XXXIII domenica Tempo Ordinario: chi è fedele nel poco, avrà la vita eterna!

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Siamo ormai vicini alla fine dell’anno liturgico; la prossima domenica si conclude l’anno con la festa di Cristo Re. Oggi la Liturgia ci presenta la parabola dei talenti invitando ciascuno di noi a fare i conti davanti Dio perché la nostra vita non risulti un  fallimento. Mentre   si è in attesa della venuta del Signore è indispensabile essere operosi.

Abbiamo la vita, bene meraviglioso che ci permette di guardare avanti; allora è il momento di chiederci: come abbiamo vissuto? Come abbiamo amministrato i beni ricevuti da Dio? La nostra autonomia è completa ma non è assoluta: siamo stati attenti o vili ed infingardi?

Nell’affidare i talenti in modo diverso, Dio non fa ingiustizia a nessuno, ognuno infatti riceve a seconda delle proprie forze e a nessuno è richiesto ciò di cui non è capace. Dio ha fiducia nell’uomo che ha creato a sua immagine e somiglianza e gli  ha assicurato anche la sua presenza ed aiuto:

Gesù non solo ha offerto la sua vita morendo in croce per noi, ma ha anche istituito l’Eucaristia come aiuto formidabile; all’uomo debole e fragile dice: ‘siete stanchi, affaticati, oppressi, venite a me, prendete e mangiate , questo è il mio corpo’; ci ha lasciato inoltre Maria, sua madre, come nostra madre: ‘Donna ecco tuo figlio; Giovanni, ecco tua madre’.

Però tu, uomo, non puoi e non devi rimanere inerte; sei chiamato per vocazione a trafficare i talenti e i carismi ricevuti. La parola di Dio ci esorta oggi ad essere vigilanti ed operosi. Il ‘talento’ era un’antica moneta romana, di grande valore, e nel Vangelo diventa sinonimo di dote personale ricevuta da Dio che bisogna fare fruttificare.

Il Signore ci ha dato il dono del cuore, l’intelligenza per conoscere e la volontà per amare, la salute, la forza fisica, la robustezza, la genialità e tutti quei doni che ci contraddistinguono l’uno dall’altro: doni materiali e spirituali.

Il Signore Gesù ci ha lasciato il Battesimo, che ci rinnova nello Spirito santo, la preghiera del ‘Padre Nostro’, come figli uniti a Gesù, Figlio di Dio; inoltre il suo perdono per conseguire la vita eterna. Ecco i doni, i talenti. Con la parabola Gesù ci insegna e ci esorta ad usare bene i suoi talenti; a vivere la vita come un pellegrinaggio, tenendo gli occhi fissi verso la meta da raggiungere.

Ci ricorda inoltre che la morte verrà come un ladro, di notte quando l’uomo meno se lo aspetta: è necessario perciò essere sempre preparati perché  quando saremo davanti a Dio ci inviterà: ‘Rrendimi conto della tua amministrazione’.

Dio è Padre e ci avvisa, ci esorta per trovarci preparati perché non sappiamo né l’ora, né il giorno. Al servo che nella parabola aveva ricevuto solo un talento e l’aveva conservato nella buca per restituirlo senza farlo fruttificare, Gesù lo rimprovera, lo chiama servo vile ed infingardo ed ordina: buttatelo fuori per sempre. Questo terzo servo ci offre solo una immagine triste: è il servo della paura; la prima e la madre di tutte le paure è avere paura di Dio: che è creatore e Padre.

Se tu credi in un Dio padrone duro e spietato, lo incontrerai con la maschera della paura; sotto l’effetto di questa immagine sbagliata di Dio, tutta la vita diventa sbagliata. Se credi in un Dio padrone duro e spietato, allora lo incontrerai con la maschera della paura; lo stesso Dio diventa un incubo terribile.

Se credi invece in Dio che è Padre, misericordia infinita, perdono e amore, allora entri nella gioia del Signore e la vita diventa un vero dono di Dio. Dio è amore e amore con amore si paga. Noi infatti siamo figli della luce e non figli delle tenebre perché Dio, nostro padre, è amore infinito e misericordioso. Oggetto del giudizio ultimo sarà l’amore; questo è la grande discriminante che contraddistingue  i veri discepoli di Cristo Gesù.

La Bibbia, libro sacro, elogia la donna forte perché è superiore alle perle preziose; la donna forte è la donna che teme Dio ed ama: ‘apre le sue palme al misero, stende la mano al povero’.

La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano. La fine dell’anno liturgico è un invito dal cielo a prendere coscienza che siamo figli di Dio, che è amore e sull’amore verterà il giudizio divino. Il Signore ci avvisa e ‘chi ti avvisa, ti ama e non vuol ferire”!

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