Nel ricordo degli attentati della mafia contro la Chiesa, solidarietà a don Luigi Ciotti
“Che sia concordia! Questa concordia, questa pace a cui aspira ogni popolo e ogni persona umana e ogni famiglia! Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente un diritto a vivere nella pace. E questi che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: ‘Non uccidere’: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!”: queste parole furono pronunciate domenica 9 maggio 1993 da san Giovanni Paolo II al termine della celebrazione eucaristica nella Valle dei Templi ad Agrigento con l’invocazione del ‘giudizio di Dio’ sui mafiosi.
Dopo pochi mesi, la notte del 28 luglio 1993 la mafia colpì nel cuore di Roma con due attentati che causarono 23 feriti e danni ingenti a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio in Velabro. Per non dimenticare quei drammatici momenti Libera, Comune di Roma e Diocesi di Roma promuovono, insieme ad Acli, Agesci, Comunità di Sant’Egidio, Azione Cattolica, Arci, Cngei, Legambiente, Cgil e Uil, venerdì 28 luglio ore 00:04 (notte tra il giovedì e venerdì) una fiaccolata di memoria e impegno con partenza San Giovanni in Laterano e arrivo a Piazza San Giorgio in Velabro.
Per l’associazione di nomi, ‘Libera’, fondata da don Luigi Ciotti, è stato un chiaro attacco allo Stato ed alla Chiesa: “Un progetto mafioso di destabilizzazione del funzionamento delle Istituzioni democratiche e della vita civile del Paese.
Una risposta all’invettiva contro i mafiosi pronunciata di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento il 9 maggio del 1993 che anticipava le parole ‘definitive’ di ‘scomunica’ dei mafiosi da parte di papa Francesco nella Piana di Sibari nel giugno 2014”.
Infatti per don Ciotti quegli attentati furono la chiara e ‘scomposta’ risposta “di ‘Cosa Nostra’ ad una Chiesa che non taceva di fronte alle ingiustizie e alle violenze mafiose. Una Chiesa che in molte sue espressioni ha risposto positivamente in questi anni alle minacce e intimidazioni, mettendosi in gioco.
E tuttavia permangono certi eccessi di prudenza, certe rigidità. Ecco allora la necessità di continuare a saldare Cielo e Terra, dimensione spirituale e impegno sociale, denunciando con parole e fatti conseguenti non solo le mafie ma tutte le forme di ‘mafiosità’ che spianano la strada al potere mafioso”.
A distanza di 30 anni don Ciotti ha evidenziato anche l’impegno di papa Francesco, sulla ‘scia’ di san Giovanni Paolo II, che ha sottolineato l’incompatibilità della mafia con il Vangelo: “E’ l’impegno a cui richiama papa Francesco. Un papa che di fronte ai famigliari delle vittime ha chiesto ‘in ginocchio’ ai mafiosi di convertirsi, poi ha denunciato la mafia come ‘adorazione del male’ e scomunicato i suoi membri e complici.
Ma che non manca di sottolineare le ingiustizie ‘legalizzate’, l’evidente commistione tra le logiche criminali e quelle di un sistema economico che in nome del profitto riduce in povertà milioni di persone.
I gesti e le parole del papa, il suo sottolineare l’incompatibilità fra mafia e Vangelo sono di grande incoraggiamento per quelle realtà di Chiesa che vivono il Vangelo con la necessaria radicalità e s’impegnano, anche in contesti difficili, per affermare la dignità e la libertà delle persone.
Segni di un fermento che spero si moltiplichi e metta radici, lasciando definitivamente alle spalle le ombre, le sottovalutazioni, i silenzi e anche le complicità che hanno caratterizzato a volte l’atteggiamento della Chiesa nei riguardi delle mafie”.
Anche il vicario generale del papa per la diocesi di Roma, card. Angelo De Donatis, ha sottolineato la necessità di conservare memoria: “Infatti il fenomeno mafioso, quale espressione di una cultura di morte, deve essere decisamente contrastato affermando il rispetto per la Res Publica attraverso i principi della legalità.
Esso è in aperto contrasto con il Vangelo della Vita di cui i discepoli di Cristo devono essere per vocazione testimoni… A tale riguardo, è necessario incrementare le attività di tutela delle vittime, prevedendo assistenza legale e sociale di questi nostri fratelli e sorelle in cerca di pace e di futuro.
In questo senso intendiamo ribadire la prossimità delle nostre comunità parrocchiali e del Vicariato di Roma a quanti patiscono situazioni di ingiustizia e invocano speranza per un mondo migliore. Il Signore giusto e misericordioso tocchi il cuore di ciascuno di noi perché abbiamo insieme a promuovere il diritto di cittadinanza, servendo il bene comune”.
E proprio nei giorni scorsi è arrivata la ‘solidarietà’ a don Luigi Ciotti da parte di ANPI, Arci, Acli, Greenpeace, Legambiente e WWF in merito alle affermazioni riportate dalla stampa del vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini nei confronti del fondatore e presidente di Libera:
“Estrapolare una frase dal contesto generale nel quale è stata pronunciata può, in talune circostanze, deviare il significato delle cose, fino a legarle a logiche e usi impropri. Dopo aver ricostruito le circostanze per le quali il ministro Salvini ha duramente attaccato il presidente di Libera appellandolo come un ‘signore in tonaca’ che mette insieme ‘cosche e coste’ offendendo milioni di cittadini calabresi e siciliani esprimiamo la nostra piena solidarietà e il ringraziamento a don Luigi Ciotti per l’impegno instancabile che profonde nella lotta alle mafie e per l’affermazione della legalità”.
D’altra parte è opportuno sottolineare che don Luigi Ciotti vive da anni ‘sotto scorta’, che non gli è stata mai giustamente tolta, per il coraggio di denunciare i crimini della mafia, come ha scritto don Maurizio Patriciello su Avvenire:
“Io, prete del Sud, facendomi voce di tanti miei confratelli, voglio esprimere a don Ciotti la mia grande riconoscenza per avermi fatto comprendere che i lacci delle mafie sono radicati e difficili da recidere, ma non impossibile. Le mafie possono essere sconfitte. Per farlo, però, in campo devono scendere tutti, ma proprio tutti. Anche, e forse soprattutto, i preti. Compreso me. Grazie, don Luigi”.