Papa Francesco invita a perdere la testa per Gesù ed a pregare per la pace

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“Anche oggi il pensiero va in Israele e in Palestina. Le vittime aumentano e la situazione a Gaza è disperata. Si faccia, per favore, tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria! Inquieta il possibile allargamento del conflitto, mentre nel mondo tanti fronti bellici sono già aperti. Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale”.

Con queste parole al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha ribadito l’inquietudine per i rischi di un allargamento del conflitto, chiedendo di fare tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria a Gaza, dopo l’attacco terroristico di Hamas dello scorso sabato 7 ottobre. E proprio per fermare questo conflitto papa Francesco ha invitato tutti ad una giornata di preghiera e digiuno, che si svolgerà venerdì 27 ottobre, invitando esponenti delle altre confessioni cristiane e di altre fedi:

“Pensando a questo, ho deciso di indire, venerdì 27 ottobre, una giornata di digiuno e preghiera, di penitenza, alla quale invito a unirsi, nel modo che riterranno opportuno, le sorelle e i fratelli delle varie confessioni cristiane, gli appartenenti ad altre religioni e quanti hanno a cuore la causa della pace nel mondo.

Quella sera alle ore 18.00 in San Pietro vivremo, in spirito di penitenza, un’ora di preghiera per implorare sui nostri giorni la pace, la pace in questo mondo. Chiedo a tutte le Chiese particolari di parteciparvi, predisponendo iniziative simili che coinvolgano il Popolo di Dio”.

Mentre proseguendo la catechesi riguardante lo zelo apostolico papa Francesco ha presentato la santità di Charles de Foucauld come modello di ‘carità nella vita nascosta’, diventando un ‘passionario’ di Gesù: “Egli, dopo aver vissuto una gioventù lontana da Dio, senza credere in nulla se non alla ricerca disordinata del piacere, lo confida a un amico non credente, a cui, dopo essersi convertito accogliendo la grazia del perdono di Dio nella Confessione, rivela la ragione del suo vivere”.

Il papa si è soffermato a commentare una sua frase (‘Ho perso il mio cuore per Gesù di Nazareth’), attraverso la testimonianza di fratel Carlo Carretto: “Fratel Carlo ci ricorda così che il primo passo per evangelizzare è aver Gesù dentro il cuore, è ‘perdere la testa’ per Lui.

Se ciò non avviene, difficilmente riusciamo a mostrarlo con la vita. Rischiamo invece di parlare di noi stessi, del nostro gruppo di appartenenza, di una morale o, peggio ancora, di un insieme di regole, ma non di Gesù, del suo amore, della sua misericordia”.

Ed ecco le domande a cui il cristiano è chiamato a rispondere: “Questo io lo vedo in qualche movimento nuovo che sta sorgendo: parlano della loro visione dell’umanità, parlano della loro spiritualità e loro si sentono una strada nuova…

Ma perché non parlate di Gesù? Parlano di tante cose, di organizzazione, di cammini spirituali, ma non sanno parlare di Gesù. Credo che oggi sarebbe bello che ognuno di noi si domandi: Io, ho Gesù al centro del cuore? Ho perso un po’ la testa per Gesù?”

Appunto Charles de Foucauld si innamorò tanto di Gesù da perdere la ‘testa’: “Charles sì, al punto che passa dall’attrazione per Gesù all’imitazione di Gesù. Consigliato dal suo confessore, va in Terra santa per visitare i luoghi in cui il Signore ha vissuto e per camminare dove il Maestro ha camminato.

In particolare è a Nazaret che comprende di doversi formare alla scuola di Cristo. Vive un rapporto intenso con il Signore, passa lunghe ore a leggere i Vangeli e si sente suo piccolo fratello. E conoscendo Gesù, nasce in lui il desiderio di farlo conoscere”.

Questa decisione comporta l’annientamento di sé stesso per ribadire la ‘forza’ dell’Eucarestia: “Egli allora decide di stabilirsi in regioni lontane per gridare il Vangelo nel silenzio, vivendo nello spirito di Nazaret, in povertà e nascondimento. Va nel deserto del Sahara, tra i non cristiani, e lì giunge come amico e fratello, portando la mitezza di Gesù-Eucarestia. Charles lascia che sia Gesù ad agire silenziosamente, convinto che la ‘vita eucaristica’ evangelizzi”.

Il mistico francese crede nell’adorazione eucaristica: “Crede infatti che Cristo è il primo evangelizzatore. Così sta in preghiera ai piedi di Gesù, davanti al tabernacolo, per una decina di ore al giorno, certo che la forza evangelizzatrice sta lì e sentendo che è Gesù a portarlo vicino a tanti fratelli lontani.

E noi, mi chiedo, crediamo nella forza dell’Eucarestia? Il nostro andare verso gli altri, il nostro servizio, trova lì, nell’adorazione, il suo inizio e il suo compimento? Sono convinto che noi abbiamo perso il senso dell’adorazione; dobbiamo riprenderlo, incominciando da noi consacrati, i vescovi, i sacerdoti, le suore e tutti i consacrati. ‘Perdere’ tempo davanti al tabernacolo, riprendere il senso dell’adorazione”.

Ed ha ricordato che ‘ogni cristiano è apostolo’: “Charles de Foucauld con questa esperienza anticipa i tempi del Concilio Vaticano II, intuisce l’importanza dei laici e comprende che l’annuncio del Vangelo spetta all’intero popolo di Dio. Ma come possiamo accrescere questa partecipazione?

Come ha fatto Charles de Foucauld: mettendoci in ginocchio e accogliendo l’azione dello Spirito, che sempre suscita modi nuovi per coinvolgere, incontrare, ascoltare e dialogare, sempre nella collaborazione e nella fiducia, sempre in comunione con la Chiesa e con i pastori”.

E’ un invito a scoprire la forza evangelizzatrice della ‘tenerezza’: “Non dimentichiamo che lo stile di Dio sta in tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è sempre vicino, sempre è compassionevole, sempre è tenero. E la testimonianza cristiana deve andare per questa strada: di vicinanza, di compassione, di tenerezza. E lui era così, mite e tenero. Desiderava che chiunque lo incontrasse vedesse, attraverso la sua bontà, la bontà di Gesù”.

Insomma, era un ‘servitore’ di Gesù: “Diceva di essere, infatti, ‘servitore di uno che è molto più buono di me’. Vivere la bontà di Gesù lo portava a stringere legami fraterni e di amicizia con i poveri, con i Tuareg, con i più lontani dalla sua mentalità. Pian piano questi legami generavano fraternità, inclusione, valorizzazione della cultura dell’altro.

La bontà è semplice e chiede di essere persone semplici, che non hanno paura di donare un sorriso. E con il sorriso, con la sua semplicità Fratel Carlo faceva testimonianza del Vangelo. Mai proselitismo, mai: testimonianza.

L’evangelizzazione non si fa per proselitismo, ma per testimonianza, per attrazione. Chiediamoci allora infine se portiamo in noi e agli altri la gioia cristiana, la mitezza cristiana, la tenerezza cristiana, la compassione cristiana, la vicinanza cristiana”.

(Foto: Santa Sede)

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