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Papa Francesco: lo Spirito Santo indica la missione della Chiesa

Seguendo il tema delle catechesi del mercoledì papa Francesco oggi ha meditato sullo Spirito Santo che scende nelle genti, come raccontato negli Atti degli Apostoli: “Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori (il vento fragoroso e le lingue di fuoco), ma trova la sua conclusione nell’affermazione: E tutti furono colmati di Spirito Santo”.

Ed ha evidenziato che è lo Spirito Santo l’unità della Chiesa: “San Luca, che ha scritto gli Atti degli Apostoli, mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere ‘colmati di Spirito Santo’ è che gli Apostoli ‘cominciarono a parlare in altre lingue’ e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla”.

Questa è la missione della Chiesa: “Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa”.

Ed ha indicato due episodi degli Atti degli Apostoli in cui lo Spirito Santo è in azione: “Il primo dei due movimenti (l’universalità) lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra ‘pentecoste’, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani”.

Da lì il Cristianesimo si espande nel mondo, finora conosciuto: “A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo (si legge sempre negli Atti degli Apostoli) voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, ‘lo Spirito Santo glielo aveva impedito’; voleva passare in Bitinia ‘ma lo Spirito di Gesù non lo permise’. Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa”.

L’altro episodio riguarda il Concilio di Gerusalemme: “Il secondo movimento dello Spirito Santo (quello che crea l’unità) lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste”.

Ciò avviene attraverso un ‘lavoro sinodale’: “Lo fa anche (e nella maggioranza dei casi) con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo”.

Concludendo con una citazione di sant’Agostino papa Francesco ha precisato che lo Spirito Santo crea unità: “Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: ‘Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa’. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. E’ Lui stesso il ‘vincolo di unità’. E’ Lui che fa l’unità della Chiesa”.

E l’unità si realizza nella vita: “Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere”.

Al termine dell’udienza generale papa Francesco ha chiesto di recitare il rosario, affidando alla Madre di Dio chi soffre a causa della guerra: “Vi esorto tutti a recitare il Rosario ogni giorno, abbandonandovi fiduciosi nelle mani di Maria. A Lei, madre premurosa, affidiamo le sofferenze e il desiderio di pace delle popolazioni che subiscono la pazzia della guerra, in particolare la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar, il Sudan”.

(Foto: Santa Sede)

Matteo Marni racconta il Requiem che Giuseppe Verdi musicò per Alessandro Manzoni

“Il Requiem di Giuseppe Verdi non poteva che avere luogo in una città come Milano e soprattutto nella chiesa di S. Marco, dove trova i protagonisti e i protagonismi necessari per potersi compiere. Mentre un ristretto gruppo di Scapigliati sta compiendo la propria ‘piccola rivoluzione’, Luigi Nazari di Calabiana fa il suo ingresso come arcivescovo di Milano. La diocesi conta più di un milione di anime, più di centonovantamila abitano all’interno della cerchia dei Bastioni e vi sono quaranta chiese parrocchiali solo in città.

La città sta cercando un rinnovamento urbanistico che, oltre al tema della piazza Duomo, passa per l’ampliamento dei Giardini di Porta Venezia (1856-62) che ospiteranno svariate esposizioni (1871-81), mentre accompagna le nuove vicende politiche attraverso la via rappresentativa dell’edificazione di monumenti siti nelle piazze cittadine – come quello a Cavour (1865), di Beccaria (1871) e Leonardo da Vinci (1872). Con Gli Ugonotti di Mayerbeer apre le porte il Teatro dal Verme, mentre al posto del Teatro Re, demolito per far spazio agli isolati adiacenti alla Galleria, viene inaugurato il Teatro della Commedia, che nel 1873 si chiamerà Teatro Manzoni”.

Così scrive Luigi Garbini nella prefazione al libro dell’organista e dottorando di ricerca in Storia della Musica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dott. Matteo Marni, ‘La vera storia del Requiem di Verdi. 22 maggio 1874’ (Giampiero Casagrande editore), che nell’introduzione evidenzia: “Soggetto e oggetto del ‘Requiem’, Verdi e Manzoni, non so­lo hanno saputo ecumenicamente mettere d’accordo tutti, ma hanno anche dimostrato l’efficacia e l’attualità di un modello ben oltre i limiti cronologici entro i quali si pensava che questo avrebbe funzionato.

L’oggetto della celebrazione, Alessandro Manzoni, prima di essere patriota era, nella percezione collet­tiva, paladino di un cattolicesimo moderno e sostenibile, por­tatore di una fede sincera e libera, più largamente condivisibile che però, proprio in virtù di questa originale declinazione, riu­sciva a non costituire un ostacolo nemmeno per gli anticlerica­li più convinti”.

Per quale motivo Giuseppe Verdi musicò il Requiem per ricordare il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni?

“Un rapporto di stima sincera legava Verdi e Manzoni già prima dell’attesissimo incontro che li vide conversare nella casa milanese dello scrittore nel 1868. Verdi affermò che il romanzo de ‘I Promessi Sposi’ era il miglior libro che avesse mai letto e, di conseguenza, provava un senso di ammirazione e venerazione per il suo autore, ‘quel santo di Manzoni’. Il ‘Requiem’ che Giuseppe Verdi volle offrire in memoria di Manzoni fu un omaggio personale, un modo per portare a compimento il progetto naufragato di una messa da morto per Gioacchino Rossini ed, in ultima analisi, anche una mossa diplomatica nella conciliazione dei difficili rapporti fra Stato e Chiesa”.

 Chi ha voluto quella ‘prima’ del 1874?

“La paternità dell’iniziativa deve essere rintracciata indubbiamente in Verdi che volle tributare un omaggio ‘a quel santo di Manzoni’ nella forma che il cattolico Manzoni avrebbe più gradito, ossia una Messa di suffragio: non un’elegia, un ricordo laico o una pubblica commemorazione.

Il sincero slancio di Verdi verso l’autore de ‘I Promessi Sposi’ fu subito abbracciato dall’editore Ricordi e dal sindaco di Milano che si offrì di coprire le spese. Il parroco della chiesa di San Marco, don Michele Mongeri, fu impegnato in prima linea nella mediazione fra il comitato organizzatore e l’arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, che si trovava in una posizione particolarmente scomoda.

Papa Pio IX aveva infatti offerto a Nazari di Calabiana, insigne diplomatico con trascorsi da senatore del Regno, la cattedra di Milano nella speranza di ripristinare la governabilità di quella diocesi, compromessa durante gli anni dell’unificazione nazionale”.

Il Requiem, quindi, è stato un ‘modo’ per allacciare i rapporti tra Stato e Chiesa?

“Esattamente. Coinvolgendo il cattolico padre della Patria che ha forgiato l’identità linguistica degli italiani e quello che con la sua musica è stato colonna sonora del nostro Risorgimento, la risonanza di questa iniziativa non poteva restare confinata alla sfera privata. I rapporti fra Stato e Chiesa erano tesissimi: papa Pio IX era prigioniero in Vaticano e minacciava la scomunica per quanti avessero preso parte alla vita politica. La caratura dei protagonisti di questa iniziativa eccezionale, non solo Verdi e Manzoni, rivelano l’alta finalità politica e conciliante del Requiem”.

Perchè tale prima esecuzione è stata definita eccezionale?

“Perché eccezionale fu la serie concentrica di coincidenze che fecero capire a tutte le parti in causa che quella occasione era unica, irripetibile, imperdibile: la morte del patriota cattolico, la musica dell’ispiratore degli italiani, l’arcidiocesi divisa tra clero filopapale e clero filosabaudo, retta da un arcivescovo che era entrambe le cose. Mentre il più progressista dei preti milanesi, mons. Giuseppe Calvi, celebrava sull’altare della liberale chiesa di San Marco una messa di suffragio per l’anima di Manzoni, sull’altare della Patria Verdi officiava con la sua musica una liturgia parallela e complementare.

La benedizione implicita dell’arcivescovo di Milano, mons. Luigi Nazari di Calabiana, il coinvolgimento della politica locale e nazionale e la risonanza che la stampa diede a questa celebrazione restituisce le speranze concilianti riposte in un requiem che avrebbe dovuto funerare anche la fase militante del Risorgimento italiano, ormai inevitabilmente conclusa”.

Alla fine dei conti, il Requiem musicato da Giuseppe Verdi è un’opera lirica o liturgica?

“Il Requiem di Giuseppe Verdi è per forma, testo, natura e ispirazione una musica liturgica poiché concepito e destinato alla liturgia. Il linguaggio musicale adottato dal compositore ha tratto in inganno alcuni commentatori coevi che hanno tacciato la partitura di ‘teatralità’. Verdi non avrebbe potuto musicare altrimenti un requiem; e se si pose qualche questione stilistica lo fece per penetrare nell’accesa dialettica che in quegli anni infiammava la musica sacra italiana”.

Allora, per quale motivo Verdi si cimentò con la musica sacra?

“Spesso si dice, troppo frettolosamente, che Verdi fosse un anticlericale impenitente o addirittura ateo. Scandagliando il suo carteggio e la sua vicenda biografica si comprende come negli anni ruggenti del Risorgimento l’anticlericalismo fosse un sentimento condiviso e persino richiesto da un certo ambiente culturale che vedeva nel papa (e nei suoi sottoposti) la causa che impediva l’unificazione nazionale. Verdi non era nuovo al confronto col il repertorio sacro: in gioventù fu organista e scrisse musica per la chiesa, successivamente la sua opera si rivolse al teatro.

Il Requiem capitò nel momento propizio non solo per celebrare Manzoni e agevolare la ricomposizione fra le due anime dell’Italia ma anche per dare una misuratissima ‘lectio magistralis’ al mondo della musica sacra italiana, scosso dalle proteste del movimento ceciliano che predicava un ritorno all’impiego di un linguaggio musicale alto e asettico ispirato al repertorio rinascimentale”.

Quale è stato il suo ‘impulso’ per scrivere questo libro sul Requiem di Giuseppe Verdi?

“Certamente la volontà di restituire la verità storica e oggettiva dei fatti, come il titolo si ripropone: perché Giuseppe Verdi volle offrire questa messa, come questa proposta fu interpretata, strumentalizzata a fini politici, chi la rese possibile, come questa messa con testo di rito romano fu celebrata in una chiesa di rito ambrosiano e come vennero risolti problemi contingenti.

Su un piano più generale, questo libro tenta di leggere una delle partiture più celebri e celebrate della storia della musica sacra non con il metodo dell’analisi musicologica ma con i mezzi dell’indagine storica, mostrando l’inscindibilità del legame che sussiste fra l’opera d’arte e il contesto storico, politico e culturale in cui è stata composta, fruita ed eseguita”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco invita a pregare per l’unità e la pace

Giornata intensa di incontri per papa Francesco, che ha ricevuto in questo fine mese, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, i partecipanti al Capitolo Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani), che hanno preso parte al Capitolo Generale della Congregazione sul tema ‘Chiamati a essere uno in un mondo che cambia. ‘Perché il mondo creda’ (Gv 17,21)’, secondo l’insegnamento del venerabile Léon Gustave Dehon, che “vi ha insegnato a ‘fare dell’unione a Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini, il principio e il centro della…vita’; e a farlo legando strettamente la consacrazione religiosa e il ministero all’offerta di riparazione del Figlio, perché tutto, attraverso il suo Cuore, torni al Padre. Fermiamoci allora su questi due aspetti di ciò che vi proponete: essere uno, perché il mondo creda”.

Per questo il papa ha ribadito il bisogno dell’unità: “Sappiamo con quanta forza Gesù l’ha chiesta al Padre per i suoi discepoli, durante l’ultima Cena. E non l’ha semplicemente raccomandata ai suoi come un progetto o come un proposito da realizzare: prima di tutto l’ha chiesta per loro come un dono, il dono dell’unità. E’ importante ricordare questo: l’unità non è opera nostra, noi non siamo in grado di realizzarla da soli: possiamo fare la nostra parte, e dobbiamo farla, ma ci serve l’aiuto di Dio”.

Ma per l’unità c’è bisogno di preghiera, invitando ad avere cura della cappella: “La cappella sia il locale più frequentato delle vostre case religiose, da ciascuno e da tutti, soprattutto come luogo di silenzio umile e ricettivo e di orazione nascosta, affinché siano i battiti del Cuore di Cristo a scandire il ritmo delle vostre giornate, a modulare i toni delle vostre conversazioni e a sostenere lo zelo della vostra carità. Esso batte d’amore per noi dall’eternità e il suo pulsare può unirsi al nostro, ridonandoci calma, armonia, energia e unità, specialmente nei momenti difficili”.

La preghiera è un valido ‘aiuto’ per superare i momenti di sconforto: “Tutti, sia personalmente sia comunitariamente, abbiamo o avremo momenti difficili: non spaventarsi! Gli Apostoli ne hanno avuti tanti. Ma essere vicini al Signore perché si faccia l’unità nei momenti della tentazione. E perché ciò accada, abbiamo bisogno di fargli spazio, con fedeltà e costanza, mettendo a tacere in noi le parole vane e i pensieri futili, e portando tutto davanti a Lui… Ricordiamolo sempre: senza preghiera non si va avanti, non si sta in piedi: né nella vita religiosa, né nell’apostolato! Senza preghiera non si combina nulla”.

L’unità è la base affinché il mondo creda, come ha scritto p. Dehon: “Tante volte vediamo che questo mondo sembra aver perso il cuore. Anche nel rispondere a questa domanda può aiutarci il Venerabile Dehon. In una sua lettera, meditando sulla Passione del Signore, egli osservava che in essa ‘i flagelli, le spine, i chiodi’ hanno scritto nella carne del Salvatore una sola parola: amore”.

Solo in questo modo è possibile annunciare il Vangelo: “Ecco il segreto di un annuncio credibile, un annuncio efficace: lasciar scrivere, come Gesù, la parola ‘amore’ nella nostra carne, cioè nella concretezza delle nostre azioni, con tenacia, senza fermarci di fronte ai giudizi che sferzano, ai problemi che angustiano e alle cattiverie che feriscono, senza stancarsi, con affetto inesauribile per ogni fratello e sorella, solidali con Cristo Redentore nel suo desiderio di riparazione per i peccati di tutta l’umanità”.

Mentre nell’incontro con i partecipanti alla riunione della ROACO (Riunione Opere di Aiuto alle Chiese Orientali) papa Francesco ha ribadito la preoccupazione per i cristiani del Medio Oriente, soprattutto per la Terra Santa: “So che in questi giorni vi siete soffermati sulla drammatica situazione in Terra Santa: lì, dove tutto è iniziato, dove gli Apostoli hanno ricevuto il mandato di andare nel mondo ad annunciare il Vangelo, oggi i fedeli di tutto il mondo sono chiamati a far sentire la loro vicinanza; e a incoraggiare i cristiani, lì e nell’intero Medio Oriente, ad essere più forti della tentazione di abbandonare le loro terre, dilaniate dai conflitti. Io penso a una situazione brutta: che quella terra si sta spopolando di cristiani”.

Ed ha chiesto che la violenza cessi: “Quanto dolore provoca la guerra, ancora più stridente e assurda nei luoghi dove è stato promulgato il Vangelo della pace! A chi alimenta la spirale dei conflitti e ne trae ricavi e vantaggi, ripeto: fermatevi! Fermatevi, perché la violenza non porterà mai la pace. E’ urgente cessare il fuoco, incontrarsi e dialogare per consentire la convivenza di popoli diversi, unica via possibile per un futuro stabile. Con la guerra, invece, avventura insensata e inconcludente, nessuno sarà vincitore: tutti saranno sconfitti, perché la guerra, proprio dall’inizio, è già una sconfitta, sempre”.

Per questo ha denunciato la ‘diaspora’ dei cristiani: “Oggi tanti cristiani d’Oriente, forse come mai prima, sono in fuga da conflitti o migrano in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori: moltissimi, perciò, vivono in diaspora. So che avete riflettuto sulla pastorale degli orientali che risiedono fuori dal loro territorio proprio. E’ un tema attuale e importante: alcune Chiese, a causa delle massicce migrazioni degli ultimi decenni, annoverano la maggior parte dei fedeli fuori dal loro territorio tradizionale, dove la cura pastorale è spesso scarsa per la mancanza di sacerdoti, di strutture e di conoscenze adeguate. E così, chi ha già dovuto lasciare la propria terra rischia di trovarsi depauperato anche dell’identità religiosa; con il passare delle generazioni si smarrisce il patrimonio spirituale orientale, ricchezza imperdibile per la Chiesa cattolica”.

E non poteva mancare un accenno alla situazione dell’est europeo: “Penso anche al tragico dramma della martoriata Ucraina, per la quale prego e non mi stanco di invitare a pregare: si aprano spiragli di pace per quella cara popolazione, vengano liberati i prigionieri di guerra e rimpatriati i bambini. Promuovere la pace e liberare chi è recluso sono segni distintivi della fede cristiana, che non può essere ridotta a strumento di potere. In questi giorni vi siete concentrati anche sulla situazione umanitaria degli sfollati nella regione del Karabakh: grazie per tutto quello che si è fatto e che si farà per soccorrere chi soffre”.

(Foto: Santa Sede)

Il vescovo di Roma è al servizio dell’unità

Papa Francesco

Giovedì 13 giugno è stato presentato il documento di studio del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ‘Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut unum sint’, pubblicato con l’approvazione di papa Francesco, che sintetizza le riposte all’enciclica ‘Ut unum sint’ ed i dialoghi ecumenici sulla questione del primato e della sinodalità, a cui hanno preso parte sua eminenza Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede – Catholicossato di Etchmiadzin (in collegamento da remoto); Sua Grazia l’arcivescovo Ian Ernest, direttore del Centro anglicano di Roma e Rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede (in collegamento da remoto); card. Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo; e card. Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che ha tracciato le origini del documento;

“Dal 1995 sono state formulate numerose risposte a questo invito, riflessioni e suggerimenti diversi scaturiti dai dialoghi teologici. Nel 2020, in occasione del 25^ anniversario dell’enciclica ‘Ut unum sint’, il dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha visto l’opportunità di sintetizzare queste riflessioni e raccoglierne i principali frutti. Lo stesso papa Francesco ci ha invitato a farlo, rilevando nella ‘Evangelii gaudium’ che ‘abbiamo fatto pochi progressi in questo senso’. Inoltre, la convocazione del Sinodo sulla sinodalità ha confermato l’attualità di questo progetto del nostro Dicastero come contributo alla dimensione ecumenica del processo sinodale”.

Tale documento è frutto di un lungo percorso ecumenico e sinodale: “Il documento è il frutto di un lavoro veramente ecumenico e sinodale durato quasi tre anni. Riassume circa 30 risposte all’ ‘Ut unum sint’ e 50 documenti di dialogo ecumenico sull’argomento. Ha coinvolto non solo il personale, ma anche tutti i membri e i consultori del Dicastero che ne hanno parlato nel corso di due riunioni plenarie. Sono stati consultati anche i migliori esperti cattolici in materia, oltre a numerosi esperti ortodossi e protestanti, in collaborazione con l’Istituto di studi ecumenici dell’Angelicum. Infine, il testo è stato inviato a diversi dicasteri della Curia Romana e al Sinodo dei Vescovi. In totale sono stati presi in considerazione più di cinquanta pareri e contributi scritti”.

Il documento mostra una conclusione in cui si evidenzia che il ministero petrino non può prescindere dalla sinodalità: “A differenza delle controversie del passato, la questione del primato non è più considerata solo come un problema ma anche come un’opportunità di riflessione comune sulla natura della Chiesa e sulla sua missione nel mondo. Un’idea particolarmente interessante è che il ministero petrino del Vescovo di Roma è intrinseco alla dinamica sinodale, così come l’aspetto comunitario che comprende tutto il Popolo di Dio e la dimensione collegiale del ministero episcopale”.

Infine il documento principi importanti per ‘fondare’ un principio di comunione: “Riguardo ai principi e alle proposte per un rinnovato esercizio del primato, il documento sviluppa alcuni suggerimenti avanzati dai dialoghi, in particolare una “rilettura” o un commento ufficiale del Vaticano I, una distinzione più chiara tra le diverse responsabilità del Papa, un rafforzamento della la sinodalità della Chiesa cattolica ad intra e ad extra, in particolare in vista della commemorazione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico, nel 2025”.

Il card. Mario Grech ha ripreso la tesi principale dell’enciclica di san Giovanni Paolo II,  ‘Ut unum sint’: “Sono passati trent’anni da quelle parole e molte cose sono cambiate nella Chiesa, ma l’urgenza dell’unità della Chiesa non è venuta meno e la richiesta di trovare una modalità di esercizio del ministero petrino che sia condivisa dalle Chiese emerge con forza dai dialoghi ecumenici…

Il Papa si esprimeva in questi termini nel discorso pronunciato in occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il 17 ottobre 2015, che costituisce una sorta di manifesto della sinodalità e della Chiesa costitutivamente sinodale”.

Il processo sinodale aiuta ad approfondire il ministero petrino: “L’esercizio del ministero petrino non si riduce a questo atto iniziale, per tornare alla fine del processo sinodale per ricevere i risultati ed eventualmente confermarli con una esortazione post-sinodale. La sua funzione di presidenza è visibile nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi: è lui che presiede i lavori dell’aula, personalmente o tramite suoi delegati. La sua è stata una presenza discreta, anche in Assemblea, dove i suoi interventi si sono limitati all’incoraggiamento dei partecipanti o alla precisazione di alcuni punti che richiedevano il suo giudizio. Ma proprio questa modalità di presenza ha favorito il lavoro in aula”.

Sua Eminenza Khajag Barsamian ha sottolineato il valore della sinodalità: “E’ convinzione della famiglia delle Chiese ortodosse orientali che queste forme di comunione debbano rimanere paradigmatiche mentre riflettiamo sulla natura e sulla missione della Chiesa nel terzo millennio. Vorrei anche menzionare il dialogo teologico con la Chiesa ortodossa orientale, che ha dedicato tre interi documenti al tema del primato e della sinodalità, in particolare il documento più recente concordato ad Alessandria nel 2023”.

La sinodalità è molto importante: “Allo stesso modo, le varie proposte del documento per rafforzare la sinodalità ‘ad extra’ mi sembrano promettenti, perché una certa sinodalità può essere praticata tra le nostre Chiese anche se non siamo ancora in piena comunione. A questo proposito, le iniziative di papa Francesco, come l’incontro di Bari sul Medio Oriente nel 2018 o, più di recente, la veglia ecumenica ‘Insieme’ alla vigilia del Sinodo del 2023, dovrebbero incoraggiarci a organizzare altri incontri di questo tipo”.

Per questo ha sottolineato l’importanza del titolo di ‘Patriarca d’Occidente’: “In questo senso, è importante il recente ripristino del titolo di ‘Patriarca d’Occidente’ tra i titoli storici del Papa, poiché questo titolo, ereditato dal primo millennio, testimonia la sua fratellanza con gli altri Patriarchi. Senza dubbio, è essenziale anche l’insistenza di papa Francesco sul suo ministero di Vescovo di Roma, perché è come Vescovo di Roma, Chiesa ‘che presiede alla carità’, come dice Ignazio di Antiochia nella sua lettera ai Romani, che il papa è chiamato a servire la comunione delle Chiese”.

Ed ha auspicato che l’anniversario del Concilio di Nicea possa essere occasione di ulteriore approfondimento: “Infine, vorrei esprimere l’auspicio che questo documento venga condiviso con le varie Chiese cristiane, affinché possiamo continuare la nostra riflessione. L’anniversario del Concilio di Nicea, il prossimo anno, sarà certamente una buona occasione per farlo”.

Per l’arcivescovo Ian Ernest ha sottolineato la necessità di una ‘riformulazione’ del Concilio Vaticano I: “Tra le proposte espresse nei dialoghi, vorrei sottolineare l’importanza di una ‘riformulazione’ o di un commento ufficiale all’insegnamento del Vaticano I, che rimane un grande ostacolo tra le nostre Chiese, soprattutto perché è difficile da comprendere oggigiorno e si presta a interpretazioni errate. È quindi ancora necessario presentare l’insegnamento del Vaticano I alla luce di un’ecclesiologia di comunione, chiarendo la terminologia utilizzata”.

Ed  ha ricordato i molti incontri tra papa Francesco e l’arcivescovo Welby nel Sud Sudan: “Ecco perché vorrei accogliere con favore la proposta di sinodalità ad extra. A questo proposito, il ritiro spirituale per i leader del Sud Sudan organizzato da papa Francesco e dall’arcivescovo Justin Welby nel 2019, il pellegrinaggio ecumenico per la pace in Sud Sudan organizzato da papa Francesco, dall’arcivescovo Justin Welby e dal reverendo Iain Greenshields nel 2023 e la veglia di preghiera ecumenica ‘Insieme. Raduno del popolo di Dio’ in piazza San Pietro nel 2023, alla vigilia della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, sono esempi di questo ‘camminare insieme’ od ecumenismo sinodale a cui papa Francesco ci invita”.

Papa Francesco: lo Spirito Santo cambia la vita

Nella vigilia di Pentecoste celebrata allo stadio ‘Marco Antonio Bentegodi’ papa Francesco ha concluso la visita pastorale a Verona con un po’ di ritardo per la visita alla mamma di mons. Pompili, affermando nell’omelia che lo Spirito Santo è il fulcro della vita del cristiano:

“Fratelli e sorelle, lo Spirito Santo è il protagonista della nostra vita! E’ quello che ci porta avanti, che ci aiuta ad andare avanti, che ci fa sviluppare la vita cristiana. Lo Spirito Santo è dentro di noi. State attenti: tutti abbiamo ricevuto, con il Battesimo, lo Spirito Santo, e anche con la Cresima, di più!”

Quindi lo Spirito Santo cambia la vita, infondendo coraggio: “Oggi celebriamo la festa del giorno in cui lo Spirito Santo è venuto. Ma pensate: gli Apostoli erano tutti chiusi nel cenacolo. Avevano paura, le porte chiuse… E’ venuto lo Spirito Santo, ha cambiato loro il cuore, e sono andati a predicare con coraggio. Coraggio: lo Spirito Santo ci dà il coraggio di vivere la vita cristiana. E per questo, con questo coraggio, cambia la nostra vita”.

Infondendo coraggio dà la forza di annunciare il Vangelo: “Gli Apostoli che erano con tanta paura, quando hanno ricevuto lo Spirito Santo, sono andati avanti con coraggio a predicare il Vangelo. Lo Spirito Santo ci dà coraggio per vivere cristianamente. A volte troviamo cristiani che sono come l’acqua tiepida: né caldi né freddi. Gli manca il coraggio… E chiediamo questo: lo Spirito che ci aiuti ad andare avanti”.

Inoltre lo Spirito Santo edifica la Chiesa: “C’era gente di tutte le nazioni, di tutte le lingue, di tutte le culture, e lo Spirito, con quella gente, edifica la Chiesa. Lo Spirito edifica la Chiesa. Cosa vuol dire? Che fa tutti uguali? No! Tutti differenti, ma con un solo cuore, con l’amore che ci unisce. Lo Spirito è Colui che ci salva dal pericolo di farci tutti uguali. No. Siamo tutti redenti, tutti amati dal Padre, tutti ammaestrati da Gesù Cristo”.

In sostanza lo Spirito Santo consente l’armonia nella Chiesa: “E lo Spirito che fa? Fa quella cosa: l’insieme di tutti. C’è una parola che spiega bene questo: lo Spirito fa l’armonia! L’armonia della Chiesa. Ognuno differente dall’altro, ma in un clima di armonia. Insieme diciamo: lo Spirito fa di noi l’armonia”.

Ed ha concluso l’omelia affermando che lo Spirito Santo non rende tutti uguali, ma permette l’armonia: “Adesso ognuno di noi pensi alla propria vita. Tutti noi abbiamo bisogno dell’armonia. Tutti noi abbiamo bisogno che lo Spirito ci dia armonia nella nostra anima, nella famiglia, nella città, nella società, nel posto di lavoro. Il contrario dell’armonia è la guerra, è lottare uno contro l’altro… Lo Spirito fa l’armonia. E con gli Apostoli, il giorno che è venuto, c’era la Madonna, la Vergine Maria”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco invita la Chiesa siro-malabrese alla comunione

Questa mattina papa Francesco ha incontrato i fedeli della Chiesa siro-malabarese, giunti a Roma insieme all’arcivescovo maggiore Raphael Tattil, la cui elezione a capo della Chiesa sui iuris e successore del card. Alencherry era arrivata lo scorso gennaio, dopo alcuni anni di divisione interna e l’intervento del papa attraverso un videomessaggio del 7 dicembre 2023, ricordato all’inizio del suo intervento:

“I fedeli della vostra amata Chiesa sono conosciuti, non solo in India ma nel mondo intero, per il vigore della fede e della devozione. La vostra è una fedeltà antica, radicata nella testimonianza, fino al martirio, di San Tommaso, Apostolo dell’India: siete custodi ed eredi della predicazione apostolica. Avete avuto tante sfide nel corso della vostra storia, lunga e travagliata, la quale in passato ha pure visto dei fratelli nella fede commettere contro di voi azioni sciagurate, insensibili alle peculiarità della vostra fiorente Chiesa.

Eppure siete rimasti fedeli al Successore di Pietro. Ed io sono felice oggi di accogliervi e di confermarvi nella gloriosa eredità che avete ricevuto e che portate avanti. Voi siete obbedienti, e dove c’è obbedienza c’è Ecclesia; dove c’è disobbedienza c’è lo scisma. E voi siete obbedienti, questa è una gloria vostra: l’obbedienza. Anche con la sofferenza, ma andare avanti”.

Ha ricordato che quella della Chiesa siro-malabrese è una storia ‘particolare’, perché è patrimonio del ‘Popolo santo di Dio’: “Ne approfitto per ricordare che le tradizioni orientali sono tesori imprescindibili nella Chiesa. Specialmente in un tempo come il nostro, che taglia le radici e misura tutto, purtroppo anche l’atteggiamento religioso, sull’utile e sull’immediato, l’Oriente cristiano permette di attingere a fonti antiche e sempre nuove di spiritualità.

Queste fresche sorgenti apportano vitalità alla Chiesa ed è perciò bello per me, in quanto Vescovo di Roma, incoraggiare voi, fedeli cattolici siro-malabaresi, ovunque vi troviate, a ben coltivare il senso di appartenenza alla vostra Chiesa sui iuris, affinché il suo grande patrimonio liturgico, teologico, spirituale e culturale possa ancor più risplendere”.

E’ un invito a ‘lavorare’ contro le divisioni in un confronto aperto, supportati dalla preghiera: “Beatitudine, lavoriamo con determinazione per custodire la comunione e preghiamo senza stancarci perché i nostri fratelli, tentati dalla mondanità che porta a irrigidirsi e a dividere, possano rendersi conto di essere parte di una famiglia più grande, che vuole loro bene e li aspetta… Ci si confronti e si discuta senza paura, ma soprattutto si preghi, perché, alla luce dello Spirito, che armonizza le diversità e riconduce le tensioni in unità, si risolvano i conflitti”.

Però il confronto deve essere animato dalla comunione: “Con una certezza: che l’orgoglio, le recriminazioni, le invidie non vengono dal Signore e non portano mai alla concordia e alla pace. Mancare di rispetto gravemente al Santissimo Sacramento, Sacramento della carità e dell’unità, discutendo di dettagli celebrativi di quella Eucaristia che è il punto più alto della sua presenza adorata tra noi, è incompatibile con la fede cristiana.

Il criterio guida, quello veramente spirituale, quello che deriva dallo Spirito Santo, è la comunione: significa verificarsi sull’adesione all’unità, sulla custodia fedele e umile, rispettosa e obbediente dei doni ricevuti”.

Inoltre papa Francesco li ha incoraggiati a non scoraggiarsi nella difficoltà: “E vorrei dire a tutti: nei momenti di difficoltà e di crisi non ci si lasci prendere dallo scoraggiamento o da un senso di impotenza di fronte ai problemi. Fratelli e sorelle, non si spenga la speranza, non ci si stanchi di aver pazienza, non ci si chiuda in pregiudizi che portano ad alimentare animosità. Pensiamo ai grandi orizzonti della missione che il Signore ci affida, la missione di essere segno della sua presenza di amore nel mondo, non scandalo per chi non crede!

Pensiamo, nel prendere ogni decisione, ai poveri e ai lontani, alle periferie, a quelle in India e nella diaspora, a quelle esistenziali. Pensiamo a chi soffre e attende segnali di speranza e di consolazione. So che la vita di tanti cristiani in molti luoghi è difficile, ma la differenza cristiana consiste nel rispondere al male col bene, nel lavorare senza stancarsi con tutti i credenti per il bene di tutti gli uomini”.

E’ stato un invito a non distogliere lo sguardo da Cristo, come ha fatto l’apostolo Tommaso: “Insieme guardiamo a Gesù: a Lui crocifisso e risorto, a Lui che ci ama e fa di noi una cosa sola, a Lui che ci vuole riuniti come una sola famiglia attorno a un unico altare. Come l’apostolo Tommaso, guardiamo alle sue piaghe: sono visibili ancora oggi nel corpo di tanti affamati, assetati e scartati, nelle carceri, negli ospedali e lungo le strade; toccando questi fratelli con tenerezza, accogliamo il Dio vivente in mezzo a noi. Come San Tommaso, guardiamo le piaghe di Gesù e vediamo come da quelle ferite, che avevano tramortito i discepoli e potevano gettarli in un irreparabile senso di colpa, il Signore ha fatto scorrere canali di perdono e di misericordia”.

Il papa ha concluso l’incontro con l’invito all’unità all’interno della Chiesa: “E voi, cari fedeli della comunità siro-malabarese di Roma, discendenti dell’apostolo Tommaso nella città di Pietro e Paolo, avete un ruolo speciale: da questa Chiesa, che presiede alla comunione universale della carità, siete chiamati a pregare e a cooperare in modo speciale per l’unità all’interno della vostra Chiesa, non solo nel Kerala ma in tutta l’India e in tutto il mondo. Il Kerala, che è una miniera di vocazioni! Preghiamo perché continui a esserlo”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco agli Anglicani: costruiamo la via per l’unità

‘Pace a Voi’, con queste parole stamane papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti all’Assemblea dei Primati della Comunione Anglicana, che hanno avuto un colloquio franco sui problemi del mondo: “Vi saluto con gioia, con le parole del Risorto: esse sono foriere di quella speranza che scaturisce dalla Risurrezione e che non delude. Così fu per i discepoli, mentre stavano chiusi e intimoriti nel Cenacolo: nel pieno dello smarrimento Gesù guarì la loro paure, mostrando le piaghe e il fianco ed effondendo su di loro il suo Spirito”.

E’ un saluto necessario per infondere vigore a chi è impaurito di fronte a situazioni mondiali complesse: “Anche oggi, quando i capi del popolo di Dio si riuniscono, potrebbero sentirsi impauriti come i discepoli: potrebbero lasciarsi tentare dallo sconforto, manifestando gli uni agli altri le delusioni e le aspettative non soddisfatte, facendosi dominare dalle preoccupazioni, senza riuscire a impedire che le rispettive divergenze si inaspriscano. Ma pure oggi, se volgiamo lo sguardo a Cristo anziché a noi stessi, ci accorgeremo che il Risorto sta in mezzo a noi e desidera donarci la sua pace e il suo Spirito”.

Ricordando le occasioni di incontro il papa ha esortato ad essere ‘costruttori’ di unità’: “Il Signore chiama ciascuno di noi ad essere costruttore di unità e, anche se non siamo ancora una cosa sola, la nostra comunione imperfetta non deve impedirci di camminare insieme… Sono grato in questo senso per il lavoro svolto negli ultimi cinquant’anni dalla Commissione internazionale anglicano-cattolica, che si è impegnata con dedizione nel superamento di diversi ostacoli che si frappongono sul cammino dell’unità”.

Il papa ha sottolineato che la conciliazione è possibile con l’aiuto dello Spirito Santo, come si evince dalla lettura degli Atti degli Apostoli: “Ma in tutto il racconto emerge come il vero protagonista sia lo Spirito Santo: gli Apostoli giungono a conciliazioni e soluzioni lasciando il primato a Lui. Talora dimentichiamo che le discussioni hanno animato anche la prima comunità cristiana, quella di coloro che avevano conosciuto il Signore e lo avevano incontrato Risorto; non dobbiamo avere paura delle discussioni, ma viverle lasciando il primato al Paraclito.

A me piace tanto quella formula degli Atti degli Apostoli: ‘E’ parso allo Spirito Santo e a noi’… Di certo, la prospettiva divina non sarà mai quella della divisione, mai, quella della separazione, dell’interruzione del dialogo, mai. La via di Dio ci porta invece a stringerci sempre più vitalmente al Signore Gesù, perché solo in comunione con Lui ritroveremo la piena comunione tra noi”.

E’ stato un invito a far conoscere al mondo Gesù, specialmente in quelle zone dove c’è violenza: “Il mondo lacerato di oggi ha bisogno della manifestazione del Signore Gesù! Ha bisogno di conoscere Cristo! Alcuni di voi provengono da regioni in cui la guerra, la violenza e l’ingiustizia sono l’avariato pane quotidiano dei fedeli, ma anche nei Paesi ritenuti benestanti e pacifici non mancano sofferenze, come la povertà di tanti. Cosa possiamo proporre noi di fronte a tutto questo, se non Gesù, il Salvatore? Farlo conoscere è la nostra missione. Sulla scia di quanto disse Pietro allo storpio presso la porta del tempio, ciò che dobbiamo offrire al nostro tempo fragile e bisognoso non sono argento e oro, ma Cristo e il sorprendente annuncio del suo Regno”.

Ricordando le controverse questioni sul ruolo del vescovo di Roma, il papa ha rilanciato la validità del cammino sinodale: “Come sapete, la Chiesa cattolica è impegnata in un percorso sinodale. Mi rallegro che tanti delegati fraterni, tra cui un vescovo della Comunione anglicana, abbiano preso parte alla prima sessione dell’Assemblea generale tenutasi lo scorso anno e attendo con gioia un’ulteriore partecipazione ecumenica nella sessione di quest’autunno… Il più recente lavoro della Commissione internazionale anglicano-cattolica può essere un’utile risorsa in questo senso”.

Ha concluso l’incontro con il richiamo alla dichiarazione comune del 2016: “Sarebbe uno scandalo se, a causa delle divisioni, non realizzassimo la nostra comune vocazione di far conoscere Cristo. Invece, se al di là delle rispettive visioni saremo in grado di testimoniare Cristo con umiltà e amore, sarà Lui ad avvicinarci gli uni agli altri… Prima il fratello e dopo il sistema. Fratelli e sorelle, grazie ancora per questa visita, che ci permette di crescere nella comunione”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: l’unità è Cristo

Nel giorno della conversione di san Paolo papa Francesco ha concluso nella basilica di san Paolo fuori le mura la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con la celebrazione dei vespri, descrivendo il passaggio da persecutore ad annunciatore di Cristo, attratto da una domanda provocatoria, come il Samaritano:

Papa Francesco: i santi indicano la strada per l’unità dei cristiani

Ad inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani papa Francesco ha ricevuto in udienza la delegazione ecumenica finlandese, che si prepara nel 2030 a celebrare il millenario della morte di Sant’Olav, in occasione della festa di sant’Enrico, che è patrono della Finlandia. Riprendendo il discorso introduttivo del vescovo Åstrand sui santi nel cammino ecumenico papa Francesco ha evidenziato il significato della Chiesa pellegrina:

Dalle diocesi la preghiera per l’unità dei cristiani

“Ma quel maestro della Legge per giustificare la sua domanda chiese ancora a Gesù: ‘Ma chi è il mio prossimo?’ Gesù rispose: ‘Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gèrico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò di là un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e proseguì. Anche un levita del Tempio passò per quella strada; lo vide, lo scansò e prosegui. Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: Abbi cura di lui e se spenderai di più pagherò io quando ritorno”.

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