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Papa Francesco: una teologia aperta per tutti
“Sono contento di vedervi e di sapere che un numero così grande di docenti, ricercatori e decani, provenienti da ogni parte del mondo, si sono radunati per riflettere su come ereditare il grande patrimonio teologico delle generazioni passate e per immaginarne il futuro. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per questa iniziativa. E grazie di cuore a voi, care teologhe e cari teologi, per il lavoro che fate, spesso nascosto ma tanto necessario. Spero che il Congresso segni il primo passo di un fecondo cammino comune… Avanti, insieme!”
Con queste parole papa Francesco oggi ha salutato i partecipanti al Congresso Internazionale sul futuro della teologia a tema su ‘Eredità e immaginazione’ (promosso dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che si svolge oggi e domani presso la Pontificia Università Lateranense), il quale ha parlato di luce:
“Vorrei anzitutto dirvi che quando penso alla teologia mi viene in mente la luce. Infatti, grazie alla luce le cose emergono dall’oscurità, i volti rivelano i propri contorni, le forme e i colori del mondo finalmente appaiono. La luce è bella perché fa sì che le cose appaiano ma senza mettere in mostra sé stessa. Qualcuno di voi ha visto la luce? Ma vediamo ciò che fa la luce: fa apparire le cose”.
E la luce è grazia con l’invito a cercare la grazia di Cristo: “Adesso, qui, noi ammiriamo questa sala, vediamo i nostri volti, ma non scorgiamo la luce, perché essa è discreta, è gentile, umile e, perciò, rimane invisibile. E’gentile la luce. Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo.
Da questa osservazione deriva per voi una strada: cercare la grazia e restare nella grazia dell’amicizia con Cristo, luce vera venuta in questo mondo. Ogni teologia nasce dall’amicizia con Cristo e dall’amore per i suoi fratelli, le sue sorelle, il suo mondo; questo mondo, drammatico e magnifico insieme, pieno di dolore ma anche di commovente bellezza”.
Una serie di domanda per comprendere il ruolo della teologia nel mondo contemporaneo con un ‘rimando’ al Secondo libro dei Re: “E’ un cammino che siete chiamati a fare insieme, teologhe e teologi. Mi ricordo di quanto racconta il Secondo Libro dei Re. Durante il restauro del Tempio di Gerusalemme, viene ritrovato un testo; forse è la prima edizione del Deuteronomio, andata perduta.
Un sacerdote e alcuni studiosi lo leggono; anche il re lo studia; intuiscono qualcosa, ma non lo capiscono. Allora il re decide di consegnarlo a una donna, Culda, che immediatamente lo comprende e aiuta il gruppo di studiosi (tutti uomini) a intenderlo. Ci sono cose che solo le donne intuiscono e la teologia ha bisogno del loro contributo. Una teologia di soli uomini è una teologia a metà. Su questo c’è ancora parecchia strada da fare”.
Ecco il compito della teologia è fornire un nuovo modo di pensare: “La prima cosa da fare, per ripensare il pensiero, è guarire dalla semplificazione. Infatti, la realtà è complessa, le sfide sono variegate, la storia è abitata dalla bellezza e allo stesso tempo ferita dal male, e quando non si riesce o non si vuole reggere il dramma di questa complessità, allora si tende facilmente a semplificare. Ma la semplificazione vuole mutilare la realtà, partorisce pensieri sterili, pensieri univoci, genera polarizzazioni e frammentazioni. E così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide: uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Le ideologie appiattiscono tutto a una sola idea, che poi ripetono in modo ossessivo e strumentale, superficiale, come i pappagalli”.
Il desiderio del papa è quello di una teologia del fermento: “Si tratta di far ‘fermentare’ insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche. Far fermentare i saperi, perché essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro, secondo quanto dice anche l’apostolo Paolo: Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?”
Ed ha ricordato due ‘grandi’ teologi: “Quest’anno celebriamo il 750° anniversario della morte di due grandi teologi: Tommaso d’Aquino e Bonaventura. Tommaso ricorda che non abbiamo un senso solo, ma sensi molteplici e differenti, affinché non ci sfugga la realtà (De Anima, lib. 2, lect. 25). E Bonaventura afferma che nella misura in cui si ‘crede, spera e ama Gesù Cristo’ si ‘riacquista l’udito e la vista […], l’odorato, […] il gusto e il tatto’ (Itinerarium mentis in Deum, IV, 3). Contribuendo a ripensare il pensiero, la teologia ritornerà a brillare come merita, nella Chiesa e nelle culture, aiutando tutti e ciascuno nella ricerca della verità”.
Infine l’invito a rendere una teologia ‘accessibile’ a tutti: “Da qualche anno, in molte parti del mondo si segnala l’interesse degli adulti per la ripresa della propria formazione, anche accademica. Uomini e donne, soprattutto di mezza età, magari già laureati, desiderano approfondire la fede, vogliono fare un cammino, spesso si iscrivono a una facoltà universitaria…
! Per favore, se qualcuna di queste persone bussa alla porta della teologia, delle scuole di teologia, la trovi aperta. Fate in modo che queste donne e questi uomini trovino nella teologia una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora. Preparatevi a questo. Immaginate cose nuove nei programmi di studio perché la teologia sia accessibile a tutti”.
(Foto: Santa Sede)
Padre Nardelli: ripartire dalla Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’
“Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo”.
Questo è l’inizio della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, ‘Lumen Gentium’, emanata il 21 novembre 1964, che costituisce la ‘chiave di volta’ di tutto il magistero conciliare, come affermò papa san Giovanni Paolo II prima della recita dell’Angelus di domenica 22 ottobre 1995: “Grande merito della ‘Lumen Gentium’ è di averci ricordato con forza che, se si vuol cogliere adeguatamente l’identità della Chiesa, pur senza trascurare gli aspetti istituzionali, occorre partire dal suo mistero. La Chiesa è mistero, perché innestata in Cristo e radicata nella vita trinitaria. Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, è la ‘luce’ che risplende sul volto della Chiesa”.
A 60 anni dalla pubblicazione con p. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia all’Istituto Teologico di Assisi ed alla Pontificia Università Antonianum di Roma, nonché assistente alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense di Roma, abbiamo cercato di sottolineare i punti di forza di questa Costituzione dogmatica e soprattutto il motivo, per cui papa Francesco ha chiesto un approfondimento sulla ‘Lumen gentium’ in vista del Giubileo:
“In preparazione all’anno giubilare, papa Francesco ha chiesto di dedicare una particolare attenzione alle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II, quale occasione per crescere nella fede. In realtà, come è noto, tale evento è stato realmente un faro per il pensare e l’agire ecclesiale, e quindi non è inopportuno riprendere in mano quegli insegnamenti per applicarli in un contesto che, dopo circa 60 anni, è chiaramente mutato. La Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ è stata definita la ‘magna charta’ conciliare e la sua ricchezza teologica è ancora una guida attuale nel contesto ecclesiale sinodale che la Chiesa attraversa, in quanto ‘Popolo di Dio’ in cammino verso il Regno”.
In cosa consiste la ‘luce della Chiesa’?
“Nella Costituzione forte è il riferimento cristologico, in quanto il Cristo è definito la ‘luce delle genti’ che risplende sul volto della Chiesa. In realtà è noto che, secondo l’interpretazione di alcuni, il Concilio Vaticano II intendeva correlare il discorso sulla Chiesa a quello sul Figlio, ma nello stesso tempo non poteva parlare di Cristo senza parlare del Padre, mettendosi in ascolto dello Spirito. Per questa ragione l’ecclesiologia cristologica del Concilio si è necessariamente allargata alla dimensione trinitaria ( LG 2-4). Si può pertanto dire che ogni discorso sulla Chiesa è necessariamente ‘subordinato’ al discorso su Dio e quindi non deve stupire che anche i testi del Concilio, e in particolare la Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’, propongano una ecclesiologia propriamente teologica”.
Dalla Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ al recente Sinodo dei vescovi: perché la vocazione della Chiesa è profezia?
“La Costituzione ‘Lumen gentium afferma che ‘il Popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo, quando gli rende una viva testimonianza, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità’ (LG 12). La missione profetica di Cristo è estesa, quindi, a tutti i battezzati secondo le indicazioni della Scrittura (Gl 3,1-5; At 2,17-18). Pertanto la funzione profetica non è più riservata solo ad alcuni, come ‘ufficio di pochi’, ma è un attributo di tutta la comunità dei credenti che, in forza del Battesimo, diventa ‘popolo di profeti’ che annuncia e testimonia il Vangelo”.
Quanto è importante la Chiesa domestica nel tramandare la fede?
“La Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ utilizza l’espressione ‘Chiesa domestica’ per esplicitare il modo di esercizio del sacerdozio comune di ogni battezzato e, in particolare, dei coniugi cristiani (cfr. LG 11). L’immagine individua e sottolinea in modo specifico il compito essenziale della famiglia nella Chiesa che è, sempre, quello di ‘custodire’ e ‘trasmettere’ la fede. In questo modo, nell’attuale contesto ecclesiale, infatti, viene ribadita la chiamata per ogni battezzato ad annunciare il Vangelo. La dimensione relazionale, e quindi familiare, chiaramente messa in luce dal Documento finale del Sinodo, è già presente nella Costituzione ecclesiologica e rimanda alla realtà della primitiva comunità cristiana descritta nel libro degli Atti (cfr. At 2,42-47)”.
Per quale motivo la Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ sottolinea il carattere missionario della Chiesa?
“L’ecclesiologia della Costituzione dogmatica può essere definita missionaria nelle sue più intime fibre, in quanto le principali categorie che il testo considera in chiave missionaria sono quelle di Popolo di Dio (sacerdotale, profetico e regale), sacramento, popolo messianico e, certamente, di ‘popolo missionario’ (cfr. LG 17). La Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’, quindi, ha presentato l’indole essenzialmente missionaria della Chiesa a partire, proprio, dal fondamento teologico della sua natura, di cui indica la finalità specifica. Se volessimo sintetizzare la visione missionaria della Costituzione dogmatica, si potrebbe affermare che il documento intende enunciare il fondamento trinitario della missione, la sua manifestazione nelle ‘realtà locali’ attraverso la prassi dell’inculturazione, la destinazione universale del suo messaggio di salvezza e la corresponsabilità di tutto il Popolo di Dio all’azione di evangelizzazione”.
Dopo 60 anni quale è l’attualità di questa Costituzione dogmatica?
“Il testo risulta particolarmente attuale perché richiama alla dimensione comunionale e missionaria che il recente Sinodo ha messo in evidenza, domandandosi ‘come essere Chiesa sinodale-missionaria’. Il valore della Costituzione ecclesiologica è perennemente vivo, in quanto il documento nasceva in un contesto in cui la Chiesa aveva bisogno di riflettere sulla sua identità e, oggi, dopo 60 anni riafferma tale identità missionaria in quanto ‘Popolo di Dio’ in cammino verso il Regno. Riscoprire i contenuti dottrinali e pastorali di questo documento conciliare è particolarmente urgente nell’epoca attuale”.
(Tratto da Aci Stampa)
Le diocesi chiedono la protezione della Madonna per le città
E’ stato il card. Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo, a presiedere il Pontificale, domenica scorsa, per la festa del Patrocinio di Santa Lucia, patrona di Siracusa nel ricordo del miracolo del 1646 quando a Siracusa imperversava una carestia ed i siracusani chiesero aiuto alla patrona: dal mare arrivarono navi cariche di grano ed una colomba avvertì i fedeli riuniti in preghiera in Cattedrale.
La Festa è inserita nell’Anno Luciano, indetto dall’arcivescovo di Siracusa, mons. Francesco Lomanto, il 13 dicembre scorso e che si concluderà il 20 dicembre prossimo quando sarà a Siracusa il corpo della martire siracusana che si trova custodito a Venezia, sul tema ‘In luce ambulamus’, che trae origine dal titolo della lettera pastorale dell’arcivescovo Lomanto: “A Santa Lucia chiediamo di continuare a proteggere la nostra Città e la nostra Chiesa siracusana che si gloria di averle dato i natali”.
In tale discorso il vescovo ha chiesto alla santa patrona di sostenere i fedeli nella fede: “Santa Lucia, nella sua vita e nel suo martirio, ha testimoniato il suo amore a Gesù, la sua carità ai fratelli e la sua speranza nella vita eterna, scegliendo la via della semplicità, dell’umiltà e dell’aiuto agli altri, soprattutto verso i più bisognosi”.
Il discorso del vescovo siracusano è un invito all’impegno affinché la speranza non si spenga: “Noi che guardiamo con ammirazione e devozione a santa Lucia, vogliamo impegnarci come lei a piantare il seme della speranza nella nostra società, che rischia di smarrirsi nei freddi calcoli degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. Una società, che vuole essere umana, deve mettere al centro la persona e non le statistiche, la carità e non i like, l’incontro con gli altri e non le visualizzazioni sterili, che il più delle volte sono segno di solitudini infinite”.
E’ un invito a costruire in comunione il bene comune: “La politica sia sempre al servizio del bene comune, mirando ad un’economia solidale e attenta verso chi è nel bisogno, perché se il più debole è tutelato nelle giuste attenzioni, ne guadagna tutta la società. La sanità ponga al centro la dignità della persona umana e garantisca il diritto alla salute uguale per tutti con strutture idonee, come l’auspicata costruzione del nuovo ospedale civico di Siracusa. E’ urgente pensare insieme, progettare insieme, disegnare sentieri di pace, operare per il bene di tutti, impegnandoci per la promozione sociale con l’intelligenza del cuore e non delegando a nessuna intelligenza artificiale”.
E’ un invito a porre attenzione ai poveri, come santa Lucia: “Insieme a santa Lucia adoperiamoci per la costruzione di un mondo migliore, seminando il seme della risurrezione di Gesù negli ambienti in cui viviamo, amiamo e speriamo, per portare amore dove non c’è amore, affinché tutto si trasformi in amore. Guardiamo a Santa Lucia, nostra sorella e Patrona, e guardiamo con santa Lucia in avanti, in alto e in profondità nel mistero di Dio per scorgere l’infinita dignità dell’uomo. Insieme a santa Lucia testimoniamo Gesù unico fondamento della nostra speranza, salvezza della nostra vita, fiducia delle nostre famiglie, benedizione della nostra società”.
Mentre il vescovo di Imola, mons. Giovanni Mosciatti, nel messaggio per l’inizio delle Rogazioni della Beata Vergine del Piratello, per chiedere aiuto alla Madonna: “Carissimi, anche questo anno le solenni rogazioni in onore della Beata Vergine del Piratello accadono in un momento importante della nostra vita. Nel latino rogare vuol dire pregare, chiedere aiuto, protezione, liberazione dal male. Ne abbiamo proprio bisogno in questo tempo così drammatico”.
Ed ha richiamato ai valori di papa Pio VII, sottolineati recentemente da papa Francesco: “Il santo padre ci ha indicato i tre valori cardine di cui papa Chiaramonti è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia. Mi ha molto colpito il suo richiamo perché ha descritto tre doni importanti da chiedere per tutti noi, tre punti importanti per il nostro cammino comune”.
Tre sono le pratiche che papa Pio VII ha ritenuto fondamentali: “La comunione. Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci, con ferite sanguinanti sia morali che fisiche. La sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità ci aiuta a guardare al nostro tempo, ad essere costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!
La testimonianza. Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita. Abbiamo bisogno oggi di questa testimonianza reciproca: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace. Testimoni tra noi e nelle nostre comunità di mansuetudine e disponibilità al sacrificio.
La misericordia. Pio VII fu un grande uomo di carità, fino a concedere ospitalità proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia”.
E’ un invito a partecipare alla ‘sinfonia’ di preghiera: “Vogliamo chiedere alla Vergine Maria, nostra patrona, di poter essere testimoni di questa comunione e di questo amore e così accompagnare la nostra Chiesa anche nel cammino di preparazione all’evento di grazia del Giubileo 2025”.
(Foto: Diocesi di Siracusa)
La Fiaccola della Pace e del Perdono accesa a Enna, città gemellata 2024
“In questo tempo in cui sembriamo abituarci alle guerre, smarrendo la speranza nel buio della violenza, la luce della Fiaccola di Santa Rita ci desta per ricordarci che oggi la pace ha tanti nomi, quelli di chi non accetta di vivere nell’odio, e nel quotidiano fa sì che essa sia la norma e non l’eccezione. Che da Enna questo fuoco sacro raggiunga nella preghiera ogni popolo in conflitto, a partire da Ucraina e Terra Santa, per smuovere le coscienze di chi può porre subito fine alle ostilità e per riscaldare i cuori di quanti ne sono vittime”.
Così suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia commenta dall’Umbria l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono, simbolo dei festeggiamenti di maggio della patrona dei casi impossibili, avvenuta questa sera a Enna, nel Duomo Maria Santissima della Visitazione, gremito di fedeli. La città siciliana è stata scelta per il Gemellaggio di Fede e Pace, che ogni anno Cascia stringe con una località, per amplificare il messaggio e i valori della santa, attuali, universali e preziosi.
La Fiaccola, che la notte del 21 maggio tornerà a Cascia per dare vita alla Festa di Santa Rita, ha suggellato l’unione con Enna, dove la delegazione casciana è in visita. Ieri è rientrata dopo la Messa, celebrata da don Davide Travagli, parroco di Cascia, in rappresentanza dell’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, nella Chiesa di Sant’Anna. Inoltre è stata consegnata la Reliquia ex ossibus di Santa Rita, portata, a nome del Monastero, dall’oblata Alessandra Paoloni, anche segretaria generale della Pia Unione Primaria Santa Rita, realtà molto attiva a Enna nel rendere concreti i valori ritiani.
“La Fiaccola ci dice che Santa Rita opera per la riconciliazione in tante comunità, che accolgono ogni anno la sua luce e nel cuore il suo esempio, per essere con lei e con Dio impronte di pace”: lo ha evidenziato il Rettore della Basilica di Santa Rita da Cascia, p. Mario De Santis, ad Enna per la famiglia agostiniana.
Insieme anche Padre Giustino Casciano, Priore Provinciale degli Agostiniani d’Italia, che ha sottolineato: “In questo mondo lacerato dalle guerre, Santa Rita è un punto di riferimento, perché la sua capacità di perdono e di pace è una grande luce per tutta la società. Ringraziamo i rappresentanti religiosi e le autorità civili di Enna che hanno accolto Rita come messaggera di pace, dialogo e perdono”.
“Attraverso il gemellaggio con Enna – ha detto il sindaco di Cascia Mario De Carolis, in Sicilia con l’amministrazione, il Comitato Cascia per Santa Rita e alcuni cittadini – viene rinnovato un messaggio molto importante e purtroppo attuale, che porta in sé l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono. Un messaggio che dal 1958 si ripete in tante parti del mondo, fino ad arrivare a Enna, dove c’è forte devozione verso Santa Rita, anche grazie al legame con la Pia Unione”.
A presiedere la celebrazione dell’accensione della Fiaccola, mons. Antonino Rivoli, vicario generale della diocesi di Piazza Armerina: “Nella Parola del Signore, che stasera abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni, il popolo è diviso nel giudizio su Gesù. Oggi, che le fratture sono mondiali, Cristo ci chiama a scegliere da che parte stare. E, questa sera, insieme, abbiamo levato sulla Terra e al Cielo la nostra risposta: siamo col Signore per la pace, guidati da Santa Rita da Cascia. Una scelta da confermare e onorare ogni giorno”.
Ad accendere la Fiaccola, il sindaco di Enna, Maurizio Dipietro, che ha dichiarato: “La scelta del gemellaggio con il nostro Comune si basa sulla fortissima devozione della città di Enna a Santa Rita. Facciamo voti affinché la luce e il calore della Fiaccola della Pace e del Perdono, che celebra questo legame ed è simbolo della vittoria sulle tenebre che Santa Rita è capace di portare in ogni cuore, raggiungano anche l’Ucraina e la Palestina e siano foriere di dialogo, speranza e pace per queste terre martoriate dalla guerra e per tutto il mondo”.
Quarta Domenica di Quaresima: il volto di Dio è mistero di amore infinito
Il più bel romanzo di amore lo ha scritto Dio; non è un romanzo inventato, frutto di fantasia ma è la sua stessa vita divina. I capitoli di questo romanzo li trovi scritti nella Bibbia: Parola di Dio; li puoi scoprire tu stesso, se sai leggere nell’intimo del cuore. L’opera divina è solo storia di amore infinito; solo l’uomo, abusando della sua libertà, è capace di opporsi a questo amore con la logica terribile di rimanervi privo. Questa è la domenica ‘lastre’, della gioia. La liturgia inizia: ‘Rallegrati, Gerusalemme!’
Motivo della gioia è l’amore di Dio verso l’uomo. La liturgia ci invita alla gioia perché Dio, nella persona di Cristo Gesù, è venuto non per condannare il mondo ma per salvarlo. Possiamo realizzare la vera gioia se, come dice Gesù a Nicodemo, rinasciamo ad una vita nuova, quella portata nel mondo da Gesù: ‘in Lui era la vita’. Rinasciamo allora in Cristo: Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel Figlio.
Il segno evidente ce lo indica il Vangelo: Come Mosè innalzò nel deserto il serpente, su comando del Signore, e chi, morso dal serpente, lo guardava, guariva, così chiunque, morso dal peccato, guarda Cristo in croce, sarà guarito e avrà la vita eterna; chi scegli il Figlio avrà la vita, chi si allontana dal Figlio non vivrà in eterno.. Cristo Gesù muore in croce per amore dell’uomo, per salvare l’uomo. L’amore di Dio è potenza di vita nuova; è luce che rischiara le tenebre.
Questo amore gratuito di Dio raggiunge l’apice con la passione, morte e risurrezione di Gesù; esso si contrappone all’agire dell’uomo, che preferisce la morte alla vita, le tenebre alla luce, il peccato alla grazia. Il nostro cammino quaresimale ci spinge ogni giorno e scoprire l’amore grande e misericordioso di Dio. Purtroppo, evidenzia il vangelo: ‘La luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce’.
Questa domenica è detta ‘lastre’, domenica della gioia perché evidenzia l’amore concreto di Dio; esso è una forza vitale, un fuoco sempre acceso che genera, dà origine da tutta l’eternità al mistero della SS. Trinità. Dio infatti è una realtà dinamica che pensa ed ama dando origine così, da quando Dio è Dio, alle tre divine Persone; Il grande Dante poeticamente canta: ‘Fecimi la Divina Potestate, la Somma Sapienza e il Primo Amore’.
La storia della salvezza contiene tra capitoli principali: a) la creazione dell’uomo a immagine di Dio; b) la redenzione operata da Cristo Gesù, Figlio di Dio; c) la storia della Chiesa, guidata dallo Spirito santo: una storia che dura da quando l’uomo è uomo. A) La creazione: Dio amando crea e creando ama. L’uomo poi è la sintesi mirabile di tutta l’opera creativa perché in lui converge la materia e lo spirito; un corpo dove tutto è perfezione ed armonia e un’anima spirituale che pensa ed ama. L’uomo è all’apice dell’opera creativa di Dio.
B) La redenzione: l’uomo con il peccato si allontana da Dio, ma Dio non abbandona l’uomo; l’uomo rompe il dialogo con Dio, ma Dio riapre questo dialogo con il quale l’uomo ha sperimentato l’amarezza per i suoi limiti, il suo orgoglio e il suo egoismo. L’amore di Gesù per l’uomo è forte, virile, tenero e costante. Amore misericordioso che arriva alla prova suprema: dare la vita per salvare questo uomo. Ed il Verbo si fece carne e si offre al Padre come sacerdote e vittima. Chi vince in fine è sempre l’amore di Dio anche se l’uomo talvolta rimpiange le cipolle di Egitto.
C) La terza tappa dell’amore di Dio è la presenza dello Spirito Santo a guida della Chiesa. Gesù aveva assicurato alla sua Chiesa: ‘Non vi lascerò orfani’ e mantiene la promessa nella pentecoste. La quaresima deve dunque segnare per il credente questo processo di ripresa spirituale e di risposta concreta all’amore di Dio. La croce non può e non deve far paura, né deve portare ad uno sterile lamento ma ad una vera ed autentica presa di coscienza.
La croce, che era apparsa la vittoria dell’uomo su Dio, diventa la vittoria di Dio sul peccato, su l’uomo peccatore. Dio continua a bussare alla mia porta, alla tua porta perché Gesù ha pagato per me, per te e ci vuole bene. Dove non arriva la tua immaginazione, arriva il suo amore misericordioso. La Pasqua di questo anno 2024 sia veramente Pasqua di risurrezione e di vita.
La diocesi di Padova riparte da Cana
Domenica 25 febbraio il vescovo della diocesi di Padova, mons. Claudio Cipolla, ha presieduto la celebrazione eucaristica conclusiva del Sinodo diocesano, in cui ha consegnato la lettera pastorale, in cui sono stati messi in evidenza i tre segni liturgici sottolineati e utilizzati durante gli anni del Sinodo: il libro dei Vangeli, la colletta per le necessità della Chiesa e dei poveri e la comunione agli infermi.
‘Ripartiamo da Cana’ è il titolo della Lettera post sinodale, che traccia le piste operative per il cammino della Chiesa di Padova, definito ‘un nuovo viaggio entusiasmante’, a cui si aggiungono 6 allegati: lo Strumento di lavoro 2, frutto dei Gruppi di discernimento sinodale in cui venivano rappresentati i cinque stili generativi e le 28 proposte frutto delle fasi di ascolto e discernimento;
le tre proposte ‘leve di cambiamento’ votate dall’Assemblea sinodale (relative a: ministeri battesimali, piccoli gruppi della Parola, collaborazioni tra parrocchie); altri tre testi di indirizzo che riprendono delle sperimentazioni già avviate negli scorsi anni (Famiglie in collaborazione pastorale, Percorso Simbolo, Fraternità presbiterale), che ora trovano una loro espressione identificativa di un indirizzo preciso della Chiesa padovana; una bozza di lavoro che propone un’ipotesi di riorganizzazione della Diocesi nella prospettiva delle Collaborazioni pastorali.
Il Sinodo, ha sottolineato nella lettera post-sinodale mons. Cipolla o Claudio è il contributo della Chiesa locale a questa particolare stagione storica che si sta vivendo, come Chiesa e come società: “Ci aiuta a coltivare insieme un sogno e una speranza, ci rinforza nello sforzo di dare spazio alla diversità e di trovare unità in ciò che è prioritario, ci apre al confronto libero e schietto in ascolto non di noi stessi ma del Signore, ci indica la strada del servizio agli altri”.
Nel testo mons. Cipolla ha riconosciuto nelle tre proposte votate dall’assemblea sinodale altrettante ‘leve di cambiamento’ per rinnovare la Chiesa, sottolineando ulteriori aspetti, che hanno contraddistinto i 9 anni del suo episcopato, di cui il primo è il ‘valore di ogni singola comunità parrocchiale’, nell’originalità, ma anche nella presenza capillare della Chiesa nel territorio: “lì dove ci sono le persone lì è presente Gesù, attraverso le comunità di battezzati che umilmente lo testimoniano”.
In merito alla seconda proposta votata dall’Assemblea sinodale (i piccoli ‘Gruppi della Parola’) il vescovo ha sollecitato la sperimentazione di ‘autentici laboratori di relazioni fraterne illuminate dal Vangelo’, dove in particolare possono essere una grande risorsa ‘i facilitatori e i moderatori del Sinodo: persone già formate nell’accompagnare con delicatezza i gruppi’.
Infine, rispetto alla terza proposta di una riorganizzazione della collaborazione tra parrocchie vicine, mons. Cipolla ha introdotto una nuova espressione: le ‘Collaborazioni pastorali’, che evidenziano l’unicità di ogni parrocchia e promuovono il “valore della comunione e collaborazione tra parrocchie vicine. Tutte con gradualità, entreranno in una forma di sinergia organica; nessuna parrocchia si penserà da sola, staccata dalle altre come se potesse bastare a se stessa”.
Nell’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva del cammino sinodale mons. Cipolla ha indicato le prospettive per i prossimi anni: “Siamo oggi arrivati ad un momento che risponde alle attese di tanti cristiani e di tante comunità della nostra Chiesa e che vogliamo mettere nelle mani del Signore. Lo vivo con emozione anche perché sento il peso della responsabilità per le indicazioni che al termine della celebrazione vi consegnerò.
E’ mio desiderio indicare prospettive e orizzonti comunitari, con quell’atteggiamento mariano che rende docili all’opera dello Spirito del Padre e di Gesù. Oggi, in questa chiesa dell’Opera della Provvidenza, che intendo rendere Santuario mariano della Diocesi guardiamo a Colei che per prima ha accolto Gesù, lo ha accompagnato e con la sua presenza silenziosa lo ha annunciato. Maria Vergine madre della Provvidenza, ci aiuti a vivere la missione che lo Spirito, nel battesimo ci ha affidato! Sono certo infatti che questi sono anche gli atteggiamenti interiori che lo Spirito ha messo nei nostri cuori”.
E’ stato un invito a non perdere la speranza della Trasfigurazione: “Dopo essere stati a Cana, alla festa di nozze, dove abbiamo assaporato il vino nuovo e più buono donato da Gesù, in questa seconda domenica di Quaresima siamo invitati a salire con lui, come Pietro, Giacomo e Giovanni, sul Tabor. Il trasfigurarsi di Gesù di fronte ai suoi discepoli è incoraggiamento a proseguire il cammino quaresimale verso la Pasqua”.
Al contempo la Trasfigurazione invita ad ascoltare Dio: “Insegna però anche a guardare l’invisibile, a vedere lo splendore bianchissimo, e ad ascoltare la voce che viene dal cielo. Insegna a guardare avanti, in alto, in profondità. Insegna a credere nel futuro preparato da Gesù e a non lasciarsi spaventare dalla sofferenza che caratterizza la sua croce, come anche le croci degli altri uomini e donne.
Visione ed ascolto riservati per poco tempo soltanto ai tre discepoli, nei quali potremmo riconoscerci: come loro anche noi sappiamo che scesi dal monte, dovremo passare dalla visione alla realtà della Pasqua che affida a discepoli e discepole la missione di annunciare a tutti quello che avevano sperimentato turbati ed attoniti: il Signore è risorto. Anche noi viviamo di speranza, di quella stessa speranza che è stata accesa nel cuore dei tre i discepoli”.
Ed ha ‘acceso’ tre luci: “La prima luce riguarda l’esperienza di comunità. Siamo la Chiesa unica ed universale che vive in questi territori e in questa storia, formata da tante e diverse comunità, ognuna delle quali ha una sua identità, ma soprattutto crede con fermezza che il Signore è il suo custode e da lui ha tutto origine e trova il suo compimento: ogni comunità è unica ed è irripetibile come lo sono le persone che la compongono. Oggi si manifesta il bisogno che le comunità, in particolare quelle che definiamo parrocchia, diventino luoghi di fraternità e di invio in missione: comunità fraterne e missionarie”.
La seconda luce è l’evangelizzazione: “A partire dagli adulti e dai giovani le nostre comunità sono nella necessità di rivedere i propri stili di vita perché siano ispirati al Vangelo e siano Vangelo. L’annuncio del Vangelo e la sua accoglienza nelle famiglie, nei piccoli gruppi, nelle comunità sono richiesti non per costruire élite ma per essere ricchi di quel tesoro di cui tanti nostri amici sentono il bisogno, interpretati molto bene dal salmo che dice “Come una cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te o Dio”.
La terza è il discepolato, cioè l’organizzazione di una diocesi: “…i discepoli costituiscono una comunità concreta, anzi molte comunità che tra loro si riconoscono sorelle e che si trovano nella condizione di aiutarsi e sostenersi reciprocamente, condividendo, quando necessario, anche carismi e doni ministeriali. Poiché siamo molti e viviamo su territori diversi occorre che ci diamo una organizzazione per poterci aiutare reciprocamente.
Parlare di vicariati, di collaborazioni pastorali e di parrocchie, di presbiteri e diaconi, di ministeri istituiti e battesimali, di carismi presenti grazie alla vita consacrata e ai movimenti significa anche andare sul concreto, porre indicatori, stabilire tempi, darsi appuntamenti, indicare sedi di incontro. Occorre però sempre ricordarci che si tratta di strumenti, non di fini”.
Queste tre ‘luci’ sono invito ad ‘uscire’: “Dobbiamo cercare le nuove forme di sofferenza, di discriminazione, di violenza ed essere braccia pronte all’abbraccio, porta aperta all’accoglienza, fratelli e sorelle, compagni di strada. Senza pietismi o assistenzialismi, ma per giustizia e per carità. Nessuno escluso (direbbe papa Francesco) riproponendoci gli atteggiamenti evangelici di Gesù.
Ripartiamo dunque da Cana; scendiamo dal monte e con Gesù, Maestro e Signore, camminiamo senza indugio verso Gerusalemme”.
(Foto: diocesi di Padova)
1^ Domenica Tempo Ordinario: il Battesimo di Gesù al Giordano
Il Battesimo di Gesù è la seconda Epifania, una seconda manifestazione della divinità di Gesù con la quale dà inizio alla sua vita pubblica. Con il Battesimo al Giordano inizia la sua missione salvifica. Non aveva Gesù alcun bisogno di farsi battezzare; in Lui non c’era ombra di peccato, ma il Padre celeste ora interviene per presentare Gesù al mondo e strapparlo dall’anonimato. Si legge nel Vangelo: uscito dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e li Spirito Santo discendere su di Lui in forma di colomba, mentre una voce dal cielo additava Gesù: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato. In Te ho posto il mio compiacimento’.
La terza Domenica di Avvento presenta il precursore di Gesù: Giovanni Battista
L’avvento è tempo di attesa! L’attesa che viviamo è un’attesa gioiosa. Questa domenica è detta: ‘lastre’: comincia con le parole di Paolo: ‘Rallegratevi sempre nel Signore’. Il motivo di questa gioia è semplice: il Signore è vicino. La figura che domina nel Vangelo è Giovanni Battista: un uomo che destò tanto entusiasmo attorno a sé da suscitare interesse in tutta Gerusalemme; un uomo che ha una missione da espletare: preparare la via al Signore.
Papa Francesco: custodire e vigilare
“In Israele e Palestina la situazione è grave… A Gaza c’è tanta sofferenza; mancano i beni di prima necessità. Auspico che tutti coloro che sono coinvolti possano raggiungere al più presto un nuovo accordo per il cessate-il-fuoco e trovare soluzioni diverse rispetto alle armi, provando a percorrere vie coraggiose di pace. Desidero assicurare la mia preghiera per le vittime dell’attentato avvenuto questa mattina nelle Filippine, dove una bomba è esplosa durante la Messa. Sono vicino alle famiglie, al popolo di Mindanao che già tanto ha sofferto”.
La Trasfigurazione del Signore
La Liturgia oggi ci propone l’evento della Trasfigurazione ed invita anche noi a spingere lo sguardo della fede oltre la ferialità del periodo estivo per cogliere il mistero di amore di Cristo Gesù, cuore della storia umana. La Liturgia ci indica la strada maestra da seguire attraverso gli eventi che hanno determinato a nostra redenzione: dall’ascolto della parola dei profeti, che è come una lampada che brilla in un luogo oscuro (2Pt. 1, 9).