insegnanti, educatori, amici, senza la vostra risposta”.

Nel messaggio il papa ha evidenziato la necessità di aprirsi al mondo: “E’ vero, ognuno sa di avere anche sprecato delle buone opportunità in qualche occasione; tuttavia, la vita stessa non si stanca di chiamarci ad uscire da noi stessi. Abbiamo le nostre ‘tane’. Ci costruiamo rifugi, soprattutto quando attorno a noi ci sono confusione e minacce. Ma in realtà siamo fatti per la luce, per l’aperto. Così, attraversata l’adolescenza, si apre davanti a voi la scena del mondo. Può apparire affollata e distratta al vostro arrivo; eppure, manca ancora del vostro contributo, di ciò per cui da sempre siete attesi. Con voi (e vorrei dire a ciascuno: con te) entra nel mondo il nuovo. Tutto, davvero tutto può cambia”.

Riprendendo l’enciclica ‘Laudato Sì’ il papa ha chiesto loro di portare un contributo per ‘migliorare’ il mondo: “Ascoltando il grido della terra, dell’aria, dell’acqua, che un modello sbagliato di sviluppo ha tanto ferito, ho compreso meglio una realtà che oggi voglio condividere con voi: nel creato ‘tutto è connesso’. Per questo il contributo di ciascuno di voi può migliorare il mondo. La novità di ognuno riguarda tutti”.

Ed anche il mondo del lavoro non è estraneo al creato: “Il mondo del lavoro è un mondo umano, in cui ognuno è connesso a tutti. E purtroppo anche questo ‘mondo’ è inquinato da dinamiche e comportamenti negativi che lo rendono a volte invivibile. Insieme alla cura del creato è necessaria la cura della qualità della vita umana, la ricerca della fraternità umana e dell’amicizia sociale, perché i nostri legami contano più dei numeri e delle prestazioni. Anche questo fa la differenza nel mondo del lavoro. E voi, avvicinandovi ad esso, è importante che teniate ben salde sia la coscienza della vostra unicità, che prescinde da qualsiasi successo o insuccesso, sia la propensione a stabilire con gli altri rapporti sinceri. In molti ambienti sarete, allora, una rivoluzione gentile”.

Infine ha chiesto di non omologarsi: “Per dare il vostro contributo, infatti, non dovete farvi andare bene qualsiasi cosa, anche il male. Non omologatevi a modelli in cui non credete, magari per ottenerne prestigio sociale o del denaro in più. Il male ci aliena, spegne i sogni, ci rende soli e rassegnati. Il cuore sa accorgersene e, quando è così, bisogna chiedere aiuto e fare squadra con chi ci conosce e tiene a noi. Bisogna scegliere”.

Per questa scelta, quindi, occorre il cuore: “Carissimi, nel mondo del lavoro si entra insieme. Non ciascuno per conto suo: diventeremmo rapidamente ingranaggi di una macchina e chi ha potere potrebbe fare di noi qualunque cosa. Le A.C.L.I., che vi hanno radunato, sono uno storico esempio di come sia importante associarsi, trasformare le intuizioni del cuore in legami sociali. Insieme si possono realizzare i sogni. Il cuore cerca amicizie, pensa non isolandosi, si scalda immedesimandosi. Il cuore sa essere flessibile e generoso. Sa rinunciare a qualcosa, ma perseguendo l’ideale. Sa darsi degli obiettivi, ma bada al modo in cui sono raggiunti”.

Infine ha ricordato che senza il cuore c’è rischio di perdere la dignità: “E quando il lavoro viene organizzato senza cuore, allora è in pericolo la dignità umana di chi lavora, o non trova lavoro, o si adatta a un lavoro indegno. Oggi è l’economia stessa ad accorgersi che il saper fare non basta, che le prestazioni non sono tutto. A questo basteranno sempre più le macchine. Umana, invece, è l’intelligenza del cuore, la ragione che sente le ragioni altrui, l’immaginazione che crea ciò che ancora non è, la fantasia per cui Dio ci ha resi tutti diversi. Siamo ‘pezzi unici’, aiutiamoci a vicenda a ricordarcelo”.

(Foto: Acli Roma)

Papa Francesco ai cardinali: mettere al centro Cristo

Nella basilica di san Pietro, Francesco ha presieduto il Concistoro per la creazione di 21 cardinali con l’invito è a non lasciarsi abbagliare dal fascino del prestigio, dalla seduzione del potere e dell’apparenza, ma a poggiare la vita sul vero ‘cardine’, che è Gesù, in questo decimo concistoro di papa Francesco, prendendo a riferimento il vangelo dell’apostolo Marco nel momento più drammatico della sua vita:

“Pensiamo un po’ a questa narrazione: Gesù sta salendo verso Gerusalemme. La sua non è un’ascesa alla gloria di questo mondo, ma alla gloria di Dio, che comporta la discesa negli abissi della morte. Nella Città santa, infatti, Egli morirà sulla croce, per ridare la vita a noi. Eppure, Giacomo e Giovanni, che immaginano invece un destino diverso per il loro Maestro, avanzano la loro richiesta e gli chiedono due posti d’onore: ‘Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra’ (Mc 10,37)”.

E’ lo scontro tra due mentalità, che mostrano l’instabilità della persona umana, citando Alessandro Manzoni: “Il Vangelo mette in luce questo drammatico contrasto: mentre Gesù sta facendo una strada faticosa e in salita che lo porterà al Calvario, i discepoli pensano alla strada spianata e in discesa del Messia vincitore. E non dobbiamo scandalizzarci di questo, ma prendere umilmente coscienza che, per dirlo col Manzoni, ‘così è fatto questo guazzabuglio del cuore umano’ (I promessi sposi, cap. 10). Così è fatto”.

E, citando sant’Agostino che invita a tornare al ‘cuore’, papa Francesco ha messo in allerta i neo cardinali: “Questo può succedere anche a noi: che il nostro cuore perda la strada, lasciandosi abbagliare dal fascino del prestigio, dalla seduzione del potere, da un entusiasmo troppo umano per il nostro Signore. Per questo è importante guardarci dentro, metterci con umiltà davanti a Dio e con onestà davanti a noi stessi, e chiederci: dove sta andando il mio cuore?

Dove sta andando il mio cuore oggi? In quale direzione si muove? Forse sto sbagliando strada? Tornare al cuore per rimettersi sulla stessa strada di Gesù, di questo abbiamo bisogno. Ed oggi, in particolare a voi, cari Fratelli che ricevete il cardinalato, vorrei dire: badate bene a fare la strada di Gesù. E cosa significa questo?”

Papa Francesco ha avvertito la necessità di mettere al centro l’essenziale: “Fare la strada di Gesù significa anzitutto ritornare a Lui e rimettere Lui al centro di tutto. Nella vita spirituale come in quella pastorale, rischiamo a volte di concentrarci sui contorni, dimenticando l’essenziale. Troppo spesso le cose secondarie prendono il posto di ciò che è necessario, le esteriorità prevalgono su quello che conta davvero, ci tuffiamo in attività che riteniamo urgenti, senza arrivare al cuore.

E, invece, abbiamo sempre bisogno di ritornare al centro, di recuperare il fondamento, di spogliarci di ciò che è superfluo per rivestirci di Cristo. Anche la parola ‘cardine’ ci richiama a questo, indicando il perno su cui viene inserito il battente di una porta: è un punto fermo di appoggio, di sostegno. Ecco, cari fratelli: Gesù è il punto d’appoggio fondamentale, il centro di gravità del nostro servizio, il ‘punto cardinale’ che orienta tutta la nostra vita”.

E’ stato un invito ad incontrare le persone: “Fare la strada di Gesù significa anche coltivare la passione dell’incontro. Gesù non fa mai la strada da solo; il suo legame con il Padre non lo isola dalle vicende e dal dolore del mondo. Al contrario, proprio per curare le ferite dell’uomo e alleggerire i pesi del suo cuore, per rimuovere i macigni del peccato e spezzare le catene della schiavitù, proprio per questo Egli è venuto. E, così, lungo la strada, il Signore incontra i volti delle persone segnate dalla sofferenza, si fa vicino a coloro che hanno perduto la speranza, solleva quanti sono caduti, guarisce chi è nella malattia. Le strade di Gesù sono popolate di volti e di storie e, mentre passa”

La prospettiva di papa Francesco è chiara e l’ha supportata con una citazione di don Primo Mazzolari: “L’avventura della strada, la gioia dell’incontro con gli altri, la cura verso i più fragili: questo deve animare il vostro servizio di cardinali. L’avventura della strada, la gioia dell’incontro con gli altri e la cura verso i più fragili… Non dimentichiamo che stare fermi rovina il cuore e l’acqua ferma è la prima a corrompersi”.

Percorrere la strada di Gesù vuole dire diventare ‘costruttori di unità’, in quanto è un invito a non evitare la ‘croce’: “Fare la strada di Gesù significa, infine, essere costruttori di comunione e di unità. Mentre nel gruppo dei discepoli il tarlo della competizione distrugge l’unità, la strada che Gesù percorre lo porta sul Calvario.

E sulla croce Egli compie la missione che gli è stata affidata: che nessuno vada perduto, che venga finalmente abbattuto il muro dell’inimicizia e tutti possiamo scoprirci figli dello stesso Padre e fratelli tra di noi. Per questo, posando il suo sguardo su di voi, che provenite da storie e culture diverse e rappresentate la cattolicità della Chiesa, il Signore vi chiama a essere testimoni di fraternità, artigiani di comunione e costruttori di unità. Questa è la vostra missione!”

Citando le parole di san Paolo VI nel Concistoro del 1977, papa Francesco ha invitato i cardinali a seguire Gesù: “Animati da questo spirito, cari Fratelli, voi farete la differenza; secondo le parole di Gesù che, parlando della competizione corrosiva di questo mondo, dice ai discepoli: ‘Tra voi però non è così’. Ed è come se dicesse: venite dietro a me, sulla mia strada, e sarete diversi; venite dietro a me e sarete un segno luminoso in una società ossessionata dall’apparenza e dalla ricerca dei primi posti. ‘Tra voi non sia così’, ripete Gesù: amatevi l’un l’altro con amore fraterno e siate servi gli uni degli altri, servi del Vangelo”.

Ultimo atto di questa intensa giornata è stato il messaggio per l’inaugurazione della cattedrale di Notre Dame a Parigi, letto dal Nunzio Apostolico in Francia, mons. Celestino Migliore, in cui è stato ricordato il lavoro di tutti coloro che hanno reso possibile questo momento: “Rendo omaggio a tutti coloro, in particolare ai vigili del fuoco, che hanno lavorato coraggiosamente per salvare questo monumento storico dal naufragio. Rendo omaggio al deciso impegno delle autorità pubbliche e alla grande effusione di generosità internazionale che ha contribuito alla restaurazione. Questo slancio è un segno non solo di attaccamento all’arte e alla storia, ma anche di più (e quanto è incoraggiante!) il segno che il valore simbolico e sacro di un simile edificio è ancora ampiamente percepito, dal più piccolo al più grande”.

Ed ha ringraziato anche gli artigiani, che hanno riportato alla bellezza la cattedrale parigina:  “Rendo omaggio anche allo straordinario lavoro dei tanti mestieri che hanno investito, dando generosamente il meglio di sé per riportare Notre-Dame al suo splendore. E’ bello e rassicurante che il saper fare di una volta sia stato sapientemente conservato e migliorato. Ma è ancora più bello che tanti lavoratori e artigiani abbiano testimoniato di aver vissuto questa avventura di restauro in un autentico approccio spirituale. Hanno seguito le orme dei loro padri la cui fede, vissuta nel loro lavoro, è stata l’unico modo per costruire un capolavoro dove nulla di profano, incomprensibile o volgare trova posto”.

E’ stato un invito per i francesi ad apprezzare questo patrimonio quale è Notre Dame: ““La rinascita di questa ammirevole Chiesa costituisca dunque un segno profetico del rinnovamento della Chiesa in Francia. Invito tutti i battezzati che entreranno con gioia in questa Cattedrale a provare un legittimo orgoglio e a riappropriarsi del proprio patrimonio di fede. Cari fedeli di Parigi e della Francia, questa residenza, in cui abita il nostro Padre celeste, è vostra; tu sei le sue pietre vive. Coloro che ti hanno preceduto nella fede lo hanno costruito per te: le innumerevoli rappresentazioni e simboli che contiene vogliono guidarti con maggiore sicurezza verso l’incontro con Dio fatto uomo e alla riscoperta del suo immenso amore”.

(Foto: Santa Sede)

L’Amore al tempo dell’intelligenza artificiale, ma ‘Egli ci ha amati per primo’ (1Gv. 4,19)

Il filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, nel 2003 coniava la definizione di ‘amore liquido’, dove indicava ormai lontana quell’idea di amore imperituro e inscalfibile su cui la società si era sempre fondata nelle generazioni precedenti. Amore liquido, perché liquida si è andata modificando la società e la famiglia, dove è andato emergendo l’individualismo sfrenato, sgretolando il buon vivere della comunità, priva del fondamento che è la fede: è l’amore, infatti, la forma della fede!

Mancando questo fondamento d’unità, mancando ‘il cuore’, la società non è più intesa come entità ‘solida’, ma appunto ‘liquida’: non fondandosi più sulla verità che promana da Dio, tutto è divenuto parziale, provvisorio e temporaneo. Esattamente un mese fa, a distanza di circa un ventennio, anche Papa Francesco ha parlato di questo concetto nella sua Lettera Enciclica ‘Dilexit Nos’ (24/10/2024), quando nelle prime battute dice che nell’attuale ‘società liquida’ si rende necessario parlare di cuore, perché è in atto una svalutazione del centro intimo dell’uomo.

L’Enciclica attualizza il concetto dell’amore umano, intrecciandolo in modo spirituale e sentimentale, senza mancare di fare riferimento alla società digitale, dove l’algoritmo è – potremmo dire – in antitesi con il cuore, poiché è il cuore che permette di mettere in comunione le persone (cfr. n. 14). Proprio in questo mondo in cui impera l’Intelligenza Artificiale, dice il Papa, ‘non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore’ (n. 20): caratteristiche che fanno parte dell’estro e dell’essenza umana e non riproducibili con calcoli computazionali.

Se da un lato non possiamo non riconoscere che l’Intelligenza Artificiale sia capace di elaborare dati complessi pressoché istantaneamente e con eccellenti risultati, essa non ha le caratteristiche sensoriali e delle emozioni che sono prettamente umane. L’Intelligenza Artificiale è e dovrà quindi essere uno strumento al servizio dell’umanità, per natura stessa delle macchine rispetto agli esseri umani: aspetti come la tenerezza, l’amore, i ricordi (non la memoria di un dato), sono tratti che identificano l’identità personale che non sono riproducibili dalla logica algoritmica.

Nonostante questi dati siano incontrovertibili, la tecnologia viene sempre più applicata anche per ‘promuovere’ le relazioni: dai siti di incontri agli assistenti virtuali, essa intende aiutare a trovare potenziali partner, a fornire consigli per migliorare le relazioni e comprendere le preferenze dell’altro attraverso l’analisi dei dati, sempre basandosi su algoritmi aventi l’intento di calcolare persino i sentimenti.  

Si avverte, tuttavia, l’urgenza di saper fare interagire quanto di buono viene dagli sviluppi relativi all’Intelligenza Artificiale con la capacità critica dell’essere umano, che pur avverte il desiderio di potenziare il suo pensiero. E’ in quest’orizzonte che si inserisce il ‘Sistema 0’, teorizzato recentemente da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sulla rivista ‘Nature Human Behaviour’, per promuovere l’interazione fra l’intelligenza umana e quella artificiale, quasi in una forma ibrida, al fine di aiutare il pensiero critico, che ha solo nel cuore il centro di discernimento.

In questi termini, si potrebbe dire che l’Intelligenza Artificiale non è del tutto ‘senza cuore’ perché si potrebbe osare affermare che in questa tecnologia si possa riscontrare l’avere ‘a cuore’ le sorti dei deboli e delle persone con disabilità, che attraverso il buon uso di essa, è in grado salvare vite.

Era veramente necessaria in questo tempo una Enciclica che facesse chiarezza sul senso del cuore: ‘il cuore è il luogo della sincerità, dove non si può ingannare né dissimulare’ (n. 5). Continua il Santo Padre: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo” (n. 11).

Potremmo dire in conclusione: ‘Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo’ (1Gv 4, 19). Solo un cuore che è dal cuore di Cristo può amare, e non una ‘macchina autoapprendente’ capace solo di calcoli.

Papa Francesco: il Cuore di Gesù apre alla gioia dell’annuncio

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo, per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’. Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’. Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’. Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo. Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’.

Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.

Con queste parole papa Francesco inizia l’enciclica ‘Dilexit nos. Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo’, pubblicata mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, nel 1673, a Santa Margherita Maria Alacoque, fino al 27 giugno prossimo.

L’invito dell’enciclica è un ritorno al ‘cuore’: “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”.

Ed il cuore non è mai stato al centro del pensiero umano: “Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza.

Probabilmente perché l’incontro con l’altro non si consolida come via per trovare sé stessi, giacché il pensiero sfocia ancora una volta in un individualismo malsano. Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore”.

Però il cuore è importante: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo”.

Il cuore è importante perché è capace di unire i ‘frammenti’ della vita, cioè di custodire: “Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare”.

L’enciclica è un invito ad affidarsi al cuore di Gesù: “Abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. E’ lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”.

Il papa chiede di pregare il cuore di Gesù: “Davanti al Cuore di Cristo, chiedo al Signore di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita, che Lui ha voluto abitare come uno di noi. Che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”.

Per questo è necessaria l’adorazione: “La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore… E’ indispensabile sottolineare che ci relazioniamo con la Persona di Cristo, nell’amicizia e nell’adorazione, attratti dall’amore rappresentato nell’immagine del suo Cuore. Veneriamo tale immagine che lo rappresenta, ma l’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino”.

Si adora il Cuore di Gesù, in quanto è inseparabile da Dio: “Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà ‘veramente e realmente tributato a Cristo stesso’, poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è ‘simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo’.

Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi”.

Ecco il motivo per cui la Chiesa ha scelto il cuore: “Si comprende allora che la Chiesa abbia scelto l’immagine del cuore per rappresentare l’amore umano e divino di Gesù Cristo e il nucleo più intimo della sua Persona. Tuttavia, benché il disegno di un cuore con fiamme di fuoco possa essere un simbolo eloquente che ci ricorda l’amore di Gesù, è conveniente che questo cuore faccia parte di un’immagine di Gesù Cristo. In tal modo risulta ancora più significativa la sua chiamata a una relazione personale, di incontro e di dialogo”.

E’ il cuore l’organo che mette in contatto con Gesù: “Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore. L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità”.

In conclusione il cuore di Gesù invita alla missione: “Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote… Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre.

Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna”.

La missione consiste nell’annuncio dell’amore di Gesù: “In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo… Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria.

Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri”.

(Foto: Vatican News)

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