Giuseppe Cafulli racconta Natale in Terra Santa

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Sono trascorsi più di due mesi dal 7 ottobre, giorno che ha segnato l’inizio di questa sanguinosa fase nelle relazioni tra israeliani e palestinesi e mentre sul territorio israeliano continua la pioggia di razzi da Gaza, dal Libano meridionale e dallo Yemen, le vittime tra gli abitanti di Gaza sono oltre 18.000 morti (7 su 10 sono donne e minori), tra i quali anche almeno 90 giornalisti, secondo lo statunitense Comitato per la protezione dei giornalisti. Ed anche i soldati israeliani continuano a morire: i caduti in combattimento dall’inizio dell’invasione della Striscia di Gaza sono 87, mentre 137 ostaggi restano ancora da liberare.

In questa situazione i cristiani in Medio Oriente si apprestano a vivere la festa di Natale: come? Certamente il clima è segnato da ‘tristezza e dolore’, come lo hanno descritto i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme, che hanno annunciato la decisione di rinunciare alle festività legate al Natale.

Perciò abbiamo chiesto al direttore della rivista e del sito ‘Terra Santa’, Giuseppe Cafulli, di raccontarci Natale in Terra Santa: “E’ un Natale difficile! Chiaramente la situazione che si sta vivendo tra Israele ed Hamas ha portato ad un blocco dei pellegrinaggi, che ha pesato sulle comunità cristiane dal punto di vista economico, anche se non è l’aspetto principale. L’aspetto principale riguarda il carico di sofferenza e di violenza che quella terra sta vivendo. E’ un Natale ‘senza luci’, ma più di raccoglimento e di preghiera, perché in questo momento le parrocchie stanno vivendo l’Avvento con una richiesta di pace, affinché finisca questa violenza, che ha colpito la Terra Santa”.

In quale modo le comunità cristiane vivono il Natale?

“E’ un Natale che non avrà tutte le feste. Si dice che a Betlemme è tre o quattro volte Natale, perché secondo i calendari delle Chiese cristiane Natale si festeggia nell’arco di quindici giorni secondo le tradizioni delle Chiese latina, ortodossa, armena… Le comunità cristiane sono unite nella preghiera e nell’attesa di una pace che avvenga prima possibile. Sono anche molto preoccupate per l’aspetto economico, perché gran parte dei cristiani della Terra Santa, e soprattutto di Betlemme, vivono del lavoro derivante dai proventi del turismo e dell’artigianato religioso, indotto dai pellegrinaggi”.

Ad 800 anni di distanza dal presepio di Greccio quale messaggio comunica il presepe?

“Ancora oggi il presepe comunica la speranza di una vita nuova. Ricordiamoci che Gesù è nato in mezzo ai conflitti ed alle difficoltà del suo tempo; è nato in una stalla e non in un palazzo ed i primi che sono andati ad adorarlo sono stati i poveri del tempo, cioè i pastori,per cui è venuto a testimoniare una speranza a partire dai conflitti e dalle contraddizioni in cui si vive. Ancora oggi, dopo 800 anni, il presepe comunica l’evento avvenuto più di duemila anni fa: Dio che si è fatto carne”.

E’ possibile percorrere vie di pace, come hanno annunciato gli angeli?

“Le Chiese in Terra Santa e gli uomini di buona volontà, che non mancano, stanno pregando ed indicando la via della pace. Abbiamo vissuto due giornate di preghiera per la pace in Terra Santa; una chiesta dalle Chiese di Gerusalemme ed un’altra voluta da papa Francesco. Credo che questo Natale, se vogliamo essere fedeli al nostro essere cristiani ed al messaggio degli angeli, sarà Natale in cui dovremo ricordarci di pregare per la pace, perché se la pace non ci viene donata, noi difficilmente siamo capaci di farla”.

Quindi in quale modo è possibile riconoscere il dolore dell’altro?

“Cercando di purificare il proprio cuore, perché riconoscere il dolore dell’altro vuol dire riconoscere che l’altro è un uomo come me e non è qualcuno da eliminare: questo vale per tutte le parti. Per intraprendere percorsi di riconciliazione è necessario riconoscere che io non sono il solo a vivere una situazione di dolore.

Non è facile in questo momento, ma è l’unica strada: ci sono alcuni piccoli segni, che indicano questi percorsi, come la comunità di ‘Nevè Shalom’, voluta oltre 50 anni fa da p. Bruno Hussar, dove vivono ebrei e palestinesi (sia cristiani che mussulmani), accettando di vivere il conflitto e la situazione drammatica della Terra Santa con uno spirito riconciliato ed aperto, capace di riconoscere il dolore dell’altro”.

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