Da Catania un invito a non cedere alla sfiducia

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Domenica scorsa l’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna, ha celebrato la festa di sant’Agata, patrona della città, invitando a fidarsi di Dio ed a non avere paura, come ha detto Gesù agli apostoli molte volte: “Sono parole che hanno infuso speranza ai discepoli che Gesù ha voluto preparare al futuro. Noi cristiani siamo alla sequela di un Maestro che è risultato perdente secondo la cronaca del suo tempo: messo a morte come un bestemmiatore, in compagnia di altri malfattori, e con accanto a sé non un esercito armato pronto a difenderlo, ma solo la sua anziana madre e poche altre persone, per lo più donne. Eppure il Cristo ci ha detto di non avere paura, perché la Sua morte non è l’ultima parola: può essere forse l’ultima per l’uomo, ma non per Dio, che lo ha risuscitato”.

Anche sant’Agata nel martirio ha udito quest’invito di Gesù: “Ed è per questo che noi siamo qui a celebrare il Sacrificio Eucaristico di Cristo, e a fare memoria di una donna che circa due secoli dopo la morte e la risurrezione del Suo Maestro non ha avuto paura di coloro che straziavano il suo corpo e si apprestavano a gettarlo in una fornace per finirlo.

Sant’Agata è andata incontro alla morte senza la paura che dopo ci fosse il ‘nulla’ o il ‘grande forse’. Credeva che ci sarebbe stato il Cristo risorto ad attenderla, lo Sposo che lei, vergine votata al Suo servizio, aveva scelto come l’unico amore”.

Ed ha raccontato il modo con cui la patrona di Catania ha accolto l’invito: “La paura portava molti cristiani, sotto le persecuzioni volute da alcuni imperatori di Roma, a rinnegare la fede: le tenebre profonde delle carceri che erano delle fosse insane, il caldo soffocante per l’ammucchiamento delle persone imprigionate, i maltrattamenti dei soldati, la raffinata crudeltà delle torture e l’efferatezza della pena capitale, sono tutti elementi sui quali concordano le narrazioni del martirio dei primi secoli, sia in autori cristiani, sia in insospettabili autori pagani.

Nel martirio di Policarpo si narra di un episodio che all’epoca doveva essere frequente: per paura del supplizio un cristiano rinnega la sua fede. Un certo Quinto, narra il testo suddetto, venuto dalla Frigia a Smirne, si era costituito spontaneamente come cristiano, ma poi si era lasciato prendere dal terrore e il magistrato era riuscito a persuaderlo a giurare per gli dei e ad offrire un sacrificio”.

Ma sant’Agata, come p. Puglisi ed il giudice Livatino, ha superato lo stato di paura: “Cari fratelli e sorelle, vorrei che sant’Agata, passando per le strade della nostra Catania, ci invitasse a non avere paura, perché perfino i capelli del nostro capo sono contati. Quelli dei devoti, come quelli degli uomini e delle donne che non credono.

Quelli degli uomini giusti e quelli di coloro che sono in carcere; quelli delle persone ben curate e profumate, e quelli di coloro che dormono per strada o frequentano ogni giorno la mensa della Caritas o di altre istituzioni benefiche.

Sono contati i capelli dei soldati russi e di quelli ucraini, quelli che giacciono nelle fosse comuni; sono contati i capelli dei migranti. Dio continua a portare il conto dell’originalità di ciascuno di noi, soprattutto di chi si sente un invisibile. Ciascuno di noi vale di più di quanto può valere il pil di una nazione”.

Ed anche attualmente in città si vivono molte paure, dovute a ‘scelte’ non sempre oculate: “A Catania abbiamo paura di un futuro che impoverisca la nostra città. Abbiamo paura di una politica del ‘si è fatto sempre così’; che non sia frutto di scelte condivise e rinnovate.

Abbiamo paura di una politica che non risolva i problemi della città, ma li complichi con amministratori poco competenti, eterodiretti, con problemi in sospeso con la giustizia, che non danno esemplarità in una città che ha al suo interno una parte della sua popolazione agli arresti domiciliari”.

Per questo l’invito è stato chiaro: “Non abbiate paura non è una frase che lascia tranquilli, come il famoso oppio dei popoli, che addormenta la coscienza e muove al disimpegno e alla delega in bianco, che non si può più rinnovare.

Quello che purtroppo è divenuto un costume, che elezione dopo elezione ci fa perdere pezzi di cittadinanza e di vita democratica, ha le sue cause che le persone intelligenti conoscono, e richiede che la speranza si organizzi e ci veda corresponsabili”.

Stesso invito è stato fatto nel discorso alla città con uno sprone all’impegno: “Quanti di questi esempi ha la nostra Sicilia, non solo nel passato, ma anche nel presente, con i martiri che hanno sofferto e sono stati uccisi dalla mafia, come il beato Rosario Livatino di Canicattì, o che hanno rinunciato a tutto per condividere i loro beni con i poveri, come fratel Biagio Conte che ha fondato la Missione di speranza e carità nella sua Palermo!”

E’ stato un invito a guardare ai santi: “In questa terra di Sicilia segnata da tante sofferenze e da violenza, Dio non ha fatto mancare il dono di Santi, che ci insegnano come si vive … Sì perché a volte noi non sappiamo più vivere da persone create ad immagine di un Dio d’amore.

Non viviamo se abbiamo perso il centro della nostra vita che è il Signore; se non viviamo più nel rispetto e nell’amore del nostro prossimo; se contribuiamo ad alimentare l’ingiustizia e la creazione di disuguaglianza; se deturpiamo lo splendore della natura con scelte lente e poco coraggiose per non inquinarla”.

E’ stato un invito a ‘liberare’ la città dalla rassegnazione: “Liberare la città significa ricostruirla con il senso di partecipazione alla vita pubblica, rifuggendo dalla sfiducia in noi stessi, nel futuro da costruire responsabilmente e con una più consapevole partecipazione a quello che è un diritto e un dovere: il voto libero e consapevole”.

Questo invito risponde ad una precisa domanda: “Che città vogliamo costruire con l’intercessione e la forza che ci dà l’esempio di sant’Agata? Noi abbiamo lo stesso potere di Agata, quello di non scendere a compromessi con il male e di scegliere il bene, sapendo che così facendo avremo dato un segno che la nostra fede cristiana non è un oppio che addormenta la coscienza, ma è quel sale che dà sapore alla società, soprattutto quando questa diventa povera di valori, tentata di tornare ad essere il governo di pochi che tengono soggiogati gli altri nella precarietà, in problemi che si tarda a risolvere perché hanno paura di gente istruita e libera”.

(Foto: diocesi di Catania)

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