Papa Francesco agli istituti religiosi: siate artigiani di pace

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‘Fratelli Tutti: chiamati a essere artigiani di pace’ è stato il tema della 98ª assemblea dell’Unione superiori generali (Usg) tenutasi fino a sabato 26 25 novembre alla ‘Fraterna Domus’ a Roma, prendendo le mosse dall’enciclica di papa Francesco, ‘Fratelli tutti’, che, al punto 225, scrive: “In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia”.

Aprendo i lavori mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali della Santa Sede, ha sottolineato che è “necessario promuovere il progresso sociale per salvare le nuove generazioni dalla guerra… il quotidiano lavoro della Chiesa non può esimersi.

La fondamentale richiesta di dialogo per la pace iniziò sotto Paolo Vi e si esplicita ancora oggi. Anche papa Francesco, rileggendo l’attuale situazione geopolitica, ha parlato di terzo conflitto mondiale in atto e ha segnalato come l’Europa e il mondo sono sconvolti da una guerra di speciale gravità”.

A conclusione dell’assemblea, l’incontro con papa Francesco, che ha detto che la pace è un lavoro ‘artigianale’, secondo le parole di Gesù: “Qual è la pace che Gesù ci dona, e in che cosa si differenza da quella che dà il mondo?

In questi tempi, ascoltando la parola ‘pace’ pensiamo soprattutto a una situazione di non-guerra o di fine-guerra, uno stato di tranquillità e di benessere. Questo, lo sappiamo, non corrisponde pienamente al senso della parola ebraica shalom, che, nel contesto biblico, ha un significato più ricco”.

La pace è un dono di Gesù: “La pace di Gesù è prima di tutto dono suo, frutto della carità, non è mai una conquista dell’uomo; e, a partire da questo dono, è l’insieme armonico delle relazioni con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il creato.

Pace è anche l’esperienza della misericordia, del perdono e della benevolenza di Dio, che ci rende capaci a nostra volta di esercitare misericordia, perdono, respingendo ogni forma di violenza e di oppressione”.

La pace di Gesù si fonda sulla riconciliazione di Dio con gli uomini: “Si fonda invece sul riconoscimento della dignità della persona umana e richiede un ordine a cui concorrono inseparabilmente la giustizia, la misericordia e la verità.

‘Fare la pace’ è, dunque, un lavoro artigianale, da fare con passione, pazienza, esperienza, tenacia, perché è un processo che dura nel tempo. La pace non è un prodotto industriale ma un’opera artigianale. Non si realizza in modo meccanico, necessita dell’intervento sapiente dell’uomo.

Non si costruisce in serie, col solo sviluppo tecnologico, ma richiede lo sviluppo umano. Per questo i processi di pace non si possono delegare ai diplomatici o ai militari: la pace è una responsabilità di tutti e di ciascuno”.

E’ un invito ad operare per la pace: “Beati noi consacrati se ci impegniamo a seminare pace con le nostre azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia; e se nella preghiera invochiamo incessantemente da Gesù Cristo ‘nostra pace’ il dono della pace.

Così la vita consacrata può diventare una profezia di questo dono, se i consacrati imparano ad esserne artigiani, incominciando dalle proprie comunità, costruendo ponti e non muri dentro la comunità e fuori di essa. Quando ognuno contribuisce facendo con carità il proprio dovere, nella comunità c’è la pace. Il mondo ha bisogno di noi consacrati anche come artigiani di pace!”

La pace, però, non può essere disgiunta dalla sinodalità: “Questa riflessione sulla pace, fratelli e sorelle, mi porta a considerare un altro aspetto caratteristico della vita consacrata: la sinodalità, questo processo nel quale siamo chiamati ad entrare tutti in quanto membri del popolo santo di Dio.

Come consacrati, poi, siamo tenuti in modo particolare a parteciparvi, in quanto la vita consacrata è sinodale per sua natura. Essa ha anche molte strutture che possono favorire la sinodalità: penso ai capitoli, generali, provinciali o regionali, e locali, alle visite fraterne e canoniche, alle assemblee, alle commissioni, e ad altre strutture proprie dei singoli istituti”.

Ed è necessario rivedere l’esercizio del servizio dell’autorità: “Infatti, è necessario vigilare sul pericolo che esso possa degenerare in forme autoritarie, a volte dispotiche, con abusi di coscienza o spirituali che sono terreno propizio anche per abusi sessuali, perché non si rispetta più la persona e i suoi diritti.

Ed inoltre vi è il rischio che l’autorità venga esercitata come privilegio, per chi la detiene o per chi la sostiene, quindi anche come una forma di complicità tra le parti, affinché ognuno faccia quello che vuole, favorendo così paradossalmente una specie di anarchia, che tanto danno comporta per la comunità”.

L’autorità deve esercitarsi in modo sinodale: “Auspico che il servizio dell’autorità venga esercitato sempre in stile sinodale, rispettando il diritto proprio e le mediazioni che esso prevede, per evitare sia l’autoritarismo, sia i privilegi, sia il ‘lasciar fare’; favorendo un clima di ascolto, di rispetto per l’altro, di dialogo, di partecipazione e di condivisione.

I consacrati, con la loro testimonianza, possono apportare molto alla Chiesa in questo processo di sinodalità che stiamo vivendo. Purché voi siate i primi a viverla: a camminare insieme, ad ascoltarvi, a valorizzare la varietà dei doni, ad essere comunità accoglienti”.

Ed infine è necessario rivedere  i percorsi di valutazione di idoneità: “Senza improvvisazioni. Infatti, la comprensione dei problemi attuali, spesso inediti e complessi, comporta un’adeguata formazione, altrimenti non si sa bene dove andare e si ‘naviga a vista’.

Inoltre, una riorganizzazione o riconfigurazione dell’istituto va fatta sempre nella salvaguardia della comunione, per non ridurre tutto ad accorpamenti di circoscrizioni, che poi possono risultare non facilmente gestibili o motivo di contrasti. Al riguardo, è importante che i superiori stiano attenti a evitare che qualche persona non sia ben occupata, perché questo, oltre a danneggiare i soggetti, genera tensioni nella comunità”.

(Foto: Santa Sede)

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