Papa Francesco: annunciare il Vangelo come Pietro e Paolo

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Al termine della recita dell’Angelus della festa dei santi Pietro e Paolo papa Francesco ha descritto le caratteristiche dell’apostolo, su cui Gesù ha fondato la Chiesa, perché, nonostante le ‘cadute’, si è messo alla Sua sequela, fino al martirio:

“Pietro è una roccia: in molti momenti è forte e saldo, genuino e generoso. Lascia tutto per seguire Gesù, lo riconosce Cristo, Figlio del Dio vivente, si tuffa in mare per andare veloce incontro al Risorto. Poi, con franchezza e coraggio, annuncia Gesù nel Tempio, prima e dopo essere stato arrestato e flagellato. La tradizione ci parla anche della sua fermezza di fronte al martirio, che avvenne proprio qui”.

Insomma san Pietro è roccia, pietra e sasso, per cui la santità non è per superuomini: “In Pietro c’è tutto questo: la forza della roccia, l’affidabilità della pietra e la piccolezza di un semplice sasso. Non è un superuomo: è un uomo come noi, come ognuno di noi, che dice ‘sì’ a Gesù con generosità nella sua imperfezione.

Ma proprio così in Lui – come in Paolo e in tutti i santi – appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia. Ed è con questa umanità vera che lo Spirito forma la Chiesa. Pietro e Paolo sono state persone vere, e noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di persone vere”.

Mentre nella celebrazione eucaristica il papa ha benedetto il Papa benedice i Palli, presi dalla confessione dell’apostolo Pietro e destinati agli arcivescovi metropoliti nominati nell’anno, alla presenza di alcuni delegati del patriarcato di Costantinopoli guidati da sua eminenza Job, arcivescovo metropolita di Pissidia: “Pietro ha vissuto nella sequela del Signore.

Quando quel giorno, a Cesarea di Filippo, Gesù interrogò i discepoli, Pietro rispose con una bella professione di fede: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. Una risposta impeccabile, precisa, puntuale, potremmo dire una perfetta risposta ‘da catechismo’.

Ma quella risposta è frutto di un cammino: solo dopo aver vissuto l’affascinante avventura di seguire il Signore, dopo aver camminato con Lui e dietro a Lui per tanto tempo, Pietro arriva a quella maturità spirituale che lo porta, per grazia, per pura grazia, a una professione di fede così limpida”.

Ad una richiesta concreta di Gesù, Pietro lo segue: “Pietro, dunque, ci dice che alla domanda ‘chi è Gesù per me?’, non basta rispondere con una formula dottrinale impeccabile e nemmeno con un’idea che ci siamo fatti una volta per tutte. No.

E’ mettendoci alla sequela del Signore che impariamo ogni giorno a conoscerlo; è diventando suoi discepoli e accogliendo la sua Parola che diventiamo suoi amici e facciamo l’esperienza del suo amore che ci trasforma.

Anche per noi risuona quel ‘subito’: se possiamo rimandare tante cose nella vita, la sequela di Gesù non può essere rimandata; lì non si può esitare, non possiamo accampare scuse.

Ed attenzione, perché alcune scuse sono travestite di spiritualità, come quando diciamo ‘non sono degno’, ‘non sono capace’, ‘cosa posso fare io?’ Questa è un’astuzia del diavolo, che ci ruba la fiducia nella grazia di Dio, facendoci credere che tutto dipenda dalle nostre capacità”.

Anche l’Apostolo delle genti alla domanda di sequela risponde favorevolmente, annunciando il Vangelo: “Se la risposta di Pietro consisteva nella sequela, quella di Paolo è l’annuncio, l’annuncio del Vangelo. Anche per lui tutto iniziò per grazia, con l’iniziativa del Signore.

Sulla via di Damasco, mentre portava avanti con fierezza la persecuzione dei cristiani, barricato nelle sue convinzioni religiose, gli venne incontro Gesù risorto e lo accecò con la sua luce, o meglio, grazie a quella luce Saulo si rese conto di quanto fosse cieco: chiuso nell’orgoglio della sua rigida osservanza, scopre in Gesù il compimento del mistero della salvezza”.

E’ nell’annuncio che si conosce di più la Parola di Dio: “Guardando alla sua storia, sembra quasi che, più egli annuncia il Vangelo, più conosce Gesù. L’annuncio della Parola agli altri permette anche a lui di penetrare le profondità del mistero di Dio; lui, Paolo, che scrisse: Guai a me se non annuncio il Vangelo!; lui che confessa: Per me il vivere è Cristo”.

Quindi la fede aumenta in ciascuno quando è annunciata: “L’Apostolo ci insegna che cresciamo nella fede e nella conoscenza del mistero di Cristo quanto più siamo suoi annunciatori e testimoni. E questo succede sempre: quando evangelizziamo, restiamo evangelizzati.

E’ un’esperienza di tutti i giorni: quando evangelizziamo, restiamo evangelizzati. La Parola che portiamo agli altri torna a noi, perché nella misura in cui doniamo riceviamo molto di più. E questo è necessario anche alla Chiesa oggi: mettere l’annuncio al centro”.

Ecco il motivo per cui si festeggiano i santi Pietro e Paolo: “Essi hanno risposto alla domanda fondamentale della vita (chi è Gesù per me?), vivendo la sequela e annunciando il Vangelo. E’ bello crescere come Chiesa della sequela, come Chiesa umile che non dà mai per scontata la ricerca del Signore.

E’ bello se diventiamo una Chiesa al tempo stesso estroversa, che non trova la sua gioia nelle cose del mondo, ma nell’annuncio del Vangelo al mondo, per seminare nei cuori delle persone la domanda su Dio.

Portare ovunque, con umiltà e gioia, il Signore Gesù: nella nostra città di Roma, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nei quartieri, nella società civile, nella Chiesa, nella politica, nel mondo intero, specialmente là dove si annidano povertà, degrado, emarginazione”.

(Foto: Santa Sede)

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