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In Messico beatificato Moisés Lira Serafín: essere piccoli per essere grandi santi

“Ieri, a Città del Messico, è stato beatificato Moisés Lira Serafín, sacerdote, fondatore della Congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata, morto nel 1950, dopo una vita spesa ad aiutare le persone a progredire nella fede e nell’amore del Signore. Il suo zelo apostolico stimoli i sacerdoti a donarsi senza riserve per il bene spirituale del popolo santo di Dio. Un applauso al nuovo Beato! Vedo lì le bandiere messicane”:

così al termine della recita dell’Angelus di domenica 15 settembre papa Francesco ha salutato i messicani in piazza san Pietro per la beatificazione di Moisés Lira Serafín, avvenuta sabato 13 settembre a Città del Messico, nella celebrazione eucaristica, presieduta dal card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero della Cause dei Santi.

Moisés Lira Serafín nacque a Zacatlan, nello Stato di Puebla, il 16 settembre 1893. Crebbe in una famiglia cristiana, ma la sua infanzia fu segnata dalla morte della madre, nel 1898. Nel 1914 entrò nella congregazione dei Missionari dello Spirito Santo, fondata da padre Felix de Jesus Rougier, e divenne il primo novizio. Prese i voti nel 1917, fu ordinato sacerdote nel 1922 e nello stesso anno emise i voti perpetui. Il suo motto, ‘E’ necessario essere molto piccoli per essere un grande santo’, ha guidato la sua vita spirituale.  

Per la beatificazione di Moisés Lira Serafín, la Postulazione della Causa ha presentato all’esame del Dicastero la guarigione miracolosa, attribuita alla sua intercessione, di una signora da ‘idrope fetale tardiva generalizzata con versamenti viscerali multipli, non immunologica’. Durante la 22ª settimana della sua terza gravidanza, fu sottoposta ad un controllo medico che segnalò delle anomalie fetali. Vista la gravità della situazione i medici ritenevano che la gestazione non avrebbe raggiunto il sesto mese e, qualora fosse giunta a termine, il bambino alla nascita avrebbe presentato gravi problemi. Per tale motivo le consigliarono di interromperla subito.

Lei, al contrario, decise insieme al marito, di proseguire la gestazione ed ad una visita di controllo effettuata al sesto mese di gravidanza il medico comunicò alla paziente che l’idrope era scomparsa e il feto era in buono stato di salute. Il 6 settembre 2004 nacque da taglio cesareo la bambina, perfettamente sana. La protagonista principale dell’invocazione al Venerabile Servo di Dio fu la stessa sanata, che aveva conosciuto proprio in quei giorni, mentre stava leggendo un libro sulla sua vocazione sacerdotale.

Nell’omelia il prefetto del dicastero delle Cause dei Santi ha sottolineato che il nuovo beato ebbe una vita abbastanza travagliata: “Considerando, però, la sua vita terrena ci rendiamo conto che alla viva percezione di questo spirito di ‘figlio’ il beato Moisés non è arrivato percorrendo una via facile. Da ragazzo prima e da adolescente poi, infatti, egli ha avuto non poche difficoltà: la morte della mamma, che avvenne quando aveva solo cinque anni; i continui spostamenti ai quali era costretto per il lavoro del papà, il quale pure si risposò affidando Moisés al curato. Nonostante tutto, il suo carattere rimase allegro, giocoso e scherzoso”.

Per questa sua gioia il nuovo beato è un modello: “In questo il nostro Beato può essere anche presentato modello per tante persone che hanno avuto un’infanzia e una gioventù affettivamente povere. Le testimonianze hanno detto di lui che era molto gioviale, che amava rendere tutti felici ed era evidente che la sua gioia sgorgava dal di dentro, certo per il suo stabile rapporto con Dio. I suoi confratelli religiosi testimoniarono che la sua gioia era una accostamento di virtù diverse e che il suo scopo era quello di rendere gli altri felici”.

Un’altra sua ‘caratteristica’ era quella della direzione spirituale: “Si tratta del suo speciale carisma per la direzione spirituale, che esercitava non solo nella celebrazione del sacramento della Penitenza, cui dedicava dalle sei alle otto ore al giorno, ma pure nell’accompagnamento di tante persone, che guidava pure nella scelta di vita. La sua infanzia spirituale qui si trasformava in paternità spirituale con cui infondeva nei cuori pace, confidenza in Dio, sicurezza. Non abbatteva, ma sollevava lo spirito, dicevano di lui e questo è un bisogno molto avvertito nella Chiesa di oggi”.

Concludendo la celebrazione eucaristica ha affidato la Chiesa e l’imminente Sinodo alla Vergine di Guadalupe: “Nel materiale preparato per questi lavori fra l’altro si legge che ‘una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di accogliere e accompagnare’ e che perciò ‘appare sommamente opportuno dar vita a un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento riconosciuto ed eventualmente istituito, che renda concretamente sperimentabile un tratto così caratteristico di una Chiesa sinodale’… Si tratta, si sottolinea pure, di un ministero che non può essere ritenuto come riservato ai soli ministri della Chiesa”.

(Foto: Unigre)

La vita come comunione secondo don Luigi Giussani

“La speranza cristiana è un giudizio storico che trae da un avvenimento storico il suo criterio (avvenimento storico immediato nella propria vita, da riconoscere, e mediato nel passato preciso di duemila anni fa) e che nel tempo della storia trova la sua conferma, e nella completezza della fine della storia troverà la sua evidenza senza nube. E’ questo il valore della speranza cristiana, è questa la verità, la misura della verità, nella nostra vita, di ‘Cristo nostra speranza’.

E’ in quella misura che noi possiamo inserirci nella storia come fattori trasformanti, incidenti, determinanti il volto del mondo, il moto degli uomini. E, a differenza di qualunque altro intervento, di qualunque altra incidenza, tanto più potente risulterà questo nostro influsso sulla società e sul mondo, quanto più in noi la prestazione avverrà nella pace, perché non è sulle nostre forze di immaginazione, di pensiero, di dedizione, di sacrificio, di intelligenza e d’azione, che tutte le nostre azioni poggiano o poggeranno, ma è su un Altro, su un forte Amico che, dal profondo della storia di duemila anni fa, irresistibilmente viene, emerge dentro la nostra esistenza”.

Questa riflessione è tratta dal nuovo volume di mons. Luigi Giussani, ‘Una rivoluzione di sé. La vita come comunione (1968-1970)’, nella cui prefazione il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, prof. Davide Prosperi, docente di biochimica all’università Bicocca di Milano, ha scritto: “Ma la forza dirompente della proposta giussaniana si rivela intatta nella situazione presente, di fronte ai suoi limiti e al- le sue urgenze, ai disagi e alle solitudini che la feriscono, con nuove e forse più insidiose forme di individualismo, determinate dall’azione pervasiva delle tecnologie e dalle profonde lacerazioni del tessuto sociale, con la conseguente mancanza di luoghi generativi dell’umano. Solo un cristianesimo fedele alla sua natura può infatti costituire un concreto punto di riscatto e di speranza per una umanità così affaticata, alla ricerca travagliata e oscillante di una via”.

Partendo da queste affermazioni gli chiediamo di raccontarci il carisma di don Luigi Giussani: “Don Giussani è stato un uomo di grande carisma, capace di toccare il cuore di migliaia di giovani. ‘Aveva intuito, non solo con la mente ma con il cuore, che Cristo è il centro unificatore di tutta la realtà, è la risposta a tutti gli interrogativi umani, è la realizzazione di ogni desiderio di felicità, di bene, di amore, di eternità presente nel cuore umano.

Lo stupore e il fascino di questo primo incontro con Cristo non lo hanno più abbandonato’, ha ricordato papa Francesco durante l’udienza concessa a Comunione e Liberazione in piazza san Pietro il 15 ottobre 2022 nel centenario della nascita di don Giussani. Per lui il cristianesimo era un incontro, qualcosa di sperimentabile qui e ora in ogni ambito dell’esistenza.

L’essenza del nostro carisma si esprime ancora oggi nelle dimensioni fondamentali della cultura, della carità e della missione. E la visione integrale del carisma (la scoperta dell’intero carisma) è la meta costante del nostro cammino come movimento: per questo seguiamo con fiducia e stima la strada che costantemente la Chiesa ci indica”.

Per quale motivo aveva a cuore i giovani?

“Don Giussani cominciò la sua attività di ‘educatore al cristianesimo’ nel 1954, entrando come insegnante di religione in un liceo statale, il Berchet di Milano ‘con il cuore tutto gonfio dal pensiero che Cristo è tutto per la vita dell’uomo’, come scrive in ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’. Stupì da subito gli studenti con la sua decisione e al tempo stesso grande umanità, e con la sua proposta rivolta innanzitutto alla ragione e alla libertà di ciascuno.

Li sfidava all’incontro con la bellezza, attraverso la musica, la poesia, la natura, e a non censurare le esigenze fondamentali che costituiscono il cuore dell’uomo. Lo stesso avverrà nei lunghi anni di insegnamento all’Università Cattolica di Milano. Anni dopo, come riportato nel volume ‘Realtà e giovinezza. La sfida’, sarà lui stesso a dire: ‘Ho quasi 64 anni ed anch’io sono passato per la vostra età e ho un po’ la presunzione di essermela portata dietro… Essere giovani vuol dire avere fiducia in uno scopo. Senza scopo uno è già vecchio. Infatti la vecchiaia è determinata da questo: che uno non ha più scopo.

Mentre chi ha quindici, vent’anni, magari inconsciamente, è tutto teso a uno scopo, ha fiducia in uno scopo. Questo rivela un’altra caratteristica dei giovani. E’ la razionalità. Essi lo sono molto più degli adulti. Un giovane vuole le ragioni. E lo scopo è la ragione per cui uno cammina. Per dire la parola grossa, che può sapere di romantico, l’ideale. Se uno non l’ha, è vecchio’”.

In quale modo don Giussani invitava a vivere il carisma nella Chiesa?

“Una delle cose che mi ha sempre colpito della sua personalità, certamente appassionata ed energica, era il suo costante richiamo alla sequela e all’obbedienza alla Chiesa, al Papa in primis, e all’autorità. Diceva sempre che la più grande virtù dell’amicizia è l’obbedienza. Tra l’altro è proprio parte dell’integralità del carisma la coscienza dell’ecclesialità: il metodo che don Giussani ha sempre indicato è seguire la strada maestra e la strada maestra è indicata oggettivamente da chi guida.

Scriveva nel volume ‘Il movimento di Comunione e Liberazione. 1954-1986’: ‘Il grande strumento del cambiamento del mondo è l’unità ecclesiale, non l’intelligenza della coscienza individuale o la scaltrezza della propria cultura o il progressismo del proprio spirito’. Per lui l’obbedienza non era remissività, ma un legame e un’amicizia dentro cui seguire chi aiuta a camminare verso il destino come amava spesso ripetere”.

Perché diede vita al movimento di Comunione e Liberazione?

“Una risposta la possiamo trovare nelle parole che don Giussani stesso scrisse a san Giovanni Paolo II nel 2004: ‘Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta’, come è riportato da Alberto Savorana nel volume ‘Vita di don Giussani”.

Recentemente papa Francesco ha invitato a custodire l’unità oltre le ‘interpretazioni personalistiche’: Comunione e Liberazione come vive  quest’unità?

“In obbedienza e cordiale sequela alla Chiesa, come è sempre stato, stiamo lavorando molto sul tema dell’unità così come indicato dal Santo Padre. Le sue parole, che abbiamo accolto con gratitudine, sono state per noi un segno incoraggiante e prezioso della sua amicizia e sono al centro di un percorso che continua nelle nostre comunità a tutti livelli. L’unità non è intesa solo al nostro interno, ma con tutta la Chiesa a partire da chi è chiamato a guidarla.

Questo ci rende liberi nelle correzioni e desiderosi di crescere: da chi ci ama non ci si difende, ma si è grati e disponibili. Io ho capito così il costante richiamo del papa ai movimenti a non essere autoreferenziali. Questo si declina anche in una corresponsabilità nella conduzione del movimento secondo il metodo, valorizzato dal papa, della guida comunionale e in uno slancio più vigoroso nella dimensione culturale e missionaria.

Del resto la questione dell’unità si gioca in tutte le dimensioni e le età della vita e per noi questo significa vivere la comunione, innanzitutto con il papa e con la Chiesa, e poi tra di noi. Perché se è vero che l’unità nasce da un dono, è altrettanto vero che un dono senza adesione, senza uno slancio di sequela autentica, è un dono sprecato”.

(Tratto da Aci Stampa)

Nicea 1700 anni dopo

È in uscita un nuovo numero di Studia patavina (2/2024), la rivista della Facoltà teologica del Triveneto, con un focus dal titolo Nicea andata e ritorno. Traiettorie di un Concilio, a cura di Chiara Curzel (Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini” di Trento) e Maurizio Girolami (Facoltà teologica del Triveneto), scaricabile gratuitamente dal sito www.fttr.it al link https://www.fttr.it/wp-content/uploads/2024/07/Studia-Patavina-2-2024-FOCUS-NICEA.pdf

Nel 2025 ricorreranno i 1700 anni dal concilio di Nicea (325 d.C.), il primo evento ecumenico nella storia della cristianità, da cui scaturì una professione di fede condivisa che tuttora rappresenta per i cristiani un elemento in cui identificarsi e trovare unità. La Facoltà teologica del Triveneto ha già organizzato un convegno sul tema (14 ottobre 2024), da cui nascono gli approfondimenti proposti in questo fascicolo.

Il percorso affronta innanzitutto questioni storiche, teologiche, linguistiche, scritturistiche e guarda poi alla recezione di Nicea nel territorio del Nord Est italiano. In apertura, Emanuela Prinzivalli (Sapienza Università di Roma, Istituto Patristico Augustinianum) delinea un ampio quadro storico-teologico generale delle questioni: studia i prodromi di Nicea, le poche fonti disponibili sul suo andamento, l’innovazione costituita dal Credo niceno.

L’evento, la ricezione e la comunicazione di Nicea sono sviscerati da alcuni docenti dell’area patristica della Facoltà, che hanno anche curato la parte scientifica del convegno: Chiara Curzel (Trento), Cristina Simonelli e Zeno Carra (Verona), Davide Fiocco (Belluno).

La chiesa di Aquileia, madre delle chiese del Nord Est, ebbe un ruolo importante nella vicenda: polmone tra Roma e l’Oriente, fu un territorio sul quale visioni di chiese diverse trovarono tensioni e scontri, ma fu anche ponte di dialogo nella catena di trasmissione della fede. Alcuni affondi su autori e territori di area aquileiese sono proposti da altri docenti della Facoltà: Giuseppe Laiti (Verona), Alessio Persic (Udine), Tatiana Radaelli (Treviso), Paolo Cordioli (Verona), Massimo Frigo (Vicenza), Maurizio Girolami (Padova).

Millesettecento anni fa venne posto come soggetto il “noi”, cioè la comunità diversificata per luoghi e culture ma accomunata dalla fede condivisa e, da quel momento in poi, da un condiviso modo di esprimerla e di trasmetterla. «Il cammino sinodale che stiamo compiendo oggi – scrivono nell’editoriale Curzel e Girolami – ci riconsegna l’importanza di ripartire da questo assunto fondamentale: la fede è un dono dato a una comunità di discepoli e questi insieme credono, insieme celebrano, insieme testimoniano la loro appartenenza a Cristo».

Per l’oggi della fede sono di grande attualità due temi derivanti da Nicea: quello del generare e quello dell’uso del linguaggio. «La cultura contemporanea sembra non riconoscere più il valore della generazione – proseguono i curatori –. Generare significa riconoscere che ogni generazione ha il suo posto nel piano dell’umanità e che ciascuna sa dare il proprio contributo nel dialogo con chi viene prima e pensando a chi viene dopo.

Il dialogo tra generazioni, al quale tante volte richiama papa Francesco, è una vocazione di umanità che attende da tutti attenzione e cura, perché anche così si prende coscienza dell’essere generati e della potenzialità di essere generatori di futuro». L’altro grande contributo di Nicea è la riflessione sul linguaggio, cioè il richiamo al necessario compito di cercare in ogni epoca e contesto le parole più proprie per esprimere la fede. «L’impegno a trovare parole per dire “Gesù è Signore” in questo nostro tempo è la sfida che ci raggiunge da Nicea» concludono i curatori.

Oltre al Focus, la rivista pubblica l’articolo di Antonio Ricupero Ministeri laicali e carismi in Luigi Sartori, proposto nell’anniversario del primo centenario della nascita del teologo padovano. Completa il fascicolo una ricca sezione di recensioni e segnalazioni bibliografiche.

Il focus del fascicolo 2/2024 è scaricabile gratuitamente dal sito della Facoltà teologica del Triveneto www.fttr.it al link https://www.fttr.it/wp-content/uploads/2024/07/Studia-Patavina-2-2024-FOCUS-NICEA.pdf. L’intero fascicolo 2/2024 può essere richiesto (al costo di € 17,00) a studiapatavina.abbonamenti@fttr.it ed è in vendita su Libreriadelsanto.it

Papa Francesco: discernimento e formazione basi per la vita spirituale

“Quattro Capitoli! Quattro Capitoli insieme… si vede che il Prefetto sa risparmiare il tempo – eh? – e li mette insieme. Questa è l’epoca dei Capitoli”: con questa battuta scherzosa questa mattina papa Francesco ha ricevuto in udienza Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza i partecipanti ai capitoli generali di quattro congregazioni, le suore Domenicane Missionarie di San Sisto, le suore della Società del Sacro Cuore di Gesù, le suore della Presentazione di Maria Santissima al Tempio ed i padri Vocazionisti.

Per il papa l’occasione di un capitolo è molto importante, perché offre occasione di approfondire il carisma di ogni congregazione: “Con il Capitolo, sempre avete la grazia e anche la responsabilità di vivere un momento fondamentale non solo per la vita dei vostri istituti, ma per tutta la Chiesa: un momento in cui mettervi in ascolto dello Spirito Santo, per continuare a far fiorire, oggi, le ispirazioni carismatiche donate un giorno alle vostre Fondatrici e Fondatori. Fermiamoci allora un momento a riflettere insieme su tre dimensioni esistenziali ed apostoliche comuni alle vostre diverse realtà, tre aspetti: il discernimento, la formazione e la carità”.

E dei tre aspetti elencati il papa sottolinea l’importanza del discernimento: “Esso è ‘materia propria’ del carisma dei Padri Vocazionisti; è per tutti, ma è materia propria loro, ma ovviamente riguarda in senso più ampio ogni congregazione religiosa e ogni persona. Discernere è parte della vita, sia nei momenti solenni delle grandi scelte che in quelli feriali delle piccole decisioni quotidiane. E’ legato al nostro essere liberi e dunque esprime e porta a compimento, giorno per giorno, la comune vocazione umana e la particolare e unica identità di ciascuno di noi”.

Inoltre ha evidenziato che fare discernimento non è facile: “Certo è un lavoro faticoso, di ascolto del Signore, e di sé stessi e degli altri; è un momento faticoso anche di preghiera, di meditazione, di attesa paziente, e poi di coraggio e di sacrificio, per rendere concreto e operativo ciò che Dio, pur senza mai imporci (mai ci impone la sua volontà, Lui non si impone) la sua volontà, suggerisce al nostro cuore. Pensa, rifletti, sentiamo le emozioni che toccano il cuore”.

Però il discernimento è importante per prendere una decisione ed ha bisogno di chi ‘aiuta’: “Ed il nostro mondo ha tanto bisogno di riscoprire il gusto e la bellezza di decidere, specialmente per quanto riguarda le scelte definitive, che determinano una svolta decisiva nella vita, come quella vocazionale. Ha bisogno, perciò, di padri e di madri che aiutino, specialmente i giovani, a comprendere che essere liberi non è rimanere eternamente davanti ad un bivio, facendo piccole ‘scappatine’ a destra e a sinistra, senza mai imboccare veramente una strada. Essere liberi significa scommettere (scommettere!) su un cammino, con intelligenza e prudenza, certo, ma anche con audacia e spirito di rinuncia, per crescere e progredire nella dinamica del dono, ed essere felici, amando secondo il progetto di Dio”.

Il secondo punto importante riguarda la formazione, che deve essere sostenuta dalla preghiera: “Prima di tutto perché la vita religiosa, in sé, è un percorso di crescita nella santità che abbraccia tutta l’esistenza, e in cui il Signore costantemente plasma il cuore di coloro che ha scelto. Ed a questo proposito raccomando a tutte e a tutti voi l’assiduità nella preghiera, ma quella preghiera che è un rapporto con il Signore, personale, che ascolta, che attende; la preghiera sia comunitaria e anche personale, e anche la vita sacramentale, ed anche l’adorazione: oggi abbiamo perso il senso dell’adorazione, dobbiamo riprenderlo. Adorare… Ed anche la cura di tutti quei momenti che rendono vivo e quotidiano il rapporto di una consacrata e di un consacrato con Cristo”.

Solo chi si ‘forma’ continuamente può essere formatore: “Solo chi si riconosce umilmente e costantemente ‘in formazione’, infatti, può sperare di essere un buon ‘formatore’ o ‘formatrice’ per gli altri, e l’educazione, a qualsiasi livello, è sempre prima di tutto condivisione di percorsi e comunicazione di esperienze, in quella ricerca gioiosa della verità, ‘che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non condivide con tutti la Luce di Dio’…

Dobbiamo essere in pace, ma inquieti. Anche in questo senso la vostra missione è, oggi, decisamente profetica, in un contesto sociale e culturale caratterizzato dalla circolazione vorticosa e continua di informazioni, ma di contro drammaticamente povero di relazioni umane. Urgono ai nostri tempi educatori che sappiano con amore farsi compagni e compagne di cammino per le persone loro affidate”.

Ed infine la carità, ricordando che le congregazioni ricevute oggi sono state fondate per sostenere i giovani e le famiglie povere: “Allo stesso modo, anche a voi farà bene, specialmente in questi giorni di discernimento comunitario, tenere costantemente davanti agli occhi il volto dei poveri e vigilare perché, sotto il loro sguardo, nelle vostre assemblee, sia sempre vivo e pulsante lo slancio di gratuità e di amore disinteressato, grazie al quale è cominciata la vostra presenza nella Chiesa.

Gesù ci parla nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi, e in ogni dono fatto a loro c’è un riflesso dell’amore di Dio… Qui sta la luce per il nostro cammino e anche qui c’è l’antidoto efficace per vincere, in noi e attorno a noi, la cultura dello scarto: per favore, non scartare la gente, non selezionare la gente con criteri mondani: quanto sono importanti, quanti soldi hanno”.

Inoltre, sempre in mattinata, papa Francesco ha ricevuto il nuovo Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, la prof.ssa Elena Beccalli, alla guida dell’Ateneo dal 1° luglio scorso, che ha illustrato le molteplici progettualità che l’Università Cattolica del Sacro Cuore si propone di mettere in atto nei suoi cinque campus (Milano, Brescia, Piacenza, Cremona e Roma) per proporre ‘un contributo di pensiero sulle questioni di frontiera in una prospettiva globale’.

(Foto: Santa Sede)

Dal 4 al 10 agosto la Vacanza Carismatica per le Famiglie promossa dal RnS a Loreto

‘E-state con Gesù’. Questo il titolo della Vacanza Carismatica per Famiglie promossa, come ogni anno, dal Rinnovamento nello Spirito Santo e curata dall’équipe dell’Ambito nazionale Evangelizzazione Famiglie presso la Casa Famiglia di Nazareth a Loreto (AN), da domenica 4 a sabato 10 agosto 2024, sul tema: ‘Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, ed io vi darò ristoro’ (Mt 11,28).

Il programma contempla, oltre alla Preghiera carismatica comunitaria e alle Sante Messe, la mistagogia esperienziale, il Roveto ardente, momenti di condivisione, ritrovo e fraternità, uscite e visite guidate nei paesi limitrofi. Previsto anche il teatrino di evangelizzazione a cura dell’Associazione ‘Bella è la Vita’:

“Siamo grati a Dio e al Comitato nazionale di Servizio – dichiarano Fabrizio e Ilenia Fioriti, delegati nazionali dell’Ambito Evangelizzazione Famiglie – per la riapertura della Casa Famiglia di Nazareth a Loreto, dove ogni persona può trovare ristoro, a contatto con la natura e lontano dai rumori e dalla frenesia del mondo. Attendiamo con gioia, come oramai da diversi anni, la Vacanza Carismatica.

La vicinanza della Santa Casa rende questo luogo un terreno sacro dove coniugi, genitori, figli, nonni, single, vedovi si incontrano e sperimentano la fraternità familiare con serenità e semplicità, ispirati dalla Santa Famiglia di Nazareth. Insieme all’équipe, composta da famiglie e sacerdoti, siamo pronti ad accogliere i partecipanti provenienti da ogni parte d’Italia e dalla Germania, che hanno scelto di trascorrere insieme a Gesù vivo un tempo di svago e rigenerazione nel corpo e nello Spirito” .

Alla loro voce fa eco quella di Giuseppe Contaldo, Presidente del RnS, che afferma: “Maria e Giuseppe sono un modello di famiglia. Per capire l’importanza della famiglia, partiamo dalla ricerca di figure che possono guidarci come punti di riferimento. Maria e Giuseppe, appunto, rappresentano degli esempi per il loro aspetto umano, la solidità, l’accoglienza, la cura della vita, l’amore per il bene. La famiglia è un dono di Dio, ma anche una conquista che dobbiamo realizzare e guadagnare giorno dopo giorno.

E’ un po’ come la storia della Terra promessa, che è sia un dono che una conquista: Dio ce la dà, ma noi ce la dobbiamo prendere. La famiglia è anche una vocazione, perché parte da un’opera di Dio. Così è la vocazione: Dio ce la consegna, ma noi dobbiamo coltivarla. Ed è in questa prospettiva che si pone la prossima Vacanza Carismatica delle Famiglie che inizierà tra qualche giorno”.

L’Instrumentum Laboris per una Chiesa missionaria

“Preparerà il Signore dell’universo per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato”: prende spunto dal profeta Isaia l’inizio dell’Instrumentum Laboris della seconda sessione del Sinodo sulla Chiesa missionaria, che si svolgerà nel prossimo mese di ottobre.

Il testo nasce dalle riflessioni che le Conferenze Episcopali, le Chiese Orientali Cattoliche e altre realtà ecclesiali internazionali oltre ai rapporti presentati dai parroci nella tre-giorni di lavoro dell’incontro Parroci per il Sinodo, hanno svolto attorno alla Relazione di Sintesi della Prima Sessione (4-29 ottobre 2023) alla luce delle indicazioni date dalla Segreteria Generale del Sinodo attraverso il documento ‘Verso Ottobre 2024’:

“La chiamata a essere discepoli missionari si fonda sulla comune identità battesimale, si radica nella diversità di contesti in cui la Chiesa è presente e trova unità nell’unico Padre, nell’unico Signore e nell’unico Spirito. Essa interpella tutti i Battezzati, senza eccezioni: ‘Tutto il Popolo di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo. In esso, ogni Battezzato è convocato per essere protagonista della missione poiché tutti siamo discepoli missionari’. Questo rinnovamento trova espressione in una Chiesa che, radunata dallo Spirito mediante la Parola e il Sacramento, annuncia la salvezza che continuamente sperimenta a un mondo affamato di senso e assetato di comunione e solidarietà. E’ per questo mondo che il Signore prepara un banchetto sul suo monte”.

Dopo un excursus di questi tre anni di cammino il documento si apre con l’illustrazione delle sezioni: “Concretamente questo Instrumentum laboris si apre con una sezione dedicata ai Fondamenti della comprensione della sinodalità, che ripropone la consapevolezza maturata lungo il percorso e sancita dalla Prima Sessione. Seguono tre Parti strettamente intrecciate, che illuminano da prospettive diverse la vita sinodale missionaria della Chiesa: I) la prospettiva delle Relazioni – con il Signore, tra i fratelli e le sorelle e tra le Chiese – che sostengono la vitalità della Chiesa ben più radicalmente delle sue strutture; II) la prospettiva dei Percorsi che sorreggono e alimentano nella concretezza il dinamismo delle relazioni; III) la prospettiva dei Luoghi che, contro la tentazione di un universalismo astratto, parlano della concretezza dei contesti in cui si incarnano le relazioni, con la loro varietà, pluralità e interconnessione, e con il loro radicamento nel fondamento sorgivo della professione di fede.

Ciascuna di queste Sezioni sarà oggetto della preghiera, dello scambio e del discernimento in uno dei moduli che scandiranno i lavori della Seconda Sessione, in cui ciascuno sarà invitato ad ‘offrire il proprio contributo come un dono per gli altri e non come una certezza assoluta’ (RdS, Introduzione), in un percorso che i membri dell’Assemblea sono chiamati a scrivere insieme. Su questa base sarà elaborato un Documento Finale, relativo a tutto il processo finora compiuto, che offrirà al Santo Padre orientamenti sui passi da compiere e sulle modalità concrete per farlo”.

Compito del documento è tracciare un cammino di Chiesa: “Possiamo aspettarci un approfondimento della comprensione condivisa della sinodalità, una migliore messa a fuoco delle pratiche di una Chiesa sinodale e anche la proposta di qualche cambiamento nel diritto canonico (altri, più significativi, ce ne potranno essere dopo aver meglio assimilato e vivificato la proposta di fondo), ma certo non la risposta ad ogni domanda.

Anche perché altre ne emergeranno lungo il cammino di conversione e di riforma che la Seconda Sessione inviterà la Chiesa tutta a compiere. Tra i guadagni del processo fin qui svolto possiamo certamente annoverare l’aver sperimentato e appreso un metodo con cui affrontare insieme le questioni, nel dialogo e nel discernimento. Stiamo ancora imparando come essere Chiesa sinodale missionaria, ma è un compito che abbiamo sperimentato di poter intraprendere con gioia”.

Il documento è molto ampio e spiega il valore della sinodalità: “I termini sinodalità e sinodale, derivati dall’antica e costante pratica ecclesiale del radunarsi in sinodo, grazie all’esperienza degli ultimi anni sono stati maggiormente compresi e più ancora vissuti. Sempre più essi sono stati associati al ‘desiderio di una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale’, che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso della sua Prima Sessione, l’Assemblea ha maturato una convergenza sul significato di ‘sinodalità’ che sta alla base di questo Instrumentum laboris…

Sinodalità designa pertanto ‘lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa’, uno stile che parte dall’ascolto come primo atto della Chiesa. La fede, che nasce dall’ascolto dell’annuncio della Buona Notizia, dell’ascolto vive: ascolto della Parola di Dio, ascolto dello Spirito Santo, ascolto gli uni degli altri, ascolto della tradizione viva della Chiesa e del suo magistero. Nelle tappe del processo sinodale, ancora una volta la Chiesa ha sperimentato ciò che le Scritture insegnano: è possibile annunciare solo ciò che si è ascoltato”.

In questo cammino sono emerse le differenze dei carismi, intese come armonia: “Ugualmente è cresciuta la consapevolezza della varietà di carismi e vocazioni che lo Spirito Santo costantemente suscita nel Popolo di Dio. Nasce così il desiderio di crescere nella capacità di discernerli, di comprenderne le relazioni all’interno della vita concreta di ciascuna Chiesa e della Chiesa tutta, e soprattutto di articolarli per il bene della missione. Questo significa anche riflettere più profondamente sulla questione della partecipazione in rapporto con la comunione e la missione. In ogni fase del processo è emerso il desiderio di ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità di tutti i Battezzati, uomini e donne, nella varietà dei loro carismi, vocazioni e ministeri”.

Uno spazio è stato dato anche alla formazione: “Lo scopo della formazione nella prospettiva della sinodalità missionaria è che ci siano testimoni, uomini e donne capaci di assumere la missione della Chiesa in corresponsabilità e in cooperazione con la potenza dello Spirito. La formazione assumerà quindi come base il dinamismo dell’iniziazione cristiana, puntando a promuovere l’esperienza personale di incontro con il Signore e di conseguenza un processo di conversione continua di atteggiamenti, relazioni, mentalità e strutture. Il soggetto della missione è sempre la Chiesa, e ogni suo membro è testimone e annunciatore della salvezza in ragione di questa appartenenza. L’Eucaristia, ‘fonte e culmine di tutta la vita cristiana’, è il luogo fondamentale della formazione alla sinodalità. La famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana. Nell’intreccio delle generazioni è scuola di sinodalità, invitando ciascuno a prendersi cura degli altri, e rendendo visibile che tutti (i deboli e i forti, i bambini, i giovani e gli anziani) hanno molto da ricevere e molto da dare”.

Quindi la formazione deve essere integrale: “Non punta infatti solo all’acquisizione di nozioni o di competenze, ma a promuovere la capacità di incontro, di condivisione e cooperazione, di discernimento in comune. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della persona: intellettuale, affettiva e spirituale. Non può essere una formazione unicamente teorica, ma comprende esperienze concrete opportunamente accompagnate. Ugualmente è importante favorire una conoscenza delle culture in cui le Chiese vivono e operano, compresa la cultura digitale, oggi così pervasiva, soprattutto in ambito giovanile”.

La conclusione del documento offre lo spazio alla riflessione di una Chiesa missionaria: “L’Enciclica ‘Fratelli tutti’ ci presenta la chiamata a riconoscerci come sorelle e fratelli in Cristo risorto, proponendolo non come uno status, ma come uno stile di vita. L’Enciclica sottolinea il contrasto tra il tempo in cui viviamo e la visione di convivialità preparata da Dio. Il velo, la coltre e le lacrime dei nostri tempi sono il risultato del crescente isolamento reciproco, della crescente violenza e polarizzazione del nostro mondo e dello sradicamento dalle sorgenti della vita. Questo Instrumentum laboris si interroga e ci interroga su come essere una Chiesa sinodale missionaria; come impegnarci in un ascolto e in un dialogo profondi; come essere corresponsabili alla luce del dinamismo della nostra vocazione battesimale personale e comunitaria; come trasformare strutture e processi in modo che tutti possano partecipare e condividere i carismi che lo Spirito riversa su ciascuno per l’utilità comune; come esercitare potere e autorità come servizio. Ognuna di queste domande è un servizio alla Chiesa e, attraverso la sua azione, alla possibilità di guarire le ferite più profonde del nostro tempo”.

In Calabria sulle tracce di san Francesco di Paola

‘Il Cammino di San Francesco di Paola’, curato da Angelina Marcelli, Vincenzo Astorino e Alessandro Mantuano propone un’esperienza escursionistica, culturale e spirituale plasmata sulla memoria storica del santo patrono della Calabria, alla scoperta degli aspetti umani e religiosi del frate, profondamente legato alla sua gente e al rispetto della natura. Un percorso che porta a conoscere l’affascinante storia del santo e a ripercorrere i suoi passi tra foreste secolari di faggi e il folklore di paesi dalle tradizioni antichissime; che si arricchisce con la visita a borghi di antica bellezza e con i sapori e l’ospitalità tipici delle tradizioni calabresi.

Alla coautrice della guida, prof.ssa Angelina Marcelli, docente di storia economica all’Università degli studi eCampus e responsabile della comunicazione e cultura dell’associazione ‘Il Cammino di San Francesco di Paola’, abbiamo chiesto di raccontare in cosa consiste tale cammino: “Il Cammino nasce nel 2017 con l’intenzione di proporre un’esperienza escursionistica e allo stesso tempo culturale e spirituale, plasmata sulla memoria storica e sulle tradizioni locali legate alla figura di Francesco di Paola (1416-1507).

Il patrono della Calabria era un eremita, fondatore dell’Ordine dei Minimi, che ha finito i suoi giorni in Francia, presso la corte del re più potente del suo tempo. Noi sintetizziamo il senso del cammino definendolo una ‘biografia su mappa’, perché vogliamo ricostruire i viaggi compiuti da Francesco in diversi momenti della sua vita. Ogni Via, dunque, è accompagnata da una narrazione che vuole mettere in evidenza motivazioni, luoghi e protagonisti di ogni viaggio. Attualmente sono attive tre Vie; a breve inaugureremo la Via per la Francia e speriamo di poter mettere mano presto sia alla Via per la Sicilia che al Pellegrinaggio ad Assisi”.

Perché è la ‘via del giovane’?

“All’età di 13 anni, Francesco Martolilla si reca a San Marco Argentano per adempiere un voto fatto dai genitori, che di fronte alla malformazione ad un occhio del loro bambino, avevano promesso che lo avrebbero concesso come oblato per un anno in una comunità francescana. Abbiamo quindi pensato di tracciare il percorso da San Marco Argentano a Paola (49 km in tre tappe) per fare memoria del ritorno a casa, un viaggio contrassegnato da una parte dalla certezza di essere chiamato a servire il Signore, ma dall’altra dall’inquietudine di non sapere esattamente come”.

In cosa consiste la ‘via dell’eremita’?

“Lungo la Via dell’Eremita (62,7 km in tre tappe) accompagniamo frate Francesco ormai maturo (aveva circa 56 anni) verso Paterno dove fonda il suo secondo romitorio dopo quello di Paola. Si tratta di un viaggio importante per diversi aspetti. E’, infatti, un passo che compie solo dopo che la Chiesa aveva formalizzato la nascita della sua congregazione eremitica, ma soprattutto segna il tempo dell’affermazione di un’identità comunitaria basata sull’osservanza del suo stile di vita. Per diversi anni, Francesco (curava personalmente la costruzione dei romitori) fece la spola tra Paola e Paterno e per questa ragione abbiamo pensato di tracciare la Via in modo bidirezionale”.

Ed infine come si sviluppa la ‘via dei monasteri’?

“Più che un singolo viaggio, è un andirivieni che frate Francesco compie per congiungere i romitori fondati in Calabria dopo quello di Paola, cioè Paterno (1472), Spezzano (1474) e Corigliano (1476). Questo viaggio ideale, segno di maturità spirituale, sigilla il forte legame tra Francesco e la sua terra, ma anche della intensa relazione con i suoi confratelli, che si assumono la responsabilità di guidare le nuove comunità. Da Paterno, il percorso si dirige verso l’Area MaB UNESCO della Pre-Sila e arriva nel Golfo di Corigliano (135 km in 6 tappe)”.

Perché san Francesco da Paola fondò l’Ordine dei Minimi?

“Nonostante il divieto imposto dal Concilio Lateranense IV, Francesco di Paola ottenne l’approvazione della regola dell’Ordine dei Minimi, sintesi della natura e del carisma impressi alla sua famiglia religiosa. L’umiltà del Fondatore è incisa in questo nome che sembra voler indicare ai frati una strada di continua conversione per diventare piccoli, semplici, minimi appunto”.

Per quale motivo il viandante si mette in cammino?

“Le ragioni sono tante e una non esclude l’altra. Quasi sempre c’è una motivazione personale di natura spirituale. Molti, infatti, lo fanno a mo’ di pellegrinaggio. Tanti, soprattutto quelli proveniente da altre regioni, invece, sono attratti dalla natura, dalla varietà di paesaggi, dalla bellezza e dalle tradizioni culturali dei borghi attraversati e solo dopo entrano in contatto con la spiritualità dell’eremita paolano. Tutti, poi, finiscono per apprezzare il volto più bello della Calabria, che è l’accoglienza”.

Quale è la spiritualità del cammino?

“Percorrere il cammino significa un po’ vestirsi dell’abito di Francesco, fatto di sobrietà ed essenzialità, di contemplazione del creato e di amore per il prossimo e per la natura. Si tratta di un abito che in qualche modo si trasmette di più con l’esperienza stessa che con le parole”.

Per qualsiasi informazione: info@ilcamminodisanfrancesco.it

(Tratto da Aci Stampa)

Nella 6^ Domenica di Pasqua un nuovo stile di vita: amare!  

Nella sera dell’addio Gesù affida agli Apostoli, che Egli aveva chiamato singolarmente a seguirlo,  il messaggio dell’amore: amatevi come io vi ho amato; da questo il Padre riconoscerà che siete miei. Gesù sapeva bene quello che sarebbe successo. Il brano del Vangelo si ricollega a quello di domenica scorsa: Io sono la vite, voi i tralci: il tralcio produce frutto se rimane legato ala vite. La vite è Dio, Dio è amore: i frutti del ‘cristiano’ debbono essere  frutti di amore; allora e solo allora si è figli di Dio.

Esistono due tipi di amore: a) quello evangelico, che proviene dal Padre, sorgente di amore, ed è detto ‘agape’; b) l’amore puramente umano, che in greco è detto ‘eros’: un amore dominato dalla legge della reciprocità ‘do ut des’: mi devi amare come io ti amo (dove non c’è amore se non c’è contraccambio). Il vero cristiano, il vero discepolo di Gesù non si distingue  perché prega, perché possiede carismi particolari o possiede una scienza raffinata, ma è vero cristiano perché ama come ha amato il suo Signore Gesù.

Nel Vangelo il Maestro divino ci presenta l’amore in tre piani: ; a) l’amore del Padre per il Figlio, il Verbo eterno: (Gesù dirà: come il Padre ha amato me, Io ho amato voi!); b) l’amore del Figlio (Gesù) per tutti gli uomini (un amore che porta Gesù a morire in croce per salvare tutti gli uomini);  c) l’amore degli uomini tra di loro (amatevi gli uni con gli altri come Io ho amato voi).

L’amore evangelico non è contraccambio ma è dono di Dio: esso parte dal Padre e tramite Gesù arriva sino a noi; è un dono, che siamo chiamati a trasmettere ai fratelli; questo amore nel concreto diventa perdono, generosità, servizio, fiducia, sopportazione. Diceva Gandhi: l’amore è l’anima del cristianesimo; Benedetto Croce parlando del cristianesimo evidenzia: l’amore di cui parla Cristo Gesù è amore verso tutte le creature, verso tutti gli uomini senza distinzione di genti o di classi, di liberi e di schiavi, amore verso tutte le creature, verso il modo intero, che è opera di Dio, quel Dio che è amore.

Siamo chiamati ad amare non perché Gesù ci comanda di amare, ma perché ciascuno di noi è realtà vivente dell’amore di Dio; Dio infatti amando crea e creando ama; Cristo Gesù assume la natura umana per salvarci, per aprire a noi le porte del regno dei cieli. Compito della Chiesa, dei credenti è quello di estendere e far conoscere questo amore a tutto il mondo, Gesù affida questo compito proprio alla Chiesa: ‘Come il Padre ha mandato me, Io mando voi’.

Il mondo oggi ha bisogno di aiuti, di opere umanitarie, filantropiche, ma ha soprattutto bisogno di Dio, che noi invochiamo: ‘Padre nostro che sei nei cieli’. E’ incapace di amare e perdonare solo colui che non ha conosciuto Dio, che è amore; dico amore cristiano, che non è eros, né filia, ma è carità, donazione, misericordia, compartecipazione alla vita dei fratelli in nome di Dio.

Mi dirai forse che è difficile; appunto per questo Gesù ha istituito l’Eucaristia, dopo aver lavato i piedi agli apostoli dicendo: ‘Voi mi chiamate Signore e maestro, e dite bene perché lo sono; ma Io vi ho dato l’esempio, fate allora come ho fatto Io’. Siete deboli, affaticati, oppressi, venite a me, dice Gesù, ed Io vi ristorerò. Ecco allora la celebrazione della Messa domenicale: serve per incontrarsi con Gesù, ascoltare la sua parola, rafforzare lo spirito per meglio attuare l’amore insegnato da Cristo Gesù.

Non è retorica, questo significa essere davvero cristiano. La missione del servire è la missione stessa dell’amore perché amore significa dare senza ricevere, offrire senza aspettare ricompensa; questa verrà poi dal Padre che sta nei cieli; con l’amore le piccole cose diventano grandi, senza l’amore crollano anche i palazzi e le cattedrali. Quanto grande e mirabile infatti è l’amore di Dio: questo Dio che pensa a te prima ancora che tu nascessi, questo Dio che per amore diventa il Redentore che dà la vita morendo in croce.

Amico/a, questo Dio oggi bussa alla porta del tuo cuore per essere compagno nel tuo viaggio, nel tuo dolore, per additarti la vera via della salvezza e si fa esempio: ‘Amatevi come io vi ho amato’; ci invita dicendo ‘Rimanete nel mio amore perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’.

Vocazioni e speranza, la testimonianza di Suor Angelita Guerriero

“Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un’ideale religioso, è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo”: nel messaggio, intitolato ‘Chiamati a seminare la speranza e costruire la pace’, per la giornata per le vocazioni, che si celebra oggi, papa Francesco invita a creare ambienti adeguati nei quali sperimentare il miracolo di una nuova nascita.

Partendo dall’incipit del messaggio papale a suor Angelita Guerriero, madre generale della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Rivalba, fondata da don Giuseppe Marchisio,  abbiamo chiesto di spiegarci in quale modo si può seminare la speranza e costruire la pace: “Prima di tutto mi piace molto questo titolo. Sono colpita dal verbo ‘seminare’. Anche noi due anni fa, dedicando il nostro anno alle Vocazioni abbiamo deciso di utilizzare questo verbo così: seminando il futuro. Il logo che accompagnava questa frase era la figura di Gesù seminatore su un campo che lasciava intravvedere il castello di Rivalba, in provincia di Torino, da dove inizia tutto e parte l’intuizione carismatica del nostro Fondatore, il parroco di questo paese, il Beato Clemente Marchisio. Condivido moltissimo anche i due termini: Speranza e Pace.

Due parole che desidero fortemente scrivere con la lettera maiuscola iniziale, perché mi piace sottolineare che la speranza e la pace sono ispirate da Dio. Tutti noi siamo chiamati in prima linea ad essere seminatori di questo campo molto tormentato, in questo mondo che non sa più far crescere frutti copiosi per il bene dell’umanità. La speranza di pace è un’emergenza prioritaria oggi, in questo 2024 pieno di conflitti, di odio, di bombe e di distruzione. La soluzione a tutto questo è cambiare il nostro atteggiamento quotidiano. Ognuno di noi deve sentirsi investito da grande responsabilità, deve avvertire il ruolo fondamentale di operatore di speranza e di pace.

Non tocca sempre agli altri l’onere di cambiare il mondo. Dobbiamo sentirci protagonisti di questo miracolo di Bene ispirato da Dio. E la conseguenza più bella di questo cambiamento del cuore sta proprio nel far nascere una nuova domanda nelle giovani generazioni, un desiderio di vita ispirata al Vangelo, un’attrazione nei confronti del messaggio di Gesù Cristo. Solo così possiamo contagiare le persone e far nascere nuove vocazioni. I giovani ci seguiranno e doneranno la propria vita solo se saremo credibili e totalmente impegnate a regalare speranza e pace nelle nostre comunità e sulle nostre strade quotidiane”.

Perché la vocazione fa diventare ‘pellegrine di speranza’?

“Questa è una questione fondamentale che deve interrogarci nel profondo. Avverto spesso un po’ di rassegnazione rispetto ai discorsi che si fanno intorno alla pastorale vocazionale. Questo atteggiamento purtroppo non aiuta le tante belle iniziative che possono essere messe sul campo e che possono attrarre l’attenzione dei giovani. Siamo spesso tanto indaffarate nel nostro pellegrinaggio quotidiano.

Gli impegni si moltiplicano e il lavoro a cui siamo chiamate rischia di schiacciarci in un’operatività che travolge completamente i diversi momenti delle nostre giornate. Corriamo tanto e rischiamo di disperdere la Luce che ci guida e che dobbiamo trasmettere alle persone che incontriamo sulla nostra strada.

Questo è il punto nodale: siamo chiamate a rinnovare il nostro pellegrinaggio. Un cammino che, pur restando intenso, deve contenere in sé anche l’attenzione al cuore delle persone che entrano in relazione con noi. Sono convinta che la Speranza si comunica attraverso uno sguardo nuovo, più attento e riflessivo, che inneschi un dialogo personale profondo. Le nostre giovani non ci chiedono di fare tante cose… ma al contrario desiderano essere qualcosa di più. Hanno sete di Dio che si manifesta attraverso un dialogo intenso, frutto di un incontro di cuori e di tempo dedicato. Solo così può nascere una domanda sul senso della propria vita e delle scelte da affrontare.

In questo modo il nostro pellegrinaggio ha le premesse per diventare fecondo. E la Speranza può innescare una scintilla provvidenziale che può cambiare i cuori. Sono convinta che il desiderio di donare sè stesse continui ad esserci ma spesso manca una sintonia, un richiamo efficace che possa smuovere le coscienze tanto distratte e profondamente stordite da una realtà confusa e spesso solo attenta ai bisogni primari”.

Nel messaggio il papa ha parlato di carisma: ed il vostro?

“Il nostro carisma mette al centro di tutto il Mistero Eucaristico. Gesù Sacramentato è il motore della nostra vita che doniamo per darne testimonianza. Il nostro fondatore, il beato Clemente Marchisio, ci ha indicato un comandamento essenziale: amare e far amare, onorare e far onorare, servire e far servire Dio nel Sacramento dell’Altare. La ‘Figlia di San Giuseppe di Rivalba’ dona la sua vita in totale umiltà e disponibilità al Padre per i fratelli.  L’impegno quotidiano è richiamare tutti a dirigere lo sguardo verso il Tabernacolo che assume una centralità non teorica ma fattiva, pratica, che deve risuonare in ogni gesto. Da qui parte tutto.

Il nostro lavoro quotidiano nel produrre le particole che diventeranno il Corpo di Cristo. La nostra cura per i paramenti e la mensa eucaristica nella ricerca del bello non come fatto estetico ma come risonanza di una sacralità che si esprime nell’attenzione di ogni dettaglio nelle celebrazioni eucaristiche. La formazione in parrocchia per condividere e far conoscere la nostra missione tesa a servire il sacerdote celebrante. L’attività parrocchiale nella catechesi e nella animazione di momenti di preghiera e di adorazione eucaristica.

L’accoglienza e la formazione di laici e famiglie che si vogliono consacrare come oblati che affiancano il nostro cammino carismatico nella Chiesa. Una lunga storia che ha radici italiane e che ora crescono anche in Africa (Nigeria) e in America Latina (Brasile, Messico e Argentina). Mi piace ancora ricordare il servizio che si svolge nella Città del Vaticano, dove da 100 anni siamo al servizio della sacrestia di san Pietro. Un lavoro silenzioso che non s’interrompe mai e che svolgiamo con tanta cura e amore per la Chiesa”.

Quanto è importante nella quotidianità l’Eucarestia?

“L’Eucarestia è il vero e unico nutrimento che può cambiare il mondo. Vogliamo comunicarlo a tutti, perché ci si renda conto che l’uomo non può salvare questo pianeta senza il sostegno provvidenziale di Dio. E’ inutile preoccuparci, dobbiamo affidarci! Per questa ragione l’Eucarestia è il richiamo fortissimo ad entrare in una nuova visione della vita che non ci veda al centro dell’universo ma ci regali la consapevolezza di essere creature ad immagine e somiglianza del Creatore. In definitiva dobbiamo passare da io a Dio”.

Nel mese scorso si è aperto un anno dedicato al fondatore: perché è l’Anno del Marchisio?

“L’Anno del Marchisio chiude un triennio molto importante per la nostra congregazione. Siamo partiti con l’Anno Vocazionale avente per slogan ‘Seminando il futuro’. Siamo passati all’Anno dedicato all’Eucarestia: ‘Illuminando il presente’. Lo scorso 19 marzo è iniziato l’Anno dedicato al fondatore, il beato Clemente Marchisio, con la frase che completa il triennio: ‘Rivivendo il passato’.

Desideriamo ritornare alle nostre radici, senza inutili nostalgie, ma con l’impegno di recuperare l’ardore carismatico iniziale che sfida il tempo, i secoli e i cambiamenti di costume. Il Vangelo è l’unica vera notizia che non conosce il passare del tempo. E’ sempre nuova per ciò che stiamo vivendo! Tutto questo ci porterà al 2025 in cui ci saranno le celebrazioni per i 150 anni di fondazione della Congregazione”.

Per quale motivo egli fonda la famiglia delle Figlie di san Giuseppe di Rivalba?

“Il Beato Clemente Marchisio è il parroco di Rivalba, un piccolo paese poco lontano da Torino. E’ un pastore di anime che vive nel cuore dell’Ottocento. Si rende conto della condizione delle donne nella sua comunità di Rivalba e nello stesso tempo vuole contribuire a tenere viva la cura della liturgia in tutti i suoi aspetti. Mette insieme queste due esigenze e fonda una nuova famiglia religiosa femminile che possa avere come centro di vita l’Eucarestia, come valore assoluto a cui riferirsi.

La cura quotidiana di tutto ciò che riguarda il tabernacolo e l’altare (produzione di particole, vino, paramenti religiosi ed ogni aspetto della liturgia e della formazione delle persone che desiderano vivere le diverse celebrazioni nella Chiesa) è il centro della vita di questa congregazione. 150 anni fa coinvolge un primo gruppo di donne a cui affida questi servizi, coinvolgendole, formandole per consacrarle ad un nuovo stile di vita che ancora oggi prosegue il cammino nell’Italia e nel mondo”.

(Tratto da Aci Stampa)

Suor Oberto racconta i 100 anni delle Pie Discepole del Divin Maestro

“Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Pie Discepole di Divin Maestro, che celebrano il centenario di fondazione: possa questa ricorrenza essere uno stimolo per rinsaldare gli ideali religiosi e per esprimere in modo sempre più generoso la dedizione a Dio e ai fratelli”: così al termine dell’udienza generale dello scorso 7 febbraio papa Francesco ha espresso il desiderio che il centenario sia occasione di dedizione a Dio.

Le Pie Discepole del Divin Maestro sono un istituto religioso femminile di diritto pontificio, fondato ad Alba (Cuneo) dal beato Giacomo Alberione (1884-1971): dopo aver istituito il ramo maschile e quello femminile dei paolini, volle dare inizio a un ramo di religiose di vita contemplativa che supportasse con la preghiera (soprattutto mediante l’adorazione eucaristica) l’apostolato dei padri e delle suore.

Il 10 febbraio 1924 il beato cuneese diede inizio alla congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro ed il 3 aprile 1947 mons. Luigi Maria Grassi, vescovo di Alba, eresse canonicamente le Pie Discepole in congregazione di diritto diocesano.

Quindi partendo dal saluto papale, a suor Marie Joseph Oberto, componente della congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro e referente dell’équipe della postulazione della famiglia paolina, chiediamo di spiegarci cosa significa dedicare la vita a Dio: “Quando papa Francesco ha augurato che il Centenario sia uno stimolo ‘per esprimere in modo sempre più generoso la dedizione a Dio e ai fratelli’, il pensiero è andato alla Dedicazione di una Chiesa: l’edificio diventa luogo per accogliere chi vuole incontrare Dio, comunicare con Dio. Quindi essere persone dedicate a Dio e ai fratelli è essere a tempo pieno la dimora di Dio, dialogare con Lui ed essere luogo di accoglienza, di contagio per chi avviciniamo”.

In quale modo comunicare l’amore di Dio attraverso la bellezza?

“Nella Genesi la creazione è danza della vita, una sinfonia scritta dalla Parola, ritmata dal ‘vide che era cosa bella/buona’! Dio Creatore è Bellezza e ‘il più bello tra i figli dell’uomo’, cantato dal salmo 44 è Gesù, il Verbo incarnato. Nella nostra missione valorizziamo la bellezza intesa come armonia della vita e via di evangelizzazione. E secondo la nostra Regola di vita ‘nel volto e nella voce del Signore Crocifisso e Risorto contempliamo la Bellezza che salva il mondo e non possiamo tacere ciò che abbiamo visto e ascoltato, perciò comunichiamo l’amore incondizionato di Dio per l’umanità anche attraverso la via della bellezza che promuove l’incontro fra la fede cristiana e le culture del nostro tempo’”.

Nel messaggio quaresimale il papa ha scritto che azione è anche fermarsi in preghiera: come è possibile?

“Un contributo sulla ministerialità nella Chiesa di tutto il popolo di Dio e quindi anche della donna, è stata la proposta di un Convegno interdisciplinare, svoltosi dal 28 gennaio al 3 febbraio: ‘La voce della donna nei ministeri della Chiesa. Un dialogo sinodale’ con obiettivo di ascoltare, con attenzione e rispetto, la voce delle donne in una Chiesa ministeriale e missionaria, in stile sinodale e in dialogo con le altre confessioni cristiane; approfondire il tema e la prassi dei ministeri ecclesiali, in particolare quelli esercitati dalle donne nella Chiesa di ieri e di oggi, secondo gli specifici contesti culturali; avviare processi di trasformazione e generativi che favoriscano scelte coraggiose per la nostra missione nella vita della Chiesa”.

Dove si fonda la vostra spiritualità?

“Il Mistero pasquale del Signore Gesù è il cuore della nostra spiritualità apostolica. Lo viviamo in comunione con la Chiesa, nell’itinerario dell’anno liturgico e in tutti gli ambiti della vita quotidiana, alimentandoci alle sorgenti di una spiritualità radicata nell’ascolto della Parola di Dio, nel Mistero eucaristico e nella vita liturgica”.

Qual è l’eredità carismatica del beato Giacomo Alberione?

“Papa Francesco ha ricordato che ‘la differenza non è tra progressisti e conservatori, ma tra innamorati e abituati’. Il beato Giacomo Alberione nel 1924, aveva detto che le Pie Discepole sono nate per l’Adveniat regnum tuum e per vivere questo programma evangelico ha dato una luce valida anche per l’inculturazione nel tempo e nella storia, per non confondere il carisma con le opere di un determinato tempo storico: ‘Da un solo amore nascono i tre apostolati che sono diretti ad un unico fine: l’amore a Gesù che vive nell’Eucaristia, l’amore a Gesù che vive nel sacerdozio, l’amore a Gesù che vive nella Chiesa… e da Gesù Maestro sono illuminati, sono  nutriti, sono guidati’. E a chi chiedeva, dai vari luoghi di missione, che cosa si doveva fare, la risposta era: le invenzioni dell’Amore… inventare, moltiplicare le invenzioni dell’Amore”.

Chi era Madre Scolastica?

“Dal suo ingresso nella nascente Comunità paolina in Alba, Orsola Rivata, che nel 1924 prenderà il nome di suor Scolastica, è stata ‘collaboratrice in Cristo’ di don Alberione che l’ha gradualmente formata e coinvolta per dar vita alle Pie Discepole del Divin Maestro. E’ colei che ha creduto con tenacia e perseveranza quando ancora nulla si vedeva, è la ‘prima fra molte’ che nei 100 anni di storia hanno seguito e servito Gesù Maestro Via, Verità e Vita.

Madre Scolastica è una donna innamorata del Signore e quindi dei fratelli e delle sorelle, una donna che vive la sinfonia del silenzio, che ha imparato a tenere il mondo e tutte le sue vicende con le mani alzate, perché tutti abbiano la vita e la vita in abbondanza.

In occasione del centenario, si è realizzata (in via Portuense 739 – Roma) un’esposizione multimediale e interattiva: ‘Madre Scolastica un percorso oltre il tempo’, per farla sentire come proposta viva e possibile per la santità cristiana nell’oggi (si può visitare prenotando giorno e orario: percorsomadrescolastica@gmail.com). Inoltre, ispirato alla sua vita, è stato proposto l’Oratorio sacro: ‘Voce e silenzio’, con testi e musiche del maestro Marcello Bronzetti ‘ilFedeleAmato’ www.youtube.com/watch?v=UTJNT2LCWTE”.

In cosa consiste la mostra?

“La mostra si svolge in tre momenti. Nel primo incontriamo Orsola che non è ancora entrata nella famiglia paolina, nel secondo vediamo il suo incontro con don Alberione che la invita a fondare con lui una nuova famiglia. Ciò che guida Orsola, che nel frattempo è diventata suor Scolastica, è sempre questo sguardo fisso a Gesù. Una volta che la congregazione vive la sua cittadinanza nella chiesa, nel terzo momento, passiamo a contemplare quello che le Pie Discepole hanno compiuto nei loro cento anni di storia vivendo le direttive di suor Scolastica collaborando in Cristo con don Alberione”.

(Tratto da Aci Stampa)

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