Centro Orientamento Pastorale: una Chiesa missionaria per le aree interne

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“Cara parrocchia di ‘nessuno’, finalmente si sono accorti che ci siamo anche noi! Abbiamo saputo di essere una parrocchia delle aree interne. Si, siamo a mezza montagna, non ci sono ancora state frane e possiamo andare a lavorare tutti i giorni un poco più in giù. Qui siamo rimasti in pochi; un po’ di case e di fienili e stalle e una bella chiesa col campanile; sono marito di una splendida sposa, abbiamo tre bambini e ci sono altre due o tre famiglie giovani, non ancora ben definite, e ci troviamo spesso”.

Così inizia la lettera da ‘due sposi e tre figli decisi a fare chiesa’ al termine della 72^ settimana nazionale di aggiornamento pastorale, ‘Andò in fretta verso la montagna’, organizzato a fine giugno a Lucca dal Centro di Orientamento Pastorale, in cui è stato sottolineato il valore dell’insegnamento religioso:

“Ai  nostri tre figli insegniamo le preghiere, siamo contenti di essere sposati perché quando eravamo fidanzati abbiamo fatto una bella esperienza di preparazione al matrimonio, giù in valle con altre giovani coppie. Là voi preti ci avete convinti che il nostro amore è l’immagine più bella dell’amore di Dio per l’umanità, i nostri tre figli lo hanno capito perché ci vedono volerci proprio bene e ce lo hanno pure dimostrato con la loro vivacità, competitività, capricci e accordi”.

Questi sposi, però, hanno rimproverato di averli lasciati soli e con le chiese chiuse in questi paesi di montagna: “Abbiamo dovuto noi raccontare loro qualche bella parabola del Vangelo, perché a scuola non dicono loro niente di questo. E’ il nostro catechismo per aiutarli a credere in Dio e innamorarsi di Gesù, perché voi vi siete fatti vedere una volta o due e poi siete spariti del tutto.

Li vorremmo portare in chiesa qualche volta, ma ce l’avete chiusa alla grande; abbiamo una santella lungo una strada, usiamo quella per qualche bacetto e mazzetto di fiori, ma la chiesa è un’altra cosa. Non l’avete fatta apposta per farci incontrare tra di noi, fare Eucaristia e custodire il Corpo di Gesù?!”

La lettera è un appello alla Chiesa a non dimenticare chi vive nei piccoli paesi di montagna: “Avete fiducia che noi possiamo essere una piccola chiesa? Siamo tutti battezzati, io e mia moglie siamo cresimati, sposati; viviamo tutti i sacramenti, l’unzione degli infermi è meglio lasciarla ad altri tempi. Non siamo già una piccola chiesa?

Se ci portate qualche volta l’Eucaristia con una messa possiamo fare pure i missionari con i nostri amici. E fare qualche festa religiosa con i compagni di lavoro che passerebbero volentieri qualche serata da noi.  Hanno mica cominciato così anche i primi cristiani?

Abbiamo consapevolezza di dover resistere, ma soprattutto di dover ricambiare a Dio l’amore e i figli che ci ha regalato e farlo riscoprire anche ai nostri amici, che magari si sposano pure. Vogliamo essere la chiesa del Signore in pienezza”.

Partendo da questa lettera il presidente del Centro di Orientamento Pastorale (COP), mons. Domenico Sigalini, ha sottolineato nelle conclusioni  che non si deve sottovalutare tale ‘problema’:

“Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie…

In questi giorni ci siamo ritrovati a guardare con maggior progettualità a queste piccole realtà che vogliamo esplicitamente aiutare a essere comunità cristiane che seguono e annunciano Cristo. Ci siamo domandati: che tipo di comunità cristiana formano le poche famiglie che vi restano? Sono ancora la chiesa del Signore Gesù? La risposta l’abbiamo articolata su vari versanti”.

Ed ha tracciato un ‘futuro’ per le comunità cristiane delle ‘aree interne’: “Immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle ‘aree interne’ implica una visione circa la risoluzione attuale del rapporto tra concentrazione e prossimità. Si propone di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla Chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni”.

E’ una sfida a cui si può sopperire con forme ministeriali ‘nuove’ attraverso un fattivo aiuto della famiglia: “Occorre scommettere sulla qualità, con una attenzione esplicita al mondo giovanile, tempi di condivisione di vita, tempi intensivi concentrati, aggregazioni significative… Ciò non significa tuttavia, abbandonare l’opportuna cura per la prossimità, non solo per il valore evangelico della ‘pietra scartata’, ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri.

A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità o valorizzare le famiglie come piccole chiese, che hanno in sé tutti i sacramenti, la parola di Dio, la vita di una famiglia cristiana normale e convinta. La famiglia non è all’anno zero nella corresponsabilità e nella educazione dei figli alla fede”.

Quindi occorre ripensare la Chiesa come popolo di Dio: “Una comunità, se intende inserirsi nel processo di annuncio del vangelo nella cultura odierna, dovrà maturare alcuni caratteri essenziali. Anzitutto dovrà tener presente che non potrà non considerare come la diminuzione del clero sia una situazione in evoluzione che sta portando a una revisione dei soggetti pastorali. Altro carattere da maturare è la consapevolezza dei fedeli laici come soggetti attivi dell’agire pastorale.

Rispondere alle sfide di oggi come comunità ecclesiale richiede l’uscire da una forma ‘prete centrica’ e addentrarsi in una forma di Chiesa in cui il Popolo di Dio è la comunità che evangelizza. Non si tratta semplicemente di accorpare parrocchie e di ripensare alcuni incarichi tradizionalmente affidati ai sacerdoti: si tratta di iniziare un cammino di ripensamento della forma che la Chiesa ha assunto nel corso della storia”.

E’ necessaria una visione pastorale dei fedeli: “L’urgenza pastorale è cambiare il punto di partenza: non una necessità organizzativa, ma un’azione pastorale di uomini e di donne che esercitano in comunione i propri specifici carismi (ministri ordinati, ministri istituiti laici, religiosi, ministri di fatto…). Alcuni strumenti, anche normativi, ci sono (ministero del catechista, l’accolitato, il lettorato…) e il momento è favorevole”.

Ecco l’esigenza di nuove ministerialità: “Il passaggio dalla logica della conservazione a quella della missione sarà possibile solo grazie all’inserimento di nuovi ministeri, oltre a quelli tradizionali, grazie anche a nuove forme di educazione alla fede o di servizio pastorale. Sicuramente il ministero della conduzione pastorale va ripensato in chiave sinodale superando l’asse individuale parroco-parrocchia.

Qualche esperienza sta avvenendo anche in Italia: équipe ministeriali, famiglie a Km 0, gli animatori di comunità, le guide dell’oratorio … Queste nuove ministerialità non devono essere immediatamente codificate, ma subito sperimentate e non fatte morire per ministerialità imposte dall’esterno”.

Tutto ciò era stato sottolineato in apertura del seminario dal segretario generale, dott. Giorgio De Rita, che aveva richiamato la necessità di riscoprire il documento del convegno pastorale  del 1976, ‘Evangelizzazione e promozione umana’: “Occorre un ‘tenere insieme’ le istituzioni territoriali (Chiesa compresa) dal punto di vista di un ‘senso’ condiviso. Il vento necessario per rimettersi in volo è proprio in quella ripresa (in atto) del concetto di territorio locale…

Una Chiesa che è sempre in cammino, deve mettersi in prossimità di tutti, in un impegno – applicazione quotidiana. Certo una progettualità è necessaria, e questa richiede ascolto, discernimento (non meramente di settore, ma in integrazione)… Occorre pure andare oltre l’idea di territorio locale come ‘isola’, ma studiarne le connessioni con il territorio che l’ingloba, l’esterno. Occorre ridestare ‘senso’, ‘restituire’ motivazioni a tutto tondo, perché ci sia movimento”.

(Foto: COP)

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