Da Bose i Detti del deserto per illuminare la contemporaneità

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“Nell’organizzare il convegno di quest’anno il nostro intento iniziale era di proseguire il discorso avviato l’anno scorso con il convegno dedicato ad ‘Isacco il Siro e il suo insegnamento spirituale’, una figura di santità che con il suo insegnamento ha contribuito a plasmare la tradizione spirituale delle chiese ortodosse e allo stesso tempo ha ricevuto un’accoglienza unanime in tutte le altre tradizioni cristiane.

Con i ‘Detti dei padri e delle madri’ siamo di fronte a un caso simile. Qui però non si tratta di un’unica figura di santità, ma di una folla di santi, e non dell’opera di un unico autore, ma di un insieme eterogeneo di testi di cui è difficile discernere con precisione la paternità e l’origine. Anche per questo, come dicevo, si tratta di un tema solo apparentemente facile”.

Con queste parole fratel Luigi d’Ayala Valva, monaco di Bose, ha concluso il 29^ convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, organizzato dalla comunità monastica di Bose in collaborazione con le Chiese ortodosse, preceduto dalle relazioni finali di Markos di San Macario e del metropolita Job di Pisidia (patriarcato ecumenico di Costantinopoli):

“Nei Detti dei padri (e delle madri) del deserto, gli insegnamenti e le storie di vita dei grandi asceti che vissero in Egitto tra III e V secolo, è possibile cogliere qualcosa dell’apofatismo caratteristico del cristianesimo orientale (il metodo teologico che cerca di avvicinarsi alla comprensione del Dio ineffabile per via negativa, attraverso ciò che Dio non è) che ha trovato una delle sue espressioni più alte negli scritti dello pseudo Dionigi  Areopagita, grosso modo coevi ai Detti”.

Come ha ricordato Markos di San Macario, studioso e monaco copto ortodosso, i Detti mostrano per esempio la consapevolezza che quei primi monaci avevano di non possedere il ‘monopolio’ della santità: ogni volta che erano tentati di pensarlo, veniva ricordato loro, per divina ispirazione, che anche un semplice ciabattino di Alessandria, o un medico, o un fruttivendolo o una coppia di sposi, o due semplici donne potevano raggiungere le vette di un monaco del deserto come Antonio o Macario, o perfino superarle.

L’intervento conclusivo di fra Valva ha messo in evidenza il ‘rischio’ del convegno: “Nell’affrontare un tema del genere all’interno di un convegno di questo tipo occorreva evitare alcuni rischi: il rischio, da una parte, di un approccio puramente scientifico, ovvero storico-letterario, che si perdesse nei meandri delle infinite problematiche che testi di questo genere pongono agli studiosi.

Dall’altra parte, il rischio opposto di un approccio puramente teologico-spirituale che non prendesse in minima considerazione le acquisizioni della ricerca relative al complesso processo che ha dato origine ai testi; o ancora il rischio di un approccio che chiamerei ingenuo o devozionale, che si limitasse a vedere nei Detti una galleria di storielle edificanti, senza coglierne la sapienza profonda e senza riconoscere le aporie e le sfide che, dietro l’apparente semplicità, tuttora essi pongono agli uomini e alle donne di oggi”.

Quindi i ‘Detti’ offrono una ricchezza di molti ‘punti di vista’: “Alla pluralità delle tematiche e dei punti di vista, corrisponde la pluralità delle figure dei padri e delle madri presenti nei Detti.

Nonostante i tentativi di ordinamento e di selezione di cui abbiamo parlato, chi ha prodotto le raccolte tardo-antiche ha resistito al tentativo di riconciliare la diversità delle voci, che significa appunto anche diversità di storie, di personalità e di prospettive di pensiero.

Come anche nella Scrittura, questa mancanza di sintesi non è una debolezza, ma rappresenta la genialità di queste raccolte. Quindi nei Detti parlano un gran numero di padri e anche alcune madri, e noi ci siamo messi in ascolto di alcuni di loro”.

Ed ha concluso il convegno riportando un dialogo che designa la capacità del mondo di trovare sempre occasione per alimentare la follia della guerra:

“E vorrei concludere citando un ultimo detto, un gustoso bozzetto in cui emerge l’ottica di un mondo alla rovescia che certo provoca il nostro riso, ma che subito ci spinge anche a chiederci: chi sono i folli?

I due anziani che mettono in scena questa situazione ridicola od il mondo in cui viviamo, che ogni giorno (e spesso con conseguenze drammatiche) trova motivi di litigio o addirittura di guerra per sciocchezze senza valore?

C’erano due anziani che abitavano insieme e non avevano mai litigato. Uno disse all’altro: ‘Facciamo anche noi una lite come gli uomini!’ E l’altro rispondendo disse: ‘Non so come avviene una lite’.

E quello disse: ‘Ecco, io metto un mattone nel mezzo e dico che è mio; e tu dì: No, è mio!, e così si inizia’. Fecero così, e uno di loro disse: ‘Questo è mio!’ E l’altro disse: ‘No, è mio!’ Ed il primo rispose: ‘Va bene, è tuo: prendilo e va’. E si ritirarono senza aver trovato il modo di litigare tra di loro”.

Nell’introdurre il convegno il priore del monastero di Bose, fratel Sabino Chialà, aveva sottolineato che la parola dei Padri del deserto è molto attuale: “Le parole dei padri e delle madri del deserto (o dei deserti), cui abbiamo voluto dedicare il nostro convegno, ci aiutano in questo innanzitutto: a liberare il nostro cuore da noi stessi e dalle false parole che occupano quello spazio interiore in cui la Parola del Signore desidera dimorare, per portare consolazione e salvezza.

Per questo continuiamo a scrutare le parole dei padri, ormai da tanti anni… La parola che ci dà la vita è quella del Signore, trasmessaci nelle sante Scritture. Ma l’esperienza dei padri e i loro insegnamenti ci aiutano a sgomberare il campo perché questa possa dimorare in noi e portarvi il suo frutto”.

Certo il ‘corpus’ non è uniforme, ma non per questo meno valido: “Quelle che riascolteremo in questi giorni di convegno sono parole nate dall’esperienza di uomini e donne del deserto, che sono state poi rielaborate e arricchite da chi, nelle generazioni successive, le ha nuovamente saggiate, cercando di metterle in pratica. Gli apoftegmi sono tra i testi patristici più letti e tradotti in tutte le lingue parlate da cristiani…

Vi sono detti che raccomandano la veglia, e insieme l’esempio di chi adagia sulle sue ginocchia la testa del fratello vinto dal sonno durante una liturgia. Vi sono detti che insistono sull’importanza del digiuno e della sobrietà, e vi è chi va fino ad Alessandria a cercare un pasticcino per un abba morente che ne aveva espresso il desiderio.

Vi è chi indica come esempio di obbedienza il fratello che innaffia per tre anni un legno arido conficcato nel deserto, e vi è chi esalta il giovane novizio che disobbedisce all’anziano il quale gli aveva comandato qualcosa che contraddiceva l’evangelo. Sono parole che toccano e affondano come lama di coltello: a volte con la loro austera severità, altre volte con ironia finissima e geniale”.

(Foto: Monastero di Bose)

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