Svimez: nel Mezzogiorno buona economia ma natalità in diminuzione

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Nelle settimane scorse è stato presentato il rapporto Svimez, in cui è stato sottolineato una crescita del PIL italiano del +1,1% nel 2023, con una crescita nel Mezzogiorno (+0,9%) di soli tre decimi di punto percentuale in meno rispetto al Centro-Nord (+1,2%), per cui l’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (–9,1%).

Però la novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa. Infatti l’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (–1,2 punti).

Rispetto alle altre economie europee, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani, che tra il secondo trimestre 2021 e il secondo trimestre 2023 hanno subìto una contrazione molto più pronunciata della media UE a 27 (–10,4% contro –5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (–10,7%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi.

Questa dinamica si colloca in una tendenza di medio periodo delle retribuzioni lorde reali per addetto, anch’essa particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno: –12% le retribuzioni reali rispetto al 2008 (–3% nel Centro-Nord).

Rispetto al pre-pandemia la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188.000 nel Mezzogiorno (+3,1%), +219.000a nel Centro-Nord (+1,3%). Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici: quasi 4 lavoratori su 10 (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord.

Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto dell’Italia.

Però, nonostante la crescita dell’occupazione, nello scorso anno la povertà assoluta è aumentata, raggiungendo livelli inediti: nel 2022, sono 2.500.000 le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al Centro-Nord).

Inoltre nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali.

Altro problema riguarda la diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita che hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani: “Se da un lato, le comunità immigrate si concentrano prevalentemente nel Settentrione ‘ringiovanendo’ una popolazione sempre più anziana; dall’altro, il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati.

Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2.500.000 persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808.000 under 35, di cui 263.000 laureati”.

Svimez stima nel 2080 una perdita di oltre 8.000.000 residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13.000.000): “Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni: tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0–14 anni), pari a 1.276.000 unità, contro il –19,5% del Centro-Nord (–955.000)”.

Quindi la popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (–6.600.000), nel Centro-Nord di circa un quarto (–6.300.000 unità): “Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro. Per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite occorre introdurre politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare”.

Per riattivare il ‘circolo virtuoso’ tra natalità, welfare, donne e lavoro lo Svimez propone il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno per contrastare il declino demografico: “Le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa (media UE 72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%).

Le restanti regioni del Centro-Nord si avvicinano alla media europea, ma restano lontane dal benchmark dei Paesi scandinavi e della Germania (78,6). La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo.

Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%)”.

Inoltre il Sud affronta gravi ritardi nell’offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3).

I dati presentati nel rapporto riguardo lo stato di attuazione del Piano Asili nido fanno emergere diverse criticità proprio sotto questo profilo: sono stati assegnati ai Comuni € 3.400.000.000; € 1.700.000.000 al Sud, di cui solo il 36% messe a gara (51% nel Centro-Nord). I divari di offerta di servizi educativi riguardano anche la scuola primaria.

Dai dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica del Ministero dell’Istruzione e del Merito relativi all’anno scolastico 2021-2022, emerge che solo il 21,2% degli allievi della primaria nel Mezzogiorno frequenta una scuola dotata di una mensa; il 53,5% al Centro-Nord.

Solo un allievo su tre (33,8%) frequenta una scuola primaria dotata di palestra nel Mezzogiorno; quasi un allievo su due (45,8%) nel Centro-Nord.

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